A tavola con il cervello

Paolo Soffientini

Presente, passato e futuro. Cibo, gola, occhi, stomaco. Cuore e cervello. Infinito e infinitesimo, immensamente piccolo, enormemente grande. La filosofia, il diritto, la terra, l’arte, la danza, la bellezza, le scienze, la musica. L’amore e la culinària. In un immaginifico banchetto di dotti, immortale nel tempo, i nuovi e vecchi deipnosofisti dell’opera di Ateneo di Naucrati, da sempre scandagliano i limiti, vicini e lontani, della loro enciclopedica cultura alla ricerca della risposta ad una domanda: «chi siamo, dove andiamo».

E se Feuerbach ha semplificato Aristotele in un sillogismo per cui «società è uguale a cibo» e Einstein ci ha fornito la chiave per comprendere, senza mai far pace con la forza di gravità, che spazio e tempo sono relativi all’osservatore che li misura, ecco che parlare di cibo e futuro, a tutti gli effetti, equivale a compiere un viaggio dentro e fuori l’uomo. Dentro, come ha fatto Michael Mosley, medico, giornalista e presentatore televisivo che, al Museo della Scienza di Londra, si è trasformato in una installazione vivente, ingoiando una pillola dotata di luci e telecamere e ha messo a nudo, alla velocità di 3 fotogrammi al secondo, tutto quello che succede al cibo una volta ingerito. In una sequenza di immagini alquanto raccapriccianti, per 9 ore gli spettatori hanno potuto ammirare un pranzo trasformarsi in poltiglia, viaggiare nell’esofago e da lì nello stomaco, intestino e colon-retto, in un dedalo di anfratti, villi e succhi gastrici lungo più di 10 metri dove, in una sinergia meccanica, enzimatica e chimica, il 90 per cento dei nutrienti assimilati viene assorbito dal nostro corpo.

Un viaggio che, però, inizia molto prima, in alcuni organi che non vengono mai citati nella descrizione dell’apparato digerente, ma che giocano un ruolo fondamentale nel nostro rapporto col cibo, ovvero naso, occhi e cervello. «Mangiamo innanzitutto con gli occhi», sosteneva Marco Gavio Apicio, il primo chef star della storia, a cavallo dell’anno zero e senza alcuna competenza di neurofisiologia. E le successive scoperte lo hanno confermato: il cervello, l’organo più dispendioso del nostro corpo, capace di consumare da solo quasi un terzo delle energie che immagazziniamo, viene allertato in primis dagli occhi e dall’olfatto, ci prepara a ricevere il cibo attraverso una cascata di eventi fisiologici e, ancor prima che un boccone sia effettivamente introdotto nel nostro corpo, ci invia segnali di ricompensa a dire che, anche oggi, avremo l’energia sufficiente per arrivare a domani. A riprova, negli embrioni, la prima parte del cervello a svilupparsi, quella che controlla le funzioni superiori, cognitive ed emozionali, è quella associata a bocca e lingua.

Quindi, il cibo non è solo chimica. Non è solo proteine, carboidrati, vitamine o grassi. È qualcosa che guardiamo, annusiamo, che invia input al nostro cervello. Messaggi che possono essere fuorvianti, ingannevoli, alla base di disturbi alimentari e dell’ossessione di immortalare i nostri piatti in una sterile ricerca di bellezza come sinonimo di bontà.

Il cibo è piacere, un viaggio nei sensi. Lo sapevano bene anche Aldrin, Armstrong e Collins che, a bordo di una nave consacrata al «dio della scienza che illumina l’intelletto», si spinsero, mezzo secolo fa, dove mai nessuno era giunto prima. La Luna, un viaggio al di fuori dell’uomo, lontano quanto basta per cercare risposte alle domande di sempre.

Nelle pagine che la Nasa dedica al cibo spaziale, si fa riferimento all’edonismo e a come, benché disidratati o in polvere, gli alimenti della missione dovessero non solo curare gli aspetti fisiologici degli astronauti ma anche, se possibile, psicologia e piacere. Nessuna pillola proteica quindi, a smentire David Robert Jones, quel Bowie che, con Space Oddity, fornì la colonna sonora al grande passo dell’umanità. Nessun hamburger in vitro da cellule staminali bovine, anatre finte, Paneer o estratti di soia. Né, tanto meno, alghe, insetti, meduse o Quorn. Non poteva immaginarli. Ma fu lungimirante nel sottolineare che, di tutte le emozioni provate dal maggiore Tom, l’unica ad interessare la stampa fosse quale maglietta indossasse. I brand, le mode, l’immagine. Concetti da social ante litteram. Né volle figurarsi che, 50 anni dopo, quel pianeta Terra che si svelava blu ai suoi occhi, e a quelli degli astronauti veri, sarebbe apparso di ben altro colore, frutto della desertificazione e del riscaldamento globale, al nostro Parmitano, in orbita oggi. E l’ Amazzonia in fiamme.

