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Giuseppe Barreca LE PAROLE ALLA FINE Capitolo I – Ballando nell’oscurità La rivide una notte, mentre cercava di trovare un motivo per divertirsi in quella discoteca confusa, rumorosa, affollata. Andrea stava affrontando con l’animo molle e abulico quella serata, stordito da diverse cose. Dalla musica assordante e dall’odore di fumo; dalle folate di essenza di donna, dal luccichio dei bicchieri e del ghiaccio ondeggiante nelle bevande colorate; dal chiarore delle luci stroboscopiche, dalle pareti e dalle colonne posticce che sorreggevano il soffitto del locale, occupato da una selva di proiettori di luci psichedeliche; dalle gambe e dalle braccia delle ragazze, che nella penombra del locale apparivano tutte bellissime e desiderabili. Eppure, nonostante lo stordimento, la noia, il sonno e gli sbadigli, nonostante il languore, non disgiunto dall’eccitazione che gli provocava la visione di qualsiasi “parte” di corpo di donna che balenava tra i rari sprazzi di luce, Andrea scorse lo stesso, casualmente, la sua Francesca. Si era già pentito di aver accettato l’invito del suo amico Alfio per quella sera. Lo aveva fatto soprattutto per non apparire incapace di divertirsi e chiuso in se stesso; nondimeno, dopo aver accettato, aveva subito immaginato che si sarebbe annoiato. Andrea sapeva che sarebbe stato stufo di quel locale alla moda ben prima che cominciasse la serata. Immaginava che sarebbe rimasto ad osservare la folla degli altri ragazzi con una espressione scettica, disorientata, come se lui fosse diverso da loro, avesse altri pensieri, altre preoccupazioni, altre esigenze. Era una di quelle occasioni in cui per Andrea la presenza altrui diventava molesta, come se egli temesse che qualcuno potesse intromettersi nella sua vita e magari carpirne qualche segreto. Qualche volta questa chiusura verso gli altri si verificava anche nei confronti dei propri amici. Ma Andrea sapeva che non erano gli altri il problema, bensì lui stesso, il suo timore di non essere pienamente padrone di sé. Alla fine, l’impressione di non essere sufficiente a se stesso si trasformava nella sensazione d’essere perennemente inadatto a stare con gli altri. Allora, di fronte allo scacco che le sue aspirazioni subivano, nel suo animo si accumulavano rancore, malinconia, talvolta addirittura disgusto per la vita. Quando Andrea era in preda a questi sentimenti così tetri, un luogo valeva l’altro: la sua inquietudine era come il guscio di una lumaca e se la portava sulle proprie spalle ovunque si trovasse. Quella sera in discoteca Andrea sedeva su una poltroncina bianca (o meglio, grigiastra) accanto ad un tavolino dello stesso colore; nel volgere 2 fiaccamente la testa verso la pista da ballo affollata, intravide i suoi amici ballare vicino ad un gruppo di ragazze. Di fronte a quella scena Andrea sorrise, perché si rammentò di quante volte lui stesso avesse fatto in quel modo quando era più giovane. Qualche volta, infatti, nel locale che lui e i suoi amici frequentavano in quegli anni, la domenica pomeriggio, per una mezz’ora venivano messi i “lenti”, come si diceva; ossia, succedeva che per un po’ finisse la musica a tutto volume, dal ritmo coinvolgente ed arrembante, e venissero fatte ascoltare canzoni sentimentali. Era proprio quella l’occasione, per i ragazzi, per provare ad invitare a ballare una ragazza, abbracciandola stretta e, qualche volta, cercando di ottenere un bacio. Naturalmente, per avere questa possibilità di invitare una ragazza a ballare, prima che cominciassero i lenti era necessario prepararsi il terreno, ovvero individuare una ragazza o un gruppo di ragazze ben disposte ad accettare l’invito. L’impresa, come Andrea si rammentava, appariva sempre molto ardua e lui spesso si sentiva sconfitto prima di cominciare; ciò nonostante, spinto da qualche amico più intraprendente, anch’egli partecipava all’azione di “avvicinamento”. Ma alla fine lui e gli amici si rivelavano quasi sempre molto impacciati, fallendo l’“abbordaggio”. Dopo aver individuato un gruppo di ragazze carine, Andrea e i suoi amici si avvicinavano a loro lentamente, all’apparenza senza farlo apposta, come se, trascinati dalla foga del ballo, fossero capitati per caso vicino a loro. Andrea ricordava l’assurdo batticuore di quei frangenti, le “occhiate” avide lanciate alle ragazze (ma cercando di non dare l’impressione di essere “allupati”), il tentativo di scrutare i loro occhi, di osservare i loro visi, i loro corpi (che nella foga del ballo lo attraeva a prescindere dalle loro effettiva fattezze), nella speranza che un cenno del loro volto esprimesse interesse o contentezza. Andrea, nella penombra e nel clamore della musica, qualche volte aveva maturato il “sospetto” che una delle ragazze gli rivolgesse il proprio sguardo e un sorriso ammiccante: forse in qualche occasione era successo davvero, altre volte era invece stata solo un’illusione. Tuttavia non era quasi mai accaduto, a lui e ai suoi amici, di conoscere qualcuno con quella “tattica”: infatti, a causa del rumore eccessivo, della timidezza, della sfortuna, nessuno di loro aveva mai avuto il coraggio di fare il primo passo. In genere continuavano a ballare, a sudare, a sperare, ad ammirare le ragazze fino alla fine del pomeriggio domenicale, poi l’“avventura” (se si poteva chiamare così) si concludeva, magari con un’ultima occhiata rubata alla più bella oppure, il massimo della gioia, con un “ciao” sussurrato da una di loro nel rumore assordante della discoteca colma di folla. Una volta, invece, ma una sola volta, un suo amico era riuscito ad invitare una ragazza a ballare un lento ed anche a baciarla; nondimeno, 3 alla fine delle canzoni, quando l’oscurità si era attenuata, l’amico si era accorto che la ragazza era davvero bruttina: l’aveva perciò congedata in modo frettoloso, lasciando sul volto di lei un’espressione di profonda delusione. Da parte sua, invece, alla fine della mezz’ora dei lenti, Andrea si avviava verso l’uscita mestamente, con il rimpianto di non aver abbracciato nessuna ragazza, incolpando di questo la propria timidezza ed avvertendo con amarezza la propria incapacità di fare il primo passo in quelle circostanze. Rievocando quel periodo della propria vita, Andrea sorrise; non ne aveva molta nostalgia, benché rimpiangesse gli anni passati. Tornato in sé, seduto su quella poltroncina scomoda, si accorse, con un po’ di amarezza, che nessuno dei suoi amici si era staccato dalla folla danzante per venire a chiamarlo. Rimase un po’ deluso per questo fatto, ma si disse all’istante, lucidamente, che non avrebbe potuto aspettarsi un tale gesto; eppure, in fondo al suo cuore, una parte di sé attendeva un’attenzione particolare, un riguardo speciale, una parola tenera verso di lui che sedeva in disparte lontano dagli altri. Possibile che a nessuno dei suoi amici importasse il fatto che lui se ne rimanesse solo, a riflettere, e non ballasse assieme a loro? Tuttavia, queste spiacevoli elucubrazioni si interruppero all’improvviso, allorché Andrea scorse Francesca ballare in mezzo alla folla. Il pomeriggio precedente quella nottata il suo amico Alfio aveva insistito a lungo affinché Andrea accettasse l’invito per la discoteca. Voleva bene ad Andrea, che conosceva da anni, e desiderava aiutarlo a superare quel periodo difficile, durante il quale egli appariva quasi sempre cupo e poco socievole. Alfio aveva detto ad Andrea, per indurlo ad accettare, che quella sera avrebbe potuto conoscere gente nuova e perciò evitare di pensare, almeno per qualche ora, ai propri guai. “Non sono io che penso ai miei guai, sono loro che pensano a me”, aveva ribattuto Andrea, con una di quelle espressioni paradossali che amava profferire per disorientare l’interlocutore e per mostrare la propria arguzia. Dopo aver sentito quella frase, Alfio, stupito, aveva preso ad osservare l’amico dal fondo dei suoi occhi azzurri, e gli aveva chiaramente detto che non lo comprendeva. Nell’udire quella risposta, Andrea aveva sorriso compiaciuto, pensando per un istante che l’amico fosse troppo superficiale per comprenderlo. “Forse farei bene ad isolarmi da tutti e a cambiare vita”, si era detto, scrutando Alfio con un’espressione tra il comprensivo e il canzonatorio, continuando però a tacere. L’amico invece lo aveva criticato nuovamente, ma con un tono di voce pacato, come fosse rassegnato alla sua testardaggine e non credesse che le proprie parole potessero scalfirla: 4 «Andrea, non mi sembra che fai bene a passare il tempo a macerarti, pensando a Francesca… le cose passate sono passate, non possono tornare come erano prima, anche se ci si pensa spesso, quasi sempre… non vedi che ti stai allontanando da tutti, non capisci che in questo modo perdi i contatti con le persone che ti vogliono bene? Perché non esci, perché non provi a conoscere gente nuova?». Dopo una pausa, Alfio aveva domandato: «E poi, non c’è quella ragazza, Antonella? Come va con lei? È tutto finito pure con lei?», Antonella era la ragazza che Andrea frequentava da un mese. Andrea, come se facesse uno sforzo immane a proseguire quella conversazione, aveva risposto sospirando: «No, Antonella è un altro tipo di ragazza; so che lei non può sostituire Francesca, anche se la vedo ancora volentieri. Però non è che penso a Francesca, ma mi fa rabbia averla perduta quando mi sentivo veramente innamorato, per la prima volta nella mia vita». «Sì, ti capisco Andre’, però allora dovesti veramente deciderti: o cerchi di chiamare di nuovo Francesca oppure… ti metti l’animo in pace, no? Così non stai peggio, sempre peggio? E non pensi quanto male fai ad Antonella, non dicendole la verità?». Le parole di Alfio erano semplici e chiare al tempo stesso, come sempre, persino banali, quasi trasparenti, come i suoi occhi che in quel momento fissavano Andrea in maniera affettuosa. Ascoltandolo, Andrea aveva avuto il sospetto che Alfio, al fondo del suo animo, lo stesse compatendo e per questo gli aveva gettato un’occhiata rapida, ma poi aveva sorriso tra sé con amarezza, rendendosi conto di quanto l’amico avesse ragione. Andrea non sapeva cosa rispondere a quelle frasi cariche di buon senso: si era voltato a guardare fuori dalla finestra, scorgendo l’azzurro del cielo stendersi in tutta la sua limpidezza, come un pavimento appena lucidato. Non vi erano nubi quel giorno, se non dei cirri filamentosi che tracciavano nell’azzurro delle piccole strisce bianche, simili a brandelli di vestiti strappati; Andrea aveva poi osservato la propria stanza, il tavolo di legno, il vecchio mobile a cassettoni, riverniciato da poco, le fotografie appese al muro e la riproduzione del celebre quadro di Gustav Klimt, Il bacio. Poi era tornato, sempre rimanendo in silenzio, a guardare attentamente il cielo, al di là delle foglie verdi della siepe. Il rumore delle auto che passavano nella strada oltre il suo giardinetto giungeva attenuato solo perché la porta a finestra che dava sul terrazzo era chiusa. Nel frattempo, Alfio era uscito dalla stanza per rispondere al telefono. Lo si sentiva ridere di gusto mentre chiacchierava con chi l’aveva chiamato. Forse si trattava di Lucia, la ragazza che vedeva saltuariamente 5 in quel periodo. Andrea invece, rimasto solo, aveva percepito all’improvviso sorgere in sé un forte anelito di libertà, assieme ad un orrore delle proprie paure, dalle proprie inquietudini ed incertezze; per un attimo, aveva avvertito l’impulso di gettarsi ai piedi dell’amico, in lacrime, per raccontargli quanto stesse male e quante giornate avvilenti stesse vivendo fra quelle pareti. Naturalmente non era successo nulla di tutto ciò e, forse per orgoglio, forse per il timore di mostrarsi debole e disperato, Andrea cercò di mascherare il proprio turbamento, chiudendosi in un’espressione del viso anonima e spenta: “Che senso avrebbe” si era detto “rivelare quello che provo?”. «Cosa succede Andrea, sei pensieroso?», gli aveva domandato Alfio, rientrato nella stanza, come volesse destarlo da quelle sue elucubrazioni ad occhi aperti. Andrea si era scosso a quelle parole: si era reso conto che l’amico lo stava fissando con uno sguardo tra il meravigliato e il perplesso. In quell’istante, Andrea aveva percepito disfarsi tutta la sua prosopopea, lo sterile compiacimento che gli davano i suoi atteggiamenti da vittima eterna di qualcosa o di qualcuno. Si era contemplato nello specchio di fronte a lui e ne aveva ricavato l’impressione di vedere un altro se stesso, un estraneo, quello che voleva essere veramente, senza riuscirci: un uomo in carne ed ossa, coi piedi piantati per terra. La sicurezza che pochi minuti prima lo aveva indotto a profferire quella frase paradossale (“Non sono io che penso ai miei guai, sono loro che pensano a me!”), era già svanita. Alfio, stanco di quel silenzio e un po’ seccato per quella sterile conversazione, aveva detto a un certo punto, augurandosi in quel modo di convincere Andrea: «Stasera naturalmente potrai conoscere qualche ragazza, perché no? E poi ci sarà pure Michela, quella ragazza che hai visto l’altra sera…, molto carina, ricordi? Quella che suona il pianoforte». «Michela?», aveva risposto Andrea, come se si fosse appena destato da un sogno confuso, cercando nella sua mente un’immagine che rispondesse alla descrizione “quella che suona il pianoforte”. «Sì, proprio lei», aveva confermato comunque Alfio, senza aggiungere altro, con un tono di voce rassegnato, come se avesse giocato la carta migliore, quella che, secondo i propositi, avrebbe dovuto persuadere Andrea definitivamente. Alfio nel frattempo aveva cominciato a fumare, avvicinandosi alla portafinestra e guardando fuori verso il giardino; Andrea lo aveva osservato in silenzio: in quel frangente l’amico appariva così placido e tranquillo da indurre Andrea ad invidiare la sua vita, la sua serenità e il suo buon senso. Il ragazzo perciò aveva sentito la volontà di conciliare i desideri e la gentilezza di Alfio, anche perché si era reso conto che stava facendo davvero una figura poco edificante di fronte a lui. In fondo, Alfio 6 gli voleva davvero bene, si preoccupava per lui e non era giusto trattarlo con sufficienza, ignorando le sue proposte per quella sera: «Va bene, stasera vengo, anche se sai che le discoteche non sono i miei posti». Udendo quelle parole Alfio, voltandosi verso Andrea, aveva squadernato un sorriso ampio, mostrando sollievo, piuttosto che gioia, di fronte alla decisione dell’amico che gli consentiva di andarsene. Se ne era andato da casa di Andrea un po’ meno preoccupato per la situazione dell’amico; al contempo, però, si era detto che non lo invidiava e che preferiva avere una quantità minore di sensibilità e soffrire di meno. Capitolo II – Il silenzio dell’amante Quella sera in discoteca dunque Andrea non stava bene: aveva caldo, sentiva noia ed il sudore gli dava la voglia di scappare via. Notò di sfuggita qualche ragazza poco vestita che ballava con sensualità e gli parve che anch’essa lo osservasse. In realtà, la ragazza non lo fissava affatto e Andrea sorrise della propria ingenuità, sebbene nel profondo dell’animo gli rimase una brama incontrollabile di vivere una semplice avventura, coinvolgente ed inebriante, con una ragazza a caso, scelta fra le bellissime di quella sera, lì nel buio. Questo desiderio gli si ritorse però contro, e allora un’altra idea gli balenò fulminea nella mente: “E se pure mi portassi a letto una di queste ragazze, cosa otterrei, cosa rimarrebbe in me? Nulla”, si disse. Ecco il suo tormento, la sua difficoltà, il suo dubbio assiduo: il pensiero del “dopo”, dei momenti che inevitabilmente seguivano le azioni, i gesti, le parole dette nel pieno della passione. Andrea temeva l’impotenza che segue l’atto sessuale, un’impotenza particolare, che non impedisce l’atto, ma anzi lo sollecita e magari lo volgarizza, rendendolo fisicamente necessario, però inadatto ad elevarsi verso le vette del sentimento oppure “abbassarsi” al rango di semplice avventura a sfondo erotico. Da quando Francesca lo aveva lasciato, Andrea non aveva più avuto la possibilità di amare con convinzione una ragazza. Erano diventate altresì più rade le occasione di fare un incontro particolare, piacevole, foriero di sorprese, capace di donargli entusiasmo, stupore e nuovi stimoli. Si era più volte detto che non doveva cercare una ragazza solo per avere qualcuna con cui stare e che, se non avesse trovato l’amore, avrebbe dovuto avere il coraggio e la forza di stare solo: questo almeno era quell’atteggiamento di imperturbabilità ed indifferenza che Andrea desiderava assumere di fronte a se stesso e agli altri. Ma si trattava di 7 velleità, di quelle convinzioni consolatorie che le persone inventano quando non possiedono l’amore. Andrea doveva spesso ammettere, ma lo faceva solo a se stesso, che vivere senza una donna sarebbe stato per lui quasi impossibile: da un lato perché avvertiva l’esigenza di un contatto fisico pieno, totale, appagante. Dall’altro perché credeva che l’amore, proprio grazie al piacere al quale è congiunto, fosse il mezzo principale per conoscere realmente l’altro, il cui carattere più profondo ci rimane quasi sempre ignoto se non interviene l’intimità dell’erotismo. Questo valeva naturalmente solo in relazione ai rapporti con l’altro sesso, dato che l’amicizia era per Andrea una forma non sufficientemente profonda di intimità. Insomma, per Andrea l’amore era, oltre che uno strumento della passione, una specie di mezzo di conoscenza, l’unico strumento che avrebbe potuto schiudergli l’essenza più intima dell’altra persona. E questa piena conoscenza dell’altra persona, basata su un erotismo consapevole, poteva secondo Andrea raggiungersi solo assieme ad una donna che fosse capace di condividere quell’idea. Infine, questa totale conoscenza dell’altro avrebbe consentito a lui di conoscere meglio anche se stesso: dunque, senza un vero amore, Andrea si sentiva perduto, sfuggente e vano, come un fantasma. Oscuro anche a se stesso e inconsistente. Naturalmente il ragazzo non aveva il coraggio di esporre queste idee agli altri, giacché temeva di essere frainteso o addirittura preso in giro. Rammentava che Alfio diverse volte l’aveva accusato di essere troppo intellettuale nel modo con cui affrontava i sentimenti; d’altra parte, Andrea stesso talvolta si domandava se quelle sue convinzioni fossero realistiche e se fosse effettivamente possibile vivere secondo i loro dettami. Avrebbe mai trovato quel tipo d’amore, quel rapporto che giudicava tanto appagante? Era difficile, lo sapeva, sebbene qualche volta, quando stava con Francesca, ne avesse avuto sentore. Ma si era trattato di attimi, di sensazioni passeggere e indefinibili. Le sue idee sull’amore come strumento di conoscenza andavano a costituire una concezione troppo severa (ed elevata) di questo sentimento; per questo Andrea, quando pensava all’amore concretamente, si rendeva conto che mai (o comunque difficilmente) avrebbe potuto raggiungerlo nella forma perfetta che lui agognava. Questa constatazione lo rendeva molto scettico sul proprio futuro sia come uomo che come amante. Perciò, come spesso accadeva, la lacerazione del suo animo diveniva viva e pungente e la stessa ricerca di una persona con cui stare lo angustiava e al contempo lo avviluppava completamente, precipitandolo in una disperata immobilità: sentiva di bramare un amore, una donna, temendo tuttavia di non essere in grado di starle a fianco in modo 8 duraturo, paventando la noia e la routine. E per questo aveva paura di rimanere solo, come stava succedendo quella sera in discoteca. Non aveva paura della solitudine, che spesso cercava, come testimoniavano le sue solitarie passeggiate o i lunghi momenti di riflessione; egli temeva invece la solitudine non voluta, quella inattesa, che giudicava l’anticamera della disperazione. Anche con Francesca tutto in fondo si era svolto secondo uno schema consueto, figlio della sua voglia d’amare ma pure della sua incapacità ad esprimere tale desiderio: all’inizio grande passione, intensa partecipazione ed esaltazione per una ragazza che gli piaceva molto e che lo aveva colpito per la sua apparente sicurezza e la sua capacità di carpirgli i pensieri. Per la prima volta Andrea aveva avuto l’impressione di frequentare una “vera” donna, non una semplice ragazza. Per alcuni mesi, all’inizio della relazione con Francesca, egli aveva assaporato l’idea che la ragazza sapesse dire le cose giuste al momento opportuno e che all’opposto sapesse tacere quando ce ne fosse bisogno. Per Andrea si era trattato di una scoperta bellissima, della quale poté godere ogni minuto passato con Francesca, tanto che, con uno slancio affettivo per lui inconsueto, un giorno aveva detto alla ragazza che gli attimi passati con lei erano dei “momenti perfetti”, nei quali egli si sentiva pienamente in sintonia con se stesso e con lei, senza la necessità, come invece gli succedeva in altre occasioni, di far vagare la propria mente altrove. Francesca forse non lo aveva preso sul serio quando egli aveva definito “perfetti” i loro momenti e lui stesso, in seguito, si era pentito di quell’affermazione improvvida, dettata da una foga eccessiva, da una suggestione letteraria che a posteriori gli era sembrata fuori luogo perché non autentica. Aveva parlato più per stupire la ragazza che per reale convinzione. E lei se ne era accorta. Per lungo tempo, durante i primi mesi, suggestionato da queste idee, Andrea desiderò (o almeno così gli parve che fosse) che Francesca diventasse sua per sempre e che potesse condividere tutta la vita con lui. Invece, nel giro di pochi mesi, quel senso di stupore un po’ ingenuo, quella contentezza quasi istintiva che provava accanto a Francesca, lo aveva abbandonato ed egli era tornato a fronteggiare