n°20 – 18/05/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Contro il Jobs Act già 200 mila firme in due settimane*. QUATTRO REFERENDUM. «Stiamo facendo il nostro mestiere di sindacato» – ha detto ieri il segretario generale della Cgil Maurizio.
02 – Roberto Ciccarelli*: Record povertà, salari fermi: Meloni, fine della narrazione.
03 –La Sen. La Marca (PD) riceve una Laurea Honoris Causa alla John Cabot University a Roma
04 – Kevin Carboni*: I PROGRAMMI DELLE ELEZIONI EUROPEE. I programmi dei partiti per le elezioni europee dicono poco sui diritti civili – Se ne occupano solo Partito democratico e Movimento 5 stelle. Che chiedono più tutele per la comunità lgbtqia+, lotta alla violenza di genere e alle discriminazioni. Poveri gli altri programmi.
05 – Alfiero Grandi *: Contro il premierato: nonostante silenzi e censure.
06 – Alfiero Grandi*: tutti i vizi del premierato, difendiamo la costituzione contro la “capocrazia” targata Meloni.
07 – Elisabetta Rosso*: La Cina lancia un nuovo chip cerebrale per sbloccare il potenziale umano: come funziona Neucyber – Il chip è stato presentato durante una conferenza tecnologica a Pechino. Il Paese ora sta correndo per recuperare lo scarto e stare al passo con gli Stati Uniti, che già da tempo stanno investendo su interfacce neurali in grado di migliorare le capacità fisiche e mentali.
08 – Emiliano Brancaccio*: lavoratori e donatori anonimi dei padroni. Il caso Italia. L’accumulazione avanza, i profitti si espandono, eppure il «lavoro povero» si ripresenta di continuo, come una macchia incancellabile del capitalismo contemporaneo.
09 – Alessandro Portelli*: Quelle tre guerre di Dante Bartolini e Claudio Pavone. ANTICIPAZIONI: Pubblichiamo un estratto dalla relazione «Immaginazione e memoria», che oggi verrà presentata a Torchiara.

 

 

01 – Contro il Jobs Act già 200 mila firme in due settimane* . QUATTRO REFERENDUM. «Stiamo facendo il nostro mestiere di sindacato» – ha detto ieri il segretario generale della Cgil Maurizio.

In sedici giorni la Cgil ha raccolto duecentomila firme sui quattro referendum contro il Jobs Act, per la sicurezza, la tutela dei diritti dei lavoratori in appalto e il ripristino delle tutele contro i licenziamenti. E tra poco presenterà le proposte legislative di iniziativa popolare. L’obiettivo è raccogliere almeno 500mila firme.
«Noi stiamo facendo il nostro mestiere di sindacato- ha detto ieri il segretario generale della Cgil Maurizio Landini in una conferenza stampa – tutelare i lavoratori per la sicurezza, contrastare la precarietà e rinnovare i contratti. Vogliamo cancellare la norma che esclude la responsabilità solidale delle aziende committenti nell’appalto e nel subappalto, in caso di infortunio e malattia professionale dei lavoratori. Per noi questo significa indicare un modello che possa restituire il futuro al paese».
«Sull’adesione alla proposta del Pd sul salario minimo stiamo discutendo e ragionando anche con la Uil – ha aggiunto Landini- Abbiamo intenzione di proporre una legge sulla rappresentanza, che arrivi a toccare anche l’equo compenso e il salario minimo. Siamo d’accordo con la proposta ma su cosa fare il lavoro è ancora in corso».
Landini ieri ha lanciato anche la manifestazione contro l’autonomia differenziata che si terrà sabato 25 maggio a Napoli con le associazioni della «Via Maestra»: «mandare un messaggio di unità e costruzione di unità del paese che è il contrario di quello che sta avvenendo» ha detto Landini. Inoltre «abbiamo scritto a tutti i presidenti di Regione, ai segretari delle forze politiche e ai capigruppo: è il momento di fare politiche che vadano nella direzione opposta a quella del governo. Non bisogna proseguire su quella strada. È a rischio l’unità nazionale».
*(Fonte: Il Manifesto. La redazione)

 

02 – Roberto Ciccarelli*: RECORD POVERTÀ, SALARI FERMI: MELONI, FINE DELLA NARRAZIONE – DESTRA ASOCIALE. IL RAPPORTO ANNUALE DELL’ISTAT SMENTISCE LA REALTÀ PARALLELA COSTRUITA DAL GOVERNO. IL RACCONTO DI UN PAESE IN BILICO DOVE AUMENTANO LE DISUGUAGLIANZE DOPO 30 ANNI DI POLITICHE COMPLICI: 5,7 MILIONI DI PERSONE SONO IN «POVERTÀ ASSOLUTA» IN ITALIA: PER L’ISTAT È UN RECORD DAL 2014 QUANDO IN TALE CONDIZIONE ERANO POCO PIÙ DI 4 MILIONI.

Record della povertà, salari fermi, crolla il potere di acquisto, cresce il lavoro povero. La realtà parallela che il governo Meloni prova, inutilmente, a costruire da un anno e mezzo ieri è stata smontata dalla pubblicazione del rapporto annuale 2024 dell’Istat. Nel silenzio di quasi tutti gli esponenti dell’esecutivo e della maggioranza, di solito loquaci quando si tratta di equivocare e non capire i dati sull’occupazione, ieri è stato messo nero su bianco che la povertà assoluta ha raggiunto livelli mai visti da dieci anni a questa parte. Cinque milioni e 752 mila persone hanno gravissime difficoltà economiche, sociali, personali e 1,3 milioni di minorenni sono in grave deprivazione materiale e sociale.

POVERTÀ, L’UE BOCCIA MELONI: «Aumenterà con le sue politiche»
DIECI ANNI FA, nel 2014, erano state calcolate poco più di 4 milioni di persone in questa condizione. I dati non colgono ancora in pieno gli effetti della decisione, presa tra maggio e dicembre 2023, dal governo di restringere l’accesso all’«assegno di inclusione» e al «supporto lavoro e formazione» che hanno sostituito il «reddito di cittadinanza». Per questo, l’anno prossimo, i dati saranno peggiori. E sarà tutta farina del sacco di Meloni & Co.

PIÙ LAVORO POVERO, MENO SALARI: è subito propaganda
NONOSTANTE IL BUON andamento del «mercato del lavoro» che ha registrato tra il 2022 e il 2023 un aumento dell’1,8% in entrambi gli anni, sono cresciuti contemporaneamente i lavoratori poveri («working poors»), quelli che sono in «povertà relativa», soprattutto nei settori «di punta» di un’economia ormai basata su ristorazione, turismo e servizi poveri. In questa cornice l’incidenza della povertà assoluta tra gli occupati è aumentata dal 4,9% nel 2014 al 7,6% del 2023. Non essendo cambiato strutturalmente il mercato del lavoro, e tanto meno il Jobs Act di Renzi e del Pd ( la Cgil si propone di abolire con un referendum), è certo che questa condizione sia cresciuta anche tra chi è stato assunto nell’ultimo anno. In più l’Istat sostiene che è «povero», ad esempio, il 14% degli operai rispetto al 9% registrato nel 2014. Quest’altro numero, tradotto nella realtà, significa che il reddito da lavoro non è più in grado di proteggere le persone e il loro nucleo familiare da un grave disagio economico e sociale. A questo si aggiunge il ricorso al lavoro part-time involontario, le più colpite sono le donne, in particolare quelle più giovani. È un fenomeno macroscopico, soprattutto al Sud. Già nel 2022 era del 57,9 per cento in Italia, il 50,8 in Spagna, il 25,9 in Francia, il 6,1 per cento in Germania.

