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VOLGARIZZARE E TRADURRE dall’Umanesimo all’Età contemporanea Atti della Giornata di Studi, 7 dicembre 2011 Università di Roma «Sapienza» a cura di MARIA ACCAME ESTRATTO Edizioni TORED – 2013 Con il contributo del Dipartimento di Studi Greco-Latini, Italiani, Scenico-Musicali dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza” e della Ricerca di Ateneo 2012 Tradizione, trasmissione e traduzione di cui è responsabile scientifico Marina Passalacqua Comitato scientifico: MARIA ACCAME, CONCETTA BIANCA, ROSSELLA BIANCHI, VIRGILIO COSTA, LEOPOLDO GAMBERALE, MARINA PASSALACQUA Responsabile editoriale: MARIA ACCAME Responsabile grafica e stampa: AMERICO PASCUCCI ISBN 00-88617-67-1 © Copyright 2012 Edizioni TORED s.r.l. Vicolo Prassede, 29 Tel. 0774.313923 – Fax 0774.312333 00019 TIVOLI (Roma) www.edizionitored.com E-mail: info@edizionitored.com – toredsrl@libero.it VIRGILIO COSTA SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA DELLE OPERE DI PLUTARCO (SECC. XV-XVI) È ampiamente noto che la riscoperta di Plutarco nel XIV secolo procede lungo due direttrici: da una parte, i primi tentativi di volgarizzamenti integrali delle Vite, tra i quali certamente merita il primo posto per antichità quello commissionato verso il 1396 da Coluccio Salutati e condotto sulla traduzione aragonese di un esemplare in Neogreco1; dall’altra, le versioni in Latino di singole biografie tentate con maggiore o minore capacità da vari umanisti sui codici greci che già dagli inizi del secolo cominciavano a giungere regolarmente in Occidente. La storia di questi primi tentativi, culminati nella raccolta di tutte le traduzioni umanistiche delle Vite pubblicata a Roma nel 1470 da Giannantonio Campano2 e nella Epithome Plutarchi di Dario Tiberti (1492), è già stata scritta3. 1 Per la storia di questo volgarizzamento cfr. M. PADE, The Reception of Plutarch’s Lives in Fifteenth-Century Italy, I, Copenhagen 2007, pp. 76-87. 2 Campanus Francisco Piccolominio cardinali Senensi meo salutem. Collegi nuper dispersas grecorum latinorumque principum uitas a Plutarcho scriptas grece: a diuersis inde interpretibus latinas factas (...). [Romae], Udalricus Gallus, 1470. 3 Oltre al già citato studio di M. Pade (con amplissima bibliografia) cfr. almeno V.R. GIUSTINIANI, Sulle traduzioni latine delle ‘Vite’ di Plu- 84 VIRGILIO COSTA Merita invece qualche ulteriore considerazione, relativamente all’Italia, il capitolo successivo di questa vicenda, vale a dire la divulgazione a stampa delle prime edizioni plutarchee in lingua italiana, perché alcune di queste imprese, pur non avendo avuto sulla cultura europea un impatto paragonabile alle celebri versioni francesi di Jacques Amyot4, tuttavia contribuirono in misura non modesta all’affermazione di Plutarco come uno dei pilastri della cultura e della formazione classica in età moderna5. 1. Battista Alessandro Iaconelli La più antica edizione a stampa in una lingua moderna di una parte consistente dell’opera plutarchea si deve a Battista Alessandro Iaconelli (o Jaconello)6, che nel 1482 pubtarco nel Quattrocento, in «Rinascimento» n.s. 1, 1961, pp. 3-62; G. RESTA, Le epitomi di Plutarco nel Quattrocento, Padova 1962. 4 Plutarque. Les vies des hommes illustres Grecs et Romains, Paris 1559 [II ed. Paris 1565]; Plutarque. Les œuvres morales et mêlées, Paris 1572. 5 Di ciò ben si avvide – ad esempio – Luigi Castiglioni in un’ampia recensione a K. ZIEGLER, Plutarchos von Chaironeia, Stuttgart - Waldsee 1949 [«Gnomon» 24.1, 1952, p. 20]: «Nello sguardo riassuntivo alle vicende ulteriori dell’opera plutarchea, compresa la storia della tradizione manoscritta, molto è da lodare, specialmente per la chiara trattazione di manoscritti e edizioni. Per gl’influssi sulla cultura europea altro ci sarebbe stato da dire e la letteratura italiana dopo l’età umanistica da queste pagine esce male. Certamente le traduzioni di Marcello Adriani e di Girolamo Pompei non contendono in nulla il primato ad Amyot, ma sopra tutto le Vite hanno avuto anche da noi la possibilità di esercitare influssi notevoli nella letteratura e fuori della letteratura (...)». 6 Bibliografia essenziale: E. TEZA, Plutarco nella traduzione italiana di B.A. Iaconello, Venezia 1905; T. MANNETTI, La presenza a L’Aquila dei Iaconelli di Rieti, in Cultura umanistica nel Meridione e la stampa in Abruzzo. Atti del Convegno (L’Aquila, 12-14 novembre 1982), L’Aquila 1984, pp. 201-227; C. GIOVANARDI, Sulla lingua del volgarizzamento plutarcheo di Battista Alessandro Iaconello da Rieti (1482), in «Contributi di Filologia SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 85 blica a L’Aquila un ponderosissimo volume intitolato Vite di Plutarcho traducte de Latino in vulgare in Aquila, contenente venticinque biografie e destinato ad essere seguito, come annunciano la tavola degli argomenti e l’explicit, da una seconda parte con le restanti Vite7. L’iniziativa, realizzata “con dispensa del magnifico signore Lodovicho Torto et delli spectabili homini ser Dominicho de Montorio et [de] Lodovicho de Camillis de Asculo ciptadino de Aquila”, è realizzata dallo stampatore tedesco Adam di Rotwill, il quale proprio con questo libro inaugura la sua attività di tipografo nella cittadina abruzzese, dopo aver lavorato per qualche anno a Roma (1471-1474) e aver successivamente pubblicato a Venezia un pregevole vocabolario Italiano-Tedesco (1477)8. Iaconelli, i cui estremi biografici non ci sono noti, era nato da genitori reatini, i quali dopo essere stati costretti a prendere la via dell’esilio avevano impiantato in Abruzzo alcune redditizie attività commerciali e manifatturiere. A L’Aquila egli trascorse buona parte dell’esistenza ricoprendell’Italia mediana» 7, 1993, pp. 65-139; ID., Sulla lingua del volgarizzamento plutarcheo di Battista Alessandro Iaconello da Rieti (1482). Seconda parte, in «Contributi di Filologia dell’Italia mediana» 8, 1994, pp. 5-39; M.A. PASSARELLI, s.v. Iaconelli, Battista Alessandro, in DBI 62, Roma 2004, pp. 17-19. 