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11 giugno 1984: quarant’anni senza Enrico Berlinguer. Sembra molto di più. Forse perché è lontano quel forte senso dello Stato di cui era naturale portatore.

Con l’etica sempre a precedere l’ideologia politica: “La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.”

Parole illuminanti. Sempre attuali. Ma ormai quasi sconosciute all’attuale classe politica.

Il 10 giugno 1924, cento anni fa, veniva rapito e assassinato da una squadra fascista il deputato socialista Giacomo Matteotti, poco dopo il suo famoso discorso del 30 maggio in Parlamento, in cui denunciava le violenze e le illegalità delle elezioni appena svolte.

Oggi, 10 giugno 2024, il risultato delle elezioni europee. Che fanno sentire il vento della Destra sul Vecchio Continente. E che vedono sempre più astensionismo. Come se il voto fosse faccenda altrui. Nonostante le vite sacrificate per avere la possibilità di parola e di decisione nella vita politica. Che resta una questione di tutti. Si capisca o meno.

“Sbarco in Normandia” – Robert Capa

I soldati immersi fino alla cintola, i moschetti pronti a sparare, le difese d’acqua anti invasione e la spiaggia avvolta nel fumo: tutto ciò, per un fotografo, era davvero più che sufficiente. Mi fermai qualche istante in plancia per scattare le mie prime, vere immagini dello sbarco. Il mare era gelido e la spiaggia ancora lontana un centinaio di metri. Mentre intorno a me fioccavano proiettili che bucavano l’acqua, mi diressi verso la barriera d’acciaio più vicina”.

Queste le parole del fotografo Robert Capa nel racconto del D-day, il 6 giugno 1944. Grazie a lui, a registi (tra cui alcuni maestri del cinema, da John Ford a George Stevens) e cineoperatori abbiamo la preziosa testimonianza di quel giorno storico. Col suo portato di eroismo, di morte e di libertà. Che porterà alla liberazione di Parigi il 26 agosto 1944. Un nuovo inizio.

Quindi, a 80 anni dal “giorno più lungo”, un grazie profondo a tutti quei ragazzi del Nuovo Mondo, caduti per la libertà del Vecchio Mondo. Quell’Europa oggi tanto vilipesa e poco considerata. E purtroppo ancora in guerra.

“Sbarco in Normandia” – Robert Capa

Parole (tanto per)

Serie di volti, Mimmo Iodice

Se così parli, così agisci. E una parola non vale l’altra. Soprattutto in relazione a contesti e ruoli. Eppure…

Eppure già sapete. La premier italiana che saluta un’altra carica istituzionale presentandosi come la s… (perché l’altra carica l’aveva definita tale in un fuorionda). Sua Santità che in una riunione di vescovi, seppur a porte (e bocche?) chiuse (si fa per dire), a proposito di seminaristi parla di f… (pur scusandosi poco dopo). Come si fosse nel proprio tinello o bar di riferimento, senza alcun ruolo pubblico.

E scendendo la piramide sociale, poco cambia. Anzi, essendo stato sdoganato “uno vale uno” tutto si è appiattito verso il basso (l’uno, appunto), e sembra ormai un vanto non solo il turpiloquio ma l’uso approssimativo e superficiale del linguaggio: poche parole, meglio se un po’ volgari, o almeno gergali. E mostrandosi pieni di sé nella confusione e nella sovrapposizione dei termini.

Del resto cosa pensare quando un docente, per indicare alcuni colleghi da avvisare, li apostrofa “quei personaggi“, e alla riprovazione dei presenti si dice stupito perché per lui “personaggio è un termine neutro, è come dire persona”? E a dimostrazione del suo giusto dire cita con eroico slancio nientepopodimeno che “Sei personaggi in cerca d’autore”, con Pirandello già in doppio carpiato su sé stesso. Sob.

Torna in mente il filosofo Wittgenstein quando affermava con geniale lucidità che “i limiti del tuo linguaggio sono i limiti del tuo mondo“. Con buona pace di chi ormai considera la cultura come un fatto “radical chic”. Doppio sob.

Diceva Luigi Sturzo, antifascista esiliato e poi senatore a vita:

“La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.

Ricordiamo e difendiamo.

