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Nelle celle della Casa dello studente di Genova, dove i nazifascisti torturarono i partigiani
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25 aprile 2021

Nelle celle della Casa dello studente di Genova, dove i nazifascisti torturarono i partigiani

di Federica Seneghini

Tra il ‘43 e il ‘45 i sotterranei di uno studentato divennero la sede delle torture della Gestapo. Murati nel dopoguerra, furono riscoperti negli anni ‘70 da un gruppo di studenti. Che oggi fanno di tutto per mantenerne vivo il ricordo (dopo la morte dell’ultima testimone oculare)

Federica Seneghini

Cinque giorni in piedi, senza acqua né cibo. Rinchiusa in una cella gelida della Casa dello studente di Genova larga due metri per due. L’accusa: avere preparato un piatto di tagliatelle ai partigiani, su, alle Capanne di Marcarolo. Cinque giorni di torture per estorcerle preziose informazioni sui ribelli - seguiti da quasi 60 di detenzione - che la giovane Anna Ponte, 25 anni, si sarebbe ricordata per sempre. Ma di cui non avrebbe mai più voluto parlare.

«A Genova vengo volentieri - diceva sempre quando la invitavano alle commemorazioni per il 25 aprile - ma alla Casa dello Studente preferisco non mettere piede». Lo sguardo serio e deciso, gli occhiali spessi, la voce fiera. Così per tutta la vita, fino alla morte, avvenuta l’anno scorso all’età di 100 anni. Anna Ponte non era una testimone qualunque. Era l’ultima persona ad avere visto con i propri occhi gli orrori avvenuti alla Casa tra il ‘43 e il ‘45. L’ultima ad avere subito sulla sua pelle le torture della Gestapo che in quegli anni occuparono l’edificio e i suoi sotterranei.

«Ora che i testimoni oculari non ci sono più, il compito di ricordare cosa è successo qui dentro è solo nostro», dice Piero Ferrazza. La cartellina in mano, gli occhiali calati un po’ sul naso: fa un gesto largo ad indicare le scale che portano alle celle delle torture. Un luogo che conosce bene da almeno quarant’anni. Fu lui, insieme a un gruppo di compagni di Lotta Comunista a riscoprire questi sotterranei all’inizio degli anni Settanta. «Dopo la guerra, l’università aveva fatto murare l’orrore: noi riuscimmo a riportare tutto alla luce e restituirlo alla città».

A Genova tutti conoscono la Casa.

Un edificio enorme fascisticamente piantato in corso Gastaldi, arteria trafficata e fumosa che collega la stazione Brignole al Levante genovese.

Squadrato, massiccio.

Il primo colpo di piccone sulla collina di Albaro, a Genova, il 24 maggio 1933 (archivio Barco, Ferrazza)Il primo colpo di piccone sulla collina di Albaro, a Genova, il 24 maggio 1933 (archivio Barco, Ferrazza)

Il principe Umberto di Savoia in visita alla Casa nel marzo del 1935

È il maggio del 1932 quando in occasione della visita a Genova del neosegretario del Partito fascista Achille Starace, viene annunciato per la prima volta il progetto di costruire un edificio in grado di dare un alloggio agli studenti fuorisede. Appena un anno dopo c’è il primo colpo di piccone sulla verde collina di Albaro. Quello dopo ancora, salve di moschetto ne salutano l’inaugurazione.

Nell’atrio vengono piazzati i busti di Mussolini e del re, sul tetto insieme alla Croce di San Giorgio sventola quella del Guf, il gruppo universitario fascista cui gli studenti che vogliono vivere alla Casa devono per forza essere iscritti.

Dopo l’8 settembre, il boia nazista Friedrich Engel ne fa un luogo di tortura. Prigionieri politici, partigiani, antifascisti catturati a Genova o nei boschi dell’entroterra iniziano ad essere trascinati qui dentro anche grazie all’aiuto delle Brigate nere. Torturati e seviziati prima di essere portati in carcere o a morire al Passo del Turchino, al Forte San Giuliano o al cimitero di Crevasco. Passano di qui Vannuccio Faralli (che sarà primo sindaco di Genova nel dopoguerra), Luciano Bolis (che racconterà le torture subite in Il mio granello di sabbia) e la staffetta 17enne Stefanina Moro che, dopo le torture, morirà all’ospedale di Asti. Le grida si sentono dalla strada, le camionette scaricano i prigionieri nel cortiletto della mensa. Le unghie strappate ai dissidenti vengono raccolte in un secchio che dopo la Liberazione qualcuno troverà in un angolo e getterà via.