7 Vite de Plutarcho traducte de latino in vulgare in Aquila al Magnifico Lodovicho Torto per Baptista Alexandro Iaconello de Riete. Aquila, per maestro Adam de Rotwil Alamanno, 1482 adì 16. de septembro. Le vite plutarchee incluse nella pubblicazione sono quelle di Teseo, Romolo, Licurgo, Numa, Temistocle, Camillo, Annibale, Scipione, Timoleonte, Emilio Paolo, Pirro, Lisandro, Silla, Eumene, Sertorio, Cimone, Lucullo, Nicia, Crasso, Agesilao, Pompeo, Alessandro, Cesare, Focione e Catone Uticense. 8 Sull’attività di Adam von Rotwill cfr. U. SPERANZA, Adamo Rotwill primo stampatore nell’Aquila, Roma 1958; A. MONDOLFO, s.v. Adamo di Rotwill (Rotwyl, Rothwill; Adamo Rot), in DBI 1, Roma 1960, pp. 243-244. 86 VIRGILIO COSTA do anche delicati incarichi politici e diplomatici, ma senza dimenticare la patria d’origine, se è vero che il frontespizio del volgarizzamento plutarcheo reca la firma Baptista Alexandro Jaconello de Riete9. Nel 1482 Iaconelli si era ormai ritirato dalla vita pubblica, perché nel proemio del volume 9 La “reatinità” di Iaconelli sarà oggetto di una curiosa disputa, a metà dell’Ottocento, fra un erudito aquilano, Alfonso Dragonetti, autore di un corposo saggio su Le vite degli illustri Aquilani (Aquila 1847), e l’avvocato reatino Antonio Colarieti, autore a sua volta di un trattatello Degli uomini più distinti di Rieti per scienze lettere arti. Cenni biografici (Rieti 1860). Al primo, il quale per giustificare il fatto che lo stesso Iaconelli s’era detto reatino (cfr. sopra nel testo) affermava che «in quel tempo era usanza dei nostri maggiori, sebbene fossero nati all’Aquila, designarsi dai luoghi onde traevano l’origine» (Le vite degli illustri Aquilani, p. 143), il secondo rispondeva che «la famiglia de’ Jaconelli fu Reatina. Da registri Municipali risulta, che dessa avea abitazione nella Contrada superiore di Porta Cinzia, che Cristoforo nel 1379 n’era capo, che Onofrio figlio di Cristoforo fu padre di Battista. (...) Se Dragonetti fu tenero della domestica gloria, non men da noi doveasi rivendicare il diritto. Aquila sarà a Jaconello patria di elezione. Certo Rieti gli fu patria di origine; ne abbia ciascuna il suo vanto» (Degli uomini più distinti di Rieti, pp. 29-30). Queste polemiche oggi possono far sorridere; va tuttavia rilevato che sia Dragonetti sia Colarieti sono consci dell’imperfezione di quel primo tentativo di volgarizzazione, pur giustificandone diversamente le mende: Colarieti con ribattere alle obiezioni di Girolamo Pompei (su cui cfr. oltre) che se la versione dello Iaconelli era «di barbara e dura sintassi, di stile aspro, stentato» ciò dipendeva dal fatto che la traduzione era stata condotta non direttamente sul testo greco, ma sulla versione latina di Lapo di Castellucchio il Giovane (Degli uomini più distinti di Rieti, p. 28); Dragonetti col far presente che «il mentovato lavoro (...), quantunque scritto in una dicitura poco forbita e di Latinismi piena sopra ogni credere e quantunque non sempre risponda alla idea originale la parola del traduttore, pure (...) ha conservato qualche nome per la lingua che ha un rilampo del candore trecentistico; per lo stile che semplice come è senza nessuna lisciatura, con un poco più di lima bene si affarebbe a una versione del Filosofo di Cheronea; e per essere infine quello che ha schiuso la via ai successivi volgarizzamenti di Plutarco» (Le vite degli illustri Aquilani, p. 144). SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 87 scrive di essersi «rimosso al tucto dal publico giogo» e di aver cominciato «ad godere tranquilla pace de una mia istituita agricultura, ove sequitando i vestigii de y magiori era recuperato como in porto tranquillo: exempto da i mordaci fastidii ociosi, et alieno da publici pensieri, tormenti acerbi nel presente tempo de ogne honesta mente». La trasposizione delle Vite plutarchee dal Latino in volgare di Iaconelli è chiaramente fondata sulla già citata raccolta di Giannantonio Campano10. Il proemio si chiude con una franca confessione circa il proprio stile di traduzione, ispirato – come poi gli sarebbe stato rimproverato – a una certa libertà rispetto ai testi originali: «Et perché el nostro fine circha tal cosa è far note ad genti indocte queste vite (....) cognosco in nel translatare havere transgressa la legge delo interprete, però che non ho atteso ad explicare parola per parola secondo la proprietà del latino, el che haveria inducta una inconcinna prolissità et fastidiosa: ma non discostandome per quanto ho inteso da le vere sententie ho lassata indietro quella legge, quale non ad translatori de latino in volgare, ma ad conversori da greco in latino circha la observantia de y termini se sol requedere assai severamente (...)»11. La rinuncia alla traduzione letterale, che non sarebbe stata appropriata in un’opera esplicitamente dedicata alle genti “indocte”, è uno degli aspetti più felici del volgarizza- 10 Cfr. ancora PASSARELLI, s.v. Iaconelli, Battista Alessandro, cit., p. 18. Si deve forse a un travisamento di questo passo, e in particolare all’accenno ai “conversori de greco in latino”, il fatto che Armando Petrucci, nell’Introduzione alla ristampa del volume dello Iaconelli (Plutarchus. Vitae parallelae, L’Aquila 1982), sostiene che la traduzione fosse «presentata dal suo autore come diretta dal greco in italiano» (pp. X-XI). 11 88 VIRGILIO COSTA mento plutarcheo di Iaconelli12, che difatti riscosse un discreto successo: esso venne ristampato a Venezia nel 1518 (presso Giorgio de’ Rusconi), nel 1525 (presso Nicolò d’Aristotile detto Zoppino), nel 1529 (presso Francesco d’Alessandro Bindoni et Mapheo Pasini), e ancora nel 1537-1538 (presso Bernardino di Bindoni). La seconda parte delle Vite, promessa da Iaconelli e mai realizzata, apparve invece sempre a Venezia nel 1525 per i tipi di Niccolò Zoppino e fu curata dal medico e letterato padovano Giulio Bordone, identificato congetturalmente da Tiraboschi con Giulio Cesare Scaligero13. 