l’usuale, tragico scarto fra le sue più profonde aspirazioni e la realtà plumbea che gli viveva addosso. Più tardi, a propria discolpa, si era detto che si era lasciato condurre in quella storia da mani non sue; era stato bene, se lo ricordava, ma in breve tempo si era sentito a disagio fra le braccia di quella donna che il suo corpo desiderava tanto. Sapeva di avere trovato una persona di grande valore e non riusciva a spiegarsi come mai il suo amore (ma era mai stato tale il suo sentimento?) si fosse sgonfiato così presto. Però quando 9 Francesca ebbe il coraggio di trarre le conclusioni da quella situazione che si era resa insostenibile per entrambi, Andrea aveva sofferto moltissimo, benché lui stesso, per primo, avesse compreso che il loro rapporto si stesse spegnendo. Ma non aveva avuto la forza d’animo per agire di conseguenza. I mesi seguiti all’ultimo incontro con Francesca, cioè al giorno in cui lei lo aveva lasciato, erano stati infatti molto travagliati per Andrea. Durante quel periodo egli non aveva intrecciato altre relazioni sentimentali, fino a che non aveva conosciuto Antonella; in precedenza erano nate delle simpatie, basate più sulla sua fantasia che su fatti reali: il modo con cui Francesca lo aveva lasciato aveva traumatizzato Andrea, facendo sorgere nel suo animo diversi dubbi rispetto alla propria capacità di comprendere gli altri, di mostrarsi sensibile e delicato come credeva di essere. E poi non era nemmeno certo di quale immagine di sé avrebbe voluto offrire agli altri in quel frangente della sua vita. Per questo, quando parlava con una ragazza, ma anche con un amico, si sentiva ogni tanto pietrificato, quasi intimorito dalla possibilità di commettere uno dei tanti errori che Francesca gli aveva rinfacciato. Questa situazione spesso lo faceva apparire agli altri poco disponibile al dialogo, eccessivamente timido; altre volte, tale atteggiamento veniva scambiato per apatia oppure per senso di superiorità, o arroganza, come era successo con una ragazza, sua ex collega di studi, la quale, dopo essere uscita due sere con lui, era scomparsa e non aveva risposto né alle telefonate, né alle lettere, né alle email di Andrea. Per un breve periodo, infine, gli accaduto di vedersi con una ragazza, Eleonora, a cui Andrea pensava di tenere molto. Eleonora era graziosa, aveva capelli lisci e scuri, molto lunghi, un visto minuto, una bocca ed un naso appena pronunciati. Una sera, dopo essere stati a cena, quando stavano per salutarsi, pentiti, entrambi, di quello che non si erano detti e dei gesti che non avevano compiuti, Andrea aveva sciolto la propria timidezza e l’aveva baciata, prima con timore, poi sempre con maggiore convinzione, nonostante l’apparente ritrosia di Eleonora. Tuttavia, giunti al momento dell’amore, era accaduto un fatto imprevisto. Mentre la stringeva tra le braccia, Andrea aveva avvertito nelle narici l’odore del profumo di Eleonora ed aveva compreso perché per tutta la sera aveva avuto la percezione di stare con qualcuno che aveva già conosciuto: il corpo della ragazza, nudo di fronte a lui, attraente nel suo roseo colore, emanava lo stesso odore di quello di Francesca! Evidentemente Eleonora usava il medesimo profumo di Francesca (un profumo peraltro molto comune) e la percezione di quell’essenza, esaltata dall’ambiente angusto dell’abitacolo 10 dell’automobile, aveva paralizzato Andrea, richiamando alla sua mente un fiume di rimpianti e di ricordi mai sopiti nel suo animo. Colpito da quella inattesa sensazione, Andrea si era ritratto all’istante dalla ragazza, lasciandola senza parole e chiamando in causa un improvviso malessere per giustificare quella che, agli occhi di lei, appariva essere una vera e propria défaillance. Forse era stato per quel motivo che, poco dopo, Andrea si era ritrovato comunque fra le braccia di Eleonora e, per fugare in lei ogni sospetto di sue difficoltà, aveva messo una certa foga ed un grande trasporto nel rapporto sessuale. Malgrado ciò, tornando quella sera a casa, sentiva la propria bocca amara. Percepiva di aver ceduto ai sensi non per effettivo desiderio, ma perché sapeva che in una situazione di quel genere era necessario atteggiarsi in quella maniera, ossia adeguarsi al modo d’agire che la maggioranza degli uomini avrebbe adottato se si fosse trovata al suo posto. Insomma, Andrea aveva fatto la cosa più scontata, per una volta: la situazione lo aveva costretto ad agire, lo aveva obbligato a compiere l’azione più adatta alle circostanze in cui si trovava. Ma aveva definitivamente compreso che, nonostante il tempo trascorso, lui rimpiangeva ancora Francesca. Capitolo III – L’incontro, all’improvviso Quella notte in discoteca ad un certo punto Andrea, mentre era intento ad osservare la folla danzante, vide la schiena di una ragazza, il corpo dalla nota figura, i capelli vaporosi nella penombra della discoteca; poi questa ragazza si voltò ed Andrea scorse il viso che per tanto tempo aveva desiderato, e infine l’immagine di Francesca che ballava gli balenò di fronte, lasciandolo senza fiato. A quella vista il suo cuore cominciò ad accelerare, mentre la mente prese a fluttuare in un mare di ricordi e di immagini del passato. Placatosi il fugace stupore che lo aveva colto, Andrea si alzò di scatto dalla poltroncina e, con l’emozione che gli stringeva la gola e serrava il petto, prese a fendere la folla convulsa, indistinta ed oscura, che si dimenava di fronte a lui. Il rumore era assordante, le persone erano accalcate le une contro le altre, eppure Andrea non distoglieva lo sguardo dal punto in cui aveva visto Francesca, come se avesse un mirino ad infrarossi puntato su di lei. Tuttavia, i suoi passi divennero ben presto lenti: spesse volte fu costretto a fermarsi, un po’ per la calca, un po’ perché, a mano a mano che s’avvicinava alla ragazza, percepiva venire meno la determinazione. Ebbe l’impressione di camminare in mezzo a un nugolo di fili stesi per terra: incespicò e si dovette più volte arrestare; dopo ogni pausa riprendeva a 11 fatica il cammino, ma solo per brevi tratti, irretito non tanto dalla confusione, bensì dalla mancanza di coraggio. Si domandava se Francesca, scorgendolo, lo avrebbe salutato, se sarebbe stata felice di rivederlo o quantomeno gli avrebbe sorriso. Temeva per la verità d’essere ignorato, di scoprirla abbracciata a qualcun altro. Per questo il cuore di Andrea bombardava il petto con colpi secchi. Stordito da queste riflessioni, dalla calca, dalla musica a tutto volume, Andrea cominciò ad urtare contro quelli che ballavano, i quali non lo videro né lo udirono, benché egli balbettasse delle scuse. Francesca però non si trovava più dove l’aveva vista poco prima, bensì si stava allontanando con le sue amiche (questa almeno fu l’impressione di Andrea). Giunto quasi al centro della pista, ostacolato dalla folla, sfiancato dal caldo e dall’odore di sudore e profumo, Andrea si chiese perfino se non avesse visto male, se avesse scambiato Francesca per un’altra. In realtà, era certo che fosse lei e capì che cercava solo una scusa per giustificare la propria mancanza di risolutezza. Diede la colpa alla folla, al chiasso e si consolò, pensando che aveva quantomeno compiuto un tentativo per chiamarla, ma che il destino glielo aveva impedito. Tornò a sedersi deluso e amareggiato. Quasi immediatamente il rimorso per quell’incontro sfiorato cominciò a effondersi in lui. Si vergognò di essersi mostrato tanto impacciato; si guardò attorno più volte con aria colpevole, come se tutte le altre persone lo stessero osservando e lo stessero deplorando per non essere riuscito ad arrivare a Francesca: in realtà, nella discoteca il ballo continuava senza sosta, nessuno si era accorto di quello che gli era successo. Mentre era assorto in questi pensieri, Alfio si sedette vicino a lui, toccandogli la spalla. A quel contatto, Andrea si sentì come liberato da una specie di incubo e fissò l’amico con muta gratitudine. Alfio gli propose di andare a bere qualcosa al bar, dove entrambi si sedettero cominciando a parlare con una certa allegria, dal momento che al bar il rumore giungeva attenuato ed Andrea aveva voglia di discorrere, dopo lo smacco di poco prima. A loro si aggiunse anche Giovanni, un loro comune amico. Alfio e Giovanni erano sudati e felici, i loro occhi erano vivi, i sorrisi raggianti, o almeno così essi apparvero ad Andrea, il quale credeva che in quel posto lui fosse l’unico ad avere il diritto di essere triste. Si sentiva tuttavia sollevato perché la penombra del bar impediva agli altri di accorgersi del suo stato d’animo. Alfio gli chiese: «E allora musone, cosa c’è?». Andrea squadrò l’amico, ma sorrise e rispose secco: «L’ho vista. Ho visto Francesca che ballava… Non me lo aspettavo, non ci pensavo insomma…». 12 Alfio smise di ridere (o almeno questo parve ad Andrea), mentre Giovanni si sporse in avanti come per ascoltare meglio. Andrea si sentì immediatamente infastidito dalla curiosità di Giovanni, ma non esternò questo suo disagio, perché in fondo era lui la persona che gli aveva presentato Francesca: la conosceva perché era stato compagno di classe del fratello di lei. Alfio invece sospirò perché aveva sonno e non aveva voglia di ascoltare i lamenti dell’amico, alle tre di notte. Giovanni confermò la “versione” di Andrea: «Anche io l’ho intravista. Non ero sicuro, ma ora che lo dici tu». Poi aggiunse, come se volesse attenuare l’amarezza dell’amico: «Però era senza uomini attorno, ballava con altre ragazze». Ma la frase, proferita come un sussurro, si perse nel trambusto del bar. I ragazzi tacquero per qualche istante immersi nella confusione. Alfio disse allora: «Andrea, poteva capitare, ma… ti capisco… ci pensi ancora, certo, lo immaginavo». Andrea non comprese con quale tono l’amico avesse pronunciato quella frase e per questo lo guardò con irritata curiosità: nonostante i tentativi fatti da Andrea per dissimulare il proprio disagio, Alfio aveva agevolmente realizzato che i suoi malumori erano dovuti a Francesca. Che senso aveva dunque fingere e nascondere quel che provava? Andrea si sentì ridicolo, vedendo come fossero vani gli sforzi per celare agli amici i propri patimenti, dato che non era necessario un grande acume per capire cosa stesse provando. Ma non aggiunse nulla alle parole dette in precedenza; rimase in silenzio masticando tristezza. Nel bar le persone parlavano a voce alta, per superare il rumore della musica che anche lì giungeva deciso, seppure meno forte che in pista. Molti clienti ridevano, appoggiati al bancone: nelle mani dei camerieri le bottiglie scintillavano alla luce delle lampade di vetro, mentre i bicchieri venivano riempiti e svuotati in fretta da baristi sorridenti e da bariste con vestiti attillati. La luce comunque era soffusa, timida, quasi a contrastare lo sfrenato lucore della sala a fianco, traboccante di gente. Andrea pensò di nuovo di essere l’unico a provare tristezza in quel posto. Percepiva crescere progressivamente dentro il proprio animo l’angoscia; si sentì un intruso in quel luogo scintillante, come una persona capitata lì per caso. Gettò un’occhiata avida ad una ragazza bella e quella gli rispose voltandosi a parlare con un’altra. Ad Andrea parve addirittura che le due si baciassero e, vedendo che era davvero così, indicò la scena ai due amici, i quali si voltarono e risero. Tornando a casa, Andrea chiese ad Alfio di lasciargli fare a piedi gli ultimi metri prima della sua abitazione: una sensazione di nausea lo avvolgeva ed era sul punto di cadere per terra dal disgusto. Non era una nausea di stomaco, bensì qualcosa che sembrava diffusa nell’aria circostante e perciò 13 capace di macchiare di sé le case, gli alberi, l’asfalto della strada, i gatti che camminavano silenziosi e le rare auto che passavo a quell’ora. Andrea percepiva questa nausea entragli nei polmoni con il respiro, a tradimento: non poteva evitare di respirarla sebbene essa lo facesse stare molto male. La testa era in ebollizione: in lui si mescolavano vari sentimenti, fra i quali però nessuno prendeva il sopravvento. Il suo cuore, spesso giudicato dagli altri troppo gelido, era invece, in quell’attimo, dolente, sfiancato da dosi massicce di malinconia e tristezza. Il primo mattino di quel giorno di fine di maggio era fresco, bagnato da una pioggia delicata che cadeva senza quasi far rumore allorché si poggiava sugli alberi, sulla strada, sui tetti delle case che si allungavano, austere e oscure, alla sinistra di Andrea. Dall’altro lato della strada, al di là della carreggiata, un viottolo lastricato costeggiava una roggia che scorreva verso chissà dove, mentre i neri pioppi affiancati al viottolo sembravano appoggiarsi annoiati ai lampioni annegati in una tetra luminosità arancione, fino a confondere le loro magre fronde con l’alone della luce. Oltre la roggia e il muricciolo di pietra che la delimitava, c’erano altri condomini anonimi ed oscuri, con balconi e finestre serrate. E silenzio. Andrea non si aspettava che rivedere Francesca gli avrebbe potuto provocare tanto patimento. Da quando lei lo aveva lasciato aveva cercato di dimenticarla e anzi, in pubblico, talvolta aveva parlato di lei con rancore, come a voler offuscare il suo ricordo e renderlo in tal modo meno affascinante anche per se stesso. Evidentemente invece, nel suo animo, Francesca gli mancava molto, non solo perché l’aveva amata, ma perché era stata lei la prima donna che gli aveva fatto assaggiare quanto fosse bello toccare la piena sintonia in una coppia. Si trattava dei famosi “momenti perfetti”, da lui così ribattezzati in un attimo di euforia. Tuttavia, proprio stando con Francesca, Andrea aveva compreso quanto fosse fragile questa sintonia e quanto impegno ci volesse per mantenerla viva, ogni giorno: lui non ne era stato capace e Francesca glielo aveva rinfacciato, criticando alcuni tratti del suo carattere, tratti che Andrea, invece, aveva sempre giudicato positivi. Ad ogni modo, benché non avesse mai ammesso, di fonte a lei, le proprie colpe, Andrea in seguito, riflettendo su quello che Francesca gli aveva detto, le aveva dato ragione, senza naturalmente far sapere a nessuno questa cosa. Una punta d’orgoglio soffocava in lui questo impulso di onestà. Ecco perché quella notte in discoteca Andrea era rimasto tanto colpito dal rivederla: non era tanto il ricordo dell’amore, bensì era soprattutto la memoria della sensazione di pace e di equilibrio interiore, assaporata qualche volta in compagnia di Francesca, che gli era tornata alla mente. Se, dopo aver scorto la ragazza in mezzo alla folla della discoteca, stava tanto 14 male, voleva dire che la teneva ancora nel cuore e che era stato un pazzo a perderla, dopo averla conquistata. “E se riprovassi a corteggiarla?”, si disse all’improvviso, mentre camminava sotto il porticato. Ma gli sembrò un’impresa titanica. Allora, come gli accadeva quando accendeva realmente i riflettori su se stesso, venne colto da un senso di totale pessimismo sulla propria vita, sul proprio avvenire, sul senso di quello che faceva o pensava. Eppure, rifletté prima di entrare in casa, in un attimo di minore scetticismo, Francesca avrebbe dovuto sapere che lui aveva compreso i propri errori, che era cambiato; Andrea si disse che avrebbe rivelato ai suoi amici che la colpa per la fine del loro rapporto era stata solo sua e che avrebbe riabilitato Francesca ai loro occhi, in modo da non aver nulla di cui vergognarsi. Pensò ad Alfio, il quale si era accorto dei suoi patimenti nonostante egli cercasse di mascherarli: forse l’amico aveva intuito che le sue parole cattive contro Francesca erano dettate solo dal rancore. Di nuovo allora Andrea si sentì a disagio, nudo e colpevole di fronte agli altri. Si fermò di fronte alla porta di casa, ascoltando il silenzioso gocciolare della pioggia e si scoprì desideroso di piangere, ma non ci riuscì; forse non ne valeva la pena: probabilmente le lacrime sarebbero servite in un altro momento. Provava tanta malinconia ed il cielo nero e gonfio gli sembrò un drappo di dolore pronto a cadergli addosso per soffocarlo. Entrato in casa, mentre si avviava verso la propria stanza, si fermò nuovamente ad ascoltare il silenzio della notte. Sentì passare qualche macchina, percepì lo sciabordio delle ruote sull’asfalto bagnato e il lento rumore delle gocce di pioggia sulla grondaia. Si domandò dove fosse Francesca in quell’istante, si augurava che fosse a letto… da sola (un brivido di dolore accompagnò questo suo pensiero)… poi entrò in camera sua, tra i suoi libri, i suoi dischi. Si tolse i vestiti, avvertendo con disgusto l’odore di fumo che essi emanavano. In bagno si asciugò energicamente il viso e si lavò a lungo, meticolosamente, profumandosi alla fine con attenzione, come per togliersi di dosso il dolore e la sofferenza di quella sera. Si guardò allo specchio e si vide triste e sconfitto: gli occhi vitrei, i capelli in disordine, la bocca pallida. Prese sonno a fatica. Capitolo IV – Un pomeriggio invernale, mesi prima… (flash-back) Durante la notte lo tormentò il ricordo di quel pomeriggio di quattro mesi prima, quando Francesca gli aveva comunicato di volerlo lasciare; quella volta Andrea non era stato capace di dire molte cose. Inoltre, solo ascoltando i discorsi lucidi che la ragazza gli faceva, realizzò quanto ella avesse al fondo ragione nel criticarlo. Per questo Andrea quel giorno maturò 15 nel proprio animo la consapevolezza che la gran parte della colpa per la fine della loro storia fosse sua. Quel pomeriggio scoprì anche quanto poco conoscesse Francesca, dato che non avrebbe mai immaginato che, in un momento tanto triste, ella sarebbe stata capace di mantenere la calma in quella maniera. Eppure, l’ammirazione che Andrea provò per la lucidità di Francesca non superò la barriera del suo animo; egli infatti, per orgoglio, non volle (o non poté) esternare questa sua sensazione e, perciò, la ragazza, per quasi tutta la discussione, pensò di avere al proprio fianco un uomo insensibile e permaloso. Andrea non riuscì a vincere la lacerazione presente nel proprio animo al cospetto di Francesca: nel fondo egli stava male e sarebbe stato pronto a cospargersi il capo di cenere di fronte a Francesca; invece, esteriormente, egli apparve indifferente e, agli occhi di Francesca, assai irritante. Francesca si aspettava invece che il ragazzo, rendendosi conto che lei gli stava comunicando di voler chiudere la loro storia, mostrasse una reazione adeguata: disperata, dolorosa oppure rabbiosa. Se fosse successa una cosa simile, Francesca avrebbe forse potuto rimettere ogni cosa in discussione, dal momento che nemmeno lei era del tutto certa di voler terminare quella relazione. E invece, la freddezza e l’apatia che Andrea quel pomeriggio le mostrò, resero Francesca ancora più sicura della propria scelta. Francesca aveva infatti passato attimi difficili nel periodo precedente quel pomeriggio. Stanca, confusa, amareggiata, aveva sofferto sia per il fallimento di quella storia, sia per la mancanza d’amore di Andrea (e l’aveva mai realmente amata in quei cinque mesi?), sia per la propria sprovvedutezza, sia, infine, per l’esser stata costretta a frequentare un uomo spento e che stava con lei solo per inerzia. Nelle ultime settimane, i rari momenti di passione che avevano vissuto, inoltre, erano stati legati soltanto al sesso, e la foga che Andrea metteva nei loro rapporti intimi appariva, agli occhi di Francesca, un altro atto di egoismo, stante la freddezza che precedeva e seguiva quei rapporti.. Lei stessa, appena poteva, si sottraeva all’amore, ma non era sempre possibile e di frequente cedeva per non litigare. Insomma, Francesca era arrabbiata con se stessa, oltre che con Andrea, perché non credeva che avrebbe impiegato tanto tempo ad accorgersi di stare con l’uomo sbagliato. Perciò quel giorno, al parco dove si erano dati appuntamento, gli occhi di Francesca erano affaticati, cerchiati da rughe, mentre il viso era roseo, ma solo a causa del freddo e dell’umidità. Quel colore nascondeva in realtà un grande pallore che fece sussultare Andrea, appena egli lo scorse. Per questo, appena si incontrarono, egli cercò di abbracciare Francesca, addirittura di baciarla sulla bocca come se nulla fosse, come se un gesto così rituale per due innamorati potesse cancellare d’un colpo la loro storia in agonia. La ragazza fu sorpresa da quel gesto tanto usuale per due innamorati che si 16 incontrano: di fronte ad esso, la sua anima ebbe un sussulto e, afferrata da un improvviso anelito di normalità, Francesca fu sul punto di cedere. Tuttavia si trattò solo di un attimo, poiché quasi subito la ragazza si allontanò da Andrea, andandosi a sedere sulla panchina, tenendo gli occhi bassi e mettendosi a guardare il prato e la terra brulla. Per qualche minuto, prima che i ragazzi iniziassero a parlare, solo il silenzio regnò tra di loro. Se qualcuno li avesse visti seduti fianco a fianco, li avrebbe scambiati per due estranei: Andrea sembrava trovarsi lì per caso, con il suo viso annegato in un’espressione contratta e anonima. Francesca appariva una donna stanca, sofferente, spenta nella desolazione di quel pomeriggio freddo di febbraio. Non era facile per nessuno dei due, dopo tutti quei mesi in cui avevano creato confidenza ed intimità e avevano parlato molte volte di cose da nulla, affrontare discorsi tanto gravi e infelici. «Andrea, magari immagini perché ho voluto vederti oggi… », disse comunque Francesca ad un certo punto. «Sì, certo… », rispose il ragazzo, senza aggiungere nulla, mostrandosi cupo e abbattuto. Francesca si domandò se quell’atteggiamento freddo fosse dettato da tristezza oppure da rabbia; optò per questa seconda ipotesi e dalla sua mente sparì ogni remora, ogni dubbio: doveva lasciare Andrea. Dopo aver sospirato per la delusione, Francesca prese fiato, si diede coraggio e disse: «Andrea, io ho creduto molto in questa storia, mi ci sono buttata con entusiasmo, come sai, e all’inizio ho avuto molto da te… poi però... qualcosa si è spento tra di noi». La ragazza parlava a fatica giacché la voce sembrava mancarle. Eppure, a mano a mano che il discorso procedeva e riusciva ad affermare tutte le cose che aveva temuto di non avere il coraggio di dire, Francesca diventò meno incerta. Perciò seguitò a parlare con maggiore determinazione, divenendo sempre più irritata con Andrea. «Ho notato che in poco tempo sei diventato arido e scostante, che non sei più gioioso ed affettuoso come all’inizio… Mi sono sentita quasi sfruttata da te. Sì, perché mi sono data completamente a te (forse sono stata troppo precipitosa, lo ammetto) e adesso sono come derubata, impoverita dal tuo egoismo… scusa se parlo così, ma voglio essere chiara». Andrea, di fronte a quelle critiche, parve impassibile. In realtà, nel suo animo, cresceva un moto di disperazione, oltre alla sensazione di aver commesso, per superficialità, errori gravi che gli avevano sottratto la possibilità di amare Francesca. Nondimeno, non replicò nulla alla ragazza: si sentiva debole ed impreparato ad ammettere agli occhi di lei le proprie colpe. Sapeva che non le avrebbe chiesto scusa, né che si sarebbe difeso dalle accuse. Perciò alle parole della ragazza rispose semplicemente: «Sei fin troppo chiara». 