IL REDDITO È DI BASE

LA PAROLA DEFINITIVA è stata messa sulle misure caricaturali del governo Meloni contro la super-inflazione. Non occorrerebbe, dato che lo stesso esecutivo se ne è vergognato e non le ha rinnovate. Ma è utile vedere i dati che arrivano fino a dicembre 2023, quando è scaduto il «carrello tricolore anti-inflazione». Il lavoro si è impoverito ulteriormente perché il potere di acquisto dei salari non è stato sostenuto dai dovuti aumenti contrattuali cospicui e tempestivi. I dati sono impressionanti: le retribuzioni contrattuali orarie, nel biennio 2021-2023, sono aumentate del 4,7% mentre l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) del 17,3%. Un abisso. Da ottobre 2023 le retribuzioni sono aumentate, ma solo perché l’inflazione è diminuita. Una tendenza confermata nel primo trimestre del 2024. Ciò ha penalizzato le famiglie più povere, le hanno indotte a intaccare i risparmi e a spendere di più per casa, acqua, elettricità, gas, cibo.

L’INVENZIONE DEI «LAZZARONI» E L’APOLOGIA DEL LAVORO SERVILE

ALTRA QUESTIONE è la produttività del lavoro. In volume, il Prodotto interno lordo (Pil) per ora lavorata in Italia è cresciuto di solo l’1,3 per cento tra 2007 e 2023, contro il 3,6 per cento in Francia, il 10,5 in Germania e il 15,2 per cento in Spagna. «La stagnazione della produttività del lavoro è uno degli elementi che ha caratterizzato il debole andamento del Pil negli ultimi vent’anni e il conseguente allargamento del divario di crescita con le altre principali economie dell’Ue» ha commentato l’Istat. In 15 anni tale divario è aumentato di oltre 10 punti rispetto alla Spagna, 14 alla Francia, 17 alla Germania. Rispetto al 2019 il Pil nominale è cresciuto del 4,2%, più rapidamente delle maggiori economie Ue ma il divario con la crescita di quello reale resta ampia.

NON TUTTO, ovviamente, è farina del sacco del governo Meloni. Ma come gli altri, dal 1991 a oggi, anch’esso è l’espressione organica di una politica di classe che ha imposto la più violenta repressione salariale nei paesi Ocse. Negli ultimi trent’anni i salari reali in Italia sono rimasti fermi con una crescita simbolica dell’1% a fronte del 32,5% registrato in media nell’area Ocse. Considerata il drastico cambio di congiuntura politico-economica, con l’austerità di ritorno e una procedura di infrazione per deficit eccessivo incombente, Meloni & Co. dimostreranno che la loro esistenza dipende dalla conservazione di questo stato di cose. È il marchio di fabbrica del capitalismo straccione italiano. E lo è della politica che, in mancanza di lotte, si conforma ad esso. La storia, in fondo, sta tutta questa.
*(Fonte: Il Manifesto, Roberto Ciccarelli (Bari, 1973). Filosofo e giornalista, scrive per «il manifesto». Ha pubblicato tra l’altro Potenza e beatitudine (Carocci 2003), Immanenza (il Mulino 2009), Il Quinto Stato (con Giuseppe Allegri, Ponte alle Grazie, 2013), Forza lavoro. … Google Books)

 

03 –La Sen. La Marca (PD) RICEVE UNA LAUREA HONORIS CAUSA ALLA JOHN CABOT UNIVERSITY A ROMA.
LUNEDI, 13 MAGGIO, LA SENATRICE LA MARCA HA PARTECIPATO AL COMMENCEMENT CEREMONY 2024, LA CERIMONIA ANNUALE DEL CONFERIMENTO DELLA LAUREA NEGLI ATENEI DEL SISTEMA ANGLOSASSONE, DELLA JOHN CABOT UNIVERSITY A ROMA DURANTE LA QUALE LE È STATO CONFERITA UNA LAUREA “DOCTOR OF HUMANE LETTERS, HONORIS CAUSA” PER IL SUO “IMPEGNO NEI CONFRONTI DELLE COMUNITÀ ITALIANE ALL’ESTERO”.
È nella meravigliosa cornice di Villa Aurelia a Roma che si è svolta la elaborata ed elegante cerimonia di consegna delle Lauree per gli oltre 230 studenti della Classe accademica 2024 provenienti da ben 35 Paesi distinti. Un’organizzazione impeccabile grazie al lavoro del Presidente dell’Università, Franco Pavoncello e della sig.ra Jacqueline Falk Maggi, Senior Advisor to the President Development, Special Projects & Events, con il tradizionale corteo di rappresentanza iniziale, all’interno del quale hanno sfilato gli studenti e gli ospiti d’onore (Dean, Trustee). Insieme alla Senatrice, è stata premiata la Direttrice della rivista Aspenia, Marta Dassù, alla quale è stata conseguita una Laurea Honoris Causa in Foreign Relations per il suo contributo, prima come Viceministra agli Affari Esteri, e poi come Direttrice dell’Aspen Istitute.
Successivamente alla preghiera di apertura di Fra’ Dunlap, i bellissimi saluti iniziali agli studenti da parte del presidente dell’Ateneo Pavoncello e della “Vice Chair” Portia Prebys, è stata conferita alla Senatrice La Marca la Laurea.
Intervenendo in inglese, la Senatrice si è rivolta alla platea – “Permettetemi di iniziare”, ha esordito la Senatrice, “dicendo che sono più che onorata di ricevere una laurea honoris causa da un’istituzione accademica così prestigiosa. Questa laurea ha un doppio significato per me perché non viene conferita solo a me, ma a tutte le comunità italiane del Nord e Centro America, che ho l’onore di rappresentare in parlamento.”
“Come deputata prima e senatrice ora, ho il privilegio di rappresentare una diaspora vibrante e multidimensionale, in continua evoluzione, troppo spesso ignorata dal Governo italiano e dalla società in generale. Nel mio caso specifico, significa rappresentare oltre 500.000 cittadini italiani che risiedono da qualche parte tra l’Alaska e Panama, altri milioni che sono nati italiani e hanno perso la cittadinanza per naturalizzazione, per non parlare di innumerevoli altri di origine italiana. In questo ruolo unico e privilegiato, ho cercato di fare da ponte tra l’Italia e il continente nordamericano, sostenendo politiche a favore delle comunità italiane all’estero. Non a caso, quindi, che questo incredibile riconoscimento provenga da un’istituzione internazionale che vanta un corpo studentesco eterogeneo proveniente da 75 Paesi del mondo. Perciò questo onore che mi avete così gentilmente conferito è prima di tutto un riconoscimento dell’enorme contributo che gli italiani hanno dato alla società nordamericana e centrale, con la loro operosità e creatività, e di questo vi sarò sempre grata”.
Nel resto del suo discorso, la Senatrice, si è rivolta ai ragazzi e alle ragazze della Classe del 2024, veri protagonisti di questa giornata di festa: “Cos’è che volete veramente dalla vita? Non è mai troppo presto o troppo tardi per porsi questa domanda fondamentale. Vuoi qualcosa perché la società ti dice che dovresti volerlo, perché i tuoi genitori e la tua famiglia ti dicono che devi ottenerlo o perché tu lo vuoi davvero? Nella vita, il tuo unico obbligo è quello di essere fedele verso te stesso, rendere felice te stesso e nessun altro – scusate, genitori.”
“Mentre dovresti dare il 100% in tutto ciò che fai e assicurarti che le tue azioni siano sempre in linea con la tua anima e sforzarti di rendere il mondo un posto migliore, la vita non dovrebbe mai essere così seria o travolgente da non trovare il tempo per coltivare connessioni personali – ridendo e stabilendo legami sani con altri esseri umani. Migliorerai inevitabilmente il tuo benessere generale e contribuirai al miglioramento della società. Il tuo successo nella vita dipende esclusivamente da ciò che tu credi essere vero di te stesso, nel profondo del tuo essere, indipendentemente da ciò che gli altri ti dicono di te stesso e dai messaggi che ricevi lungo la strada.
“Non abbiate paura – conclude la Senatrice – di andare controcorrente, di non conformarvi, di lottare per ciò in cui credete con convinzione ma anche con umiltà e buon cuore. A questo proposito, congratulazioni a tutti voi, Classe Laureandi del 2024, e i miei migliori auguri per le tante emozionanti avventure che vi aspettano in questo viaggio chiamato vita” ( )

 

04 – Kevin Carboni*: I PROGRAMMI DELLE ELEZIONI EUROPEE. I PROGRAMMI DEI PARTITI PER LE ELEZIONI EUROPEE DICONO POCO SUI DIRITTI CIVILI – SE NE OCCUPANO SOLO PARTITO DEMOCRATICO E MOVIMENTO 5 STELLE. CHE CHIEDONO PIÙ TUTELE PER LA COMUNITÀ LGBTQIA+, LOTTA ALLA VIOLENZA DI GENERE E ALLE DISCRIMINAZIONI. POVERI GLI ALTRI PROGRAMMI.