2. Dario Tiberti e Giovanni Tarcagnota Agli inizi del XVI secol la diffusione in Occidente dell’opera plutarchea è resa più spedita dalla comparsa delle edizioni aldine dapprima dei cosiddetti scritti morali14, quindi delle Vite parallele15; minore impatto sembra invece avere 12 Di ciò si è ben avveduto Claudio Giovanardi in un ampio studio sulla lingua dello scrittore reatino: «In conclusione, non si può certo osservare che il volgarizzamento delle vite plutarchee sia frutto di un’operazione improvvisata o casuale; né la conclamata modestia dello Iaconello è tale da giustificare l’ingeneroso giudizio di chi l’ha voluto chiamare “troppo rozzo e slombato scrittore”» (Sulla lingua del volgarizzamento plutarcheo..., I, cit., p. 70; per il riferimento all’ingeneroso giudizio critico cfr. TEZA, Plutarco, cit., p. 580). 13 G. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana, VII.2, Roma 1784, pp. 181-182. 14 Plutarchi Opuscula. LXXXXII. Index moralium omnium, et eorum, quæ in ipsis tractantur, habetur hoc quaternione. Numerus autem arithmeticus remittit lectorem ad semipaginam, ubi tractantur singula. Venetiis, in ædibus Aldi et Andreæ Asulani soceri, mense Martio. 1509). 15 Π ο ά χο Π ά ἐ ο Ἑ ω ε Ῥω ω , ´. Plutarchi quae vocantur Parallela. Hoc est Vitae illustrium virorum Graeci nominis ac Latini, prout quaeque alteri conueire videbatur, digestae. Venetiis, in aedibus Aldi, et Andreae soceri, mense Augusto. 1519. SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 89 avuto un’altra edizione greca delle Vite comparsa a Firenze nel 1517 in aedibus Philippi Iuntae e basata prevalentemente su un codice manoscritto di proprietà di Marcello Virgilio Adriani (1464-1521), discepolo e successore del Poliziano sulla cattedra di eloquenza greca e latina dello Studio fiorentino. Merita inoltre di essere segnalata, a testimonianza del crescente interesse (anche commerciale) per lo scrittore di Cheronea, il volgarizzamento dell’Epithome Plutarchi di Dario Tiberti pubblicata nel 1543 a Venezia da Giovanni Tarcagnota (con lo pseudonimo di Lucio Fauno). Tiberti (1425 circa - 1505), nobile cesenate legato ai Malatesti di Rimini, si era dedicato alla letteratura tra i cinquanta e i sessant’anni, forse anche per evadere spiritualmente dal clima di aperta guerra civile che sconvolse Cesena specialmente a partire dal 1489, e che il 3 agosto 1505 determinò il barbaro linciaggio dello stesso scrittore, ormai completamente cieco16. Sebbene egli abbia lasciato anche un poema in 8018 versi latini intitolato De legitimo amore per la seconda moglie Elena Moratini, nonché una Glosula in Psalterium e un Contemplationum libellus dedicato a Elisabetta Gonzaga (contenente 317 composizioni dedicate alternativamente a Cristo e alla Vergine), la sua memoria è principalmente legata a un’epitome in Latino delle Vite parallele fondata anch’essa, come il volgarizzamento di Iaconelli, sulla raccolta di Giannantonio Campano. Come tutte le epitomi, il condensato plutarcheo del Tiberti ha uno scopo pratico: fornire alle persone desiderose di conoscere gli insegnamenti etici di Plutarco, ma non sufficientemente esperte per districarsi da sole fra le tante versioni latine del16 Su Dario Tiberti, la sua opera letteraria e le lotte civili a Cesena nella seconda metà del Quattrocento cfr. P.G. FABBRI, in C. DOLCINI P.G. FABBRI (a cura di), Le vite dei Cesenati, I, Cesena 2007, pp. 15-19. Sull’Epithome e gli altri scritti letterari cfr. inoltre RESTA, Le epitomi di Putarco nel Quattrocento, cit., pp. 76-122. 90 VIRGILIO COSTA le Vite, o sprovviste del tempo necessario all’impresa, un condensato dei fatti e degli exempla che non bisognava ignorare. Nella lettera dedicatoria, datata 30 aprile 1492 e dedicata al vescovo e governatore di Cesena Giulio Cesare Cantelmo, Tiberti dichiara con apprezzabile modestia gli intenti squisitamente pratici del proprio lavoro, aggiungendo di aver preferito esporre la tarditas del proprio intelletto ai critici piuttosto che mostrarsi indifferente alle richieste quasi quotidiane degli amici: Verum enimvero quia non nisi longiore lucerna et plurima epota fuligine deprehendi possunt quae circumspectissimus scriptor Plutarchus tanta elegantia et dicendi copia et decore latissime conscripta reliquit; propterea nonnulli, quibus negotiorum moles lectitandi ocium aufert et prolixiore non oblectantur historia, brevitatis iocunditate allecti quae cognitione et memoria digna sunt paucis intercipere posse discupiunt. Efflagitarunt itaque (scil. amici) a me quotidiano quasi convicio, ut pro virili nostra conarer opus illud tantorum dierum breviore quo possem compendio per stringere, ne iugi lectione et prolixitatis nausea affecti excellentium virorum cognitionem amittant: laudabilius conducibiliusque esse asserentes ex elegantioribus dictis pauca memoria tenere quam multa legisse et omnia oblivionis involucro contegere. Ego autem ne amicis inexorabilis prater fas esse viderer, quando pro honesta eorum petitione contendendum non esse putaverim, potius ingenii mei tarditatem criticorum iudicio censendam decrevi quam officii immemorem me ostenderem. L’Epithome tibertiana venne stampata a Ferrara per iniziativa del fratello di Giulio Cesare Cantelmo, il celebre condottiero Sigismondo (1455 circa - 1519). Malgrado l’o- SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 91 missione sistematica delle parti non narrative, il fraintendimento della struttura dei Β ο plutarchei17 e i numerosi errori di cui era costellata (che però in gran parte dipendono dalle versioni latine utilizzate), l’opera colse lo scopo che si prefiggeva, sicché non è arrischiato dire che anche grazie ad essa gli eroi di Plutarco cominciarono a diventare familiari al di là della cerchia dei letterati di professione. L’importanza del lavoro di Dario Tiberti è altresì provata da una parte dalle numerose ristampe apparse in varie città europee per tutto il Cinquecento e oltre18, dall’altra dai volgarizzamenti in Italiano e in Francese curati verso la metà del secolo, rispettivamente, da Giovanni Tarcagnota19 e Philippe de Avenelles20. 17 Tiberti ad esempio riteneva che tutte le Vite fossero organizzate in coppie singole; perciò egli divise la coppia Agide e Cleomene / Tiberio e Gaio Gracco in due (Agide e Tiberio Gracco; Cleomene e Gaio Gracco) e organizzò la biografie isolate di Artaserse, Arato, Galba e Othone in due sequenze Greco (o Persiano) / Romano: Artaserse / Galba; Arato / Otone. Inoltre egli incluse le vite pseudo plutarchee di Evagora e Pomponio Attico, già presenti nella silloge di Giannantonio Campano. 