17 Francesca, seccata sia dal tono dimesso di Andrea, sia dalla necessità di dover svolgere un monologo al posto del dialogo a cui aveva pensato, riprese a parlare: «Ammetto che posso aver fatto degli errori, sì, forse mi sono ‘attaccata’ troppo a te e ho cercato in te qualcosa che tu non potevi darmi… oppure che non volevi darmi». Ad Andrea sembrò che Francesca avesse pronunciato quelle ultime parole con una lieve incrinatura della voce e cercò di individuare negli occhi della ragazza le lacrime incipienti, segno di un suo ripensamento. Tuttavia si sbagliò: scorse nel volto di lei soltanto una ruga di sofferenza che disparve quasi subito; comprese dunque che non c’era speranza per lui: stava per essere un’altra volta sconfitto dall’indifferenza, dalla propria doppiezza, dall’incapacità di mostrarsi realmente per quel che era, forse dall’eccessivo amore verso di sé. Per questo, seduto su quella panchina, non fece nulla, nessun gesto che potesse rivelare quello che stesse provando: bocca e viso rimasero come cristallizzati in una ineluttabile immobilità esteriore. A un certo punto Francesca disse piano ad Andrea, come se volesse scandire bene le parole al fine di evitare equivoci: «Devo lasciarti, Andrea e credimi, mi costa parecchio farlo. Ci ho riflettuto tanto, ho sofferto perché mi sento sconfitta e delusa da te e da me stessa, dalle mie scelte affettate. Ho concluso che stare da soli sia per tutti e due la cosa migliore». Allora Andrea finalmente parlò, ma meccanicamente, solo perché si rese conto che doveva pur dire qualcosa: «Francesca, mi dispiace che tu dica così. Non mi aspettavo che le cose sarebbero andate in questo modo». Tacque un secondo, incerto su come proseguire e vagamente pentito della frase banale che aveva pronunciato; poi aggiunse: «Chissà, forse è successo tutto così rapidamente, forse avevamo bisogno di tempo, forse...». Andrea presto smise di parlare, giacché si accorse di esprimersi senza prestare fede a quel che diceva. Inoltre, gli sembrava che, qualsiasi sillaba avesse espresso, essa sarebbe risultata incapace di arrivare al cuore di Francesca. A differenza di quel che avrebbe voluto, non gli vennero in mente frasi ad effetto, né parole romantiche, colme di pathos; invece, gli salirono alle labbra solo espressioni retoriche usurate che non ebbe il coraggio di pronunciare. Era come se il freddo di quel pomeriggio che prendeva i colori serali gli avesse gelato la gola. Francesca al suo fianco, liberatasi dal peso di dovergli dire di volerlo lasciare, taceva, delusa da Andrea ma fiera di se stessa, respirando con maggiore tranquillità la fredda aria di febbraio. Poco dopo, Andrea disse di nuovo qualcosa, però con un tono dimesso, come parlasse solo a se stesso: «Ti vedo così decisa, determinata… ti invidio per questo tuo atteggiamento, come ho sempre invidiato la tua calma, la tua capacità di 18 apparire forte nonostante la fragilità che hai dentro in te. Per questo mi sento muto e… mi vengono in mente parole che so che non faranno effetto su di te… perché il mio tempo è scaduto… me lo sono giocato, come al solito». Il ragazzo rimase in silenzio per osservare l’effetto di quelle parole. Francesca non gli rispose immediatamente: questo atteggiamento rese Andrea ancor più demotivato, perché aveva sperato, parlando, di suscitare una reazione benevola nella ragazza. Invece, poco dopo, Francesca disse, proprio riprendendo il discorso di Andrea: «Andrea, di tempo ne abbiamo avuto tanto… tu non sei più lo stesso ragazzo di cinque mesi fa. O almeno, di come mi sei apparso quando ti ho conosciuto. Sei diventato freddo ed impenetrabile, sembri geloso di te stesso. Non si capisce mai quello che pensi, quello che vuoi, è come se non ti importasse nulla e per te tutto fosse uguale. Negli ultimi mesi non mi hai quasi mai detto una cosa carina, non m hai mai fatto un regalino da niente, un cioccolatino, non mi hai mai fatto una di quelle gentilezze, anche banali… lo ammetto, ma che tengono comunque in piedi un rapporto…». Francesca fece una pausa e mandò un sospiro, come spazientita; poi soggiunse, alzando il tono della voce e guardando Andrea dritto negli occhi: «Sai che malinconia fare la parte dell’amante insoddisfatta, della donna nevrotica, di quella che non capisce, di quella che rivendica tutto, di quella che distribuisce i torti e le ragioni… mi sembra di essere una ragazzina stupida… ma che devo fare… io… io non riesco a fregarmene come fai tu, a fare sempre il brillante…». Poi, abbassando la voce, aggiunse: «non posso far finta che non succeda mai nulla, accettare ogni cosa, alzare le spalle di fronte a tutto, guardare sempre avanti e ignorare i problemi». Francesca si sentì a disagio nel rivendicare quegli oggetti e quei gesti (i regali insignificanti, la frasi carine) che le erano sempre sembrati appannaggio di storie d’amore sentimentali e noiose. Nondimeno, non le era venuta in mente nessuna frase memorabile per giustificare l’amarezza che l’atteggiamento di Andrea le causava. E, d’altra parte, avrebbe avuto senso andare ad inventarsi delle affermazioni romantiche che non avrebbero nemmeno sfiorato l’animo di Andrea, spegnendosi sul terreno gelato? L’amore in quel momento le appariva banale e retorico e quelle sue “minime” rivendicazioni le parevano appropriate, e per di più giudicava le proprie aspre parole un’àncora di salvezza in grado di tenere a freno i dubbi che comunque, anche in quel frangente, continuavano ad angustiarla. Andrea ascoltò le frasi di Francesca percependo il freddo della sera di febbraio entrargli nella carne come tanti spilli. Avrebbe voluto rivivere quella giornata, fermare il tempo e ricominciare ogni cosa daccapo. Ma Francesca riprese a parlare, come se volesse chiosare il discorso fatto in precedenza: 19 «Scusami Andrea, ma ti vedo... immaturo… e poi… poi prigioniero, non so di cosa, ma prigioniero, insomma». Proprio allora il guardiano del parco intervenne, dicendo loro che si avvicinava l’orario di chiusura. I due ragazzi risposero cortesemente, avviandosi verso l’uscita. Andrea camminava con la testa bassa, distratto e sconsolato al tempo stesso. Soffriva e taceva: a mano a mano che il cancello d’uscita si avvicinava, vedeva svanire qualsiasi possibilità di rimediare ai propri errori. Sconforto, indolenza e senso di impotenza si impastavano nel suo animo, paralizzandolo. Avvertì tuttavia la necessità di dover fare qualcosa per mostrarsi vivo, per non lasciar terminare quell’incontro senza compiere almeno un gesto, che fosse di rabbia, di sofferenza o di qualsiasi altro genere. Però, al tempo stesso, si rese conto di non essere in grado di decidere alcunché, di avere una reazione adeguata alla situazione. Aveva un groppo in gola. Francesca invece si sentiva leggera e sollevata mentre guadagnava l’uscita del parco; dopo i tormenti delle ultime settimane, dopo lo sforzo disumano (così le era parso) sopportato per affrontare quella discussione, si accorgeva che nel suo animo la tensione si stava sciogliendo di colpo. Si disse di essere più forte, più determinata, forse più donna, in grado di affrontare davvero la vita e le sue strade impervie. Pensando al futuro che l’attendeva era colta da un brivido di contentezza: si immaginava le persone che avrebbe potuto conoscere, le cose che avrebbe potuto fare, libera da quel peso che da tempo le aveva tolto ogni sorriso. Eppure, nonostante queste idee, Francesca era ancora tormentata da una punta di malinconia. Ne conosceva il motivo, ma non voleva dar peso a nessun rimorso. Appena oltrepassarono il cancello, come a volersi congedare senza ira o rancore, Francesca disse con un tono di voce morbido, conciliante: «Andrea, penso che tu abbia capito quanto ho faticato per prendere questa decisione... ». «Me lo hai già detto», rispose invece Andrea bruscamente, senza rendersene conto e conferendo alla propria voce un tono ostile. Udendo quel tono, Francesca perse la calma e disse al ragazzo, guardandolo severamente negli occhi: «Vedi come sei? Sei finto, irreale…vuoi sempre far dare ad intendere agli altri che nulla ti importa, che nulla ti ferisce e che nulla ti interessa! Sei sempre integerrimo, appari tranquillo, sicuro di te, come fossi perfetto! Ma è chiaro che non può essere così ed allora il tuo disprezzo per gli altri, il tuo guardare alla vita con indifferenza e cinismo, è solo un comportamento falso e, lasciamelo dire, proprio patetico!». 20 Francesca smise di parlare ansimando, mentre il freddo continuava ad entrare nella gola a folate irregolari. Provò dolore per quel che aveva appena detto, non perché fosse dispiaciuta per Andrea, bensì perché stava realizzando quanto fosse stata superficiale ad aver creduto di amare una persona che si rivelava tanto inautentica. E si disse che la discussione del pomeriggio, il tono pacato che lei aveva adottato, non meritavano una risposta tanto “acida” da parte di Andrea. Quest’ultimo da parte sua, ferito da quelle accuse, controbatté alle parole di Francesca alzando la voce: «Ma che diritto hai di sgridarmi in questo modo come fossi un bambino sorpreso a rubare in cucina? Con questa tuo moralismo, questo tuo dare giudizi di ogni tipo, come se tu non avessi mai colpe, mai torti? Che ne sai di me, della mia vita, di quello che sento, di quello che ho, di quello che non ho, che ne sai, dimmi!?». «So solo quello che mi fai vedere tu», rispose Francesca sorridendo con amarezza, affatto turbata dalle parole di Andrea e dal tono con cui le aveva pronunciate; inoltre, per non lasciargli il tempo di replicare a tono, soggiunse: «Nulla ti si può dire, non si possono mettere in dubbio le tue idee, il tuo equilibrio. Ma non ti rendi conto che questo tuo egoismo è penoso, patetico? Non solo tu ti ritieni più importante di tutti gli altri, ma pensi che gli altri non siano nulla e che contino qualcosa solo se ti servono, ti sfiorano, se entrano nella tua orbita di interesse». «Accidenti, sei stata pochi mesi con me e mi conosci così bene… complimenti davvero», ribatté Andrea, pieno di rancore, ma vuoto di parole, impotente contro le accuse della ragazza. Nondimeno Francesca non prestò attenzione all’accusa che le veniva mossa e anzi riprese a parlare: «È inutile che fai dell’ironia, mi dispiace dirti queste cose, ma sei tu che me le tiri fuori. Te lo ripeto, di te, purtroppo, conosco solo quello che tu mi hai fatto vedere. Il tuo nasconderti, la paura di mostrare agli altri il tuo vero volto ed i tuoi sentimenti, le tue finzioni, il non sapere mai, mai, quello che pensi realmente, quello che vuoi, quello che non vuoi. Come fai a vivere così, nella bugia, nella falsità? Che senso ha stare insieme a te? Meglio stare sola, tanto sola lo ero anche con te. A cosa ti servo io, d’altra parte, se non provi nulla per me? È meglio pure per te stare solo». Pronunciando queste parole, Francesca si sentì ancora più forte e determinata di quanto lo fosse in precedenza; per questo aggiunse immediatamente, come se non volesse perdere la carica che il discorso appena fatto le aveva donato: 21 «Quando stavamo assieme, all’inizio, mi hai detto qualche volta che ti sentivi felice, ricordi? A me faceva piacere che lo dicessi, ma mi sembrava un po’ prematuro quel tuo entusiasmo: la felicità non si racconta, ma si vive. Però adesso comprendo che parlavi a vuoto. Io credo che la vera felicità la si abbia solo in due, stando assieme e che la solitudine renda l’uomo un essere dimezzato. Forse la tua vera aspirazione, anche se non la conosci ancora, è quella di essere un uomo dimezzato… Hai mai pensato veramente a queste cose? Che senso ha stare soli? Vivere come una metà?». Le ultime frasi di Francesca sembravano rivolte più a se stessa che ad Andrea. Il ragazzo cercò di rispondere a tono a queste riflessioni che lo pungevano nell’animo; nondimeno, avvertì dentro di sé la malinconia crescere a dismisura e perse ogni forza. Disse solamente: «Sì, la felicità si ha solo in due. Però bisogna volerla, tutti e due, al momento giusto ed incontrarsi proprio quando questo desiderio di felicità coincide. Per questo è tutto così difficile, tra uomo e donna». Francesca non rispose nulla a queste parole, che condivideva e che giudicava ragionevoli; alla fine, mestamente, si salutarono come due estranei, traboccanti più di malinconia che di rabbia, mentre il guardiano del parco aveva da tempo chiuso il cancello alle loro spalle. 22 Capitolo V – Il dubbio assiduo dell’amante La mattina successiva all’incontro con Francesca in discoteca, Andrea si alzò con la testa di pietra e gli occhi arrossati; mangiò qualcosa, proprio per non rimanere digiuno, ma si sentì ben presto sazio del cibo. Una grande tristezza lo tormentava. Dopo pranzo uscì a fare una passeggiata nel quartiere assonnato e inondato di sole di quella domenica di giugno; le strade della zona erano in gran parte vuote, spente. Le vie si alternavano silenziose l’una con l’altra: nessun segno di vita giungeva dalle diverse abitazioni, né dai tetri condomini color marroncino che assomigliavano a gabbie per polli, né dalle eleganti villette color ocra chiuse dalle inferriate verniciate di bianco. Ogni tanto, però, un rumore soffocato di posate e di piatti, segno del rigovernare del dopo pranzo, fuoriusciva da qualche finestra. Al centro del quartiere, nella zona residenziale, nei giardini delle villette qualcuno inopinatamente innaffiava fiori nell’ora più calda; più avanti, da dietro una persiana di uno dei condomini popolari, Andrea, passeggiando, udì un rumore di musica a tutto volume. Qualcuno cantava. Per il resto sole e silenzio. Girovagando senza meta, Andrea oltrepassò la chiesa parrocchiale, percorse il vialetto che costeggiava i giardini dei condomini delle case popolari e, attraversata una strada deserta, si avvicinò all’edificio della bocciofila da poco costruito. Tagliò poi verso sinistra, incrociando un piccolo giardino sporco e polveroso, dove alcuni ragazzi parlottavano all’ombra di due alberelli spogli. Altri ragazzi, appena giunti con dei motorini, si fermarono salutandoli ed offrendo loro delle sigarette. Nello spiazzo centrale del quartiere, tra il centro sociale e il capolinea dell’autobus, l’edicola con la saracinesca abbassata sembrava un fortino di guerra da Deserto dei tartari: le réclame delle riviste, abbandonate a se stesse dall’edicolante, penzolavano mollemente nella brezza pomeridiana, mentre la saracinesca marrone dell’edicola, annerita dalla ruggine o dall’incuria del proprietario, diffondeva la sua tetra immagine di ferro arrugginito. Nell’autobus fermo al capolinea, il conducente, in camicia azzurra a maniche corte, sonnecchiava al posto di guida, in attesa di ripartire. Osservando questo “paesaggio”, Andrea ebbe l’impressione che non esistessero veri e propri esseri umani tra quei palazzi, ma solo ombre nascoste dietro le persiane. E invece, come a voler spezzare questa atmosfera da Waste Land, all’improvviso, sulla pista ciclabile da poco costruita, poco dopo egli scorse alcuni ciclisti diretti verso il centro città. Dietro a loro, distanti, camminavano lentamente due famiglie (mariti, mogli e bambini, oltre a due cagnolini), dirette probabilmente allo “struscio” pomeridiano in centro, al passeggio: due spese, un gelato, la convinzione di avere fatto quello che, in una giornata simile, andava fatto. Andrea rifletté sul fatto che lui raramente aveva questa sensazione. 23 Benché assorto in queste meditazioni a ruota libera, il ragazzo si accorse con disappunto che il pensiero di Francesca lo aveva di nuovo assalito senza che egli se ne fosse reso conto. Non ne fu felice, naturalmente; però disse a se stesso che uscire di casa era stata la sua salvezza, dato che non era stato capace di fare nulla: né leggere, né studiare qualcosa, né guardare la televisione o accendere il computer. Disteso sul letto sfatto della sua stanza, Andrea aveva percepito una specie di paralisi psicologica effondersi come un fluido dentro di lui. Aveva capito allora che la sola azione che gli avrebbe dato requie sarebbe stata camminare, in solitudine, nel sole di quella domenica. Mentre passeggiava, la sua testa lavorava in fretta: Andrea si domandò per l’ennesima volta cosa avesse mai Francesca di così affascinante per colpirlo in quella maniera; forse egli se ne era invaghito perché si era accorto che fra di loro sussisteva una grande affinità nel modo di affrontare le cose, come se possedessero paure e desideri comuni. Riflettendo meglio su questo punto, però, Andrea si disse che la ragazza possedeva, rispetto a lui, un più vivo spirito di concretezza, una maggiore coscienza della necessità di “provare” o quantomeno di “spendersi” in un rapporto a due. O almeno, queste erano le qualità che egli le attribuiva. Perciò Andrea era stupito dall’effetto che gli aveva fatto la vista della ragazza: prima di vedere Francesca quella notte, infatti, egli pensava spesso a lei; tuttavia, al fondo del proprio animo, stava emergendo una forma di rassegnazione, come se una parte di sé stesse comprendendo che ormai Francesca andasse dimenticata. Invece quell’incontro casuale aveva rimesso ogni cosa in gioco. Quindi Andrea valutò seriamente, per la prima volta in tutti quei mesi, la possibilità di tornare a farsi sentire con Francesca; ma non sapeva bene né come farlo, né con quali motivazioni. A questo proposito, va detto che appena questa idea divenne vivida nella sua mente, essa gli parve subito gravata da difficoltà talmente grandi da apparirgli irrealizzabile. Di fronte allo scoramento che l’assalì in quegli attimi, Andrea accusò nuovamente se stesso di cadere facilmente in preda ai sogni, alle immaginazioni, alle illusioni. Nondimeno, sapeva che l’immagine del corpo di Francesca che ballava, a pochi metri da lui, stava divenendo un’ossessione dalla quale non sarebbe riuscito a guarire. La ragazza lo aveva fatto prigioniero per la seconda volta: quantunque si ripromettesse di non pensare più a lei, Andrea infatti non vi riusciva ed aveva sempre di fronte ai propri occhi l’immagine di Francesca, sia come l’aveva vista quella notte in discoteca, sia come se la ricordava quando stavano assieme. La figura di lei che ballava aveva acceso un’altra volta in lui il desiderio di amarla: egli la desiderava fisicamente, rammentandosi dei loro momenti d’amore passati. Quando nel suo animo, tra le diverse voglie contrastanti, questo desiderio di lei prendeva il sopravvento per qualche minuto, Andrea avvertiva in sé la volontà di chiamarla; invece, proprio quando cominciava a progettare 24 concretamente il modo con cui contattare Francesca, lo assalivano sfiducia, abbattimento e un cupo pessimismo sulle possibilità che quel tentativo avesse successo. Anche nei giorni che seguirono quella domenica indolente, l’immagine di Francesca non lo abbandonò mai: Andrea sembrava avviluppato in una nebbia che gli impediva di scorgere con nettezza i contorni delle persone e dei luoghi che lo circondavano. Solo il ricordo di Francesca come l’aveva veduta in discoteca suscitava in lui reazioni: il resto, la lettura, la scuola, gli amici, sua madre, erano come ombre per lui in quelle giornate, ossia individui e oggetti che non potevano oltrepassare la sua soglia di attenzione. Pure a scuola Andrea era pigro, svogliato, con la testa fra le nuvole: per sua fortuna l’anno scolastico stava terminando e la parte più pesante dell’impegno didattico era ormai conclusa. In mezzo a quella nebbia, solo una luce brillava, insistente ma non per questo allettante: la possibilità di riprendere i contatti con la ragazza. Ad Andrea questa possibilità, per come si prospettava, appariva comunque come un salto nel buio. Eppure, percepiva che una parte del suo animo lo spingeva a provarci, a spendersi, a rischiare, per una volta, tutto se stesso. Altre volte, il solo pensiero di udire nuovamente la voce di Francesca talvolta arrivava quasi a terrorizzarlo: sapeva che, qualora l’avesse rivista, il suo cuore avrebbe cominciato a battere forte e presentiva altresì che gli sarebbero mancate le parole. Talvolta prendeva il telefono cellulare in mano, rimanendo immobile, come se cercasse di ricordare il numero di Francesca (che in realtà sapeva a memoria); alla fine, restava a guardare la tastiera, come se si aspettasse che le cifre del numero si componessero da sole. In quegli attimi il cuore gli sussultava nel petto: Andrea capiva che gli mancava il coraggio necessario per chiamare la ragazza; tuttavia, allo stesso tempo, si sentiva colpevole per questa mancanza di determinazione e il suo animo diveniva sempre più lacerato e confuso. Nei rari momenti in cui avvertiva di essere più risoluto, si diceva che se avesse rinunciato a chiamare Francesca, si sarebbe comportato come chi rinuncia alla lotta prima di combattere. Ma non otteneva grandi effetti. E poi, Andrea era titubante perché non sapeva cosa fosse successo a Francesca in quei mesi, se avesse un fidanzato o se fosse libera. Egli infatti, non volendo mostrarsi agli altri troppo ferito dalla fine di quel rapporto, aveva accuratamente evitato di chiedere informazioni su di lei ai (pochi) amici comuni e aveva ricevuto perciò solo delle notizie generiche. E sua madre, involontariamente, la domenica mattina gli aveva messo quella pulce malefica nell’orecchio: e se in quei quattro mesi Francesca si fosse fidanzata con qualcuno? Nulla di più normale, lo ammetteva. Andrea però non voleva considerare questa possibilità, la scacciava dalla sua mente come qualcosa che riteneva impossibile, ma essa tornava di frequente per torturarlo, procurandogli una tristezza ed un abbattimento molto penosi, che non si 25 sarebbe aspettato di provare. La prospettiva di sapere che Francesca in quel momento stava con un uomo che poteva godere della sua compagnia e che era riuscito dove lui aveva fallito, avrebbe gettato Andrea nelle braccia di una forte angoscia. Alla fine, nonostante i vari progetti e i vari tentativi, non contattò Francesca: al di là delle idee che gli venivano in mente, Andrea si sentiva la mano arida, la testa vuota e, dopo fugaci istanti di ottimismo durante i quali cercava di immaginarsi una reazione positiva di Francesca, prevaleva in lui l’idea che ella avrebbe reagito male ad una sua ricerca di contatto. Sarebbe stato terribile per Andrea scriverle un’e-mail o una lettera e attendere invano, per giorni, una risposta; oppure, chiamarla sul cellulare e non ottenere risposta (dato che Francesca aveva di certo conservato il suo numero). Insomma, forse non contattarla per nulla lo avrebbe salvato da una delusione peggiore, ossia l’essere ignorato dopo averla chiamata. Non scrivendole, invece, Andrea poteva alimentare le proprie illusioni. Infine, un’ultima ragione teneva a freno Andrea, ma si trattava, ormai, di una ragione sempre meno significativa. Da un mese egli infatti frequentava Antonella, una ragazza carina e dolce in superficie, grazie alla quale Andrea aveva sperato di dimenticare le proprie malinconie. Finché non aveva rivisto Francesca, Andrea si era illuso che Antonella potesse funzionare come antidoto contro il ricordo e la nostalgia della sua precedente ragazza. In realtà, ben prima di rivedere Francesca, Andrea aveva capito che mai si sarebbe innamorato di Antonella; perciò, nei giorni che precedettero l’incontro casuale con Francesca, egli aveva iniziato a cercare un pretesto per troncare il rapporto. Però, anche in quel caso, l’indecisione lo rendeva incapace di agire. In fondo, una ragazza come Antonella gli faceva molto comodo, finché non si fosse innamorato di nuovo. 