I PROGRAMMI DEI PARTITI PER LE ELEZIONI EUROPEE DICONO POCO SUI DIRITTI CIVILI
A meno di un mese dalle elezioni europee 2024, che si terranno l’8 e 9 giugno, in Italia solo 4 grandi formazioni politiche hanno pubblicato ufficialmente i loro programmi elettorali. Sono il Partito democratico, Movimento 5 stelle, Azione e Forza Italia-Noi moderati. Degli altri non si sa ancora nulla. Inoltre, tranne nel caso del Partito democratico e del Movimento 5 stelle, i diritti civili sono un tema quasi completamente assente nei siti, nei manifesti o nei programmi degli altri partiti e quando se ne parla vengono affrontati in maniera molto ampia, includendo altri argomenti.

COSA DICONO I PARTITI SUI DIRITTI CIVILI IN VISTA DELLE ELEZIONI EUROPEE
PARTITO DEMOCRATICO, ALLEANZA VERDI-SINISTRA, MOVIMENTO 5 STELLE, STATI UNITI D’EUROPA, AZIONE, FORZA ITALIA-NOI MODERATI, LEGA, FRATELLI D’ITALIA

I leader dei partiti italiani candidati alle europee. Da sinistra: Antonio Tajani (Forza Italia), Matteo Renzi (Stati Uniti d’Europa), Elly Schlein (Partito democratico), Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), Matteo Salvini (Lega), Giuseppe Conte (Movimento 5 Stelle), Carlo Calenda (Azione)
Come trovare i candidati alle elezioni europee..
Wired ha realizzato un calcolatore che permette di conoscere i nominativi delle persone candidate dai principali partiti nelle cinque circoscrizioni in cui è divisa l’Italia

PARTITO DEMOCRATICO
Il partito guidato da Elly Schlein ha lanciato la campagna elettorale per le elezioni europee focalizzandosi su una serie di dicotomie. Sul piano dei diritti, gli slogan utilizzati sono “una famiglia, non un bersaglio” e “l’Europa che vogliamo è inclusiva”, per sottolineare la volontà di lottare per il riconoscimento di uguali diritti anche per le cosiddette famiglie omogenitoriali o monoparentali. Durante la conferenza stampa per il lancio della campagna Schlein ha poi citato come punti cardine della propria azione in Unione europea la difesa del “diritto alla salute, diritto alla casa, diritto allo studio” e dei “diritti delle donne”.
Nel programma dedicato alle elezioni europee, il tema dell’uguaglianza viene ampliato con la proposta di promuovere “un’Europa femminista, che attui pienamente e concretamente il principio di uguaglianza tra uomini e donne”. Si fa quindi riferimento alla trasparenza salariale di genere, alla parità salariale e al contrasto della violenza di genere e contro le donne, anche tramite la ricerca di una definizione europea del reato di stupro basato sulla definizione di consenso. Altre proposte riguardano l’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’approvazione di leggi per parificare i congedi di maternità e paternità, promuovere la salute sessuale e riproduttiva, combattere la marginalizzazione e la discriminazione delle persone con disabilità.
Il programma dedica poi ampio spazio alla difesa dello stato di diritto e dei diritti fondamentali delle persone, anche tramite la riforma di alcuni trattati per dare alla Commissione più poteri per sanzionare quei paesi che commettono violazioni dei diritti. Il partito si impegna quindi a trovare soluzioni legislative per garantire a tutte e tutti il diritto di voto anche quando si risiede in paesi terzi, a far adottare la direttiva che istituisce il reato di discriminazione in tutti gli stati membri, assicurare pari diritti alle persone della comunità lgbtqia+, promuovere pari opportunità e pari accesso all’istruzione, estendere i diritti e i doveri della cittadinanza ai figli di persone migranti nati in Europa e a chi studia e lavora in Unione europea.

ALLEANZA VERDI-SINISTRA
La federazione ambientalista e socialista guidata da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni non ha diffuso un documento programmatico per le europee. Tuttavia, la stessa campagna elettorale si sta basando sulla tutela dei diritti umani e dello stato di diritto in tutti i paesi europei. Il partito ha infatti candidato tra le sue fila Ilaria Salis, l’antifascista italiana detenuta da oltre un anno in Ungheria, senza prove e in condizioni disumane, per aver partecipato a una manifestazione antinazista a Budapest. Se eletta Salis potrà essere liberata ottenendo l’immunità parlamentare.

Oltre a ciò, le posizioni in tema di diritti della formazione politica si possono desumere dal manifesto del partito e comprendono la legalizzazione delle droghe leggere, la difesa dei diritti delle persone lgbtqia+, la difesa del diritto all’aborto, la lotta contro il sessismo e il contrasto a violenze e molestie subite dalle donne.

MOVIMENTO 5 STELLE
Il partito guidato da Giuseppe Conte ha creato un programma partecipato per le elezioni europee, coinvolgendo direttamente i propri sostenitori. Nel concreto, i giovani iscritti con meno di 36 anni e gli iscritti delle comunità dei Gruppi territoriali sono stati chiamati a votare alcune proposte che guideranno la linea politica del partito in sede europea. Il testo è lungo 103 pagine e contiene un intero capitolo chiamato “Per una Unione dei diritti”.
Nel concreto, assieme altre cose che non riguardano precisamente i diritti civili, il Movimento pone l’accento sulla necessità di contrastare la violenza di genere e sulle donne, lavorare per l’uguaglianza e contro le discriminazioni, andando a rafforzare le norme comunitarie su violenza di genere, violenza domestica e promuovere programmi educativi sulla parità di genere per ragazzi e ragazze. Altre proposte riguardano pari diritti per le famiglie omo e mono genitoriali, modalità più facili per adozioni e affidamento e la “procreazione medicalmente assistita come nuovo diritto”. Infine il movimento propone un radicale abbattimento delle barriere per persone con disabilità in tutta Europa.

STATI UNITI D’EUROPA- La nuova coalizione elettorale composta da +Europa, di Emma Bonino, e Italia viva, di Matteo Renzi, non ha presentato un programma condiviso per le elezioni europee. Non esiste nemmeno un sito ufficiale della lista e sui siti dei due partiti quasi non si parla della nuova formazione. Sul sito di Italia Viva non si parla nemmeno un gran ché di europee, mentre su quello di +Europa si fa riferimento solo a un vecchio appello di Bonino per la creazione degli Stati Uniti d’Europa, pubblicato da La Stampa. Nell’assenza di informazioni, il sito di +Europa parla genericamente della creazione di un welfare universale e del rispetto dei diritti fondamentali.

AZIONE – Al contrario di molti altri, il partito di Carlo Calenda ha pubblicato un programma per le europee. Il testo è diviso in dieci punti e inizia sottolineando la necessità di sostenere la difesa dell’Ucraina dall’invasione della Russia. Sul piano dei diritti il documento parla di “tolleranza zero” rispetto a ogni violazione dello stato di diritto, con maggiori poteri dati al Consiglio europeo per sanzionare i paesi membri che commettono infrazioni.