18 La prima è quella – notevolmente emendata – curata a Basilea nel 1541 da Johannes Oporinus; altre apparvero a Parigi (1545; 1547; 1560; 1564; 1573), a Ginevra (1573; 1590; 1597) e a Le Mans (1608). Cfr. RESTA, Le epitomi di Putarco nel Quattrocento, cit., pp. 91-92. 19 Le Vite di Plutarco ridotte in compendio, per M. Dario Tiberto da Cesena, e tradotte alla commune utilità di ciascuno per L. Fauno, in buona lingua volgare, in Venetia [presso Michele Tramezzino] 1543. Sull’antiquario e traduttore Giovanni Tarcagnota (1508 circa - post 1552) cfr. L. ASOR ROSA, s.v. Fauno, Lucio, in DBI 45, Roma 1995, pp. 377-378, e soprattutto G. TALLINI, Giovanni Tarcagnota (http://www.nuovorinascimento. org/cinquecento/tarcagnota.pdf), consultato il 24/6/2013. 20 Epitome ou Abrégé des vies de cinquante et quatre notables et excellens personnaiges tant grecs que romains, mises au parangon l’une de l’autre, extraict du grec de Plutarque de Chaeronée, Paris, Imprimerie de Philippe Danfrie et Richard Breton, 1558. 92 VIRGILIO COSTA Per limitarci al solo Tarcagnota, accanto ai giusti rilievi sulla modesta qualità della traduzione è pur doverosa una considerazione. Il passaggio dal Latino all’Italiano, come detto, ha notevolmente ampliato i potenziali lettori di Plutarco, e quindi ha in un certo senso portato alle logiche conseguenze l’operazione tentata dal Tiberti: per rendere veramente accessibile a tutti il (supposto) potenziale educativo delle Vite non solo era necessario ridurre a dimensioni ragionevoli un testo quasi sterminato, ma occorreva rimuovere l’ultimo ostacolo, quello della lingua latina: «accio che tutti» – scrive infatti il Tramezzino nella dedica prefatoria a Luigi Cornaro gran Comendatore di Cipro – «partecipino di questa utilità». 3. Lodovico Domenichi Rispetto alla versione di Tarcagnota, il successivo volgarizzamento delle Vite plutarchee pubblicato in due parti nel 1555 a Venezia dal piacentino Lodovico Domenichi (1514-1564) si distingue per una cosa sola, cioè l’essere una traduzione integrale. Ma il testo di provenienza è ancora quello latino del 1470; la fedeltà a questa edizione è anzi così assoluta che Domenichi, pur riconoscendo la diversa provenienza di alcune biografie ivi contenute – quelle di Evagora, Pomponio Attico, Platone, Aristotele e Carlo Magno21 – le include egualmente perché, come si legge al termine della seconda parte, «sono elegantemente scritte, et perché ancho altre volte ci sono state messe et tradotte da altri». Eppure Ludovico Domenichi, a differenza degli Iaconelli, dei Tiberti e dei Tarcagnota, non era affatto digiuno 21 Egli viceversa ritiene autentica un’altra vita presente nella silloge del Campano, quella di Omero. SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 93 delle lettere greche. Dopo una giovinezza spregiudicata e talora violenta trascorsa fra Piacenza, Pavia e Padova (dove nel 1539 s’era laureato in Giurisprudenza), s’era infatti trasferito a Venezia per questioni di forza maggiore – un altro celebre letterato, Anton Francesco Doni, lo aveva accusato di aver partecipato ad una congiura contro Ferrante Gonzaga –, e qui, grazie all’amicizia poi rinnegata con Pietro Aretino, aveva cominciato una lunga collaborazione con Gabriel Giolito de’ Ferrari ed altre importanti stamperie come traduttore di testi classici. Trasferitosi nel 1546 a Firenze, aveva tuttavia mantenuto i rapporti con l’officina tipografica di Gabriel Giolito, pubblicandovi, nell’arco di una quindicina d’anni, diversi autori greci oltre a Plutarco, fra i quali Polibio (1545), Senofonte (Opere morali, 1547; L’impresa di Ciro Minore, 1548; I fatti de’ Greci, 1548; La Vita di Ciro Re de’ Persi, 1548); Plinio (Istoria Naturale di C. Plinio Secondo, 1561); nella città toscana aveva invece atteso, per conto di Lorenzo Torrentino, alle edizioni di due dialoghi di Luciano (1548) e dell’Epistola ad Aristea (Aristea, De’ settanta Interpreti, 1550). Il volgarizzamento delle Vite parallele fu più volte ristampato sino alla metà del Settecento22. Va tuttavia ricor22 Vite di Plutarco. Tradotte da m. Lodouico Domenichi, con gli suoi sommarii posti dinanzi a ciascuna vita. Con due tavole, le quali sono poste nel fine della seconda parte: l’una serve alle cose notabili, nell’altra si sono raccolti ordinatamente tutti i nomi antichi e moderni di diversi paesi, città, mari, promontori, venti, fiumi, monti e luoghi che in tutta l’opera si contengono. Con la dichiaratione de i pesi e delle monete, che si usavano da gli antichi. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1560. – Vite di Plutarco Cheroneo de gli huomini illustri Greci et Romani, nuovamente tradotte per m. Lodouico Domenichi et altri, et diligentemente confrontate co’ testi greci per m. Lionardo Ghini: con la vita dell’auttore, descritta da Thomaso Porcacchi; et co’ sommari a ciascuna vita, con tavole, et dichiarationi assai, in modo che non pare che si possa desiderare cosa alcuna alla compiuta perfettione dell’opera. In Vinegia, appresso Giolito de’ Ferrari, 1566-1568. – Vite di Plutarco Cheroneo sommo filosofo degli huomini illustri greci et romani co’ loro paragoni, tra- 94 VIRGILIO COSTA dato che anche una delle sue ultime fatiche come traduttore dei classici latini e greci è legata al nome di Plutarco: si tratta della versione italiana di tre opere morali pubblicate a Lucca nel 156023. 