26 Capitolo VI – Un’altra donna, cercando però la stessa Andrea e Antonella si erano incontrati al solito bar dove, d’estate, il ragazzo trascorreva in compagnia di Alfio e di altri amici alcune serate in totale rilassamento. Una sera Giovanni (di nuovo lui nelle vesti di Cupido) li aveva raggiunti accompagnato dalla sua fidanzata, Claudia, la quale aveva portato con sé un’amica, Antonella appunto. Tra Andrea e Antonella (che faceva la bibliotecaria) si era stabilita immediatamente un’intesa, anche perché quella sera Alfio era piuttosto taciturno, mentre Giovanni e Claudia aveva trascorso il tempo a coccolarsi: per Andrea fu perciò naturale chiacchierare con la nuova arrivata. Antonella aveva un bel sorriso, una loquacità non comune ed era riuscita a far ridere Andrea diverse volte quella prima sera. I suoi capelli lunghi, chiari, vagamente ricci, le conferivano un’aria sbarazzina; la sua voce era squillante e la ragazza accompagnava spesso le sue affermazioni con una pronunciata gestualità delle mani. Quella sera lei e Andrea parlarono del lavoro in biblioteca e di argomenti più leggeri, entrambi contagiati da una spontanea allegria. Ad Andrea parvero lontani i dolori provocati dalla mancanza di Francesca: quella sera era stato bene, come da un po’ di tempo non gli succedeva. Quella notte, dopo tanto tempo, Andrea dormì infatti senza problemi: la serata lo aveva rilassato e Antonella, con la quale si era scambiato il numero di telefono, gli era parsa sinceramente interessata a lui. Ma, naturalmente, il giorno dopo, il ragazzo non poté evitare di tornare a pensare alle solite cose: gli piaceva veramente quella ragazza appena conosciuta? Dopo il primo momento di allegria dovuto alla novità, avrebbe realmente dimenticato Francesca grazie a lei? Possibile che, in un batter d’occhio, fosse passato dallo struggimento per Francesca al desiderio di Antonella? Non stava accadendo tutto in maniera eccessivamente rapida? E poi, l’interesse che Antonella aveva mostrato verso di lui non poteva essere semplicemente dovuto al carattere estroverso che la ragazza possedeva? Tuttavia Andrea sapeva che, nonostante questi dubbi, molto presto avrebbe chiamato Antonella: in quel periodo difatti egli avvertiva con forza l’assenza nella sua vita di una donna che gli volesse bene e si augurava che quella ragazza appena conosciuta potesse aiutarlo a stare meglio. Quando Andrea andò a trovare Antonella in biblioteca, lo fece quindi con convinzione: il suo amico Alfio lo aveva incoraggiato, dicendogli altresì che era ora che prendesse in considerazione la possibilità di innamorarsi di un’altra donna. Andrea per la verità era rimasto un po’ male per quelle parole: gli sembrava che l’amico gli consigliasse di dimenticare Francesca. Si domandò, vedendolo tanto determinato ad allontanarlo dalla sua ex ragazza, se Alfio 27 avesse qualche notizia su Francesca (il fatto che fosse fidanzata?) e gliela nascondesse per non farlo soffrire, cercando di distoglierlo dal pensiero di lei. Antonella accolse Andrea in biblioteca con il suo usuale ampio sorriso. La ragazza indossava una gonna beige che arrivava appena sopra il ginocchio e una camicetta bianca: benché piccola di statura, ad Andrea parve assai attraente. I due ragazzi, dopo i saluti di rito, chiacchierarono un po’, dato che non c’erano molti utenti cui badare e, alla fine, si accordarono per vedersi una sera, a cena. Quell’appuntamento, era chiaro, avrebbe tolto ogni dubbio sulle loro intenzioni; ciò nonostante Andrea, tornando a casa più tardi, benché felice per l’opportunità che gli si offriva, era altresì inquieto, come se si vergognasse di qualcosa, come se stesse tradendo Francesca e fosse costretto ad agire di nascosto. Non sapeva se il desiderio fisico verso Antonella sarebbe diventato amore. Da quel giorno, per circa un mese, Andrea e Antonella si videro di frequente: Andrea si trovava bene, si divertiva, sebbene si rendesse conto che la ragazza, talvolta, era un po’ leggera, con quella sua voce dal tono acuto, con quella sua risata così facile, allegra e rumorosa. Andrea la vide, fin da subito, pronta ad innamorarsi di lui; tuttavia, pur apprezzando la sua presenza, pur attratto dal suo corpo, egli avvertiva nel proprio animo un senso di incompletezza quando stava con lei, come se Antonella soddisfacesse solo una parte delle sue aspettative sentimentali. Per questo Andrea non si donava a lei con trasporto, ma restava per lo più freddo quando era in sua compagnia. Per esempio, mentre passeggiavano in centro, oppure nella città vecchia, in mezzo alla folla, Andrea raramente abbracciava Antonella, come se temesse di essere visto da qualcuno che conoscesse Francesca o da Francesca stessa. Il ragazzo si sentiva a proprio agio solo quando si trovava da solo con Antonella, quando facevano l’amore, per quanto in quei momenti egli la percepisse timida, raramente capace di abbandonarsi a lui, come se fosse trattenuta da qualcosa. La ritrosia che la ragazza mostrava in quei frangenti di passione, era per Andrea molto fastidiosa. Egli pensò che Antonella si comportasse in quel modo perché si era accorta del fatto che lui non fosse innamorato a dovere. Perciò una sera decise di indagare più a fondo, per scoprire i motivi di quella freddezza. «Hai paura di me?», le chiese una volta, dopo l’amore. Antonella in quel momento aveva la testa voltata verso il finestrino e si godeva l’aria fresca della sera. Taceva rilassata. Seminuda, era sdraiata sul sedile della macchina. Sorpresa da quella domanda, si girò verso Andrea e rispose sgranando gli occhi: «No, perché me lo chiedi?». «Nulla, te lo domando così… stasera non avei voglia?». 28 «Ma che dici, ce l’avevo solo che, era un po’ di tempo che non lo facevo per cui… Con il mio ultimo ragazzo è finita molto male, sai». Andrea si disse che non aveva alcuna voglia di ascoltare i lamenti di una ragazza che rievoca una sua storia andata male. Fino a quel momento entrambi non avevano mai parlato delle proprie storie d’amore passate. Ma Antonella tacque e non raccontò nulla di sé: anzi, scorgendola nella penombra dell’abitacolo dell’auto, Andrea ebbe l’impressione che la ragazza piangesse. La sentì tirare su con il naso diverse volte. «Tutto a posto?», le domandò. «Sì», rispose Antonella, con un filo di voce. Poi aggiunse: «Sai, nella mia vita sono stata solo con un ragazzo e basta. Siamo stati assieme per cinque anni, pensavamo già al matrimonio, lo confesso, avevamo pure cominciato a guardare le case dove andare a vivere. Poi un anno fa, dopo che mi ero laureata e avevo cominciato a lavorare, tutto è finito. Sono rimasta malissimo, ho pianto tanto e mi sono detta che non avrei fatto l’amore con nessun altro uomo. Invece con te è successo tutto in modo naturale, anche se non riesco a sciogliermi ancora, te ne sei accorto. Io sono così». A quelle parole Andrea sorrise amaramente, senza replicare nulla. Non le chiese perché la storia fosse finita, dato che temeva che Antonella potesse scoppiare in lacrime. Andrea giudicò la promessa di non fare più del sesso con altri uomini un’idea infantile e la ragazza gli fece compassione quella sua ingenuità. Poiché non l’amava, Andrea desiderava almeno che il sesso con lei fosse soddisfacente, mentre in quel momento realizzò che ci sarebbe voluto del tempo affinché ciò accadesse. Lui, al contrario, non aveva voglia di aspettare. Con Francesca, era successo tutto spontaneamente, senza problemi, almeno così egli ricordava. «E tu, hai avuto altre storie?», gli chiese Antonella dopo qualche minuto di silenzio. Andrea non si aspettava quella domanda. Rispose mentendo, ma con una scioltezza che sorprese lui stesso. Parlò naturalmente di Francesca, dicendo che si era trattato di una storia durata solo quattro mesi e alla quale non pensava più da tempo. Certo, soggiunse, la ragazza gli era piaciuta molto, forse aveva delle caratteristiche adatte a lui, ma il rapporto a un certo punto era andato in crisi senza che nessuno dei due avesse compreso il motivo, forse perché non erano fatti l’uno per l’altro come avevano creduto all’inizio. Si erano lasciati di comune accordo, come amici. «E com’era questa ragazza? Come ti trovavi con lei, cosa aveva che ti piaceva tanto? Davvero non eravate adatti a stare assieme?», domandò subito Antonella, tornata sorridente e mostrandosi parecchio interessata a quei discorsi. Andrea in realtà non gradì queste domande, come non gradì l’atteggiamento un po’ fanciullesco che Antonella assunse in quel frangente, 29 come le capitava allorché era pervasa da una grande esaltazione e da una grande allegria. Andrea non condivise quell’entusiasmo, perciò rispose in modo laconico: «Mah, era castana, capelli lisci, scuri; una persona piacevole, intelligente, però un po’ chiusa in se stessa: devo dire che è stato un bene per tutti e due che sia finita». Questa scena si ripeté altre volte: Antonella spesso voleva sapere qualcosa di Francesca, perché sospettava che ella fosse stata fino ad allora l’unico vero amore di Andrea; il ragazzo rispondeva sempre con evidente reticenza, al fine di comunicare ad Antonella la propria indifferenza per Francesca. Invece, proprio con quel suo atteggiamento riservato, aveva trasmesso alla ragazza la sensazione opposta. Per questo una sera Antonella chiese (questo fatto accadde proprio due sere dopo che Andrea aveva visto Francesca in discoteca), ma lo fece solo per scrupolo perché in verità lo aveva già capito, se Andrea pensasse ancora a Francesca, se le fosse ancora affezionato. Il ragazzo, che credeva di aver ingannato Antonella con i suoi discorsi ben argomentati, stupito da quella domanda, negò ogni cosa in maniera affrettata, come se volesse convincere se stesso più che la ragazza: in realtà Antonella vide confermati, in quelle professioni di indifferenza per Francesca, i propri timori. Dedusse che quel ragazzo non l’avrebbe mai amata. In effetti era così, lo stesso Andrea se ne accorgeva, con amarezza, dopo ogni appuntamento con Antonella: il desiderio di lei si esauriva immediatamente nel piacere fisico, poi egli diventava meno dolce e affettuoso. Da quando aveva rivisto Francesca, poi, questo atteggiamento si era accentuato. Antonella gli pareva una persona sempre più scialba e lontana dalla sua vita. Eppure non sapeva interrompere i rapporti con lei, almeno finché lo non avesse seriamente riallacciati con Francesca, se mai ci fosse riuscito. 30 Capitolo VII – “Senza nemmeno avermelo detto” Qualche giorno dopo aver rivisto Francesca, una sera, Andrea stava passeggiando sulle mura della città vecchia in compagnia di Alfio e Giovanni; aveva accettato il loro invito sia per spezzare il vortice di pensieri dedicati a Francesca che lo estenuavano da giorni, sia per non pensare alle angustie che gli provocava il rapporto con Antonella. I tre amici, dopo aver camminato per un po’, si erano seduti al solito locale all’aperto per bere qualcosa (in quel posto, l’anno prima, Andrea aveva conosciuto Francesca e, all’incirca un mese prima, aveva incontrato Antonella). La ripresa dei contatti con gli amici aveva donato ad Andrea la sensazione di tornare a vivere, di respirare un’aria diversa e più pura; quella sera, tersa e mite, si sentiva infatti più leggero: in cuor suo si diceva che tanti giorni passati a casa, in compagnia delle sue tristezze, non valevano nulla in confronto a quei momenti di amicizia. La serata era resa fresca da una brezza insistente che soffiava dai colli; Andrea aveva indossato un maglioncino di cotone perché la maglietta a maniche corte che aveva quella sera non lo proteggeva a sufficienza dal freddo. Il cielo appariva scuro, nerissimo, senza luna, anche se il tramonto era stato sereno. Le stelle si scorgevano a fatica nel cielo nero, anche a causa dell’inquinamento luminoso della città. Il giardino dove erano posti i tavolini del locale era affollato; si udiva con piacere il lieto chiacchiericcio degli avventori, mentre il via vai di camerieri e vassoi creava una bella confusione, fra l’odore di patatine fritte, l’aroma dei vini e la fragranza umida della sera estiva. Giovanni, Andrea ed Alfio si sedettero quasi subito, accomodandosi su un tavolino libero situato nella parte sinistra del pergolato. Ordinarono un litro di vino rosso e tre piatti di patatine fritte, ed iniziarono a chiacchierare con leggerezza, contagiati dalla bella atmosfera del locale all’aperto. Dal punto in cui era seduto, Andrea poteva osservare la porta che dal locale conduceva nel giardino dove si trovavano i tavoli: da una piccola scala si passava dall’interno all’esterno del bar ed alla fine della scala cominciavano i tavolini di plastica, circondati da ghiaia e, nella parte centrale, coperti da un pergolato. Alfio e Giovanni, invece, stavano dirimpetto ad Andrea e non si accorsero subito dell’apparizione di Francesca. Quando Andrea vide la ragazza il sorriso gli si sciolse sul viso e svanì subito, come si dissolse all’istante l’euforia che lo aveva accompagnato per tutta la serata. Ogni cosa tornò triste, la sua faccia una maschera senza volto. Francesca era accompagnata da un’amica, Adriana, una ragazza rossa di capelli, vestita quasi sempre con abiti molto lunghi, che Alfio aveva 31 corteggiato senza successo quando Andrea frequentava Francesca. Erano pure usciti in quattro, qualche volta, come due coppie, ma Adriana non si era mai mostrata molto affezionata ad Alfio, il quale peraltro conosceva da tempo Lucia, ed usciva qualche volta anche con lei. La rottura tra Andrea e Francesca aveva naturalmente comportato anche la fine dei “rapporti” tra Alfio e Adriana, probabilmente senza rimpianti da parte di entrambi. Andrea, con il cuore in subbuglio, fissò Francesca camminare sulla ghiaia: al ragazzo parve che una lama di malinconia gli stesse entrando nel petto, lentamente. Quando la ragazza si accorse di lui, Andrea vide (o sperò di vedere) i suoi occhi che si abbassavano per l’imbarazzo e la sorpresa. Non seppe dire, in seguito, se quell’impressione fosse stata autentica o dettata dal suo desiderio. Peraltro, dopo aver scorto Andrea e i suoi amici, Francesca non cambiò direzione e si avvicinò al loro tavolo senza fretta, anzi, quasi con circospezione, come se dovesse fronteggiare un pericolo e avesse deciso di muoversi con prudenza. Allorché oltrepassò il loro tavolo, Francesca salutò Alfio e Giovanni, con un gesto impercettibile, poi disse “ciao” ad Andrea, guardarlo per pochi istanti e salutandolo con un filo di voce. Adriana non salutò nessuno, nemmeno Alfio. Pur scosso da quell’apparizione e benché indeciso sull’opportunità di alzarsi e andare a salutare Francesca, Andrea si sentì ad un certo punto quasi sollevato, dato che la ragazza aveva riservato solo a lui un saluto a voce ed era parsa turbata dalla sua presenza. Con la mente andò all’anno prima, alla casualità del loro primo incontro ed al sentimento che, dal nulla, li aveva abbracciati: una cascata di nostalgia gli parve cadere dai rami del pergolato. Avrebbe sofferto molto di più se Francesca si fosse fermata a salutarli come se niente fosse, come se quell’anno non fosse mai trascorso e lei avesse dimenticato ciò che era successo tra di loro. L’imbarazzo di Francesca regalò ad Andrea una specie di incosciente allegria, senza tuttavia placare l’agitazione che gli era nata in petto. Alfio invece scrutava l’amico con un’attenzione curiosa, augurandosi che non facesse nulla di eccessivamente audace; Giovanni taceva sorpreso per quell’apparizione e cercò un pretesto per distrarre Andrea, ma senza successo. L’euforia di pochi minuti prima, il vino nei bicchieri, le patatine fritte sparse sui piatti, li avevano proiettati in un altro mondo, in una dimensione irreale e gioiosa che la comparsa inattesa di Francesca aveva raffreddato. Andrea continuava a tacere, combattuto dai soliti dubbi, evidentemente scosso da quella seconda apparizione di Francesca nel giro di pochi giorni. Poco dopo accadde quello a cui Andrea talvolta aveva pensato come ad 32 un brutto sogno, ad una eventualità troppo triste per potersi verificare, ma che si augurava ormai di aver scongiurato, dato che Francesca, gli sembrava chiaro, quella sera stava in compagnia di un’altra ragazza. Dalla porta principale, guardandosi attorno come per cercare qualcuno, apparve Giorgio, un loro vecchio amico con il quale non si vedevano più perché studiava fuori città e che, da quando si era trasferito, non si era fatto più sentire. Era un ragazzo molto alto e prestante, coi capelli ricci, la bocca minuta, il viso ovale, spesso pallido e raramente sorridente. Giorgio raggiunse il tavolo dove Francesca si era nel frattempo seduta assieme ad Adriana e la baciò sul collo. La ragazza rispose al saluto con una carezza impercettibile, poi Giorgio disse qualcosa al suo orecchio e tutti e tre, quasi subito, si alzarono per uscire dal locale. «Questa poi, chi se l’aspettava… », commentò amaramente Alfio, con un sorriso spento, non trovando parole per esternare il proprio stupore. Giovanni taceva perché non aveva molta confidenza con Andrea e temeva di dire una frase sciocca. Provava comunque molta pena per il suo amico. La scena, naturalmente, aveva annichilito Andrea: in un baleno il ragazzo passò dall’idea di alzarsi e andare al tavolo di Francesca per offrirle un saluto gentile, alla tristezza più amara e allo sconforto più tetro. Si sentì come colui che subisce un colpo basso, a tradimento, da parte di qualcuno di cui si fida ciecamente. Andrea sapeva che quel posto era frequentato da Francesca, e che sarebbe potuto accadere di incontrala, ma tutta la scena del suo arrivo, l’abbraccio ed il bacio di Grigio, la successiva subitanea sparizione, gli erano sembrati troppo teatrali per essere causali. Possibile che Francesca lo avesse fatto di proposito, sapendo che in quel locale Andrea ci andava spesso? Ma che senso avrebbe avuto? Lo odiava così tanto? No, si disse, non era possibile. Scosso dal dolore, cercò, per lenire la propria sofferenza, di ricordarsi se Francesca avesse risposto con trasporto al bacio di Giorgio o se si fosse invece mostrata titubante, dubbiosa. Nondimeno, non rammentava nulla di preciso: nella sua mente c’erano solo lampi brevi, confusi, oltre a quella scena del bacio che, ogni volta che veniva rievocata nella sua testa, lo faceva tremare di disperazione. Alfio lo guardò a lungo con un’espressione addolorata, quasi provasse pietà per lui: «Mi spiace Andrea», disse ad un certo punto con un filo di voce, «non pensavo proprio... Dove diavolo l’avrà conosciuto?». «Certo, chi se lo aspettava che si sarebbe messa proprio con Giorgio! Io non lo vedevo da tempo, credevo fosse scomparso. Comunque Francesca non può stare con uno come lui!», disse quasi subito Giovanni, riflettendo ad alta voce, come se volesse consolare Andrea 33 «Anche a me dispiace, non credevo che… ma è così, mi sembra… », rispose Andrea ad entrambi, senza guardarli. La sua voce ed il suo volto erano però assenti: un tumulto di pensieri dilagava nel suo animo; la sera mite e dolce, il cielo blu, offuscato dalle lampade del locale, gli sembravano un’offesa alla sua rabbia inespressa. La bellezza pare sovente un’offesa a chi ha l’umore sotto terra. “Da quanto tempo sta con Giorgio? Come ha fatto a conoscerlo? Chi glielo avrà presentato?”, si domandava, tormentato dalla gelosia e dal rancore, annaspando in quel vortice di domande senza riposta. E ancora si chiese: “mi avrà mai tradito, prima? Possibile che stia meglio con lui che con me?”