Al punto otto e nove si fa riferimento alla necessità di “regolare operativamente l’età di accesso ai social e ai siti vietati” e di rilanciare il “pilastro sociale dell’Unione europea”, con particolare attenzione “ai temi della sanità, dell’istruzione, della demografia e della parità di genere”. Nel dettaglio Azione chiede un “Pnrr dedicato ai diritti sociali”, un “New Deal per l’uomo nell’era digitale”, equa distribuzione della conoscenza e della ricchezza, la creazione di un nuovo sistema di “welfare 4.0”, che comprenda un sussidio di disoccupazione europeo.

FORZA ITALIA–NOI MODERATI – Il partito guidato da Antonio Tajani si candida assieme alla formazione Noi Moderati, alleanza che riunisce Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, Italia al centro di Giovanni Toti (presidente della Liguria recentemente arrestato per corruzione) e Coraggio Italia di Luigi Brugnaro. Anche questa lista ha presentato un programma per le elezioni europee, lungo 17 pagine e basato su 10 “priorità”.
Tuttavia, nonostante la lunghezza, i diritti civili non sembrano parte integrante del programma. Solo al nono punto si parla in maniera generica di sostenere gli anziani e le persone vulnerabili con un’assistenza “a lungo termine a prezzi accessibili” ed elaborare una “Carta europea della disabilità”.

LEGA
Al partito di Matteo Salvini mancano sia indicazioni relative a come la formazione si voglia muovere per tutelare i diritti civili, sia un programma per le elezioni europee. Inoltre, sul sito ufficiale, il primo slogan legato alle elezioni recita “più Italia, meno Europa”.

FRATELLI D’ITALIA
Anche nel partito di Giorgia Meloni non si parla di diritti civili e manca un programma per le europee. Sul sito ufficiale c’è una sezione chiamata “Programma Europa”, ma non c’è scritto nulla.
*(Fonte: Wired. Kevin Carboni. Scrive molto di attualità, in particolare di Ucraina, crisi del clima, politica, multe alle grandi aziende tecnologiche e scioperi.)

 

05 – Alfiero Grandi *: CONTRO IL PREMIERATO: NONOSTANTE SILENZI E CENSURE.
Riceviamo da Alfiero Grandi, vice presidente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, una breve nota sulla proposta di premierato avanzata da Giorgia Meloni e in discussione in Parlamento.
È la replica a un articolo aperturista di Franco De Benedetti comparso su La Stampa il 20 aprile scorso (Governo e Parlamento. La riforma di cui c’è bisogno), inviata da Grandi il 22 aprile, dopo avere avuto dal quotidiano torinese indicazioni sulle relative modalità, e a tutt’oggi non pubblicata.
Libero ogni giornale di scegliere la propria linea politica e di decidere cosa pubblicare, resta il tema, cruciale, della possibilità di un effettivo contraddittorio sulle questioni al vaglio dei cittadini e, dunque, dell’effettività in concreto dei diritti di parola e di manifestazione del pensiero. A dimostrazione di come la “censura” non stia solo – né tanto – nei cori degli studenti contro una ministra. Per dar conto dei termini della vicenda pubblichiamo, di seguito, la nota di Grandi. (la redazione)

Franco De Benedetti sostiene, in rapporto alla proposta di elezione diretta del Presidente del Consiglio, che il problema di fondo dell’Italia sia rendere gli esecutivi più stabili (Governo e Parlamento. La riforma di cui c’è bisogno, 20 aprile, ndr).

NON CONVINCE PER ALMENO DUE RAGIONI:

1) il Governo Meloni ha una stabilità potenziale straordinaria. Le destre con il 44% dei voti hanno ottenuto il 59% dei parlamentari. Un premio di maggioranza del 15% grazie a una legge elettorale incostituzionale. Malgrado questo il Governo vuole modificare la Costituzione per dare ancora più potere al presidente del Consiglio, mentre dovrebbe preoccuparsi dei risultati che per ora latitano. Le difficoltà politiche vengono scaricate sulla Costituzione;

2) il problema di fondo della nostra vita democratica è la crescita inarrestabile dell’astensione, ormai metà dell’elettorato. Riportare alla partecipazione democratica la metà dei cittadini che oggi non crede alla possibilità di contare è la sfida di fondo per il futuro della nostra democrazia. Sono necessari diversi interventi, tra questi è prioritario ricostruire un rapporto diretto tra i deputati e i senatori e gli elettori che oggi sono invece nominati dai capi partito. In pratica non hanno rapporti con gli elettori, che non hanno alcun potere reale nella loro elezione. È prioritaria una nuova legge elettorale, ma l’elezione diretta del Presidente del Consiglio legherà a doppio filo il suo ruolo e la vita del Parlamento.

Non a caso il Governo ha fatto una proposta unilaterale e conta sul 59% che gli è stato regalato per imporre le sue soluzioni, come ha già fatto più volte. È difficile comprendere perché mai questa proposta sarebbe un’occasione da cogliere visto che rappresenta una forzatura al limite dell’imposizione, che ha l’obiettivo di andare oltre la Repubblica fondata sulla Costituzione democratica e antifascista del 1948, per transitare in una “terza Repubblica”.

L’obiettivo della proposta Meloni è uscire dalla democrazia parlamentare della nostra Costituzione per costruire una vera e propria capocrazia. È una menzogna che accrescerebbe il potere del Presidente del Consiglio senza diminuire quello del Presidente della Repubblica e il ruolo fondamentale del Parlamento. Giorgia Meloni non ha insistito sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica perché le sarebbe difficile spiegare al Paese perché Mattarella dovrebbe essere ridimensionato, visto che svolge il ruolo in modo impeccabile. Da qui il ripiegamento sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio che diventerebbe la figura istituzionale dominante.

Le proposte per migliorare aspetti del meccanismo proposto da Giorgia Meloni sono di scarso interesse perché non richieste e velleitarie. Per di più Fratelli d’Italia ha già lanciato i comitati a sostegno della proposta. Sarebbe logico prepararsi fin da ora al No alla proposta di Giorgia Meloni che ha un carattere eversivo della Costituzione del 1948 e conferma l’ansia di uscire dal suo cono di luce per costruire un’altra fonte di legittimazione, attraverso l’elezione diretta. Il Presidente della Repubblica verrebbe sterilizzato nel suo ruolo politico malgrado in diverse occasioni abbia salvato la Repubblica. Il Parlamento diventerebbe la guardia del pretorio del Presidente del Consiglio perché la sua vita dipenderebbe dalla fedeltà al capo. Sarebbe la fine della Repubblica parlamentare nata nel 1948, a causa di modifiche della Costituzione tali da stravolgerla. La proposta di Giorgia Meloni spingerà a invidiare la chiarezza della Costituzione americana che prevede una netta separazione tra elezione dei parlamentari e del Presidente.

Meglio affrontare il vero problema dell’Italia, la disaffezione dalla partecipazione politica, e costruire il contrasto a queste modifiche istituzionali, pretendendo l’effettuazione del referendum costituzionale per consentire ad elettrici ed elettori di poterle respingere.
*(A. Grandi. vice presidente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale,)

 