4. Francesco Sansovino Un deciso salto di qualità nei volgarizzamenti italiani delle Vite di Plutarco si ha con la traduzione integrale curata da Francesco Sansovino, figlio del celebre scultore Jacopo. Era nato a Roma nel 1521, ma dopo il sacco di Roma (1527) aveva seguito il padre a Venezia, dove fin da giovanissimo si era applicato allo studio del Greco. Laureatosi in Giurisprudenza a Bologna nel 1542 per volere di Jacopo, quasi subito aveva abbandonato ogni velleità di carriera legale, e dopo aver trascorso alcuni mesi alla corte di papa Giulio III era tornato definitivamente a Venezia, trascorrendovi il resto dell’esistenza (morì nel 1586) fra gli studi dotte da M. Lodovico Domenichi et ridotte alla loro vera lettura, et racconcie secondo i buoni testi latini in più di mille luoghi da M. Francesco Sansovino. In Venetia, appresso Iacopo Sansovino il Giovane, 1570 (in tre parti). – Vite di Plutarco Cheroneo de gli huomini illustri greci et romani. Nuovamente tradotte per M. Lodovico Domenichi et altri. Et diligentemente confrontate co’ testi Greci per M. Lionardo Ghini. In Venetia, appresso Felice Valgrisio, 1587. – Vite di Plutarco Cheroneo de gli huomini illustri greci et romani. Tradotte per M. Lodovico Domenichi, et altri. Et diligentemente confrontate co’ Testi Greci per M. Leonardo Ghini. In Venetia, appresso Marco Ginami, 1620. – Vite di Plutarco Cheroneo degli uomini illustri greci et romani tradotte già per M. Lodovico Domenichi, ed ora diligentemente corrette e confrontate col Testo Greco stampato a Francofort l’anno 1599. In Verona, appresso Dionigi Ramanzini, 1744. 23 Opere morali di Plutarcho, nuovamente tradotte, per M. Lodovico Domenichi, cioè Il convito de’ sette savi. Come altri possa lodarsi da se stesso senza biasimo. Della garrulità, ovvero Cicaleria. In Lucca, per Vincenzo Busdragho, 1560. SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 95 letterari come autore di numerosissime opere storiche, antiquarie, politiche, religiose o come traduttore di classici greci e latini. La traduzione delle Vite parallele apparve a Venezia nel 1564 per i torchi di Vincenzo Valgrisi. Dal punto di vista grafico l’opera era realmente innovativa: il testo italiano, infatti, è corredato a margine da note esplicative degli innumerevoli nomi di persone, luoghi e costumi ricorrenti nelle biografie plutarchee24; altrettanto dettagliata è la Tavola delle cose notabili et degne di memoria poste al termine di ciascuno dei due tomi di cui si compone l’opera25. Ma solo leggendo la lettera dedicatoria al senatore veneziano Giovanni Matteo Bembo – il vincitore della celebre battaglia navale presso il golfo di Cattaro, sulla costa dalmata, contro la flotta turca del Barbarossa – si coglie veramente la diversa consapevolezza, rispetto ai predecessori, con cui Sansovino aveva condotto il proprio volgarizzamento. 24 Ecco qualche esempio tratto dal volgarizzamento della vita di Teseo. Prima dell’incipit Sansovino scrive: «Theseo figliuolo d’Egeo, regnò in Athene l’Anno del Mondo 2730. Et innanzi l’avvenimento di Christo 1232. Parla di Costui Giustino nel secondo Libro. Diodoro nel 5. Libro. Ovidio nella 4. Epistola, et moltissimi altri scrittori». A margine della citazione eschilea in 1, 4 annota: «Questi versi sono nella Tragedia il cui titolo è ἐ ἐ ». A 3, 1 (discendenza di Teseo da Pelope da parte di madre) spiega: «Pelopida (sic) fu potentiss. Re nel Peloponneso, che hoggi si chiama la Morea», etc. 25 La straordinaria ricchezza dell’apparato documentario dell’edizione sansoviniana è dichiarata sin dal frontespizio: Le vite de gli huomini illustri greci e romani, di Plutarco Cheroneo sommo filosofo et historico, tradotte nuovamente da M. Francesco Sansovino. Con le tavole copiosissime delle cose notabili, che si contengono nella prima et seconda parte, poste nel fine. Con sommarij, et utili postille, che dichiarano i luoghi oscuri de’ testi per via di discorsi. Con una tavola di Monti, di Città, di Isole, di Fiumi, et di Mari, nella quale si dichiarano i nomi antichi co’ moderni, come si può vedere nel fin delle tavole. Et con le figure de Capitani, et de Re de quali si tratta, poste in disegno, et cavate dalle medaglie antiche. In Venetia, appresso Vincenzo Valgrisi. 1564. 96 VIRGILIO COSTA Nell’epistola, datata 22 Ottobre 1563, l’erudito veneziano afferma preliminarmente di essere stato mosso a tradurre le Vite di Plutarco da due fattori: l’eccellenza dello scrittore e «un’ardentissimo (sic) desiderio che io ho havuto sempre di migliorarlo in più luoghi con questa mia traduttione». Quanto alla prima, egli quasi anticipa il dibattito moderno sulla natura storica o etica degli exempla plutarchei26, quando dopo aver osservato che non v’è libro più adatto della storia plutarchea a dare utile e diletto all’animo dei lettori, aggiunge che «questo Autore nel distender con tanta dottrina l’operationi eccellenti di tanti segnalati Signori, ordinò la sua Historia di modo, che è molto malagevole cosa à conoscere, se volle dichiarar la Filosofia morale con gli essempi Historici, o se pur volle ornar la narratione delle cose illustri fatte da i grandi con le disputationi filosofiche». Quanto alla seconda, scrive Sansovino che «a me pareva pur troppo mal fatta cosa ch’uno Autore di tanta riputazione fosse così lacero, et guasto, et che leggendosi à tempi nostri il testo di Plutarco più corretto che giamai fosse, volessimo riportarci alla traduttione del Guarrino, dell’Acciaiuolo, di Leonardo Aretino et di tanti altri che lo hanno tradotto in Latino. Mi disposi adunque di far questa nuova fatica, et di condurla a termine che stesse presso che bene, perché conferendo questo pensiero con diversi amici, tra quali un fu M. Paolo Manutio di quel nome honorato che fa il Mondo, et l’altro M. Girolamo Magi d’Anghiari homo di molto giuditio et di grandiss. letteratura et Greca, et latina, mi misi all’impresa con l’aiuto loro». La menzione degli amici che lo avevano incitato all’impresa ci aiuta a co26 Su cui cfr. ora, per tutti, F. MUCCIOLI, La storia attraverso gli esempi. Protagonisti e interpretazioni del mondo greco in Plutarco, Milano - Udine 2012. SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 97 gliere qualche dettaglio del lavoro compiuto da Sansovino: innanzitutto, il testo greco utilizzato, che è quasi certamente quello stabilito nel 1519 da Francesco Asolano per conto Aldo Manuzio (il padre di Paolo – all’epoca non era peraltro ancora disponibile l’edizione plutarchea di Henri Estienne, che è del 1572); in secondo luogo, la rapidità con cui Francesco Sansovino realizzò il volgarizzamento, visto che il soggiorno di Girolamo Maggi a Venezia viene datato a partire dal 156027. Un altro pregio della traduzione sansoviniana consiste