. Per un secondo ebbe l’impulso di scrivere un messaggio a Francesca o addirittura di chiamarla, per chiederle conto… ma, si disse, “che diritto ho di chiederle conto? Ci siamo lasciati da mesi e Francesca è una donna libera”. Mentre elaborava queste considerazioni, proprio in quel momento, osservando il tavolo che Francesca a Giorgio avevano occupato per qualche istante, Andrea capì quanta voglia avesse avuto, un attimo prima, di alzarsi e di raggiungerli, per sapere, per farsi spiegare. Ma lo avevano trattenuto la paura, la malinconia e gli sguardi degli amici. Eppure, egli persisteva nel guardare il tavolo vuoto, come se le sedie e il tavolo stesso potessero rivelargli qualcosa in più sulla sua ex donna, come se quegli oggetti di plastica contenessero chissà quali segreti. Il turbine di domande continuava a dilagare nel suo cervello dolente e offuscato dalla rabbia, dall’impotenza, dalla gelosia. Avrebbe voluto, in quell’attimo, essere nella sua stanza, per disperarsi, in solitudine, e magari per piangere sulla propria sfortuna e sulla propria inettitudine. Sentiva il bisogno di una dose di autocommiserazione. Il cielo non era più blu, bensì nero, come un gorgo di tristezza e amarezza. Ingoiava dolore, Andrea, in mezzo ai tavoli pieni di chiacchiere, cibo e sorrisi. 34 Capitolo VIII – Uno di troppo Più tardi, quella stessa sera, Andrea e Alfio tornarono a piedi verso il centro città. Giovanni, dicendo che era stanco e che voleva andare a dormire, era andato a casa. Alfio ed Andrea, invece, non avevano sonno e poi la serata estiva era troppo bella per non essere sfruttata: pur continuando ad essere fresca, infatti, era diventata ancora più dolce, più silenziosa. Qualche stella, finalmente, brillava più decisa nel cielo; la brezza che spirava dai colli, ogni tanto, profumava alternativamente di fiori e di erba umida. In realtà nessuno dei due ragazzi godeva più di tanto per l’aria fresca, il cielo blu e le rade stelle che si accendevano in alto. Alfio camminava silenzioso e meditabondo, osservando di tanto in tanto in silenzio l’amico, intuendone il travaglio. Andrea, scuro in volto, si muoveva con lentezza, come se trascinasse catene alle caviglie. Nella sua mente immaginava Francesca tra le braccia di Giorgio e avvertiva il suo sangue incollarsi nelle vene, ghiacciato, incapace di scorrere per mantenerlo in vita. Soffriva perché Francesca stava con un’altra persona, senza peraltro rammentarsi che lui frequentava Antonella: la sua mente, in quegli attimi, era concentrata solo sul suo dolore e su Francesca ormai perduta. Se almeno non l’avesse vista in discoteca, forse, scorgerla quella sera assieme a Giorgio sarebbe stata una cosa meno difficile da sopportare, perché non avrebbe avuto il tempo di tornare a pensare intensamente a lei. Ogni tanto però, in mezzo a questo dolore, come se volesse offrire a se stesso una scialuppa di salvataggio, Andrea valutava la possibilità che Francesca se ne fosse andata dal bar in modo precipitoso proprio perché lo aveva visto, perché teneva ancora a lui. Andrea sperava che la relazione con Giorgio non fosse una cosa seria e che la ragazza si ricordasse ancora a lui. Per la verità, si trattava di velleità, di attimi nei quali la sua fantasia vagava verso l’alto, illudendolo; attimi destinati a spegnersi rapidamente, nel tonfo attutito dei passi contro il selciato, nel rumore lieve delle auto che passavano al suo fianco: dopo questi voli “pindarici”, Andrea tornava infatti al suo buio, al cielo nero del suo spirito, alle fosche meditazioni di quella sera. Valutò anche la possibilità di chiamare Antonella per sfogarsi in qualche maniera: in quel frangente qualsiasi donna sarebbe andata bene per “vendicarsi” di Francesca. Ma subito si accorse della illogicità di quei pensieri. Al massimo avrebbe ottenuto una serata di sesso, mentre Francesca, probabilmente nello stesso momento, amava, ricambiata, un’altra persona, e non più lui. Poco dopo, i due ragazzi entrarono in un’enoteca ancora aperta a quell’ora, tutta luccicante. Bevvero del vino, cominciarono a ridere: brindarono per celia alle donne, tanto superficiali e stupide da non accorgersi di quanto loro due fossero ragazzi interessanti e perbene. Immersi in quella ritrovata euforia, 35 mangiarono qualcosa per tassellare il vino, e poi, a causa del vino stesso, cominciarono a discorrere con maggiore vivacità, parlando delle solite vanità, a ruota libera, inventando delle battute divertenti e giochi i parole assurdi; ridevano forte ad ogni calembour, anche sguaiato, senza riguardo per i pochi clienti del locale. Dopo qualche bicchiere, Andrea avvertì che l’amarezza nel suo animo si stemperava: il dolore provato in precedenza era attenuato e la visione di Giorgio che baciava Francesca gli pareva avvolta da una nebbia che la rendeva lontana ed irreale, come se si fosse trattata di un’illusione ottica. Il vino colorava i volti dei due amici: non erano ubriachi, ma solo tornati come bambini che però si ripromettevano, da uomini, che da quella serata in poi non avrebbero più pensato alle donne e non si sarebbero mai più innamorati. Erano ovviamente risoluzioni senza significato, a cui entrambi davano voce soltanto per far tacere la malinconia: ciò nonostante, tenendo il bicchiere in mano e guardandosi negli occhi, essi si sentivano sinceri allorché pronunciavano quei proclami. Quando uscirono dal locale le strade erano ormai deserte. La notte aveva cominciato a spolpare la città, e l’aria mite della sera si era tramutata in un vento fresco. Rabbrividirono più volte. Andrea ad ogni modo provò gioia nel percepire quel vento contro il proprio viso e si disse che gli avvenimenti di quella sera sarebbero sopravvissuti nella sua mente solo come un ricordo brutto, presto cancellato da una specie di nuova vita. E se si fosse deciso finalmente ad amare Antonella? Era una ragazza tanto devota e affezionata a lui, non lo poteva negare di certo. Cosa può desiderare di più un uomo nella vita? Se il vero amore era tanto difficile da raggiungere, come appariva evidente, perché non accettare una forma di sentimento che comunque non era lontana da esso e che dell’amore aveva le sembianze, se non l’intensità? Andrea si disse che costringere i propri sogni ad adeguarsi alla realtà, imperfetta e mutevole, significa distruggere quei sogni fino ad arrivare ad odiare la realtà stessa, oltre che se stessi, ovvero la propria vita di tutti i giorni, la quotidianità, l’orizzonte irrinunciabile della propria esistenza. Per continuare a ridere, poco dopo Andrea ed Alfio urinarono vicino ad un palo della luce in pieno centro, ridacchiando come ragazzi: Andrea ebbe l’impressione di essere il protagonista di un romanzo di Céline. Gli tornò in mente, proprio in quel momento, una frase di Viaggio al termine della notte, una frase che gli era sempre piaciuta: “non sei altro che un vecchio lampione di ricordi, all’angolo di una strada dove non passa quasi più nessuno”. Si vide per un istante pure lui come un lampione, solitario, costretto a vivere sempre nello stesso punto, a guardare sempre il medesimo angolo, lo stesso marciapiede, a fare sempre la medesima cosa, ignorato da tutti e isolato dal mondo. Un vecchio lampione scrostato, sfiancato dal vento e dalla pioggia, arrugginito, 36 curvo su se stesso, incapace di reggere ormai anche il peso di un po’ di neve e in procinto di essere sostituito e gettato via, tra l’indifferenza generale. Cercando di allontanare di sé questa immagine tetra, Andrea disse ad Alfio, mentre entrambi camminavano fianco a fianco nel marciapiede vuoto: «Sai Alfio, mi ha fatto bene questa bevuta, so che domani magari starò male come un cane e penserò ancora a stasera, però per adesso voglio dire: chi se ne frega! Per tutto quello che è successo». Ascoltando quelle parole, Alfio rise e gli diede alcune pacche sulle spalle. Poi, all’improvviso, come fosse stato colto da un’illuminazione, spinse Andrea quasi di peso verso la propria macchina, dicendogli: «Vieni con me, vedrai: la festa non è finita!». Andrea tacque, guardando l’amico con aria interrogativa, ma lo seguì senza fallo verso l’automobile. Si avviarono. Dal finestrino Andrea intravide la città morire veloce contro il vetro; i suoi occhi vennero colpiti più volte dai dalle luci dei lampioni riflesse dai vetri dell’auto. Mentre era alla guida, Alfio parlò per qualche minuto al telefono con qualcuno. Andrea non ascoltò la conversazione: la testa gli doleva, si sentiva avvolto in una specie di sonno vigile, popolato da immagini variegate il cui flusso non riusciva ad arrestare: a tratti ebbe dei conati di vomito. Osservò le automobili che li incrociavano, scorse i fari che illuminavano l’abitacolo della loro auto per qualche istante per poi sparire immediatamente; pensò a coloro che stavano in quelle auto, alle loro felicità, alle coppie innamorate, a quello che lui mai avrebbe avuto. Ad un certo punto Alfio gli disse con euforia: «Ricordi quella mia amica di cui ti ho parlato qualche volta? Andiamo da lei, vive da sola, ci aspetta!». Il volto di Andrea restò immobile di fronte a quelle parole e a quella proposta: non ricordava di nessuna amica di Alfio, però tacque. In quel momento gli avrebbero pure potuto comunicare che era scoppiata la terza guerra mondiale e non avrebbe avuto reazioni. La città intanto, fuori dalla macchina, era finita da un pezzo: il finestrino era ormai quasi sempre scuro, i lampioni più radi, come i fari delle macchine che incrociavano. Ai bordi delle strade, invece, il traffico era intenso, popolato dalle automobili dei clienti delle prostitute che mercanteggiavano i loro piaceri; Andrea guardò queste scene sorridendo, come aveva fatte altre volte quando passava da lì. Vide delle gambe e dei seni nudi ed avvertì un forte desiderio di donna accendersi in lui. Nondimeno tornò subito al deliquio nel quale era immerso. Pochi minuti più tardi, la macchina si fermò dopo essere entrata nelle stradine di un paese poco distante dalla città; schiere di villette, ad un piano, costeggiavano la strada dove lasciarono l’automobile. I due ragazzi si avvicinarono ad un cancello bianco che si aprì quasi immediatamente, con uno scatto meccanico, come se tutto fosse già predisposto. Percorsero in silenzio 37 un breve vialetto, cauti come gatti che vanno a rubare le galline. Una porta si spalancò di fronte a loro, macchiandoli di luce artificiale ed inondando di sé una porzione del vialetto. Alfio farfugliò qualche parola di saluto, presentò Andrea alla ragazza che stava sulla soglia, poi la porta si richiuse, lasciando deserto il giardino, affogato nell’oscurità. Chiusa la porta, la ragazza salutò Andrea, sorridendo, e gli tese la mano: «Piacere, Lucia», disse. Andrea prese la mano meccanicamente, ma si presentò con gentilezza, fissando i denti sporgenti di Lucia e quel sorriso che gli era stato offerto, somigliante ad una smorfia di stanchezza, come quella di chi sta dormendo ed è stato svegliato all’improvviso. Però Lucia aveva due occhi belli, nerissimi, anche se troppo grandi, incorniciati da lunghe ciglia; nel complesso, comunque, il viso era piuttosto piccolo, asimmetrico, con un naso minuto, un bocca un po’ volgare. I capelli arruffati, anch’essi corvini (apparivano tali nella penombra del piccolo vestibolo), quasi nascondevano il viso, donando alla donna una sorta di fascino misterioso, creato in realtà solo dalla luce fioca della stanza. Lucia indossava una maglietta rosa, tesa sotto il seno grosso, quantunque un po’ cadente, oltre a un paio di pantaloni della tuta di colore grigio. In definitiva, la ragazza destò in Andrea una sensazione di sciatteria che lo fece destare pressoché del tutto dal torpore dovuto al vino bevuto ed all’eccitazione dell’avventura che Alfio gli aveva promesso. Per questo ebbe voglia di dire all’amico di andare via, scusandosi con Lucia per il disturbo; tuttavia, Alfio si era già seduto comodamente sul divano, come fosse di casa, mentre Lucia rideva forte con lui, osservando la timidezza di Andrea ed invitandolo a prendere posto sul divano. Andrea si ricordò all’improvviso che quella era la ragazza che Alfio aveva frequentato per qualche tempo e che poi aveva lasciato senza rimpianti, almeno così aveva detto lui. E invece non era vero. D’altra parte, Andrea sapeva che Lucia lo cercava ancora perché diceva di amarlo e che Alfio spesso cedeva alle sue lusinghe, dicendole peraltro ogni volta che non voleva impegnarsi di nuovo con lei. Poi successe quello a cui Andrea non avrebbe mai pensato e ciò al cui ricordo, nei giorni seguenti, rabbrividì varie volte. Quelle cose che si vedono talvolta in certi film e che magari qualche uomo ha ogni tanto sognato. Eppure successe che Lucia passò con loro la notte, cercando di amarli entrambi in quella casa dalle pareti bianche, ammobiliata senza ordine. Né Alfio né Andrea avevano mai fatto prima una cosa del genere, ma entrambi alla fine vi avevano accondisceso, senza battere ciglio. Anzi, avevano voluto loro stessi quella notte, per concludere una serata iniziata male e finita con quella voglia indefinita di trasgressione che li aveva portati a spartirsi le carezze di Lucia. Andrea conservò in seguito nella memoria solo dei lampi confusi di quella notte tanto bizzarra. Ricordava l’odore di bucato delle lenzuola, il corpo 38 generoso di Lucia che passava da lui e dall’amico, i grossi seni, i fianchi invece singolarmente esili, il silenzio irreale che aveva accompagnato quelle ore, interrotto dai gemiti della ragazza, da qualche frase incomprensibile sussurrata nell’oscurità e dal ticchettio insistente di una sveglia posta sopra la testata del letto matrimoniale. Andrea di quella notte tenne nella memoria alcuni particolari all’apparenza insignificanti, ma che lo avevano colpito molto: per esempio, oltre alla sveglia che ticchettava fastidiosamente, egli ricordava nitidamente il grosso armadio posto di fronte al letto; nell’oscurità colma di calore che li avvolgeva, l’armadio era parso ad Andrea diventare sempre più grande, pronto per cadere su loro tre per schiacciarli. Rammentava naturalmente anche il piacere che aveva provato, benché questa sensazione, quando risorgeva nella sua memoria, avesse ormai perduto ogni attrattiva, divenendo un grido spento, come quando si osserva qualcuno che parla al di là di un vetro, del quale si distingue solo la bocca che si muove ma non il suono emesso; e poi Andrea provava tanto imbarazzo a rievocare quella nottata. Dopo che tutto fu finito, ancora accaldati ed inebriati da quell’esperienza, i due ragazzi rimasero in silenzio, nel letto, a guardare il buio che sembrava crescere ad ogni istante, cancellando il soffitto, i mobili, le persiane abbassate. Andrea aveva caldo: non sapeva però se ciò accadesse per il disgusto o perché facesse effettivamente caldo. Alfio invece fumava stancamente, al suo fianco nel letto, sospirando di tanto in tanto. Sulla sinistra rispetto alla stanza da letto, dalla porta del bagno, filtravano delle piccole strisce di luce e, oltre la porta, si udivano gli scrosci d’acqua del bidet di Lucia. Tutto era terminato, la sveglia segnava le quattro del mattino: Andrea pensò che forse a quell’ora Francesca dormiva a fianco di Giorgio, felice per essere amata da un solo uomo. Si domandò cosa la ragazza avrebbe potuto pensare di lui se avesse saputo di quella notte; però si disse che in fondo Francesca si meritava una cosa del genere: “Se Francesca crede che sono una persona falsa e ipocrita, ebbene, allora voglio esserlo davvero e sfruttare questa situazione, alla faccia sua”. Tornando a casa, proprio quando albeggiava, Andrea aveva fame ed era molto stanco. La testa gli doleva. Si figurava di essere un uomo vuoto, paragonabile ad un sacco che è stato usato e poi scartato, gettato a terra, inservibile. Il corpo di Lucia era stato come un’onda che lo aveva sommerso, con i suoi baci lascivi e la sua bocca dall’alito sgradevole. Ma dopo poche ore, il piacere sperimentato, la bocca di lei, le sue parole, la sua risata infantile, persero ogni sapore ed ogni colore nella sua memoria. Tutte queste immagini e le sensazioni provate divennero in quel momento soltanto pezzi di carta che volavano via dispersi dal vento. Prima di andare a letto, Andrea fece una lunga doccia, come per rimuovere dal proprio corpo perfino l’odore di quel gesto compiuto per rivalsa contro 39 Francesca che forse, in quel preciso istante (si disse nuovamente Andrea con una fitta di dolore allo stomaco), dormiva tra le braccia di Giorgio. Quando fu a letto, il tormento continuò a pesare sul suo petto: non lo angustiavano più Lucia, con i suoi sospiri, né Alfio con il suo imbarazzato silenzio, bensì la sensazione di avere toccato il fondo, di essersi gettato tra le braccia della disperazione, lasciandosi avviluppare da essa. E poi, tante domande, durante quella notte insonne, lo sommersero: valeva la pena comportarsi così per una donna? Cosa voleva lui dalla propria vita? Era giusto lasciare che la sua vita scorresse in quella forma vaga, illogica, senza chiarezza? Cosa cercava davvero lui? L’amore? O le facili braccia di Lucia, di Antonella o di qualche ragazza senza nome pronta per lui? Non seppe rispondere a nessuna di queste domande poiché le conosceva ormai troppo bene. Se le era poste tante volte, invano. E continuava a farlo. Era una sorta di piacere sadico affondare il coltello nella propria angoscia, soprattutto quella notte, nella quale aveva esplorato una specie di sottosuolo di se stesso e ne era uscito afflitto da una grande desolazione: si chiese se ci fosse una via d’uscita, se la delusione di quella sera giustificasse certi atteggiamenti e se Francesca meritasse veramente, da parte sua, un simile gesto di vendetta. E poi: se la ragazza non avesse mai saputo nulla, che vendetta sarebbe stata? Che senso ha una vendetta che rimane ignota alla persona contro cui è diretta? 