«Quando sei perso, guardati intorno. Dubita di tutto e cancellalo. Hai una sola certezza: tu sei lí. Lo sei perché c’è il tuo corpo e tu sei il tuo corpo. Il tuo corpo è lo spazio che hai attraversato, ma anche il tempo che ti ha reso ciò che sei.»

Uno dei libri più belli di Paul Auster. Tanto più leggendolo ora che non c’è più. Almeno con quel corpo a cui consacra “Diario d’inverno”. Raccontando lo strumento che noi umani abbiamo per esplorare il mondo, dall’inizio alla fine.

E allora ecco l’elenco delle case che hanno visto alloggiare e dormire quel corpo, e i viaggi che ha affrontato, e le ferite che lo hanno segnato, e altri corpi che ha amato. E i cibi preferiti che quel corpo ha mangiato, e i dolori che ha sopportato, e i piaceri di cui ha goduto.

E il tempo che si è depositato su quel corpo, come per tutti noi, da quando bambini la nostra testa è alquanto vicina ai piedi e quindi alla terra (e vediamo certe cose molto bene, come le formiche), fino a quando entriamo nell’inverno della vita, vedendo in retrospettiva quanto è stato. Bellezza e fatica, estasi e tormento, gioia e malinconia.

Una scrittura sublime.

Diceva Giovanni Falcone: “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana.

A noi, cittadini consapevoli, il compito di continuare in quel solco e ricordare.

In memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Dicillo. Assassinati dalla mafia nella strage di Capaci, 23 maggio 1992.

Tutto ruota intorno alla “Confidenza” del titolo. All’inizio un gioco, poco più che una sfida. Ma, appena rivelata, giganteggia al punto da essere la Protagonista, senza mai essere rivelata. Diventando così la Minaccia, sempre sul punto di esplodere, sempre di più sull’orlo del precipizio. In senso reale.

Si sente la potente scrittura di Domenico Starnone, sapientemente esaltata dalla regia di Daniele Luchetti. Elio Germano poi, il protagonista (un professore amato dai suoi studenti), è superlativo nel rendere claustrofobici i propri pensieri e un doppio (forse triplo) cammino di vita. Al punto da spiazzare continuamente lo spettatore, che vorrebbe sapere. Accontentandosi di dover (solo?) congetturare. Con le pareti, interne/esterne, a stringersi sempre più. Come in un incubo. E gli interrogativi etici a ronzarti in testa.

La logica vi porterà da A a B. L’immaginazione vi porterà dappertutto” diceva Albert Einstein.

Proprio “Vita immaginaria” è il tema della XXXVI edizione del Salone del Libro di Torino. E il libro è uno degli strumenti più semplici per immaginare, muovendo così, come ricorda Natalia Ginzburg, la vita creativa e anticipando a volte la vita reale.

È davvero giunto il momento di investire di più intorno alla scrittura e alla sua divulgazione. Sottraendo finalmente risorse all’ homo bellicosus. Forse renderemmo concreta l’intuizione di Virginia Woolf: “Strano come il potere creativo porti immediatamente l’intero universo all’ordine”.

Paul Auster, uno dei miei scrittori bussola.

Per la sua scrittura, incisiva come un bisturi, per le sue storie, tra scelte e caso e destino. Un gigante della letteratura, uno dei maggiori rappresentanti del postmodernismo. Che congedandosi dal mondo secolare ci lascia un patrimonio fulgido di parole, con quel suo modo particolare di raccontare.

Lo scrittore di Brooklyn divenne famoso con la “Trilogia di New York”. La solitudine, il caso e la Grande Mela. Con un incipit famoso: “Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all’apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui.”

A seguire numerose altre storie, tra cui il celebre “4 3 2 1”, intorno alle possibili vite di una persona, attraverso la porta girevole della fanciullezza, da Auster definita “un’età malleabile in cui ogni scultura di sé è ancora possibile”.

E poi riflessioni profondissime intorno a quanto siamo (“Notizie dall’interno”) o sui cambiamenti del nostro corpo (“Diario d’inverno”).

Continuo a pensarlo nella sua casa di Brooklyn, schivo e solitario, intento a scrivere una storia. Come diceva lui, “scrivere è come vivere all’interno di un sogno e cercare di capirne il significato“.

Sarà difficile fare a meno dei tuoi “sogni”, Paul Auster. Ma grazie per averli condivisi.