06 – Alfiero Grandi*: TUTTI I VIZI DEL PREMIERATO, DIFENDIAMO LA COSTITUZIONE CONTRO LA “CAPOCRAZIA” TARGATA MELONI.
Giorgia Meloni in un convegno alla Camera ha rilanciato la proposta del Governo di fare eleggere direttamente il Presidente del Consiglio, rendendo evidente un tentativo di coinvolgere settori dell’opposizione richiamandone posizioni e proposte presentate in tempi molto diversi.
Non è questione da sottovalutare ed è prevedibile che questo atteggiamento tornerà con forza nella campagna elettorale per il futuro referendum costituzionale sulla proposta del Governo. Per essere evitato il referendum ha bisogno che una parte dell’opposizione voti questa proposta del Governo, per arrivare ai 2/3 dei parlamentari – nella seconda lettura – a distanza di almeno tre mesi dalla prima approvazione, come prevede l’articolo 138 per le modifiche della Costituzione.
Va sottolineato anzitutto che tutte le citazioni che vengono portate a conferma della presunta bontà delle proposte del Governo sono proposte avanzate durante i lavori di commissioni bilaterali o sedi simili, quindi con una presenza importante delle opposizioni dell’epoca. Infatti tutte queste occasioni, pur diverse tra loro, sono state istituite con un accordo tra maggioranza ed opposizione dell’epoca per modificare in punti più o meno rilevanti la Costituzione, interpretando in modo estensivo l’articolo 138 che invece prevede modifiche precise e puntuali, come ha sempre sostenuto il prof Alessandro Pace. Queste occasioni hanno sempre lavorato per un’ampia convergenza, come dovrebbe avvenire quando si vuole modificare la Costituzione.
La proposta del Governo Meloni per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio ha un’origine ben diversa. Infatti è un succedaneo del programma elettorale della destra che prevedeva il Presidenzialismo e non il premierato. La proposta di legge del Governo è stata presentata con le sole firme di Meloni e Casellati e anche le modifiche al testo iniziale sono state decise unilateralmente da una ristretta cabina di regia dei leader di maggioranza.
L’opposizione non ha avuto alcun ruolo malgrado molte controproposte ed emendamenti. Le modifiche sono state decise dalla sola maggioranza. L’impostazione e il percorso della proposta al Senato non hanno nulla delle caratteristiche di precedenti tentativi di modifiche costituzionali. E’ un’iniziativa unilaterale del Governo, che decide unilateralmente anche le correzioni. Quindi il testo finale risponde agli obiettivi della maggioranza di destra a trazione FdI, le opposizioni non hanno avuto alcun ruolo di merito se non opporsi con tutte le loro forze. Perché parte delle opposizioni dovrebbe aggregarsi alla maggioranza nell’approvazione del premierato al solo scopo di evitare il referendum costituzionale, rinunciando al pronunciamento delle elettrici e degli elettori?
Eppure limitati settori dell’opposizione sembrano interessati ad entrare nella partita, per evitare un’eccessiva incoerenza chiedono modifiche non decisive alla proposta. Se volessero chiedere modifiche sostanziali dovrebbero chiedere di eleggere il parlamento in modo separato ed indipendente dal Presidente del Consiglio e scoprirebbero il legame indissolubile che ha per la maggioranza l’elezione diretta del Presidente del Consiglio con una legge elettorale con premio di maggioranza.
Nessuno ha finora chiesto di azzerare tutto, ripartire da capo e costituire una commissione bilaterale, o un’iniziativa simile. E’ prevedibile che le destre non accetterebbero alcun azzeramento perché puntano ad usare il vantaggio del premio di maggioranza regalato alla destra dalla legge elettorale incostituzionale in vigore, che ha concesso loro un premio di maggioranza del 15 % che ha trasformato il 44% dei voti nel 59% dei parlamentari. Forti di questo risultato, che è dipeso non da loro meriti quanto da un’opposizione che ha deciso di perdere le elezioni, forse senza rendersi conto completamente delle conseguenze politiche.
Subiamo oggi le conseguenze di errori imperdonabili, il maggiore dei quali è stato non cambiare una legge elettorale incostituzionale quando era ancora possibile, prima delle elezioni. Dopo è stata una slavina spaventosa.

INSOFFERENZA VERSO LA COSTITUZIONE DEL 1948
Il premio di maggioranza è la clava che le destre usano senza ritegno e possono contare su un patto di potere che, per ora, conviene a tutti gli attori e questo spiega perché Giorgia Meloni abbia deciso di sfruttare condizioni parlamentari favorevoli.
Spinge le destre a cambiare la Costituzione, in particolare FdI, una sofferenza storica verso la Costituzione democratica ed antifascista del 1948. E’ evidente la sofferenza verso le richieste di accettare l’antifascismo, che ricevono ogni volta risposte contorte e inconcludenti. Senza sottovalutare che in aree delle destre ci sono perfino espliciti richiami al fascismo come è capitato con un candidato in un comune pugliese. Uscire dalla piattaforma di principi, diritti, organizzazione democratica dei poteri sancita nella Costituzione del 1948 è un modo per ottenere una diversa fonte di legittimazione, per transitare in quella che Giorgia Meloni definisce la terza repubblica.
In sostanza l’obiettivo di FdI è trovare un’altra fonte di legittimazione, anche per questo non viene scartata la possibilità di arrivare al referendum. Anzi la tentazione è di arrivarci in modo da ottenere una diversa fonte di legittimazione sia dalla modifica della Costituzione che dalle elezioni, nella convinzione che allettare con l’elezione diretta dal capo del governo possa supplire a tante frustrazioni delle elettrici e degli elettori, dimostrate dal crescente astensionismo elettorale.
La disaffezione dal voto in Italia è arrivata ormai alla metà dell’elettorato e la discesa continua, questo restringe la partecipazione ad aree sociali coinvolte per tante ragioni, anche da quelle poco nobili. Il punto centrale di intervento delle opposizioni attuali dovrebbe essere restituire agli elettori la scelta diretta dei parlamentari da eleggere, in modo da ricostruire un rapporto tra eletto ed elettore che da almeno 20 anni in Italia è stato spezzato. Quindi a Giorgia Meloni che propone l’elezione diretta del Presidente del Consiglio va risposto con la proposta di fare eleggere direttamente tutti i 600 tra deputati e senatori.
La scelta diretta dei deputati e dei senatori da parte degli elettori sarebbe una svolta che ricostruirebbe un rapporto tra eletto ed elettore. Invece Meloni chiede suadente agli elettori volete decidere voi chi governerà o lasciare decidere i vertici dei partiti e tutto questo proprio da parte di chi è Presidente del suo partito, del suo partito europeo nonché Presidente del Consiglio. Questo ricorda da vicino la favola del lupo (Meloni) e dell’agnello (elettorato). In questa scelta rientrano pulsioni antiche, con radici evidenti nel ventennio, legate al capo che deve decidere, e pulsioni più recenti derivanti dalla pressione di gruppi finanziari internazionali e da un modo di intendere la decisionalità mutuato dalle imprese come se l’Italia di oggi fosse un’azienda, ignorando completamente la complessità della struttura sociale, culturale, economica.
Tutto viene semplificato e ridotto a decisionismo senza qualità. A questo si aggiunge il mito del Governo che decide come soluzione di tutti i mali del paese, fino ad affermare che un governo con un mandato per 5 anni sarebbe incline ad una visione meno contingente, trascurando il fatto che questo riguarda anzitutto il ruolo dei partiti che debbono porsi il problema di una visione di lungo periodo, mentre oggi non è così, questo è un altro capitolo decisivo della risalita della partecipazione democratica nel nostro paese.
Si sottovaluta un problema di fondo: il rapporto tra politica, società ed economia. La semplificazione che porta tutto il potere decisionale nelle mani del Governo e in particolare del Capo del Governo è falsa, è un sistema decisionale autoritario e accentrato. Infatti come si vede dal progetto di legge del Governo se si punta ad un parlamento subalterno, al traino del Capo del governo è inevitabile che la sua caduta porti con sé una crisi istituzionale e quindi nuove elezioni, con il rischio che la crisi anziché risolversi si ripeta anche con le nuove elezioni. Paradossalmente mentre in un sistema parlamentare la crisi di un governo è risolvibile, come hanno dimostrato i Presidenti della Repubblica che si sono succeduti, e la legislatura può proseguire, in un sistema di Capocrazia come quello proposto da FdI il risultato è che la crisi di un governo diventa automaticamente la fine anticipata della legislatura, del resto a questo punta Fratelli d’Italia.

L’OPPOSIZIONE INVECE…
La proposta del Governo è stata presentata nel modo peggiore, con un piglio impositivo inaccettabile ma soprattutto è il merito che la rende inaccettabile, per questo sono incomprensibili i tentativi di limitarsi in modo subalterno a suggerire miglioramenti, peraltro non richiesti.

