Era il 22 maggio 1978 quando la Gazzetta Ufficiale pubblicò la legge numero 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza: l’aborto diventava legale in Italia. Oggi, 46 anni dopo, tre persone su 4 in Italia sono favorevoli all’aborto, come emerge dal sondaggio Swg per Associazione Luca Coscioni. E il 90% dice che la legge in vigore è da migliorare, in particolare il 55% considera importante garantire l’interruzione di gravidanza farmacologica a domicilio, come avviene nel resto del mondo, evitando quindi il ricovero in ospedale. Sono 15 anni che in Italia è stata introdotta la possibilità della procedura farmacologica a domicilio, ma come sottolinea Associazione Luca Coscioni, l’aborto farmacologico viene ancora fatto in ricovero o in day hospital, nonostante le linee di indirizzo del ministero della Salute.
«I risultati del sondaggio Swg rivelano che la maggior parte delle italiane e degli italiani si conferma a favore della possibilità di abortire, ma anche che c’è una crescente consapevolezza sulla necessità di migliorare la legge 194, che compie 46 anni - fa notare Filomena Gallo, avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni - . Migliorare la legge 194 significa rimuovere tutti gli ostacoli che ancora oggi troppe donne si trovano ad affrontare. L’aborto farmacologico, per esempio, rappresenta un’incertezza, in molte regioni è fatto solo in day hospital o in ricovero. Chiediamo al ministro della Salute Orazio Schillaci e a tutte le Regioni un intervento urgente per garantire la piena accessibilità della procedura farmacologica dell’interruzione volontaria di gravidanza e l’appropriatezza delle procedure sanitarie per l’aborto».
Mirella Parachini, ginecologa, attivista dell’Associazione Coscioni, segretaria di Fiapac (organizzazione internazionale impegnata su aborto e contraccezione), sottolinea: «L’Italia è rimasta indietro, sembra che l’aborto sia una prestazione medica a statuto speciale. Da una parte c’è il ritardo sull’aborto farmacologico, più gradito alle donne, sicuro e che costa meno. E su questo chiediamo a Schillaci che attraverso le Regione provveda a fare applicare velocemente la legge. Sulla questione dei pro- life in consultori e ospedali credo che le società scientifiche di ginecologia dovrebbero insorgere e indignarsi: sono 46 anni che mettiamo in atto la legge e quando c’è una donna in difficoltà sociale, economica o psicologica ci avvaliamo delle strutture che possono aiutarla a risolvere il problema. È curioso pensare di scavalcare quello che è un iter naturale che inquadra le problematiche della paziente, è la routine, lo facciamo da oltre 40 anni. Si presume forse che venga fatto così male da avere bisogno di personale esterno? Io lo considero offensivo. Inoltre le associazioni pro-life sono già ampiamente presenti e indisturbate all’interno di molte strutture sanitarie». Sulla questione dei medici- obiettori, la dottoressa Parachini evidenzia che «l’articolo 9 della legge sull’aborto prevede che l’ospedale che ha medici obiettori deve garantire comunque l’intervento. Se non si fa è perché non viene applicata la legge. Quindi il problema non è abolire gli obiettori, ma fare applicare la legge».
Mariangela Zanni consigliera nazionale Di.Re - Donne in rete contro la violenza (l’associazione che unisce 87 organizzazioni in Italia con 106 Centri antiviolenza e più di 60 Case rifugio), evidenzia: «Lo scenario è peggiorato invece che migliorato. Andrebbe facilitato l’accesso all’aborto farmacologico, che non è invasivo e ha minore impatto psicologico. Il sondaggio Swg dimostra che la totalità delle persone è favorevole all’aborto, ma il governo sembra andare nella direzione opposta, non sta ascoltando le italiane e gli italiani. E’ grave l’apertura di consultori e ospedali alle associazione antiabortiste, vanno a minare la libertà di scelta e l’autonomia delle donne. La decisione di abortire non è mai facile da prendere, quindi pressioni psicologiche o promesse di aiuto creano solo difficoltà e ulteriori sensi di colpa. La legge deve essere migliorata anche rispetto all’obiezione di coscienza: in tante zone d’Italia con il 100% di medici-obiettori diventa impossibile abortire e quindi accedere a un diritto».