nella dichiarata volontà – purtroppo non sempre sostenuta da una reale acribia storico-filologica – di rispettare la struttura originaria dell’opera plutarchea e di emendare, ove necessario, il testo tràdito: «Si dee bene avvertire che quest’opera di Plutarco (...) non si trova né si trovò giamai se non tronca et imperfetta, perché non pur vi mancano i Paragoni tra Themistocle et Camillo, tra Pirro et Mario, tra Alessandro et Cesare, tra Focione et Catone, ma non vi sono anco molte Vite che l’Autor medesimo dice di havere scritte, come di Epaminonda citata da lui nella Vita d’Agide, di Metello Numidico in Mario, di Scipione Emiliano in Tiberio Gracco, et di Hercole in Theseo, in luogo delle quali vi furono aggiunte quelle d’Annibale et di Scipione dall’Acciaiuoli, di Carlo Magno, di Pomponio Attico, et di Aristotele, da diversi altri scrittori moderni. Et ancora che con sollecito studio et con accurata diligenza io habbia atteso à dirizzar diversi 27 Su Girolamo Maggi, poligrafo, ingegnere, architetto, costruttore di macchine militari, difensore della rocca di Famagosta accanto a Marcantonio Bragadin nel 1571, e infine prigioniero dei Turchi a Costantinopoli e da costoro barbaramente trucidato nel 1572, cfr. L. CARPANÉ, s.v. Maggi, Girolamo, in DBI 67, Roma 2007, pp. 347-350. 98 VIRGILIO COSTA concetti che erano sconciamente contrarij al sentimento di tutta la vita dove essi erano posti, et ad illustrar molti luoghi oscuri, restituendo una infinità di nomi di Provincie, di Città, et di huomini alla lor vera et sana lettura, conferendo con gli amici i miei dubbij, et i testi Latini co Greci, nondimeno non niego ch’in così largo et profondo Mare di cose, smarrendo qualche volta la via diritta, non abbia percosso talhora in qualche duro scoglio con la picciola navicella del mio debole ingegno». I risultati conseguiti dal Sansovino, pur essendo probabilmente inferiori alle sue dichiarazioni e speranze, costituiscono malgrado tutto – lo si è già visto – un netto avanzamento rispetto ai predecessori. È dunque paradossale che questo volgarizzamento non abbia quasi lasciato traccia nella storia della cultura e dell’editoria italiana. Il maggior responsabile di tale fallimento fu il Sansovino stesso, il quale a pochissimi anni di distanza dalla pubblicazione dell’opera, nel 1570, curò una nuova edizione della versione di Lodovico Domenichi, con “più di mille” emendamenti a quel testo e nuove annotazioni esplicative a margine, per la stamperia di Iacopo Sansovino il Giovane: suo figlio. A tale sleale concorrenza rispose Felice Valgrisi – il figlio di Vincenzo – pubblicando a sua volta la traduzione del Domenichi con le correzioni e le note di Sansovino. Grazie a ciò il volgarizzamento di Lodovico Domenichi, come già detto, ebbe la ventura di essere ristampato sino alla metà del Settecento, mentre quello di Sansovino venne completamente dimenticato. 5. Marcello Adriani il Giovane La fine del XVI secolo vide finalmente apparire la prima traduzione italiana integrale dei Moralia, stampata in SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 99 due tomi a Venezia, nel 1598, da Fioravante Prati. Si tratta di una silloge – di valore abbastanza modesto – delle versioni dei singoli opuscoli curate da Marcantonio Gandino28, Grazio Maria Grazi, Antonio Massa29 e il già citato Giovanni Tarcagnota. Con ben altre competenze filologiche e letterarie, nella seconda metà del Cinquecento lavorò alla traduzione degli opuscoli plutarchei e delle Vite parallele Marcello Adriani il Giovane (1562-1604)30, docente presso lo Studio fiorentino al pari del padre, Giovanni Battista (1511-1579), e del nonno, Marcello Virgilio (che dal 1498 fu anche primo cancelliere della Repubblica di Firenze). La sua opera ebbe tuttavia una sorte curiosa: pur essendo infatti noto che Marcello il Giovane aveva tradotto tutto Plutarco, e che tale traduzione era contenuta in due grossi volumi manoscritti in folio nella Biblioteca Riccardiana di Firenze31, quando tra il 1819 e il 1920 il bibliotecario Francesco Fontani pubblicò una buona parte degli opuscoli plutarchei dell’Adriani32, dichiarando di averli rinvenuti in tre volumi in quarto conservati proprio nella Riccardiana, si venne formando 28 Su Marcantonio Gandino († 1598) cfr. D. GIOVANNOZZI, s.v. Gandino, Marcantonio, in DBI 52, Roma 1999, pp. 156-157. 29 Su Antonio Massa (1500-1568) cfr. F. SIGISMONDI, s.v. Massa, Antonio, in DBI 71, Roma 2008, pp. 666-669. 30 Cenni biografici in G. MICCOLI, s.v. Adriani, Marcello, il Giovane, in DBI 1, Roma 1960, p. 310. 31 Di ciò aveva dato notizia Antonfrancesco Gori nella prefazione (p. XXIV) alla traduzione del De locutione di Demetrio Falereo curata da Marcello Adriani il Giovane e stampata a Firenze nel 1738 da G. Albizzini. 32 Opuscoli morali di Plutarco volgarizzati da Marcello Adriani il giovane. I-VI, Firenze, dalla stamperia Piatti, 1819-1820. Da questa edizione fu tratta una ristampa emendata: Opuscoli di Plutarco volgarizzati da Marcello Adriani nuovamente confrontati col testo e illustrati con note da Francesco Ambrosoli. I-VI, Milano, Francesco Sonzogno, 1825-1829. 100 VIRGILIO COSTA l’opinione che il materiale edito costituisse tutto ciò che l’umanista fiorentino era riuscito a tradurre: anche perché i due quaderni in folio non erano mai stati rinvenuti. La scoperta degli opuscoli mancanti e del volgarizzamento delle Vite si deve all’accademico della Crusca Luigi Maria Rezzi, il quale nel 1852, in veste di bibliotecario della Biblioteca Corsiniana di Roma – oggi parte della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana – rintracciò in quella collezione libraria altri tre volumi in quarto, con numerazione continua rispetto a quelli della Riccardiana, con il resto degli scritti morali salvo uno (che molto probabilmente Adriani non tradusse mai) e l’intera raccolta delle Vite fuorché la comparatio fra Timoleonte ed Emilio Paolo. Del materiale rinvenuto Rezzi pubblicò soltanto, a mo’ di saggio, la Vita di Focione, corredata della storia del ritrovamento33. A rendere finalmente disponibile al pubblico il volgarizzamento delle Vite pensò l’editore Felice Le Monnier; la trascrizione – essendo nel frattempo scomparso Luigi Maria Rezzi – fu curata da Francesco Cerroti e Giuseppe Cugnoni34. L’edizione integrale dei Moralia, invece, non fu mai pubblicata. 