Nell’area dell’opposizione ci sono difficoltà a decidere una posizione di netta contrarietà, anche se va sottolineato che le posizioni ufficiali dei partiti di opposizione sono state meglio dei fremiti che li agitano, vale in particolare per il Pd, per il M5Stelle, per AVS, altri hanno avuto posizioni possibiliste. La stessa questione si è posta sull’Autonomia Regionale differenziata nella quale le regioni richiedenti l’attuazione erano tre, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e salta agli occhi che la posizione di quest’ultima era innaturale. Per di più il Presidente del Consiglio che pensò bene di stipulare i preaccordi con le tre regioni, malgrado fossero gli ultimi giorni di vita del Governo, era Gentiloni, altro esponente Pd. Questo conferma che la confusione politica nel Pd nel periodo post renziano era notevole. Anche il M5Stelle non era senza confusione visto che a partire dal Conte 1, proseguita nel Conte 2, l’autonomia regionale differenziata era entrata nei collegati alla legge di bilancio con contenuti preoccupanti e con una Ministra leghista a sovraintendere.
Era evidente che occorreva togliere la questione da un terreno scivoloso del tipo ma “voi avevate accettato” per porre una posizione politica che superasse di slancio sul piano del merito e dei comportamenti, in modo tale da superare posizioni precedenti. Per questo è stato importante che il Coordinamento per la Democrazia costituzionale presentasse al Senato una legge di iniziativa popolare che, forte di 106.000 firme, che ha aiutato i partiti impigliati in un passato recente a smarcarsi e a prendere una nuova e chiara posizione. Il risultato più importante è avere aiutato i partiti che avevano avuto degli sbandamenti a riconoscerli e ad assumere una nuova, credibile e diversa posizione di forte contrasto al ddl Calderoli.
Posizioni appagate dalla sola critica al passato non avrebbe aiutato un’evoluzione per assumere nuove e forti posizioni contrarie, uscendo dal cono d’ombra dei tentativi del Governo di trovare contraddizioni tra i comportamenti precedenti e quelli sul ddl Calderoli. In sostanza è stato tolto un argomento decisivo di polemica alla maggioranza e sono state liberate le energie delle opposizioni. Emblematico è che risulta la Regione Emilia Romagna abbia ritirato la sua richiesta. Oggi la contrarietà delle opposizioni parlamentari principali è abbastanza netta.
Elezioni La stessa evoluzione è necessaria sull’elezione diretta del Capo del governo. Alcuni si attardano in vecchie valutazioni sul ruolo del governo e su un presunto bisogno di decidere, dimenticando che ormai da molti anni è il parlamento ad essere espropriato dei suoi reali poteri, anzitutto perché non viene scelto dagli elettori ma dai capi partito a cui rispondono.
Il vero problema del futuro della democrazia italiana è l’astensionismo che rischia di diventare la tomba della democrazia che abbiamo conosciuto e che la Costituzione ha sancito. E’ vero che anche a sinistra non ci si è risparmiati nelle modifiche della Costituzione, non solo il malaugurato titolo V nel 2001, ma anche in altre occasioni.

DIFENDERE LA COSTITUZIONE
Il giudizio fondamentale deve essere che la Costituzione ha le caratteristiche che ha ricordato in questi giorni il Presidente Mattarella. La Costituzione è frutto di una temperie irripetibile (ricordando la 2° guerra mondiale) che ha portato alla sconfitta del nazifascismo e a delineare per il futuro un paese democratico, per la divisione dei poteri e il loro reciproco controllo e per la connotazione antifascista, con in più una visione della democrazia con una diffusa partecipazione e di libertà individuale e collettiva, di crescita sociale delle classi subalterne in nome di obiettivi di uguaglianza e di rimozione degli ostacoli esistenti.
Troppe volte anche per responsabilità di settori della sinistra cambiare la Costituzione è sembrata la via più breve per risolvere problemi politici, dimenticando che gli Usa hanno una Costituzione che vive da 2 secoli e mezzo e ha subito pochi emendamenti. La nostra che è certamente una delle migliori del mondo, non ha bisogno del bricolage a cui qualcuno pensa e tanto meno di un capovolgimento dei principi fondamentali.
Semmai bisogna ammettere che il vero e irrisolto problema è attuarla, per questo va difesa.
Occorre cambiare l’ottica, non è la Costituzione che ha problemi, semmai è la politica che è asfittica e soggetta a tentazioni semplificatorie, di mantenimento del potere occupato grazie ad errori politici madornali delle attuali opposizioni.

La svolta indispensabile è tornare alla fonte, all’attuazione e alla difesa della Costituzione. Ricordiamoci sempre la semplice chiarezza con cui l’articolo 1 afferma che L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, che la sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso le modalità definite dalle leggi, e che l’articolo 3 afferma che la Repubblica è impegnata rimuovere le disuguaglianze.

LA TERZA REPUBBLICA TARGATA MELONI
Quando Giorgia Meloni afferma che la proposta transiterebbe l’Italia verso una terza repubblica apre problemi enormi.
Anzitutto la Repubblica parlamentare attuale, disegnata dai costituenti nel 1948, è chiara e riconoscibile, mentre cosa sia la terza repubblica della Meloni nessuno lo sa. Si intuisce che è un succedaneo del presidenzialismo, senza neppure identificare i contrappesi istituzionali che un presidenzialismo comporterebbe. Ad esempio che l’elezione diretta del Presidente non può essere condizionata e legata a quella del parlamento.
La divisione dei poteri è un pilastro della democrazia. Il parlamento decide attraverso le leggi e controlla il governo, il governo deve avere la fiducia del parlamento e ad esso risponde. Purtroppo da anni è prevalso l’andazzo dei voti di fiducia, di un uso alluvionale dei decreti legge, creando subalternità del parlamento al governo.
Per non parlare delle garanzie previste in Costituzione del quorum per eleggere il Presidente della Repubblica che diventerebbe di fatto un appannaggio della maggioranza visto che la proposta del governo parla apertamente di legge maggioritaria collegata al Presidente del Consiglio eletto direttamente.
Anche sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio occorre un’operazione di ridefinizione delle posizioni da parte delle opposizioni. Non ci sono ragioni per assecondare la personalizzazione. Comuni e Regioni non sono esempi positivi, si sono create enormi concentrazioni di potere in poche persone e la sostanziale inutilità dei consigli la cui vita dipende da quella di Sindaci e Presidenti.
Ci vorrebbe il coraggio di ripensare a questa esperienza nei Comuni e nelle Regioni, certamente questo metodo non va esteso al parlamento e al governo, altrimenti si creerebbe un accentramento di potere in una sola persona, il Governo ne sarebbe lo staff, il parlamento ne diventerebbe subalterno e il Presidente della Repubblica drasticamente ridotto nei suoi poteri ma dipendente dal Presidente del Consiglio e futuro appannaggio della maggioranza.
Questa proposta è inaccettabile ma se vogliamo condurre un contrasto efficace dobbiamo rimuovere gli ostacoli rappresentati da posizioni precedenti e togliere dalle mani del Governo la possibilità di continuare a dire: ma voi avevate detto, rivolto a questo e a quello. Abbiamo già avuto una prova generale nell’iniziativa alla Camera e abbiamo capito che se vogliamo condurre una battaglia vittoriosa fermando il tentativo della destra di mandare in soffitta la Costituzione del 1948 occorre affermare con chiarezza che questo tentativo di stravolgere il nostro impianto costituzionale va respinto e combattuto fino in fondo.
E’ decisivo comprendere che stiamo correndo il pericolo di finire non tanto in una democrazia illiberale, che è una contraddizione in termini, ma in una Capocrazia e questo obbliga a rivedere precedenti comportamenti. Ciascuno può giudicarli come vuole ma è certo che oggi la Costituzione va attuata e difesa non stravolta per andare in un altrove che interessa solo quanti desiderano essere legittimati in modo diverso da quanto previsto dalla Costituzione democratica ed antifascista del 1948.
*) A. Grandi. vice presidente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale,)

 

07 – Elisabetta Rosso*: LA CINA LANCIA UN NUOVO CHIP CEREBRALE PER SBLOCCARE IL POTENZIALE UMANO: COME FUNZIONA NEUCYBER – IL CHIP È STATO PRESENTATO DURANTE UNA CONFERENZA TECNOLOGICA A PECHINO. IL PAESE ORA STA CORRENDO PER RECUPERARE LO SCARTO E STARE AL PASSO CON GLI STATI UNITI, CHE GIÀ DA TEMPO STANNO INVESTENDO SU INTERFACCE NEURALI IN GRADO DI MIGLIORARE LE CAPACITÀ FISICHE E MENTALI.