40 Capitolo IX – In alto, lontano, sorretto dal nulla Il giorno seguente, per lenire quell’abbattimento tanto pesante che lo aveva preso, Andrea uscì di casa dopo pranzo e poté finalmente camminare per ore, libero, in mezzo alle colline che coronavano la città. Dopo aver raggiunto in macchina i piedi del suo colle preferito, si incamminò su un sentiero accidentato. Percorsi pochi metri, cominciò a salire una scaletta diroccata, priva di corrimano, che si inerpicava verso l’erta circondata da ciuffi d’erba e fiori gialli. La fatica dell’ascesa lo ghermì presto, ma Andrea non ci badò: nel percepire il battito rumoroso del proprio cuore, il petto pesante, il fiato corto, ebbe comunque l’impressione di essere presente, vivo, capace di reagire. Il suo organismo appariva sveglio, vigile, pronto. Quella fatica, quel cuore che correva non erano causati dal solito patimento interiore, bensì, per una volta, dallo sforzo fisico prolungato e benefico. Il sole, tornato quella mattina alto e caldo dopo la nottata fresca, lo faceva sudare copiosamente. Salendo, Andrea incontrò due ragazzi che scendevano le scalette ridendo. Li salutò con un cenno, felice di essere partecipe di qualcosa, di un gesto autentico, sincero. Di tanto in tanto si fermava per rifiatare: dal lato esterno della scaletta, quello che delimitava il fianco del colle, la città si stendeva sotto di lui all’apparenza deserta e immobile. L’aria afosa creava attorno agli edifici una cortina di caligine. Non si scorgevano automobili né persone, perché la distanza era considerevole. Si percepiva appena, fortemente attenuato, l’incessante rumore che ogni città manifesta: un mormorio indefinito, continuo, al quale, dopo un po’ di tempo e a causa dell’abitudine, non si fa più caso. Dopo essersi fermato a riposare per qualche minuto, Andrea riprese a salire, camminando con maggiore lentezza: era come se oramai, avendo già percorso diversi metri, non fosse più necessario affettarsi per allontanarsi dalla città, dalle malinconie, dalle preoccupazioni. Il caldo si faceva sentire quel mattino: gli alberi, in quel periodo dell’anno ricchi di fogliame, sembravano però trasmettere un’aria di stanchezza, un desiderio di frescura, di fronte al calore precoce dell’estate. Il cambio di stagione, il passaggio dalla primavera ormai agli sgoccioli all’estate era nell’aria, e il caldo di quel giorno, giunto alla fine di giorni freschi, piovosi e umidi, ne era una testimonianza. La natura appariva impreparata, sorpresa. Dopo aver percorso un buon tratto in forte salita, Andrea, per limitare la fatica, cambiò percorso, decidendo di proseguire su un sentiero pietroso in lieve pendenza; pur camminando spedito, si fermò diverse volte per osservare l’ambiente che lo circondava: ogni cosa attorno a lui appariva tenue, dimessa: la luce del sole, l’odore dei boschi, il rumore dei suoi passi. La sensazione sperimentata in precedenza, quella di un progressivo rilassamento delle 41 giunture e della mente, in quel frangente si faceva più nitida e vibrante. L’immagine di Francesca, i volti degli amici, i capelli ricci di Giorgio, la leggerezza e l’ingenuità di Antonella, le risate della madre poco sensibile ai suoi patimenti, apparvero in quegli istanti ad Andrea tutti avvolti da una caligine che li rendeva distanti ed innocui. Egli sapeva che più in basso, a pochi metri da lui, tutte quelle persone stavano facendo in quello stesso istante qualcosa; sapeva che erano vicini, che prima o poi li avrebbe rivisti, rimpiangendo quel momento di quiete. Malgrado ciò, in quell’attimo di isolamento aveva l’impressione che nulla potesse turbarlo. Influenzato dalla solitudine e dal ritrovato buonumore, si disse che la gran parte delle cose che ci angustiano, che ci fanno soffrire o adirare, sono spesso delle inezie; che è sufficiente fermarsi per qualche minuto, con calma, nel silenzio, per rendersi conto di quanto abbia poco senso abbattersi o scaldarsi per motivi futili, per questioni che, a ben guardare, non hanno sulla nostra vita alcuna influenza. Queste riflessioni gli donarono un’allegria e una lietezza che, nei giorni successivi, avrebbe rimpianto, guardando ad esse come a un modello di serenità perduta impossibile da recuperare; lesse dal libro che aveva fra le mani questa frase: «La cura di conservarsi gli amici senza averli mai a noia e neppure infatuarsene; il bastar a se stesso in ogni occasione, e la serenità». In quel frangente Andrea sentì queste parole come adatte a lui. Le aveva scritte Marco Aurelio, l’imperatore filosofo romano, originario della Spagna, quasi duemila anni prima. Poco dopo Andrea, riposto il libro nello zainetto, riprese la passeggiata. Appena approdò su un sentiero che procedeva piano, circondato dai boschi da un lato e da una piccola vallata dall’altro, cominciò a camminare più spedito. In basso, nella valletta sottostante, si notava una strada che si inerpicava fino a giungere a una costruzione in pietra, diroccata, deserta, quasi certamente un ex convento, un edificio maestoso, imponente. Andrea sorrise osservando quella costruzione, si domandò da quanto tempo fosse lì, quale storia avesse, a quali avvenimenti le sue pietre avessero assistito. Cercò di raffigurarsi la vita in quel luogo secoli prima, ben prima della sua nascita. Provò allora una irrazionale nostalgia, una nostalgia di vite da lui non vissute, di emozioni non sperimentate, di persone ed eventi di cui non sapeva nulla. Si abbandonò a queste meditazioni un po’ fatue perché Andrea in quel momento desiderava soltanto mantenere la pace che stava sviluppando dentro di sé; era sufficiente guardare quel rudere, carico di storia, per ricevere una ventata di serenità. Come per puntellare quel benessere interiore, lesse ancora dal libro: «Considera con quale rapidità l’oblio avvolge tutte le cose: quale abisso infinito di tempo tu hai dietro a te come dinnanzi a te: quanto vana cosa è un rumore che si propaga; quanto mutevoli e privi di giudizio sono coloro che sembrano 42 applaudirti; considera infine la piccola distesa che circoscrive la fama. Perché la terra intera non è che un punto… ». Si fermò di colpo, lievemente sgomento. Realizzò che quella calma appena acquisita era precaria, instabile; eppure, si disse subito dopo, perché pensare alla fine? Volle godere lo stesso di quella serenità, senza alcun riferimento al momento in cui l’avrebbe perduta. Andrea in quegli attimi passati su quella strada di collina isolata volle illudersi di stare veramente meglio. Lesse di nuovo dai Pensieri di Marco Aurelio: «Con quanta rapidità tutto svanisce, nel mondo la sostanza stessa dei corpi, nel tempo anche il loro ricordo! Che sono mai tutte le cose sensibili, e soprattutto quelle che il piacere rende attraenti, il dolore terribili, la vanità celebri! Come sono vili, spregevoli, sordide, corruttibili e senza vita! Questo deve considerare la nostra ragione». E poi, qualche pagina avanti: «Raccogliti in te stesso, dato che puoi, in qualunque momento tu voglia, ritrarti in te stesso. Perché in nessun luogo più tranquillo e calmo della propria anima ci si può ritirare; soprattutto, se si hanno dentro di sé princìpi tali che, al solo contemplarli, si acquista una perfetta serenità». Si arrestò alcuni istanti per riflettere su quelle parole sagge ed affascinanti. Respirò a pieni polmoni, domandandosi se egli avrebbe mai potuto, nei momenti di sconforto, seguire quel consiglio e ritrarsi nel proprio animo, come in un guscio, come in un posto sicuro che l’avrebbe protetto. Non ne era affatto certo, perché sapeva di non possedere la serenità di cui Marco Aurelio parlava. Tuttavia, benché quell’ideale di pace interiore gli apparisse irrealizzabile, Andrea pensò che fosse comunque essenziale avere consapevolezza che esiste pure un modo “altro” per vivere, per apprezzare le poche cose liete che l’esistenza regala. Si disse inoltre che qualora un ideale dovesse essere pienamente realizzato esso diverrebbe qualcosa che non avrebbe più nulla di attraente, poiché perderebbe la funzione di costituire un modello di realtà alternativa; esso diventerebbe invece un’immagine sbiadita rispetto al sogno da cui era nato, qualcosa che non può più cambiare né rinnovarsi, perché è stato ossificato, concretizzato, realizzato appunto. Concluse queste riflessioni: rinfrancato dalla propria capacità di toccare certi vertici di pensiero, Andrea chiuse il libro e riprese a camminare. Poco dopo giunse su una strada asfaltata che si dirigeva verso le mura della città vecchia: il tempo dell’isolamento si era concluso, già percepiva dietro di sé il rumore di alcune automobili che sopraggiungevano. Allora decise di salire ancora: prese una scaletta sulla sua sinistra e, a fatica, cominciò una nuova ascesa, godendo del fresco proveniente dagli alberi tra i quali la scaletta si snodava. Alla sua destra, invece, i gradini seguivano un muro di pietre, intervallato da qualche piccola finestra e, talvolta, dalla porta di ingresso di un’abitazione. Erano case vecchie ristrutturate, abitate da persone che se lo potevano permettere. 43 Appena giunto su uno spiazzo delimitato da un basso parapetto in pietra, Andrea si fermò un’altra volta per contemplare dall’alto il panorama: in quella posizione si trovava ormai assai distante dalla città. Ogni cosa era visibile con difficoltà da quel punto, perché troppo piccola, all’apparenza minuta: non si percepiva nemmeno il solito rumore di fondo della città; le case, in lontananza, erano simili a macchie colorate nell’afa della mattina. Ogni cosa ad Andrea sembrava innocua: ogni dolore, ogni preoccupazione (lì, lontano da tutto e da tutti), si erano placati; si sentiva forte, corazzato, convinto della vanità di tanto patimento e rinfrancato dalla possibilità, qualora lo avesse voluto, di rifugiarsi lì, tra quelle colline, tra quegli alberi per trovare requie. Tornò per un istante al suo Marco Aurelio, ma quasi subito smise di leggere. Cercò ancora di immaginare di essere una persona piena di equilibrio, saggia, capace di affrontare con distacco e con pacata determinazione la quotidianità. Si figurò d’essere un uomo in grado di vivere in serenità, capace di dare senza pretendere nulla in cambio, dimenticandosi dei crediti acquisiti verso gli altri ed evitando di contrarre debiti di gratitudine. Si vide abile a controllare le proprie emozioni ed a diventare finalmente capace di lasciarsi trascinare il meno possibile dalle tempeste del cuore, dalle meschinità dei litigi, dalla volubilità delle inclinazioni umane. Era questo l’ideale cui aspirava, vagheggiato da tempo, arricchito dalla consapevolezza della bellezza della vita nei suoi diversi aspetti. Si trattava di un modo per godere delle gioie senza pensare subito al momento amaro in cui sarebbero finite, e per soffrire, nei dolori, con la consapevolezza della loro inevitabilità, pronto anche sopportarli con dignità e contegno. Rinfrancato da quelle riflessioni, lesse ancora dai Pensieri di Marco Aurelio, come a cercare una conferma dotta per quelle idee: «Devi sempre agire, parlare e pensare, come se fosse possibile che tu, in quell’istante, lasciassi la vita». Andrea sorrise, riflettendo sul fatto che lui e gli uomini del suo tempo avessero un’esperienza rarefatta e lontana della morte, evento che anni prima era invece molto più comune. Sapeva però che le parole del filosofo non andavano prese alla lettera e perciò le trovò veritiere poiché esse trasmettevano un concetto che andava oltre i secoli e le epoche. Un’idea universale, capace di astrarre dalle contingenze del momento in cui era stata elaborata. Erano questi le considerazioni che gli attraversarono la mente quel giorno, mentre respirava a pieni polmoni l’aria fresca dei colli che coronavano la città. Avrebbe desiderato imparare a vivere realmente con ragionevolezza, ad amare pienamente, rimanendo cosciente della caducità di questo sentimento e della sua natura precaria, fragile. Sarebbe stato questo, si disse Andrea, una maniera per acquistare nuovamente serenità e per apparire autentico agli altri, non più immerso in mille tentativi per mascherarsi, per non lasciare trapelare troppo di se stesso. Pure di fronte a Francesca non avrebbe perso la dignità e, quantunque ferito dalla storia di lei con Giorgio, non si sarebbe lasciato andare 44 a compiere chissà quali gesti: avrebbe sopportato anche quella sofferenza, con la consapevolezza di essere in grado di astrarsi dalle futilità della vita d’ogni giorno, per attingere, felice, ad una saggezza superiore: «Nella mente dell’uomo corretto e puro non si potrà trovare mai niente d’infetto e di contaminato, o di sano all’apparenza e di marcio dentro. E neppure vi si troverà mai niente di servile né di artificiale». Chiuse il libro soddisfatto, respirando a pieni polmoni. Ma naturalmente ogni cosa fu quel giorno troppo bella e perfetta per essere duratura; è vero che durante la passeggiata Andrea non pensò seriamente a nessuno dei suoi conoscenti; nondimeno, il ricordo degli altri ogni tanto, subdolamente, lo sfiorò ugualmente: se ne accorgeva dall’ansia, leggera e velocissima, che talvolta lo coglieva quando si volgeva alla città: quel luogo nemico nel quale presto sarebbe dovuto rientrare. Lo capiva dal suo frequente guardare il telefono cellulare, dalla contentezza nel non sentirlo suonare, ma altresì dalla consapevolezza che, se non accadeva, voleva dire che nessuno si curava di lui. D’altra parte quella gita, che lo aveva rinvigorito e rilassato, sarebbe presto finita e, con essa, forse, sarebbero terminati pure i propositi nuovi, gli stratagemmi escogitati per soffrire meno, per essere più sicuro di sé, maggiormente in grado di affrontare le asprezze dell’esistenza. Infatti, dopo quel fine settimana, Andrea tornò a scuola il lunedì frastornato e confuso: le ultime lezioni dell’anno, le verifiche finali, i giudizi sugli alunni, i vari consigli di classe per gli scrutini, costituirono un impegno enorme per lui, alla prima esperienza a scuola. Passò una settimana senza vedere nessuno dei suoi amici; solo di rado ebbe contatti con Alfio: una sera uscirono a bere una birra, per stemperare la fatica del lavoro e tentare di rilassarsi. Naturalmente non parlarono della notte a casa di Lucia, come se ci fosse un tacito accordo per non nominare quella persona: un atteggiamento da amici veri, o forse in realtà da complici, si diceva talvolta Andrea, vergognandosi di se stesso. Tuttavia, nonostante gli impegni a scuola e la mole di lavoro che si trovò fra le mani, nonostante le risoluzioni prese in collina, tra i boschi, lontano dalla città, il volto di Francesca tornò, lentamente, ad imprimersi nella sua mente con rinnovato vigore. Andrea non se l’aspettava e per questo, con disappunto, si percepì come sempre lacerato tra progetti divergenti e tutti parimenti irrealizzabili: da un lato, egli non voleva venire meno al proposito, preso durante la passeggiata, di mantenere la serenità d’animo; dall’altro, si rendeva conto di non poter tener fede a quegli impegni e di essere facilmente preda delle passioni, dei sentimenti e delle malinconie. Andare a passeggiare in collina non era stata una soluzione, bensì una fuga, un lampo breve che, con la sua luce, aveva posto per un attimo in secondo piano la sua sofferenza, senza riuscire a cancellarla. Aveva ripreso a perseguitarlo la risoluzione presa qualche sera prima, quando stava per addormentarsi dopo la nottata da Lucia: rivedere Francesca 45 per parlarle, a qualunque costo, per dirle che lui era cambiato, che era migliorato e che aveva riconosciuto le proprie mancanze. Non gli doveva importare se lei in quel periodo amava un altro: anzi, Andrea si disse che proprio l’essere venuto a conoscenza del rapporto fra Francesca e Giorgio costituiva per lui un ulteriore motivo per agire, non avendo nulla da perdere. Era come se, una volta riconosciuta la possibilità che Francesca fosse lontana, l’opportunità di chiamarla non fosse più una questione cruciale, ma un semplice atto di onestà verso se stesso. Credeva che, se si fosse convinto di ciò, avrebbe agito con maggiore calma e avrebbe sofferto di meno se la cosa sarebbe andate male. Altre volte invece, quando si trovava preda dello sconforto più tetro, Andrea si diceva che era un pazzo a illudersi di poter rivedere Francesca e che non c’era nessuna possibilità che lei volesse stare ad ascoltarlo. Pensava a lei e a Giorgio e si vedeva condannato ad essere dimenticato dalla ragazza, come un episodio marginale della sua esistenza. Ancora una volta in lui convivevano sensazioni contrastanti, risoluzioni repentine, subitanee ed altrettanti improvvisi cambiamenti di idea, proponimenti un giorno ritenuti definitivi e il giorno dopo smentiti. Il suo amico Alfio, però, gli diede inaspettatamente una mano. Vedendolo tanto turbato, una sera gli disse che era per lui assolutamente necessario prendere una decisione da uomo, non potendo continuare a vivere in quel disordine dell’animo. Secondo Alfio non aveva senso “farsi il sangue amaro”, annegare nella malinconia senza sapere se con Francesca c’era ancora qualche possibilità. «Se vuoi parlare, prova a chiamarla, perché non dovresti farlo? Anche se sta con Giorgio, capirà, no? E se invece rifiuta di vederti, beh, avrai le idee più chiare anche tu e lei ci farà una figura penosa, perché vorrà dire che ancora a te ci tiene e che ha paura di rivederti, dato che pensa che questa cosa metterebbe in discussione la sua storia con Giorgio». Ascoltando quelle frasi, Andrea aveva invidiato la chiarezza e la serenità dell’amico. Alfio aveva ragione e quelle parole gli donarono un breve sollievo. Infatti, si disse, perché non rischiare, “da uomo”, come diceva Alfio? Non è meglio provare a compiere un gesto importante, con le migliori intenzioni, pur fallendo, piuttosto che struggersi nell’eterna incertezza e rimanere inattivi? Le parole dell’amico («se Francesca non vuole vederti significa che ancora ci tiene a te») gli avevano donato altresì un’arma vera per consolarsi nel caso di un fallimento del suo tentativo. Probabilmente Alfio non intendeva fornire all’amico un alibi per un eventuale insuccesso, ma Andrea intese in quel modo il suggerimento e poté sentirsi, per qualche giorno, meno abbattuto. 46 Capitolo X – Un dialogo che spezza il silenzio Per tre giorni, incoraggiato da quello che gli aveva detto Alfio, durante l’ultima settimana di scuola, Andrea si recò davanti al liceo dove Francesca insegnava quell’anno. Lo fece il mercoledì, dato che era il suo giorno libero, con il cuore che batteva forte: stette fuori dall’edificio per circa due ore, bevendo tre caffè in tre bar diversi e leggendo il giornale che aveva comprato, fino all’ultima riga. Nondimeno, man mano che si avvicinava l’orario di uscita degli alunni, Andrea avvertì aumentare la tensione fino ad un livello insopportabile: se ne andò infatti prima del suono dell’ultima campanella. Il giorno successivo Andrea finì di lavorare alle 12 e, poco più tardi, si recò un’altra volta davanti alla scuola di Francesca, sentendo un tuffo al cuore ogni volta che scorgeva qualcuno venir fuori dal cancello. Ma anche quel giorno se ne andò prima dell’uscita degli studenti: mentre guidava verso casa, pentito per quella seconda rinuncia, si disse di essere l’uomo più stupido della terra, oltre che il più codardo. Era codardo perché era fuggito via proprio quando, chissà, avrebbe rivisto Francesca; era altresì stupido, però, dal momento che non conosceva quale fosse l’orario di Francesca, né quale fosse il suo giorno libero: agiva al buio, forse per poter dire, in caso di fallimento, che vera colpa lui non ne aveva. Ciò nonostante, il giorno successivo, venerdì, Andrea tornò per la terza volta davanti alla scuola di Francesca: nel suo liceo le lezioni erano terminate alle 10 per permettere lo svolgimento di una gara podistica, dunque si era liberato presto; perciò, verso le 12, si trovò ancora davanti al liceo dove insegnava Francesca, con il medesimo batticuore dei giorni precedenti e la medesima incertezza. Però fu più fortunato, perché mezz’ora più tardi Francesca apparve. Quando la scorse da lontano, Andrea, sebbene parecchio agitato, cominciò immediatamente a dirigersi verso di lei. Scorse i capelli della ragazza danzare al vento e la solita figura dall’andatura malinconica, eppure delicata, dotata di grazia: Francesca indossava una giacca chiara, leggera, una camicetta bianca, una gonna lunga di colore scuro e delle scarpe aperte, senza tacco. Preparandosi ad incontrarla, Andrea cercò di disegnare sul proprio volto un sorriso che gli potesse conferire un’espressione serena, ma non ne fu capace. Si augurò che la ragazza lo potesse vedere carino come un tempo; soprattutto sperò che non lo giudicasse invadente. Quando Francesca fu a pochi metri da lui, Andrea ebbe l’impressione di avere di fronte una donna mai vista prima, una donna bellissima. «Ciao», riuscì a dirle, quasi in un sussurro. 47 Francesca si arrestò e non rispose al saluto; sembrava imbarazzata, non sorpresa. Si mise ad osservare Andrea negli occhi in modo profondo: questo atteggiamento rese il ragazzo ulteriormente insicuro. Gli occhi della ragazza erano vivi e fermi. Andrea avvertì nuovamente il tremore alle gambe. «Te lo aspettavi?», le chiese col cuore in gola, per rompere il silenzio. «Sì, me lo aspettavo… di vederti… », rispose Francesca, abbassando lo sguardo. Sopraffatto dall’emozione, con i palmi delle mani sudati e incapace di pensare con chiarezza, Andrea le disse soltanto: «Volevo parlarti… dopo tanto tempo… anche se sono in ritardo... ». L’ultima espressione, “anche se sono in ritardo”, strappò un sorriso amaro a Francesca, perché le vennero in mente i momenti non felici che Andrea le aveva fatto passare. Nondimeno la ragazza non disse nulla perché a sua volta si sentiva disorientata: rivedere Andrea, infatti, non le stava provocando l’irritazione che si sarebbe attesa, e per questo divenne inquieta. Nel frattempo Andrea, pallido e con la voce esitante, chiese a Francesca se volesse mangiare un panino con lui: la ragazza si accorse facilmente dell’agitazione che aveva colto Andrea; per questo accettò, sebbene, fino a pochi momenti prima, la possibilità di mangiare con Andrea le sarebbe parsa una follia. Francesca era sempre più colpita ed indispettita dalla propria arrendevolezza. Nel bar in cui entrarono non c’era quasi nessuno, se non il barista, un uomo anziano, dal visto bonario e con la barba grigia incolta, e due giovani che leggevano un giornale sportivo. Dava molto fastidio la radio, sintonizzata su un’emittente privata che sparava musica da discoteca. Dopo essersi seduto con Francesca ad un tavolino, Andrea, ancora assai agitato, osservò la ragazza e si domandò se fosse stata davvero sua quella donna affascinante e malinconica, seduta di fronte a lui, con gli occhi che vagavano nervosi per le pareti del locale. Il barista venne subito a prendere le ordinazioni. Il silenzio di Francesca, il suo viso smarrito e assente rendevano Andrea trepidante, giacché temeva che la tenerezza che gli ispirava quel volto avrebbe tolto lucidità al suo comportamento. Aveva timore di non essere in grado di sfruttare quell’unica chance che gli veniva offerta e che peraltro non s’aspettava di avere: per giorni aveva immaginato la possibilità di rivedere Francesca, ritenendo scontata una reazione negativa della ragazza. Perciò, aveva cercato di prepararsi a reagire con dignità di fronte al rifiuto di lei. Quel giorno, invece, sebbene Francesca rimanesse sulle sue, ella aveva accettato di pranzare con lui e di parlare a quattrocchi, e Andrea non era assolutamente preparato ad affrontare una situazione simile. Fu Francesca ad interrompere il silenzio. Disse, all’improvviso, come per proseguire un discorso già cominciato: 48 «Immagino quello che vorresti dirmi e sono pronta ad ascoltarti. Ma ricordati che io ci sto ancora male, per quello che è successo». «Lo so», rispose Andrea sorpreso, assumendo un tono di voce conciliante. Le parole di Francesca lo colpirono perché gli parvero l’atteggiamento di chi mette le mani avanti, perché consapevole della propria debolezza e fragilità. Quando Andrea ebbe questa impressione, divenne meno teso, ma non per questo più sicuro; seguitava ad avere il cuore in subbuglio e la mente annebbiata. Riuscì però a dire, come per provocare una reazione in lei: «Sono qui perché sto raccogliendo i cocci del mio passato, per metterli assieme, o provare a farlo, per questo ti ho cercata». Questa frase non sortì effetto alcuno. Il viso di Francesca continuò a rimanere serio, impassibile, almeno in superficie. Gli occhi restavano bassi, come se Francesca volesse sottrarre le proprie sensazioni allo sguardo di lui. Andrea si sentì di nuovo