Ti ho rapita con le onde.
L’azzurro schiuma in capillari e in stelle
pulsano le fiaccole sommerse dei laghi
nelle palpebre. Ho fra le ciglia
la desolata notte e vi grida un cielo
nudo di amore la caligine di unghie. Sei
velo di bruma sugli alluci più sacri della scrittura
danzante. Sei roboante
tuffo di cometa nel gorgo alieno
della sporcizia umana, un comico
nulla che raccolgo dalle tragedie in fiore. Bocci
timidi divaricano le gambe alla prima
stagione di rugiade.
Senti? Una vibrazione
scuote carne e terra, buio e silenzio. Attraversa
pori ariosi del tempo penetrando
e conficcando rovi nel sangue arcano
che batte sentieri. Ti ho voluta
con le virgole nere
del sole ch’emani. Alla finestra
punti in sospensione di luce accecano
l’ispirazione fulminante che pittura microbiche
varietà dell’azzurro incarnato. La sinestesia
frattura nelle ossa il legame, intrecciando
fili erbosi del corpo all’asperità dei varchi
d’anima latitante.
Senti, ora? Non sono più in me. Venti,
oceani e continenti non bastano alla mia fame.
Muoiono e rinascono salmodiando
la stessissima canzone incertamente
eclissata. Sudata e tumefatta luna
irretisce un’ode consumata
senza poesia, luminosa e ottenebrata.
Riposa nel più dolce sonno, immagine. Sarò tiepida
domani, nel maremoto di finzione smascherata
scalderà la pelle ferita di universi
il nucleo originale di lacrime in preghiera.