Una scimmia con gli arti legati dietro alla schiena ha preso una fragola con il pensiero. Nell’era delle Brain Computer Interface o Bci, non è poi così strano. La dimostrazione si è svolta a Pechino, la società Beijing Xinzhida Neurotechnology, sostenuta dal governo cinese, ha presentato il suo dispositivo, Neucyber, un’interfaccia neurale che vuole competere con i chip Occidentali, come Telepaty di Neuralink. Secondo William Hannas, analista capo del Center for Security and Emerging Technology (Cset) dell’Università di Georgetown, la Cina sta rapidamente recuperando terreno nel settore. “Sono fortemente motivati”, ha spiegato a Wired. “Stanno facendo un lavoro davvero all’avanguardia”.
La Cina è dovuta partire in rincorsa per recuperare lo scarto, e il suo interesse verso le Bci pensate per applicazioni non mediche sta sollevando nuove preoccupazioni. Le brain-computer interface (BCI), sono interfacce cervello-computer che permettono una comunicazione tra l’attività cerebrale e un qualsiasi altro device esterno. Possono servire per esempio ad aiutare persone paralizzate a muovere con il pensiero un arto robotico. Ma non solo.
Infatti nelle linee guida etiche pubblicate dal Partito comunista cinese a febbraio 2024, sono incluse anche Bci per “soggetti sani”. L’obiettivo è potenziare l’essere umano a livello cognitivo. “La Cina non è affatto timida al riguardo”, ha spiegato Hannas.

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“Scopi non terapeutici per le tecnologie Bci come la modulazione dell’attenzione, la regolazione del sonno e della memoria e l’uso degli esoscheletri Bci dovrebbero essere oggetto di studio e sviluppo, deve essere però garantita una regolamentazione severa e stabilito il chiaro beneficio derivante dalle loro applicazioni”, si legge nelle linee guida pubblicate dalla Cina. Le Bci quindi non devono intaccare le capacità decisionali degli umani e “non interferire o offuscare l’autonomia e la consapevolezza di sé”.

IL PROGETTO DELLA CINA
Neucyber, è un dispositivo indossabile (a differenza di Telepaty di Neuralink che invece viene impiantato nel cervello attraverso un’operazione). È basata su elettrodi posizionati sul cuoio capelluto. L’obiettivo è migliorare l’analisi degli impulsi cerebrali sfruttando l’apprendimento automatico.
“In breve, la tecnologia cattura i sottili cambiamenti dei segnali elettrici provenienti dai neuroni e decodifica le intenzioni del cervello, per realizzare azioni di controllo del pensiero”, ha spiegato Luo Minmin, direttore del Chinese Institute for Brain Research. Neucyber, è stato testato su una scimmia, e le ha permesso di controllare un braccio robotico solo con il pensiero. Secondo l’agenzia di stampa statale Xinhua la tecnologia è stata “sviluppata in modo indipendente” ed è la prima “BCI invasiva ad alta prestazioni” della Cina.

IL CASO NEURALINK
È dal 2016 che Neuralink lavora al suo chip Telepaty, a dicembre del 2022 sono state annunciate le prime sperimentazioni umane. Poi, il 28 gennaio 2024, Noland Arbaugh, rimasto paralizzato dalla spalla in giù dopo un incidente subacqueo, è diventato il primo paziente a ricevere il chip di Neuralink. L’operazione è andata bene, anche se in seguito sono emerse alcune complicazioni.
L’obiettivo dell’azienda è “creare un’interfaccia neuronale per il ripristino dell’autonomia di coloro che oggi hanno bisogni medici insoddisfatti”. Ma non solo, come la Cina anche Neuralink vuole investire sulla creazione di una tecnologia in grado di potenziare gli esseri umani. Le persone con paralisi e condizioni debilitanti sono solo il primo passo, l’azienda vuole infatti sviluppare anche un dispositivo in grado di “sbloccare il potenziale umano” migliorandone capacità fisiche e mentali fino a raggiungere la “simbiosi con l’intelligenza artificiale”.
*(Elisabetta Rosso. Dal 2013 collabora con la prestigiosa Nikon School come docente e master photographer)

 

08 – Emiliano Brancaccio*: LAVORATORI E DONATORI ANONIMI DEI PADRONI. IL CASO ITALIA. L’ACCUMULAZIONE AVANZA, I PROFITTI SI ESPANDONO, EPPURE IL «LAVORO POVERO» SI RIPRESENTA DI CONTINUO, COME UNA MACCHIA INCANCELLABILE DEL CAPITALISMO CONTEMPORANEO

Come su tutte le incresciose tare della moderna società capitalista, anche sul fenomeno dei cosiddetti «lavoratori poveri» la scienza economica offre due interpretazioni antagoniste. La dottrina liberista prevalente considera il caso del lavoro povero come un piccolo bug di sistema, un errore circoscritto e in fin dei conti rimediabile.
La circostanza che i famigerati salari di equilibrio si trovino al di sotto delle soglie minime di sussistenza è ritenuta un’aberrazione del tutto secondaria, che si situa ai margini del processo produttivo e che può essere risolta facilmente, magari con qualche ora in più di straordinario.

LA CHIAVE DI LETTURA DI MARX È DIVERSA. L’immiserimento operaio, a suo avviso, rappresenta uno dei fondamentali pilastri che reggono il meccanismo capitalistico. Nella visione marxiana, l’accumulazione di ricchezza della classe dominante richiede, per forza di cose, accumulazione di miseria tra le file della classe lavoratrice. In questo senso Marx cita Mandeville: «In una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi, la ricchezza più sicura consiste in una massa disponibile di poveri laboriosi». Un esercito di indigenti a buon mercato, in altre parole, è condizione necessaria per il funzionamento del sistema.

PIÙ LAVORO POVERO, MENO SALARI: È SUBITO PROPAGANDA
L’evidenza empirica di questi anni, come sempre più spesso accade, tende a confermare l’eresia marxiana. L’accumulazione avanza, i profitti si espandono, eppure il «lavoro povero» si ripresenta di continuo, come una macchia incancellabile del capitalismo contemporaneo. Qualcuno ha osservato, giustamente, che i lavoratori poveri sono diventati i maggiori filantropi della nostra società: sopportano le privazioni in modo che l’inflazione non cresca troppo e i profitti delle azioni siano sempre più alti. Essere un lavoratore povero significa essere un donatore anonimo, a favore dei padroni.
Nonostante i ripetuti proclami delle istituzioni europee sulla lotta contro il fenomeno del lavoro povero, Eurostat segnala che dal 2008 la percentuale di lavoratori a rischio povertà in Europa è rimasta grosso modo stabile intorno al 6 percento tra i cosiddetti regolari ed è diminuita solo di un risicato punto percentuale, arrivando al 13 percento, fra i temporanei. In Italia le cose sono andate anche peggio: dalle nostre parti la minaccia della povertà resta marcatamente al di sopra delle medie europee e per giunta è aumentata di un punto tra i precari e ancor più tra i regolari, di due punti e mezzo.
Il fatto che in Italia la povertà sia in aumento soprattutto tra i lavoratori regolari mostra che la vecchia tesi dei contratti a tempo indeterminato come fonte di sicurezza economica inizia a risultare desueta. Le riforme del lavoro come il Jobs Act e la crisi del sindacato espongono ormai anche molti “privilegiati” del tempo indeterminato a un tangibile rischio di immiserimento. Quello che i liberisti definivano «apartheid del mercato del lavoro», con i regolari in paradiso e i precari all’inferno, è insomma finito nel peggiore dei modi: adesso tutti possono precipitare verso una infernale penuria.
Ma soprattutto, è interessante notare che ancora una volta l’Italia muove in controtendenza rispetto alle medie europee. Se nel continente la quota di lavoratori poveri resta grosso modo stabile o in lieve diminuzione, da noi sale in misura significativa. È la riprova che nel nostro paese, ancor più che altrove, l’immiserimento del lavoro è diventato il propulsore principale dell’accumulazione. In questo scenario, non deve allora meravigliare l’ultimo dato Istat: la crescita dei working poor non soltanto si registra fra gli addetti alle pulizie o fra i precari del turismo, ma ormai dilaga pure nei gangli principali del sistema industriale, dentro la classe operaia.
Che sul piano dell’evidenza economica esista ormai una nuova «questione operaia» – nell’accezione ampia ma anche nel senso stretto del termine – è dunque avvalorato dai dati. Si tratta di rivendicarla nuovamente, come «questione politica».
*( Fonte: Il Manifesto. Emiliano Brancaccio, è un economista e saggista italiano)