La Casa dello Studente circondata dal filo spinato durante il periodo in cui fu occupata dalla GestapoLa Casa dello Studente circondata dal filo spinato durante il periodo in cui fu occupata dalla Gestapo

Dopo il 1945 la città preferisce dimenticare. E seppellire quei corridoi dietro un muro di mattoni. E poco importa che il sindaco di Genova Giovanni Tarello, eletto da pochi mesi e iscritto al Pci, scriva al rettore dell’Università per chiedere di non murare le celle. La Casa torna ad essere uno studentato e di Resistenza e torture si smette di parlare fino agli anni Settanta.La lettera del sindaco Giovanni Tarello all’Università per impedire la muratura delle celle. L’invito, votato all’unanimità dal Consiglio comunale di Genova, cadde nel vuoto (archivio Barco, Ferrazza)

«I figli dei proletari di diritto alla Casa dello studente».

Sono le parole d’ordine dell’occupazione del 1971. «Una delle più dure, sicuramente la più partecipata», ricorda Renato Pastorino. I capelli bianchi, 74 anni portati benissimo, aveva poco più di vent’anni quando arrivò alla Casa da Celle Ligure. Oggi ci accoglie nel suo studiolo di Cornigliano, sede di Lotta Comunista, il movimento che abbracciò in quegli anni e da cui non si separò mai più.

Nel 1971 è al secondo anno di ingegneria chimica, abita al secondo piano e studia in biblioteca insieme ai compagni e alla ragazza che di lì a qualche anno sarebbe diventata sua moglie.

È l’epoca delle contestazioni e della guerra in Vietnam. Alla Casa vivono e studiano gli esuli greci in fuga dai colonnelli e i portoghesi che scappano da Salazar. L’energia della rivoluzione infiamma le aule dove 27 anni prima respirava la Gestapo.

«Una mattina arrivò la polizia, ci arrestarono in 18. Io stesso mi feci dieci giorni a Marassi», spiega con lo sguardo di chi lo rifarebbe ancora. «Ci incolparono di occupazione di edificio pubblico e interruzione di pubblico servizio. Ma noi chiedevamo di cambiare i criteri di ammissione alla Casa, più posti letto per i figli degli operai».

Ma è l’anno dopo che la storia della Casa cambia per sempre. Perché questa volta alle assemblee, durante l’occupazione, ci sono anche i partigiani. Forse attirati dalle bandiere rosse che qualcuno aveva appeso fuori dall’edificio. «Alcuni di loro ci dissero che erano stati lì sotto in tempo di guerra», riprende Pastorino. «Il problema era che lì sotto noi avevamo cercato bene. E non c’era proprio niente. Solo la mensa, le cucine, la palestra. Nient’altro».

Io sono stato lì sotto, insiste il partigiano Livio, uno dei più combattivi.
Siamo stati là sotto, gli fanno eco gli altri.

Pastorino e gli altri ragazzi cercano ancora, cercano meglio. Finché un giorno qualcuno ha l’idea di dare un’occhiata oltre la porta blindata del cortiletto della mensa.

Il Lavoro del 19 novembre 1972 annuncia la riscoperta dei sotterranei delle torture alla Casa dello Studente da parte di un gruppo di studenti universitari (archivio Barco, Ferrazza)Il Lavoro del 19 novembre 1972 annuncia la riscoperta dei sotterranei delle torture alla Casa dello Studente da parte di un gruppo di studenti universitari (archivio Barco, Ferrazza)

Il Trentennale della Liberazione alla Casa. Il ragazzo che parla al microfono è Renato Pastorino (archivio Barco, Ferrazza)Il Trentennale della Liberazione alla Casa. Il ragazzo che parla al microfono è Renato Pastorino (archivio Barco, Ferrazza)