33 Vita di Focione Ateniese scritta da Plutarco, tradotta dalla greca in lingua volgare da Marcello Adriani il giovane, cavata da un ms. autografo corsiniano, e la prima volta pubblicata per le stampe dal prof. don Luigi Maria Rezzi, bibliotecario corsiniano. Roma, Tipografia Salviucci, 1852. La nota Ai leggitori eruditi, contenente la storia del ritrovamento e la descrizione dei tre volumi in quarto, più la Vita di Focione volgarizzata dall’Adriani, sono riprodotti anche nel «Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti» 126, Gennaio-Marzo 1852, pp. 186-193 (Ai leggitori eruditi) e 193-232 (Focione). 34 Le Vite parallele di Plutarco volgarizzate da Marcello Adriani il Giovane; tratte da un codice autografo inedito della Corsiniana, riscontrate col testo greco ed annotate da Francesco Cerroti, Bibliotecario Corsiniano, e da Giuseppe Cugnoni, Scrittore della Vaticana. I-IV, Firenze, Felice Le Monnier, 1859-1865. SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 101 6. Girolamo Pompei L’ultima traduzione integrale delle Vite parallele prima dell’età contemporanea si deve a Girolamo Pompei (17311788), un letterato veronese autore di pregevoli versioni italiane della poesia ellenistica e bizantina, nonché di tragedie accademiche e numerosi saggi di vario argomento35. Dal punto di vista strettamente cronologico l’opera appartiene a una temperie culturale e storica del tutto differente rispetto agli altri volgarizzamenti fin qui presi in esame; si è tuttavia scelto di includerla in questa breve rassegna sia perché, come è stato affermato, «sebbene sia monotono e ineguale e spesso aspro (...), fu per lungo tempo la meno cattiva versione di Plutarco di quante si avessero in Italia»36, sia perché lo stesso Pompei, nella prefazione al primo volume, discute ampiamente dei pregi e (soprattutto) dei difetti delle versioni plutarchee anteriori alla propria. Delle traduzioni che sono a mia notizia (parlando dell’opera che contiene le Vite) ne abbiamo tre di stampate. Ve n’ha una di Pierbattista Jaconello, il quale apertamente confessa di aver tradotto da un’altra traduzione latina: ma la traduzion sua è affatto barbara nello stile e nella sintassi; e, in quanto al cogliere nel vero sentimento dell’originale, sgarra, si può dire, a ogni verso. Un’altra ve n’ha di mess. Francesco Sansovino, della quale non trovo fatta menzione nè nella Biblioteca del Fontanini, nè nel Catalogo de’ traduttori del marchese Maffei. Nella 35 La parte più significativa dei suoi scritti letterari – salvo evidentemente la traduzione delle Vite plutarchee – fu edita in sei volumi (Opere del signor Girolamo Pompei gentiluomo veronese) a Verona fra il 1790 e il 1791 a Verona per i tipi degli eredi Moroni. 36 Così C. CALCATERRA, s.v. Pompei, Girolamo, in EI XXVII, Roma 1935, p. 837. 102 VIRGILIO COSTA dedicatoria a Gio. Matteo Bembo sembra che il Sansovino dichiarisi di aver tradotto dal greco: giacche dice che a’ suoi tempi se ne leggeva il testo più che mai corretto, e disapprova il riportarsi, nel volerlo volgarizzare, alle traduzioni latine del Guarino, dell’Acciaiuolo, dell’Aretino e degli altri. Pure egli presi vi ha sbagli tanti e sì gravi, e vi si ravvisa di quando in quando sì poca inerenza, che si può ben a ragion sospettare, che o non sia vero che tradotto abbia a dirittura dal greco, o, se vero è, fatto abbia ciò con grande trascuratezza, e senza intender bastantemente la lingua, il che manifestasi sin dal bel principio nella vita di Teseo, dove dicendo il testo: Ὥ ἐ ῖ ω , Σ Σ ω , ύ ῶ ὐ ῶ ῖ ἐ ῶ ω ῦ , , ᾽ἐ , ῖ ἄ ώ ,ἢ ἀ ,ἢΣ ύ ,ἢ , . . ., egli traduce: Sì come talora sogliono gli scrittori, o Sosso Senecione, nel descrivere il sito della terra, poiché sono giunti alle parti estreme delle tavole da loro non conosciute, affermar che in quei luoghi vi sieno lidi abbandonati dall’acque, e assediati dalle fere, o ripieni di fango, ovvero che terminino coi monti della Scitia (leggeva invece di ύ , e così pur leggevasi dalla maggior parte degli altri traduttori e latini e italiani) o col mare agghiacciato, ec. Senza far qui tutte quelle osservazioni che far si potrebbero per mostrare quanto poco felicemente tradotto sia questo passo, basta solo che osservinsi quelle parole – poiché son giunti alle parti estreme delle tavole da loro non conosciute – in confronto delle greche – ύ ῶ ὐ ῶ ῖ ἐ ῶ ω ῦ – e apertamente vedrassi quanto sia ben fondato questo mio sospettare. Ma la versione che più decantata viene e con più avidità ricercata, quantunque universalmente peggiore di SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 103 questa del Sansovino, quella si è del Domenichi. La fece costui da prima sopra alcune versioni latine, che allora correvano, ed essendone in appresso uscita fuori non so qual’altra, pur latina, che a lui parve migliore, riformar volle su questa la sua; e non più fidandosi affatto di se medesimo ricorse anche all’aiuto d’altri, e particolarmente di un certo Lionardo Ghini, che passava per intendentissimo di latino e di greco; e una tale versione stampata fu nel MDLXVIII da Gabriel Giolito, il quale stampata aveva pur l’altra; ma questa seconda è appunto quella, ch’è in maggior pregio tenuta. Di fatto ha un frontespizio che promette assaissimo, e chi non vada più avanti può crederla forse la miglior traduzione del mondo; ma chi poi voglia mettersi a leggerla troverà esser la cosa ben d’altra maniera che non si aspettava. Improprietà e mala collocazion di parole e strane forme di dire vi s’incontran continuo: spessissimo vi si veggon fraintesi anche i sentimenti più chiari: la stentata durezza dello stile vi apparisce quasi da per tutto; e in moltissimi luoghi vi domina una tale oscurità, che andar fa tentone anche gl’ingegni più oculati e più penetranti. L’opera del Pompei, in cinque volumi, fu impressa a Verona dalla stamperia di Marco Moroni fra il 1772 e il 1773 ed ebbe innumerevoli ristampe, fra le quali quella nitidissima pubblicata a Firenze in quattro tomi, tra il 1845 e il 1846, da Felice Le Monnier; la più recente edizione a nostra conoscenza è quella stampata nel 1940 a Milano nell’ambito della Biblioteca classica economica Sonzogno. Probabilmente inferiore al volgarizzamento di Marcello Adriani dal punto di vista stilistico, lo supera naturalmente – ma non di molto – per fedeltà al testo plutarcheo. Ed è anche questo, in fondo, uno dei tanti paradossi della storia che abbiamo cercato brevemente di delineare. 