 

09 – Alessandro Portelli*: QUELLE TRE GUERRE DI DANTE BARTOLINI E CLAUDIO PAVONE . ANTICIPAZIONI. PUBBLICHIAMO UN ESTRATTO DALLA RELAZIONE «IMMAGINAZIONE E MEMORIA», CHE OGGI VERRÀ PRESENTATA A TORCHIARA

In questa occasione, io vorrei rendere omaggio a due persone che hanno contribuito, in modi diversi, a dare forma al mio antifascismo e alla mia coscienza della storia. Uno di loro è Claudio Pavone, e non ho certo bisogno di spiegare a voi perché. L’altro è Dante Bartolini, operaio, partigiano, cantore, poeta e aedo della Resistenza nella Valnerina. Non si sono mai conosciuti, ma non erano estranei l’uno all’altro: anzi, in occasione di un 25 aprile di qualche anno fa, scrissi sul manifesto un articolo in cui li facevo incontrare. Scrivevo allora: «Dante Bartolini non aveva letto Claudio Pavone (oltre tutto, è morto troppo presto, nel 1979). In compenso, Claudio Pavone aveva letto Dante Bartolini e lo citava: «Il difficile nesso fra lotta in fabbrica e lotta armata», scrive in Una guerra civile, «è ben espresso nei versi di un poeta proletario ternano, Dante Bartolini, a proposito di un episodio soltanto immaginato.

IN REALTÀ non erano versi e non erano scritti: era la trascrizione di una intervista in cui Dante, scandendo le parole come se davvero fossero versi incisi sul marmo, reimmaginava l’inizio della Resistenza a Terni e lo collocava direttamente dentro la fabbrica: La fabbrica d’armi di Terni/ andammo migliaia di operai/ fu rotto il cancello/ spalancato/ prendemmo le armi/ una parte/ poi si partì per la montagna.

Non andò affatto così, ma Claudio Pavone era uno dei rari storici che sono capaci di intrecciare una straordinaria competenza nel trattamento delle fonti documentarie (dopo tutto veniva dagli archivi) con la consapevolezza che gran parte della storia avviene altrove – nell’immaginario, nella soggettività – e capisce quanta verità profonda sta in un racconto poetico e «sbagliato». Non a caso parla di «moralità» nella Resistenza, cioè di qualcosa di immateriale, interiore, profondo. Dante Bartolini, scriveva Pavone, riprendendo una mia definizione, «materializza una metafora», la presa delle armi nel luogo dove si è formata la sua arma più importante, la sua coscienza antifascista e di classe.

ANTIFASCISTA, DI CLASSE – e patriottica. Perché le risonanze fra Claudio Pavone e Dante Bartolini vanno oltre. A suo modo, anche Dante era uno storico: le sue canzoni più importanti le ha scritte dopo la Resistenza, e hanno lo stesso incipit, «Non ti ricordi?» Una di queste – che secondo me è tra le più belle canzoni in assoluto sulla Resistenza – sembra una conferma ante litteram di quell’idea delle «tre guerre» intrecciate che Claudio Pavone ha reso canonica. Ciascuna delle tre strofe centrali è dedicata a una di queste tre guerre: la guerra di liberazione nazionale («ora la nostra patria dobbiamo ripulir»), la guerra antifascista («fascismo e monarchia fu la cagione/ se diventarno tutti partigiani»), la guerra di classe («perché il socialismo vuole la libertà/ non più il servilismo che è condannato già»).

L’incrocio fra Dante Bartolini e Claudio Pavone non è incidentale. Rileggendo Una guerra civile, mi sono accorto per la prima volta di quanto sia ampio e accurato l’uso che fa Claudio Pavone delle fonti orali. Non era una cosa scontata, a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, quando gran parte della storiografia le scartava perché inattendibili o le tollerava solo in funzione ancillare. Claudio Pavone le accoglie e le tratta alla pari con tutte le altre, e in questo le valorizza.
Mi spiego. In Una guerra civile, ci sono almeno una trentina di citazioni dal mio libro, Biografia di una città, una storia orale di Terni operaia. Quando il libro uscì, nel 1985, le persone che avevo intervistato non ne furono particolarmente emozionate – dopo tutto, le storie che raccontavo nel libro loro le sapevano già e magari gli dava anche fastidio che le avessi riportate in tutta la vivacità non convenzionale del loro racconto orale.

MA MI ACCORSI che erano emozionati invece quando si erano accorti che le parole che avevano detto a me, attraverso il mio libro, erano entrate nel libro di Claudio Pavone, e grazie a lui non erano più storia locale ma erano parte del canone storico generale dell’antifascismo e della Resistenza in Italia, con la stessa dignità e sullo stesso piano di altre «testimonianze» più accreditate.
C’è di più. Riguardando le citazioni dalle interviste, mi sono reso conto che Pavone non usa quasi mai le fonti orali come mera documentazione degli eventi, ma soprattutto come elementi di interpretazione. Riconosce ai narratori non solo la loro esperienza, ma anche la loro intelligenza; non solo hanno fatto la Resistenza, ma ci aiutano anche a capirla. Forse la chiave sta in una nota, che non riesco a ritrovare tra le migliaia di note che sostengono Una guerra civile, in cui Claudio Pavone come fonte indica «Ricordo di chi scrive».

Ecco: Dante Bartolini, partigiano, ha scritto e cantato la memoria della Resistenza. Claudio Pavone, storico della Resistenza, è stato partigiano a sua volta e l’ha raccontata in un piccolo libro bellissimo. La Resistenza tutti e due l’avevano fatta e tutti e due la ricordavano e la raccontavano. Un tempo avremmo forse parlato di teoria e prassi. Oggi, è grazie a questo intreccio fra storia e memoria, fra immaginazione ed esperienza, fra intelligenza e passione che riconosco entrambi come miei maestri.

*

SCHEDA. Un premio alla Storia come impegno civile

Giunto alla seconda edizione, il premio nazionale «Claudio Pavone. La Storia come impegno civile», conferito l’anno scorso a Chiara Ottaviano, figura di spicco nel campo della Public History, è stato assegnato quest’anno ad Alessandro Portelli. L’iniziativa è promossa, tra gli altri, dal Comune di Torchiara, Istituto nazionale Ferruccio Parri – Rete degli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea, e l’Associazione italiana di Public History. Il riconoscimento, conferito da un apposito Comitato scientifico, viene assegnato a chi si è distinto nell’ambito della ricerca storica, dell’impegno nella sfera pubblica, e per capacità di azione nella condivisione dei valori costituzionali di libertà, uguaglianza, solidarietà e legalità. La premiazione avverrà oggi alle ore 16.30 a Torchiara (SA) presso il palazzo Baronale De Conciliis. Anticipiamo un estratto dalla relazione dal titolo «Immaginazione e memoria: le tre guerre di Dante Bartolini e Claudio Pavone».
*(Alessandro Portelli, tra i fondatori della storia orale, ha insegnato letteratura angloamericana all’Università «La Sapienza» di Roma)

 

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