scoraggiato nell’osservare quegli occhi, si domandò se stesse facendo la cosa giusta, avvertendo pesare su di sé questo dubbio come un macigno. «E ora, come mai mi guardi così?», gli chiese però a bruciapelo la ragazza e Andrea fu scosso da queste parole: mentre fissava Francesca meditando sulle cose che avrebbe potuto dirle, non si era accorto che lei aveva alzato gli occhi ad incrociare i suoi. Ora che poteva vederla meglio, Andrea si accorse che le labbra di Francesca erano contratte, tese. Fu sollevato da questa constatazione: concluse che pure lei non sapesse bene quel che dovesse fare e la percezione di questo tentennamento nel portamento di lei rappresentò per Andrea una piccola luce, giacché pensò che forse pure Francesca non era rimasta indifferente nel rivederlo. Invece, poco dopo, la voce risoluta della ragazza tornò ad echeggiare in modo spiacevole alle orecchie di Andrea, destandolo da quelle riflessioni liete: «Dimmi Andrea, allora come mai mi hai cercata? Non mi vorrai fare credere che il nostro incontro di oggi è casuale, vero?». «No, cioè, non proprio…». «E allora, perché?...», chiese un’altra volta Francesca, all’apparenza sempre più decisa. Ascoltando quelle parole e quel tono vagamente aggressivo, quel po’ di coraggio che Andrea aveva acquisito fino a quel momento svanì del tutto. La confusione nella sua testa si accentuò: temette che la ragazza si potesse spazientire e solo con un filo di voce riuscì a balbettare: «Io, volevo, cioè, vorrei... ». «Ricominci a balbettare le risposte? Ricominci a non andare fino in fondo alle cose? Sbaglio o sei stato tu a venire a scuola stamattina e ad aspettarmi? Me lo sono sognato?», gli disse allora Francesca. Però non appariva arrabbiata, anzi, aveva sulle labbra una specie di triste sorriso: nelle sue parole non c’era 49 alcun tono di rimprovero, ma una sorta di rassegnazione, come se stesse constatando che Andrea non fosse affatto cambiato. In quell’istante, arrivarono i panini, la bottiglia d’acqua, ed il barista con la sua gentilezza di maniera. Fu un breve intermezzo. I ragazzi iniziarono a mangiare dicendo solo delle frasi di circostanza: discorsero dei loro lavori, delle famiglie e della scuola. Nondimeno, terminato il pasto, Andrea cominciò a parlare di nuovo di loro due, perché capiva che il tempo stava passando e sapeva che difficilmente Francesca gli avrebbe concesso un’altra volta la possibilità di un incontro a due. Si fece perciò coraggio, sebbene percepisse la propria fronte e la schiena madide di sudore, e disse: «Vedi, da quando ci siamo lasciati, non ho più avuto occasione di parlarti e allora adesso, anche se siamo così… distanti, vorrei avere la possibilità di spiegarti alcune cose». «Andrea», gli rispose la ragazza con un sorriso indulgente, come se si aspettasse quelle parole ed avesse già pronta la replica, «credo che arrivi in ritardo. Quando ci siamo lasciati ti confesso che all’inizio ho sperato che ti facessi sentire, che mi cercassi e invece sei sparito completamente». Andrea rimase di pietra. Avvertì un sapore amaro in bocca, il sapore del rimorso. Era vero, non si era fatto vivo perché aveva dato per scontato che Francesca volesse essere dimenticata. Avrebbe voluto dire queste cose alla ragazza, protestare la propria “innocenza”, ma lei lo anticipò: «Ti è mancato il coraggio, di parlarmi perché sapevi di essere colpevole, vero? È questo che vorresti dirmi?». Francesca, dopo queste parole, prese a guardare Andrea come per osservare l’effetto delle proprie parole. Era un po’ meno tesa, ma non serena e calma come avrebbe desiderato; non voleva però che la sua tensione trasparisse. Malgrado ciò, non capiva per quale ragione, nonostante i propositi che aveva elaborato per mostrarsi distaccata di fronte ad Andrea (sapeva infatti che Andrea avrebbe cercato di rivederla, dopo l’incontro nella città vecchia), il ragazzo le ispirasse un po’ di tenerezza; questa sensazione non la rendeva tranquilla. «Sì, forse… non so… hai ragione, mi è mancato il coraggio», disse Andrea ad un certo punto, per rispondere qualcosa a Francesca. Nel frattempo, la radio del bar era stata spenta: erano davvero soli nel locale. «Comunque», disse quasi subito Francesca, sospirando, «io ti ho aspettato e tu non sei venuto. Cosa potevo pensare, se non che non t’importava nulla di me? Ero ferita, lo sai, il cuore era a pezzi, l’umore a terra. Avevo bisogno di cambiare, volevo un’iniezione di fiducia ed entusiasmo. Negli ultimi tempi stare con te era diventato soffocante, sentivo di brancolare nel buio, cercavo sempre un appiglio ma tu non c’eri mai. Ho pensato che per salvarmi 50 veramente, per tornare a stare bene, dovevo lasciarti, anche se mi è costato tanto, perché a te ci tenevo, come ti ho dimostrato... ». Francesca aveva concluso il suo piccolo sfogo con un filo di voce e il cuore che le batteva forte, giacché si era accalorata. Veniva meno un’altra volta al proposito di non farsi coinvolgere in quella discussione: non riusciva ad attuare il suo progetto di rimanere equilibrata. La freddezza, il distacco, quel giorno, erano atteggiamenti che il suo animo respingeva. Andrea, udendo quelle parole, percepì un’onda di amarezza penetrargli nelle ossa come un liquido paralizzante. Il locale cominciò a sembrargli una stanza di tortura adatta a punirlo della sua pusillanimità. Si disse che se non avesse riconquistato Francesca la sua vita sarebbe definitivamente sprofondata. Era stato uno sprovveduto ad aver fatto del male ad una donna come lei, senza dubbio! Era nuovamente preda della convinzione di trovarsi di fronte alla donna più desiderabile del mondo. Ebbe la conferma definitiva, in quegli istanti, di continuare ad amarla e tale idea lo fece tremare, poiché capiva che doveva tentare il tutto per tutto e che il tempo stringeva. Una campana lì vicino suonò le due, mentre il crescente borbottio di tuoni non più lontani annunciò il diluvio. «Mi sento come chi ha giocato una schedina vincente al totocalcio e non trova più la matrice per riscuotere la vincita», disse alla fine il ragazzo, semplicemente. Francesca capì il senso di quella similitudine, ma tacque. Notava in quel momento negli occhi di Andrea una luce diversa dal solito. Si sentiva lontana da lui, quantunque al contempo avvertisse nel profondo di se stessa l’esistenza di un filo sottile che la teneva unita a quell’uomo. Questa sensazione la spaventò perché ebbe paura di tornare prigioniera di un passato in cui era stata male. «Sai Andrea, mi sembri un fantasma venuto da un tempo lontano… », disse, come per esorcizzare la paura di “cascarci” di nuovo, ma, senza volerlo, impiegò un’espressione che permise ad Andrea di giocare ancora le proprie carte. «Un tempo lontano, finito per sempre?», le chiese infatti il ragazzo, guardandola negli occhi. Francesca, sorpresa, non rispose subito: non si sarebbe mai aspettata, quel giorno, di ritrovarsi in quella situazione con Andrea. Per questo profferì una frase confusa, che suonò bizzarra alle orecchie del ragazzo: «Che ne so quali sono le strade della vita? Non vedi quanto è imprevedibile il destino? Tu ci credi al fato, voglio dire all’idea che tutti sia deciso e scritto prima? Io forse sì». Andrea capì allora che anche Francesca era un po’ a disagio. La ragazza, comprendendo di essersi parzialmente tradita, ebbe l’impressione di essere debole, sguarnita; pensò di essere stata una sciocca ad accettare quell’invito. Se ne pentì, ma si disse che nulla era ancora perduto e che, se si fosse alzata e se 51 ne fosse andata via, tutto sarebbe finito, senza conseguenze indesiderate. Tuttavia non si mosse, perché Andrea cominciò a parlare con voce più ferma: «Francesca, lo ammetto, forse ti apparirò debole, ti sorprenderai di vedermi così, ma volevo in fondo chiederti scusa, di tutto. Scusa se non ti ho amata come tu desideravi, come avevi bisogno. A volte succede di non comprendere cosa gli altri vogliano da noi, per cui non ci si rende conto che quello che per noi può valere poco, per un’altra persona è invece fondamentale. Avrò peccato di incomprensione verso di te, di egoismo, ecco… ho avuto paura di impegnarmi seriamente, era la prima volta che si presentava questa possibilità… però, credimi, ti ho voluta bene realmente… ». Andrea finì la sua frase col il cuore che gli batteva forte. Avrebbe voluto dire a Francesca che le voleva bene ancora, ma non ci era riuscito giacché le parole si erano spente nella sua gola. Aveva calato l’asso ed ora non aveva più altre carte in mano. Decise di continuare a parlare, per vedere se quel pomeriggio avrebbe potuto quantomeno regalargli uno spiraglio di speranza: «Tu prima mi hai chiesto se credo nel fato. Non so... Io penso… », tossì e si schiarì la voce, «credo che per buona parte i responsabili di quello che ci accade siamo noi, soprattutto per quel che riguarda i rapporti con gli altri. La fortuna avrà pure un ruolo, molte cose succedono per caso, o almeno così ci sembra, ma forse diamo al colpa o il merito al fato solo perché non conosciamo le cause vere e profonde di quel che accade. Non credo però che tutto sia già deciso, altrimenti che senso avrebbe impegnarsi e faticare? Rimane solo la possibilità di continuare a fare quello che ci sembra meglio: sperare, soffrire, amare ed anche sbagliare, l’importante è avere l’onestà di ammetterlo». Francesca continuava a tacere; trovava bella la fase finale di Andrea, mentre le altre riflessioni le apparivano banali. Però il ragazzo si confermava profondo e sensibile ai suoi occhi. Non replicò nulla, ad ogni modo, perché temeva di mostrarsi ancora affezionata a lui. Le sarebbe apparsa una debolezza imperdonabile. Di fronte al silenzio della ragazza, di cui non conosceva i motivi, una grande amarezza avvolse Andrea. Egli comunque aggiunse: «Sei cambiata Francesca in questi mesi. Lo sento e lo accetto…con tristezza…». Allora Francesca finalmente parlò, soprattutto per scuotersi dalle incertezze che l’avevano assalita quel pomeriggio: «E tu, dimmi, non sei cambiato? Sono stagioni delle nostra vita, stagioni che si succedono». Poi, dopo una breve pausa, soggiunse: «È normale diventare delle persone diverse, anche se giorno per giorno non ce ne accorgiamo, mentre all’improvviso, dopo un po’ di tempo, ci guardiamo allo specchio e ci vediamo differenti. Non dico irriconoscibili, per fortuna rimane qualcosa di stabile, però siamo diversi da prima. Non possiamo farci nulla, non credi? È come quando costruiscono una casa nuova nella tua zona: quando la casa è pronta, non ti ricordi che aspetto 52 avesse in precedenza il quartiere, come fosse la tua via. Così succede pure a noi». Andrea sorrise: continuava a guardava il tavolo, la sedia, ma non la ragazza. Credeva di essere come colui che ha finito le carte buone a disposizione. Aveva perso la partita? Aveva fatto bene a rivedere Francesca? Si aspettava un risultato come quello? Queste riflessioni furono però interrotte da Francesca che riprese a parlare con un tono più deciso, come se volesse accomiatarsi: «Vedi Andrea, come ti ho già detto, forse ci siamo conosciuti troppo tardi, oppure non eravamo in sintonia, perché, quando ci siamo frequentati, avevamo esigenze diverse, idee differenti su noi stessi e sul nostro futuro». Andrea percepì, dopo quelle parole, crescere in sé una grande disperazione: quelle frasi gli parvero chiarissime nella loro spietata limpidezza. Avvertì addirittura un nodo alla gola e il desiderio di piangere; per evitare di versare lacrime di fronte a Francesca, propose alla ragazza di uscire dal bar e di fare un pezzo di strada passeggiando. Tuttavia, gli scrosci di pioggia che si udivano all’esterno, i colpi di tuono, rendevano impraticabile la cosa. Forse era il destino veramente contro di lui: l’incontro stava terminando con un nulla di fatto. Allora, di nuovo per spezzare il silenzio e per avere quantomeno l’ultima parole, Andrea disse: «Comunque non provo rancore verso di te, vorrei che lo sapessi e vorrei che sapessi che io stesso ho sofferto, anche se allora ti sono apparso distante e superficiale. Ho provato tanta malinconia, tanta nostalgia per i nostri momenti assieme… cioè, voglio dire, sentivo molto la tua mancanza… una specie di dolore indefinito... ». Si fermò temendo di essersi lanciato troppo in avanti con quelle affermazioni accorate: non voleva mostrarsi debole, non voleva fornire alla ragazza l’impressione di essersi illuso di poterla riconquistare grazie a quell’incontro e di aver fallito. Francesca non replicò nulla alle frasi del ragazzo, ma si alzò dalla seggiola di scatto. Prese in mano la borsetta; Andrea le appoggiò una mano sull’avambraccio e le chiese di fermarsi ancora un attimo. La ragazza acconsentì, lievemente infastidita. Allora Andrea, come se avesse deciso di sapere tutta la verità, foss’anche la più tetra, preparato com’era a soffrire, le domandò: «E Giorgio cosa significa per te?». La domanda colpì Francesca perché risvegliò in lei un ricordo non piacevole. La sera prima Giorgio aveva dichiarato di amarla, mentre lei non era riuscita a replicare alcunché. Sapeva di voler bene a Giorgio, per quanto non si sentisse in grado di amare qualcuno nuovamente. Le aveva fatto piacere la delicatezza di Giorgio, il quale non aveva preteso che lei gli rispondesse subito, benché fosse chiaro che prima o poi lei avrebbe dovuto dichiarare a Giorgio che non lo amava. Nondimeno, non avrebbe mai confidato ad Andrea una cosa del 53 genere. Anzi, si disse d’essere colpevole nei confronti di Giorgio, perché già sapeva che non gli avrebbe svelato di aver rivisto Andrea. Cercò dunque di evitare l’argomento e si rivolse ad Andrea guardandolo negli occhi e adottando un tono di voce calmo, come se volesse convincere il ragazzo dell’inutilità del suo tentativo di riprendere i contatti con lei: «Sai Andrea», cominciò a dire, «siamo stati due passeggeri di due treni paralleli… ti piace l’immagine poetica? Lo so, poco originale, ma rende l’idea, mi pare che ci sia anche in qualche canzone... Dicevo... dai nostri treni paralleli, durante un rallentamento ci siamo incrociati, ci siamo guardati un attimo dai finestrini, ci siamo piaciuti, forse amati… ma è stato appunto un attimo e poi i nostri treni hanno ripreso le loro opposte direzioni. Forse sarà rimasto il rimpianto per questo amore così…così…insomma per un amore non nato, ma ormai...». Francesca terminò di parlare con un filo di voce, come sopraffatta da una grande emozione. Si alzò per la seconda volta quasi di scatto, come per sfuggire a qualcosa, come se stesse comprendendo che le parole appena dette potessero provocare in Andrea una reazione alla quale lei non voleva assistere. Muovendosi tanto in fretta, urtò la seggiola che cadde con un certo fragore, echeggiando nel bar ormai vuoto e desolato nelle sue pareti azzurre. Andrea, dal canto suo, percepì il turbamento di Francesca, ma non ebbe il tempo di replicare alcunché alle sue parole. Lui stesso si alzò e si diresse verso la cassa, dove Francesca stava pagando il conto. Andrea la vedeva già lontana da lui, si sentiva di aver fallito, si sentiva un inetto, capiva di aver giocato male le proprie carte. Ciò nonostante, non poteva accettare il fatto che Francesca avesse evitato di rispondere alla sua domanda su Giorgio. 54 Capitolo XI – L’amore di riserva Mezz’ora più tardi, tornando a casa dopo quell’incontro che lo aveva deluso (il saluto con Francesca era stato rapido, anche se, inaspettatamente per Andrea, la ragazza non aveva escluso la possibilità di rivedersi), Andrea trovò Antonella che lo aspettava vicino al cancello del suo palazzo. Si ricordò solo in quel momento, con disappunto, di averle dato un appuntamento per quel giorno: dopo le emozioni del pomeriggio, Andrea se ne era completamente dimenticato. L’unico suo desiderio, dopo aver rivisto Francesca, era infatti starsene a casa da solo a riflettere, e questa aspirazione aveva cancellato nella sua mente ogni altra cosa idea. Perciò, appena scorse Antonella, Andrea cercò di elaborare qualche credibile scusa per congedarla in fretta, ma non gli venne in mente nulla. La sua testa era vuota, spossata. Il giorno prima, in un momento di pessimismo sulla sua possibilità di ritornare con Francesca, era stato colto da una grande tristezza e malinconia. Aveva quindi telefonato ad Antonella invitandola ad andare a casa sua l’indomani, vista l’assenza della madre, partita per il mare. La ragazza, benché offesa per essere stata ignorata per più giorni, aveva accettato, forse sperando che quella telefonata potesse segnare una svolta in positivo nei suoi rapporti con Andrea. Dunque quel giorno non si trattava di un appuntamento per pochi minuti, ma per un lasso di tempo più ampio, nel quale, Andrea lo sapeva, sarebbe stato in intimità con Antonella, ragazza innamorata di lui e pronta a cedergli facilmente. Perciò, benché contrariato per averla vista, si avviò verso di lei per salutarla sorridendo, facendo buon viso a cattivo gioco. Antonella lo salutò con un “Ciao” al quale aggiunse una frase pronunciata sorridendo maliziosamente: «Come mai così in ritardo? Sei stato dalla tua amante?». La ragazza indossava una maglietta rosa a maniche corte ed una gonna chiara: Andrea scorse le protuberanze dei seni annunciarsi attraverso la maglietta attillata, vide che la gonna della ragazza era molto corta e fu preso dalla solita brama di possederla in fretta per evitare qualsiasi dialogo. Il riferimento all’amante fece peraltro sorridere Andrea: Antonella gli appariva tenera, ingenua, pronta ad aprirsi a lui con tutta la fiducia del mondo, capace di volergli bene senza finzioni, senza stratagemmi e senza doppi fini. Entrarono in casa, parlottando tra di loro. Andrea era infastidito dalle cose che Antonella gli raccontava: il suo lavoro, le amare vicende familiari (il padre appena dimesso dall’ospedale). Il ragazzo non poteva prestare attenzione a quelle frasi, perché aveva la testa piena di confusione. Nel salotto illuminato dal sole, Antonella si sedette sul divano ed Andrea, accomodandosi vicino a lei, cominciò ad osservare il viso tondo della ragazza e si disse che era senza dubbio apprezzabile. Però in quel momento lui aveva un’altra donna in testa: 55 avrebbe voluto dirlo ad Antonella, ma rimase in silenzio. Si alzò per preparare il caffè e fece di tutto per non stare troppo tempo accanto alla ragazza: aveva la sensazione di tradire Francesca se avesse fatto l’amore con Antonella. Ciò nonostante sapeva che sarebbe accaduto ed allora si diceva: “Ma perché tanti preparativi, tanti giri di parole? Facciamolo prima possibile, così passerà”. Andrea percepiva l’ineluttabilità di questo atto, l’inevitabilità di quell’esito, ma al tempo stesso si sentiva disgustato dalla propria falsità, dell’incapacità di prendere in mano la propria esistenza anche in quel frangente, davanti ad una ragazza rispetto alla quale lui si trovava in posizione predominante. Vedendolo tanto meditabondo, Antonella ad un certo punto gli chiese: «Che hai? A cosa pensi?». «Nulla, nulla, a scuola, tanto lavoro», si giustificò Andrea. «Beh, avete finito, no?». «Sì, quasi». «Uffa, non mi hai nemmeno baciata!», disse Antonella all’improvviso, però con un tono della voce leggero, quasi volesse canzonarlo ed ottenere agevolmente quello che desiderava. Andrea la guardò distratto, pensando: “E baciamoci dunque, anzi spogliamoci già”. Antonella gli sfiorò le labbra con le sue. Poi tornò a guardarlo in silenzio, ma quel bacio a fior di labbra accese ulteriormente Andrea. La sala era illuminata dal sole del pomeriggio, il cui riverbero cadeva dai vetri dei finestroni posti in alto. Della polvere danzava attorno ai raggi di luce. Antonella, diventata silenziosa e triste per la freddezza di Andrea, guardò la libreria davanti a sé, il televisore spento, ed all’improvviso ebbe voglia di piangere: un grande abbattimento l’assalì, unito alla certezza, palese anche quel pomeriggio, di non essere amata da Andrea. Aveva sperato, recandosi all’appuntamento, che qualcosa fosse cambiato, ma non era successo, anzi il ragazzo appariva ancora più distaccato e distratto. Il caffè era pronto. Lo bevvero senza dirsi nulla. Dopo il caffè, Andrea, comprendendo l’amarezza di Antonella, si avvicinò a lei e prese ad abbracciarla. Fu invaso dall’essenza del profumo della ragazza: si disse di nuovo che Antonella era in ogni caso una donna attraente e che in fondo gli piaceva. Si strinse a lei, ne percepì le forme del corpo, la sentì contenta di quell’abbraccio; tuttavia, quantunque cercasse in tal modo di suscitare in se stesso un minimo desiderio per unirsi a lei, Andrea non ci riuscì. Aveva la sensazione che per lui sarebbe stato indifferente sia fare l’amore sul quel divano, all’istante, con Antonella, sia vederla andare via. La sola cosa che la spingeva verso di lei era un’esigenza fisiologica, un modo per superare la parziale delusione donatagli dall’esito dell’appuntamento con Francesca. Antonella comunque si fece baciare, abbandonandosi completamente alle braccia di Andrea, senza remore: ella cercava di ignorare l’entità del fossato che 56 la separava da lui. Eppure quel pomeriggio sentiva Andrea freddissimo, svogliato, proteso verso di lei solo per “dovere virile”, ma poco convinto. E ne soffriva, più di altre volte. Per questo la sua eccitazione si spense presto. Andrea si accorse del fatto che Antonella non si accendesse facilmente ai suoi baci e alle sue carezze. Perciò le chiese: «Che hai adesso?». «Niente». “Che rottura di scatole!”, pensò il ragazzo, roso dall’impazienza e dall’eccitazione che avvertiva crescere in lui, ma non disse nulla. Per un istante, la sua mente si volse a Francesca: “Mi starà pensando?”, si domandò ed emise un leggero sospiro. «Sei freddo oggi. Non mi vuoi?», la voce triste di Antonella lo riportò alla realtà. Andrea la guardò senza vederla. Cercò di accarezzarla sui seni, ma ella lo fermò, fissandolo con gli occhi imploranti una parole dolce. Andrea allora disse: «Non c’è nulla, lo sai che mi piaci». Nondimeno, dopo qualche breve effusione, Antonella si alzò dal divano. Andrea allora, interdetto, la osservò da dietro, scorgendo la gonna corta e le forme pronunciate della ragazza, ed ebbe nuovamente voglia di lei, però non fece nulla, rimanendo seduto. Antonella si diresse verso la porta a finestra della cucina e cominciò a guardare fuori, sospirando. La luce del sole in quel tardo pomeriggio continuava ad illuminare la casa con generosità, benché il sole cominciasse lentamente a declinare: il riverbero entrava più laterale, meno acceso, e tagliava la stanza con squarci di luminosità ormai più ondulati, tendenti all’arancione e, allorché riflessi sulla porta d’entrata, al rosso vivo. Ad un certo punto, Antonella tornò verso Andrea. I suoi occhi erano spenti, come svuotati da una gioia pregustata da tempo. La delusione si dipingeva su di essi, conferendo alla ragazza un’aria dimessa. Chiese al ragazzo: «Dove sei stato oggi?». «A bere un caffè con Alfio, perché me lo chiedi?», rispose Andrea, meravigliandosi di essere capace di mentire con tale disinvoltura. «Tre ore per prendere un caffè? Dovevamo vederci alle quattro. Sei arrivato alle cinque. Mi hai scritto alle due che stavi uscendo, poi non mia hai avvertita del ritardo... Insomma che hai fatto?», insistette Antonella, sedendosi nuovamente al suo fianco. Nel compiere quest’atto la gonna le si alzò leggermente scoprendo una porzione di gamba. Andrea notò questo particolare e nuovamente il desiderio di lei lo afferrò. Cercò di baciarla ma ella si ritrasse. «Cosa c’è ancora?», chiese lui, infastidito, come se non avesse udito le domande che la ragazza gli aveva rivolto in precedenza. Antonella riprese a parlare con la voce progressivamente rotta dall’emozione: «Vorrei sapere perché sei così, oggi, perché mi hai fatto venire se non ti andava di vedermi, perché non mi dici dove sei stato prima!». 