«Dietro c’era solo un muro di mattoni, valeva la pena buttarlo giù». Per farlo servono attrezzi da operaio. Piccone in una mano, scalpello nell’altro. «Lavoravamo di notte, a turno, dall’una alle tre, quando il custode non c’era». Rivoluzione e sudore contro il cemento armato. Come in tutte le favole, è quando i ragazzi stanno per perdere le speranze che il muro cede. «Fu il compagno Gianni Spagnuolo a dare l’ultima mazzata. Venne ad avvertirmi subito, io dormivo in un sacco a pelo buttato in un angolo della palestra: Renato, è venuto giù tutto, mi disse chinandosi su di me. Vieni a vedere». Il libro di Luigi Barco e Piero Ferrazza dedicato alla storia della Casa dello Studente (Pantarei, 2012). Barco e Ferrazza sono due degli studenti che insieme a Renato Pastorino nel 1972 parteciparono agli scavi per riportare alla luce i sotterranei delle torture

Quello che all’alba del 18 novembre 1972 Renato Pastorino, Gianni Spagnuolo, Luigi Barco, Pietro Ferrazza e gli altri si trovano di fronte è un locale gigantesco. Con le volte altissime, un corridoio che puzza di marcio e l’umidità che cola giù dal soffitto. I ragazzi ci entrano in punta di piedi, in mano questa volta hanno delle torce elettriche. Si fanno strada a tastoni perché non si vede un accidente. Gli attrezzi e le macchine delle torture non ci sono. Chi aveva chiuso quel buco di dolore, 27 anni prima, si era preoccupato di fare sparire tutto. Qualche collega di architettura riesce invece a tirare via l’intonaco. Sotto ci sono le grida dei torturati.

Vae victis. Guai ai vinti. Partigiani, antifascisti, resistenti.

La porta blindata che separa il cortile della mensa dai sotterranei delle torture come appare oggi. In questo spiazzo Gestapo e Brigate nere scaricavano partigiani e dissidenti catturati durante le retate a Genova e nell’entroterra (foto Seneghini)La porta blindata che separa il cortile della mensa dai sotterranei delle torture come appare oggi. In questo spiazzo Gestapo e Brigate nere scaricavano partigiani e dissidenti catturati durante le retate a Genova e nell’entroterra (foto Seneghini)

A destra la lapide a Rudolf Seiffert nel sotterraneo dei tormenti. Gli studenti genovesi vollero ricordare così questo operaio della Wemer Werke Siemens in un simbolico omaggio a tutti i resistenti tedeschi che combatterono la dittatura nazista. Seiffert fu arrestato dalla Gestapo insieme ai compagni di fabbrica e decapitato nel carcere di Brandeburgo all’inizio del ‘45. Nella foto a sinistra il sotterraneo dei tormenti (foto Seneghini)

Il giorno dopo il Lavoro diffonde la notizia del ritrovamento delle celle delle torture, che vengono restituite alla città dopo 27 anni. Per la prima volta i genovesi possono andare a vedere quello che fino a quel momento hanno solo sentito nominare. E lo faranno sempre. Ogni 25 aprile, quando i volontari del Centro di Documentazione Logos, spesso accompagnati da Pastorino, Ferrazza e chi in un modo o nell’altro ha intrecciato la sua vita a quella della Casa, aprono quei sotterranei per ricordare. «Un compito necessario, perché Resistenza significa non dimenticare il proprio passato. Soprattutto adesso che Anna Ponte e le altre centinaia di persone che furono rinchiuse qui dentro non ci sono più».

Crediti

Nelle celle della Casa dello studente di Genova, dove i nazifascisti torturarono i partigiani

di Federica Seneghini

Si ringraziano Renato Pastorino, Piero Ferrazza, il presidente dell’Anpi genovese Massimo Bisca, il centro documentazione Logos e tutto il personale della Casa dello Studente di Genova.

Per approfondire si può leggere “La Casa dello Studente di Genova - una pagina della Resistenza”, di Luigi Barco e Piero Ferrazza (Pantarei 2012)

Genova, 25 aprile 2021