Il cibo del futuro non sarà nessuno di quelli immaginati finora. Non ingannerà il nostro cervello, né sarà un surrogato. Partirà dal rispetto del nostro macrocosmo. Se la pillola di Mosley ha confermato che dentro di noi abitano miliardi di batteri di cui prenderci cura, e i viaggi spaziali ci ricordano che la nostra casa, che ci piaccia o no, è una sola, e la stiamo trascurando, la scienza ci ha insegnato che l’evoluzione del nostro cervello è andata di pari passo a quella del nostro stomaco. Ed è il momento che entrambi siano pronti e lucidi. O non ci sarà un futuro da raccontare.

(Paolo Soffientini)

Gli incontri Esselunga: Il food ora è stile di vita». Con scrittori, antropologi, pubblicitari: le nuove forme di narrazione

È un gesto di pura sopravvivenza ma è anche un atto olistico: il cibo, insomma, è tutto. Coinvolge organi e cellule, e dunque il corpo, ma anche i sensi e la psiche. È piacere, è godimento, è un rito. E le scelte che ciascuno di noi fa a tavola riguardano il singolo individuo ma anche, lo sappiamo ormai, tutto il pianeta. E così quest’anno al Tempo delle Donne si proverà ad indagare anche la relazione tra corpo e cibo. E lo si farà in una modalità insolita, attraverso un’inchiesta teatrale in quattro atti in cui quattro esperti racconteranno sul palco che cosa significa davvero, oggi e in futuro, nutrirsi. Camilla Baresani, scrittrice, parlerà dunque di emozioni legate al cibo, la biologa e nutrizionista Anna Villarini di salute, la chef Isa Mazzocchi di eccellenza, mentre il biotecnologo (e musicista e scrittore) Paolo Soffientini punterà lo sguardo al futuro. «In fondo il cibo è davvero pilastro della vita di tutti — è convinto Roberto Selva, chief marketing & customer officer di Esselunga, partner dell’appuntamento e dell’intera manifestazione —. Oggi più di prima: se una volta ci si nutriva con poca consapevolezza, oggi l’atto del mangiare è in gran parte frutto di scelte informate. Il cibo è parte integrante del proprio stile di vita. Si guardano le etichette, si studiano gli ingredienti, il consumatore vuole sapere che cosa mette nel piatto».

E così chi si occupa di cibo, dai food writer fino alle aziende stesse, sempre di più narra il mondo dell’alimentazione attraverso la forma della storia. «Le etichette sono sempre state il canale primo per raccontare al consumatore un alimento ma oggi — continua Selva —, proprio per rispondere alla sete di informazione, si cerca di fare ancora di più: ingredienti e prodotti di qualità vengono raccontati, mostrando da dove arrivano, come nascono». È, insomma, lo storytelling del cibo, capace di catturare lettori, gastro-appassionati e consumatori. Che sempre di più si riconoscono (anche) attraverso il proprio modo di nutrirsi e le proprie, studiatissime, scelte alimentari. Di questo si parlerà in Triennale, sempre sabato alle 16.30, per indagare le nuove forme di narrazione del cibo. Sul palco, durante il primo tempo della conversazione, Michele Mariani, direttore esecutivo di Armando Testa, ed Elisabetta Moro, professoressa ordinaria di Antropologia culturale all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Durante il secondo tempo, invece, Daniela Di Michele, Adv account di Esselunga, e Michela Sartorio, direttrice creativa di Armando Testa, racconteranno, più nello specifico, come nasce una campagna di comunicazione food oggi, cosa funziona di più, come si traduce un messaggio (o, appunto, una storia) sui nuovi canali social.

E di cibo si parlerà, infine, anche con i bambini che parteciperanno al Tempo delle Donne, a cui sono rivolti i Kids Lab realizzati da Esselunga con Pause Atelier dei sapori e la Fondazione Reggio Children (dai 3 anni in su, gratuiti ma con prenotazione sul sito www.iltempodelledonne.it). Sabato e domenica mattina, alle 11, si imparerà a conoscere gli ortaggi attraverso il gioco, il disegno, la creazione di acque colorate e acquerelli. Mentre alle 14.30, sia sabato che domenica, si imparerà a cucinare utilizzando tutto, anche gli scarti da frutta e verdura.

(Isabella Fanitigrossi)

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