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Lo scopo di questa tesi di laurea è stato, complessivamente, quello di rintracciare, isolare e problematizzare i segnali degli spostamenti del mito patriottico e nazionale incarnato, localmente, nelle istituzioni roveretane nate dalle... more
Lo scopo di questa tesi di laurea è stato, complessivamente, quello di rintracciare, isolare e problematizzare i segnali degli spostamenti del mito patriottico e nazionale incarnato, localmente, nelle istituzioni roveretane nate dalle macerie della grande guerra, costruite da don Antonio Rossaro e dalle élite cittadine irredentiste.
La singolarità del personaggio Rossaro e della sua più famosa creatura, la Campana dei Caduti, mi ha sin da subito incuriosito. Le ambiguità e le sfaccettature di quell’oggetto storico, in perenne bilico tra vocazione patriottica e universalistica, tra memoria degli eroi e delle vittime, tra celebrazione della vittoria e della pace, si sono rivelate essere, ad un esame più attento, dei punti di forza più che di debolezza, soprattutto sul lungo periodo e di fronte ai mutamenti delle contingenze storiche. Ma, al contempo, l’impressione finale è stata quella di un simbolo che si era trovato più a suo agio in un’epoca come quella tra le due guerre mondiali piuttosto che nel lungo secondo dopoguerra, improntato alla "pace
europea". E non solo a causa della desacralizzazione dell’istanza nazionale nel tempo repubblicano. Penso di aver dimostrato, attraverso le mie analisi, che la pace e la fratellanza tra i popoli promosse dal messaggio di Rossaro, erano coerentemente costruite come diretto prodotto della guerra e non in maniera alternativa e oppositiva ad essa.
In questo senso, ho preferito parlare di una banalizzazione della pace per quanto riguarda la nuova Campana allestita negli anni Sessanta del Novecento, e non per quanto concerne le prime, nate tra le due guerre. Se si può parlare di una pace universale, sorta all’ombra del Concilio Vaticano II, che alla prova dei fatti risulta ancora una volta utopistica, è necessario, a mio avviso, smettere di attribuire una qualche responsabilità alla “natura umana”, egoistica o peccatrice. L’utopia consiste, piuttosto, nel voler conciliare la pace universale con le modalità capitalistiche della produzione e del consumo, ancora oggi dominanti.
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