104 VIRGILIO COSTA Oggi, infatti, il Plutarco di Girolamo Pompei ci appare meno pregevole esteticamente che per accuratezza grammaticale; mentre un amico e ammiratore del letterato veronese, il celebre Ippolito Pindemonte, pretendeva che quello avesse superato il modello greco per qualità espressiva: «Che dono non facesti all’Italia, la qual non avea di un libro si aggradevole, sì instruttivo, si accomodato ad ogni genio, età e sesso; che traduzioni, che non ardiva nominare, ed or ne possiede, la tua mercé, una di cui altamente si vanta. Quanto ci contenta il Biografo di Cheronea con la importanza e la varietà delle cose, altrettanto ci manca nelle parole, delle quali sembra poco sollecito: certo la sua locuzione non va senza durezza, ineguaglianza ed oscurità. Tu l’hai rivolto, oltre la fedeltà, ch’è grandissima, con uno stile sì chiaro ed aperto, sì purgato e leggiadro, sì uguale, sì nobile, sì maestoso, che si desidererebbe ne adoperasse il biografo un simile nella sua lingua. Onde accade che dagli stessi Ellenisti si legge più volentieri la versione che l’originale, e a quelli che ignorano la lingua greca non incresce più, in riguardo a questo autore, la loro ignoranza»37. 37 Opere complete del cavaliere Ippolito Pindemonte, II: Elogi di letterati italiani, Napoli, R. Marotta e Vanspandoch, 1834, p. 160. Appendice Traduzioni plutarchee comparate Plutarchus, Theseus 1, 1-3: ἐ ῖ ω Σ Σ ω , ύ ὐ ῶ ῖ ἐ ῶ ω ῦ “ ᾽ἐ ῖ ἄ ώ ”, ἢ “ ἀ ”, ἢ “Σ “ ”, (2) ὕ ω ἐ ῶ ω ἐ ῳ ᾳ ω ἐ ῃ , ἀ ω ω ῶ ἶ ῖ · (3) “ ᾽ἐ , , ἔ ὐ ”. , ῶ , ύ ”, ἢ ω ῶ ὐ ῶ ώ ᾽ Battista Alessandro Iaconelli (L’Aquila 1482): Como nel descrivere el sito del mondo sogliono fare li historici che tacendo in le extreme parti de lor tabule quelle cose che loro non possono intendere ad alchune agiongono esservi grandissimi pagisci et arenosi et penuria de aqua da cielo et da terra: o vero esservi limaccio da non posserse caminar per esso: o vero monte sterile: o vero el mare gelato: così medesmamente noi in la comparatione de questi homini con continuata historia et verità del facto havemo affirmato per vero quel che per probabile ragione havemo possuto intendere recorrendo y tempi de quilli homini quali havemo desopra memorati: ma le cose più antique mostruose et aspere sonno occupate da poeti et scriptori fabulosi: sì che non dimostrano più oltra alchuna certitudine né fede. 106 VIRGILIO COSTA Giovanni Tarcagnota (Venezia 1543): il capitolo introduttivo della Vita manca già nell’Epithome di Dario Tiberti Lodovico Domenichi (Venezia 1555): Sì come sogliono fare coloro, i quali descrivono il sito del mondo: che nell’ultime parti delle lor tavole coprendo quelle cose, alle quali essi non possono pervenir con la cognitione, v’aggiungono trovarvisi alcuni paesi grandissimi, sterili, et arenosi, dove mai non cade acqua dal cielo, né ve ne risorge dalla terra; o che le strade son fangose, in guisa che non vi si può andare; o monti di Scithia, o mare agghiacciato dal freddo: così anchora io in questo paragone d’huomini illustri continuando la historia de fatti loro, et discorrendo i tempi quanto ho potuto con verisimili ragioni, veramente posso dire di quelle cose che sono state sopra di noi; cioè che i Poeti et Scrittori delle favole, occupano queste cose molto antiche et molto vecchie, come tragiche, et mostruose, sì ch’elle non hanno in sé fede né certezza alcuna. Francesco Sansovino (Venezia 1564): Si come talhora sogliono gli Scrittori ò Sossi Senecione, nel descrivere il sito della terra, poi che son giunti alle parti estreme delle tavole da loro non conosciute, affermar che in quei luoghi vi sieno lidi abbandonati dall’acque, ò assediati dalle fere, ò ripieni di fango, overo che terminino co i monti della Scithia, ò co’l mare agghiacciato, così io nel descrivere le vite de Greci, et de Latini, che l’una risponda insieme all’altra, passato quel tempo, ove ho potuto trarre l’oratione verisimile, et l’historia delle cose fatte, et giunto alle più antiche, poteva dir con ragione, che in queste vi fossero molte cose che trapassassero la credenza altrui, et che altro non fossero che tragiche fintioni, ritrovate da Poeti, et da favolosi scrittori, non essendo elle punto capaci, né di chiarezza, né di fede (...). SULLE PRIME TRADUZIONI ITALIANE A STAMPA 107 Marcello Adriani (Firenze 1859): Siccome i geografi, o Sossio Senecione, nel descrivere la terra, riponendo le parti non conosciute da loro ne’ lembi di lor tavole, vi scrivono che di là da queste altro non è che diserti arenosi e senz’acqua, pieni di fiere, lacune immense, gelo di Scizia, o mar diacciato; così nell’opera del paragone delle Vite scorrendo i tempi, le cui memorie sono ancora tali, che se ne può con qualche verisomiglianza compilare verità di storia, posso con ragione dir io a proposito del tempo antico e dal nostro lontanissimo: «Quanto è di là tutto è mostruosa e tragica invenzione trovata da’ poeti e favoleggiatori senza apparenza di vero, o di chiarezza». Girolamo Pompei (Verona 1772): Siccome fanno, o Sossio Senecione, gli storici nelle descrizioni geografiche, i quali sopprimendo all’estreme parti delle lor tavole i paesi, che son loro ignoti, notano in alcuni siti del margine, che le cose al di là sono arene secche e ferine, o torbida palude, o freddo scitico, o mare agghiacciato; così pur io, dopo di esser andato, nello scrivere queste Vite parallele, scorrendo il tempo fin dove arrivar puossi con ragionevol discorso, e con istoria a’ fatti inerente, dir potrei molto bene intorno a ciò che v’è di più rimoto: «Le cose al di là tragiche e portentose sono pascolo de’ poeti e favoleggiatori; e non v’ha in esse fede né certezza veruna».