57 Andrea credette che la ragazza fosse sul punto di piangere e provò disgusto: per se stesso, per la propria doppiezza, per l’ingenuità di Antonella, per quella casa invasa dal sole di quella fine pomeriggio. Guardò di nuovo il televisore spento davanti a loro, lo vide nero, polveroso, vuoto e pensò di essere come lui, come quello schermo che non aveva alcuna espressione, alcun colore. «Hai visto Francesca, l’ha sentita, vero?», gli chiese infine Antonella, voltandosi verso di lui e guardandolo negli occhi con insistenza. Andrea rimase senza parole. Antonella aveva compreso ogni cosa, nonostante i suoi inganni. Il primo impulso che Andrea ebbe fu quello di negare ogni cosa, pensando che se avesse preso Antonella fra le proprie braccia, ella gli avrebbe ceduto subito, dimenticandosi di Francesca. Eppure, di nuovo, una sensazione di disgusto lo colse, paralizzandolo: non sarebbe stato meglio ammettere la verità, cioè di aver visto Francesca, di averle parlato e di essere ancora innamorato di lei? Non sarebbe diventato tutto più leggero, più facile? Non si sarebbe mostrato, almeno per una volta, una persona autentica e sincera? Un nuovo, irresistibile desiderio di scappare fuori all’aria aperta lo colse, ma non si mosse, e disse soltanto, mentendo di nuovo: «Sai mi ha chiamato lei, le serviva una traduzione e lo le ho promesso che gliela faccio..., cioè che gliela avrei fatta». La bugia, impastata a qualche goccia di verità, cadde nella sala come un sasso di piccole dimensione sul mare: non provocò nessuna onda. Antonella lo osservava senza dire nulla: gli occhi erano rossi, il labbro inferiore tremava. Andrea avrebbe voluto aggiungere qualcosa, però non lo fece: il disgusto per la situazione lo aveva annichilito. «E così cosi l’hai vista oggi. Non era vero che stavi con Alfio, mi hai detto una bugia, una delle tante», disse allora Antonella, triste e rassegnata, abbassando lo sguardo. «Ehm, sì, l’ho vista, doveva darmi i testi da tradurre per il suo concorso. Non te l’ho detto al telefono perché non avresti capito, ma te lo avrei detto appena ci saremmo incontrati», rispose Andrea sforzandosi di sorridere, senza riuscire a celare il proprio imbarazzo. Antonella colse al volo la contraddittorietà di quell’affermazione, giacché replicò: «Ma se volevi dirmelo a voce, perché non me lo hai detto appena ci siamo visti e invece ti sei inventato la storia di Alfio?». Andrea non seppe cosa rispondere a questa obiezione. Antonella continuò: «E dato che dici di averla vista solo per una commissione e che non ti fa nessun effetto, perché sei così freddo con me, adesso, e così scontroso?». «Ma Francesca non c’entra!», rispose Andrea stancamente. Era esausto per quella discussione che giudicava inutile. Antonella, invece, al di là delle parole timide di rimprovero che indirizzava ad Andrea, desiderava ancora gettarsi fra 58 le sue braccia e non pensare più a nulla, ma non lo fece: un ritegno, una consapevolezza tardiva la trattenne. Un sussulto di dignità, si sarebbe detto. Andrea comunque la baciò ancora e gli parve, dai fremiti che il corpo della ragazza trasmetteva, che ella fosse di nuovo pronta e che avesse superato le sue malinconie. “È l’unica maniera per far finire questa penosa conversazione”, pensò in quell’istante Andrea. Quell’irrazionale desiderio fisico lo aveva del tutto ghermito, non per una reale convinzione, bensì solo come un diversivo, come una maniera per sfuggire a quelle chiacchiere scomode. Tuttavia, Antonella si ritrasse, lasciando Andrea di stucco, eccitato e sbigottito. Ormai il desiderio era stato acceso in lui e la reazione di Antonella gli parve eccessiva: la ragazza, innamorata di lui, pronta sempre a cedergli, si rifiutava, non voleva andare “oltre”, come gli disse in quel momento, e quell’oltre diventò per Andrea il limite, il confine tra un indefinibile orrore di sé e la soddisfazione di un desiderio fisico non autentico, ma almeno in qualche modo, esso sì, definibile con esattezza. Mentre il ragazzo era assorto in questi pensieri, sul viso di Antonella cominciarono a brillare delle lunghe e silenziose lacrime che scendevano lentamente dagli occhi. La ragazza ogni tanto tirava su col naso, poi se lo soffiava col fazzoletto, come a voler fermare il pianto, ma non c’era nulla da fare: Andrea la guardò in silenzio, provando più rabbia che compassione e nondimeno, anche in quel caso, fu incapace di compiere l’autentica azione richiesta in una situazione come quella: consolare la ragazza. Andrea infatti osservò inerte la delusione dipingersi sul volto di Antonella, deformandolo, arrossando le sue guance tonde, facendo sussultare il petto, ormai esploso in un pianto profondo, inarrestabile. Ciò nonostante, Andrea continuava a tacere, immobile. Aveva perduto la possibilità di possedere una donna che moriva d’amore per lui, che egli riteneva facile e disponibile. In fondo, tra Antonella e Francesca la situazione cambiava poco: la prima lo aveva respinto perché freddo ed incostante, come la seconda. L’una, giudicata da Andrea una donna intelligente e affascinante, era ancora lontana da lui; l’altra, ritenuta una donna facile, carina ed ingenua, gli era al tempo stesso lontana, perché aveva compreso il suo gioco, il suo trucco, la sua maschera. Entrambe non lo volevano più, dopo averlo comunque amato. Tra le lacrime, Antonella gli disse ad un certo punto: «Sai che sono innamorata di te, ma tu mi chiami solo per...», tacque perché non c’era bisogno di aggiungere altro. Poi soggiunse: «In questo periodo mi hai preso in giro, ora lo capisco: se ami un’altra non puoi stare con me, chiamarmi, usarmi come vuoi tu, come se fossi sempre a disposizione». Andrea trovò queste parole giustissime, ma non gli venne in mente nessuna reazione: non ne aveva voglia. Si sentiva stanco, accaldato, spossato da quella conversazione e dall’eccitazione insoddisfatta. Sapeva che un’altra persona al 59 suo posto, in modo più usuale, avrebbe reagito: o cercando di smentire Antonella, oppure dandole ragione. Invece Andrea non fece nulla. Antonella non piangeva più: sembrava esausta, oltre che arrabbiata, accigliata nel suo viso arrossato: il fondotinta si era bagnato, spargendosi sulla gote. Si alzò decisa, quasi senza guardare Andrea, e se andò. Il giorno successivo, sabato, per Andrea fu l’ultimo giorno di scuola. Nessuno dei professori aveva provato a fare lezione: dominava un’atmosfera vacanziera ovunque. Le aule erano vuote oppure occupate da festicciole di studenti; i corridoi invece erano gremiti di ragazzi che sciamavano verso il cortile in attesa dell’ultima campanella e della fine dell’impegno. Andrea quel giorno era rimasto in classe poco tempo: aveva passeggiato nel cortile con alcuni colleghi, all’intervallo, aveva scambiato due parole sul tempo, sulle vacanze imminenti, e si era soffermato a guardare divertivo e un po’ malinconico gli studenti festanti, ignari dell’esito degli scrutini finali. All’ora di tornarsene a casa, dopo l’ultima campanella e l’ultimo saluto agli studenti, Andrea s’avvio a piedi verso l’uscita della scuola, calpestando la ghiaia umida. Il suo umore era basso: la scenata di Antonella del pomeriggio precedente e il silenzio di Francesca, dopo quell’incontro al bar, lo rendevano inquieto. Non aveva chiamato Francesca perché non voleva apparire insistente e perché temeva di risultare importuno, dato che si erano visti solo il giorno prima. Tuttavia, Andrea si era cullato per qualche ora nella speranza che fosse lei a chiamarlo, magari per chiarire meglio le cose che si erano detti oppure per vederlo di nuovo. Non era successo, come era prevedibile, eppure Andrea ne aveva tratto presagi funesti sul futuro. Mentre camminava fuori dalla scuola, Andrea sollevò il viso per guardare i palazzi che, quell’anno, aveva visto diverse altre volte, senza però prestare mai loro attenzione, tanto erano tetri ed anonimi. Il suo interesse fu preso da un condominio in stile anni Settanta alto cinque piani, con la facciata coperta da piastrelle marroni e una sfilata di balconi grigi, posti ai due lati della tromba delle scale che si intravedeva chiusa da finestre di vetro rigato. Quel palazzo, bagnato dalla pioggia che aveva cominciato a cadere, comunicava una grande mestizia: alcuni balconi erano ornati con vasi di piante (per lo più gerani), altri erano spogli, altri infine imperlati di cespugli di glicine. Sotto i terrazzi c’erano i portoni, le scale per scendere ai garage ed alle cantine; più avanti, di fronte ai balconi, si trovava un sinuoso vialetto lastricato che, dal cancello d’ingresso, conduceva ai vari portoni. Insomma, un quadro d’anonimato consono a quel pomeriggio piovoso. Andrea osservò gocciolare i petali di un glicine da un balcone del secondo piano e pensò a se stesso, paragonandosi a quella pianta. Anche lui era come qualcosa di apprezzabile esternamente, una persona piacevole a prima vista, 60 ciononostante, nel profondo del suo animo, indolente e inconsistente. L’incapacità di possedere se stesso, di appartenersi, lo condannava a restare sempre fermo nello stesso punto, sempre chiuso dalla stessa cancellata, come quella bella pianta, dal profumo intenso ed attraente, però immobile, destinata a nascere e morire nel luogo in cui il caso l’aveva fatto nascere. Non era una bella sensazione. Il cancello chiuso era la metafora della sua condizione: un limite che gli impediva ogni crescita, ogni sviluppo ma, al tempo stesso, una protezione dall’esterno, una muraglia tesa contro i cambiamenti che lo avrebbero mutato e che lo avrebbero anche posto di fronte a cose nuove e sconosciute, obbligandolo a crescere e maturare. Quel cancello divenne, per lui, la metafora di un muro eretto per timore del proprio avvenire. E poi, all’improvviso, su quel marciapiede, sotto la pioggia, Andrea avvertì sorgere in sé la greve consapevolezza che negli anni lui stesso, come persona e come uomo, non aveva fatto grandi passi in avanti. Le vicende che si erano succedute, i cambiamenti della sua vita, erano infatti solo il frutto dell’inevitabile scorrere del tempo che costringe le persone a “fare” inevitabilmente qualche cosa. È vero, aveva scelto la facoltà universitaria, ma non aveva scelto di fare l’università; si era laureato e insegnava come docente precario: ma lo faceva perché era stata l’unica occasione di lavoro che si era presentata, giacché non ne aveva cercate altre Non aveva ancora avuto il potere di scegliere da solo la propria strada: si lasciava trasportare dalla corrente del fiume e ogni tanto nuotava, dunque dava il proprio contributo, ma sempre in favore di corrente. Per questo, dal punto di vista della crescita del suo spirito, Andrea comprese di non aver percorso molta strada dalla sua adolescenza. Non sapeva ancora cosa fare, cosa scegliere nella vita, come comportarsi con gli altri. Cos’era cambiato rispetto a dodici, tredici anni prima? Un brivido di freddo lo riscosse da queste riflessioni: diede un’ultima occhiata al glicine spento che dietro la cancellata rimaneva fermo, immobile sotto la pioggia del pomeriggio appena cominciato. Osservò l’immagine del proprio volto riflessa malamente dal vetro rigato d’acqua di un’automobile parcheggiata al suo fianco. Vide il proprio viso grigio, oscuro, indefinito, come se la sua figura fosse sul punto di svanire, annegata dalle gocce di pioggia che scivolavano sul vetro. Andrea ebbe nuovamente l’impressione di essere un altro se stesso e di osservarsi dall’esterno, al di fuori del proprio corpo. Si domandò cosa un estraneo avrebbe detto di lui, in quel momento. Avvertì di nuovo una lama di angoscia effondersi nel suo animo, lentamente. Era come se la strada bagnata ed ormai deserta, gli edifici grigi dietro di lui, le automobili parcheggiate, le inferriate del cancello della scuola, fossero un unico, gigantesco specchio, nel quale egli vedeva riflessa la propria inconsistenza. 61 Capitolo XII – Un fatto inatteso Quel frangente di angoscia esistenziale durò per fortuna di Andrea solo pochi giorni. Come se fosse un segno del destino, come se il fato volesse dargli di nuovo la possibilità di rivedere Francesca, qualche giorno dopo ad Andrea giunse infatti la notizia del ricovero di Giorgio in ospedale. Si trattò di una notizia portatagli da Alfio: Giorgio aveva avuto un incidente in motocicletta e si era fratturato una gamba mentre scendeva i tornanti di una strada di collina che digradava verso il lago. Probabilmente aveva preso una curva a forte velocità e la moto gli era “sfuggita dalle mani”; era caduto, scivolando su una pozzanghera ed era andato ad urtare uno dei parapetti di cemento armato che delimitavano la strada: si era fatto molto male, ovviamente, ma se non ci fosse stata quella protezione sarebbe caduto nel vallone sottostante. «Insomma, se l’è vista brutta, poveretto, anche perché se contro il parapetto ci fosse finito con la nuca anziché con il bacino…», aveva concluso Alfio, assumendo un’espressione del volto seria e compunta. Apprendendo la notizia e i suoi particolari, Andrea sentì scorrere un brivido nella schiena. Il suo pensiero corse subito a Francesca più che a Giorgio: immaginò, con disappunto, la tristezza della ragazza, il suo dolore, la sua afflizione. Il rischio corso dall’amico non fu praticamente considerato da Andrea; egli pensò solo che quell’incidente avrebbe potuto avvicinare ancor di più Francesca a Giorgio. Quell’incidente stava per diventare un ostacolo posto sulla strada del suo riavvicinamento a Francesca: Andrea temeva che da quel giorno in poi (e chissà per quanto tempo) la ragazza sarebbe stata presa dal dovere di stare vicino a Giorgio e che non ci sarebbe stato spazio per le sue richieste. Lo stesso Alfio, quando gli aveva riferito del fatto, gli aveva detto, sorridendo e guardandolo in modo comprensivo: «E adesso? Secondo te Francesca si mostrerà fedele, innamorata del suo uomo sofferente? E tu che farai? Fine delle possibilità e delle speranze?». In quel momento i due ragazzi stavano bevendo una birra seduti ai tavolini di un bar del centro città; era una serata mite, piacevole. Prima di rispondere alla domanda, Andrea prese a giocherellare sul tavolo con il telefono cellulare, come se volesse sottrarsi allo sguardo di Alfio. «Beh, credo che farà così, cosa potrebbe fare d’altro?», rispose alla fine, allargando le braccia, mentre il suo viso cercava di mantenere un’espressione serena. Dopo averlo ascoltato, Alfio sospirò sconsolato, perché indovinava i pensieri dell’amico. Per questo poco dopo gli disse: «Ma non provi per Giorgio nemmeno un po’ di pietà? In fondo è un nostro amico, ha rischiato di morire». La farse non risuonò come un rimprovero, piuttosto come una riflessione amara. Andrea capiva che il suo atteggiamento appariva negativo ed 62 incomprensibile agli altri; eppure, il suo cuore restava freddo e l’immagine di Giorgio ferito, un’immagine senza dubbio dolorosa e che avrebbe dovuto indurlo a mostrare quantomeno partecipazione per la sfortuna dell’amico, era neutralizzata dalla visione di Francesca disperata per il suo uomo, determinata a stargli a fianco e decisa a dimenticare definitivamente Andrea. Era questa la sola idea che lo interessava realmente. Per distrarsi un po’ da quei discorsi troppo seri, i due amici presero ad osservare attentamente le altre persone presenti nel locale in cui si trovavano; Alfio indicò ad Andrea una ragazza molto bella, vestita con una gonna corta e un top decisamente attillato. A quella vista, entrambi sospirarono, senza dire nulla, come se rimpiangessero la possibilità di possedere una donna tanto attraente. Andrea sorrise e disse all’amico: «Questo posto merita altre visite, no? La fauna è buona, vero?». Alfio annuì con trasporto, ridendo di gusto. Poi disse: «Andre’, dai ammettilo, una così ti farebbe dimenticare ogni cosa, ogni paranoia ed ogni patimento». Andrea rise forte, guardando per l’ultima volta la ragazza, preso da una punta di passione per lei. Presto i due amici tornarono ad occuparsi di Giogo. Andrea chiese ad Alfio: «Andrai a trovarlo?», ma lo fece come se volesse avere soprattutto un consiglio. L’amico non gli rispose direttamente e gli domandò a sua volta: «E tu, che farai?». Andrea non si aspettava di vedere tornare la palla nel proprio campo. Temporeggiò: «Non lo so». In seguito soggiunse, dopo aver starnutito, aver bevuto un lungo sorso di birra ed essersi schiarito la voce, come a voler avere la possibilità di riflettere: «Capisco bene che sarebbe giusto andare a trovarlo, eravamo amici e gli è successa una cosa tremenda, lo so. Però… non sopporto il pensiero di vedere Francesca lì con lui, accanto a lui, come la brava fidanzata, come la brava donna. Mi dispiace, mi sento un verme a dire così, ma non sopporto l’idea ed è questa la verità». A quelle parole, Alfio sospirò di nuovo, come rassegnato al cinismo dell’amico, senza tuttavia condannarlo del tutto quella volta, perché sapeva che, al posto suo, egli avrebbe agito allo stesso modo. La serata estiva volgeva al termine. Il cielo era scuro, tappezzato di stelle e cominciava a fare piuttosto fresco, tra i tavoli all’aperto. Erano le undici e mezza: i ragazzi finirono le birre e dettero un’ultima occhiata alle belle ragazze sedute ai tavoli. Non parlarono più di Giorgio nel tragitto fino al parcheggio delle loro macchine. Nondimeno, alla fine Alfio disse, come se avesse concluso un lungo ragionamento interiore: «Io comunque andrò a trovarlo, non posso non farlo». Tornando a casa, mentre rifletteva sull’ultima frase dell’amico, Andrea, pur con disappunto, ammise a se stesso che Alfio aveva ragione. Quell’incidente stava diventando, ai suoi occhi miopi, una specie di vittoria, in extremis, di Giorgio. Il disagio che aveva confessato ad Alfio lo faceva sentire in colpa; 63 oltre a ciò, a causa di tale disagio, Andrea comprendeva di essere ancora una volta paralizzato dalle proprie indecisioni: sia l’andare a trovare Giorgio che il non andare a trovarlo gli apparivano due azioni difficilissime da compiere. Di nuovo l’amaro sapore dell’inautenticità danzò nella sua bocca. Alla fine, però, due giorni più tardi Andrea si recò da Giorgio: per una volta, la paura di apparire agli altri come freddo ed insensibile ebbe il sopravvento in lui, sebbene non completamente; difatti, mentre si avvicinava all’ospedale nella calda e ventilata giornata estiva, Andrea sentì più volte la pressione di una forza che lo spingeva a recedere dalla propria decisione: avrebbe potuto farlo senza doverne dare conto ad alcuno. Infatti, nessuno era a conoscenza di quella sua iniziativa: Andrea aveva promesso ad Alfio che sarebbe andato da Giorgio, ma non aveva detto quando lo avrebbe fatto. Per questo durante il cammino si arrestò spesso, quasi volesse fare il punto della situazione e guardare dentro di sé con maggiore nitidezza. Lo stesso ambiente circostante gli pareva ostile: le persone che gli passavano accanto, le macchine che percorrevano l’asfalto, i rumori degli autobus che transitavano sulla carreggiata, colmi di gente, erano considerati come degli intrusi, la cui presenza, Andrea non capiva perché, lo rendeva inquieto. Il cielo era azzurro, percorso da nubi gonfie, all’apparenza soffici, macchiate di blu sulla base: un temporale era la speranza, quel pomeriggio. Ogni tanto una raffica di vento più sostenuto regalava una subitanea freschezza: Andrea allora riprendeva a camminare verso l’ospedale, sebbene lo facesse con estrema lentezza. Una delle cose che, lo sapeva, lo avrebbe messo maggiormente in crisi, sarebbe stato vedere Francesca seduta vicino al letto di Giorgio, come una donna affettuosa che soffre per il suo uomo. Per questo, si augurava che Francesca potesse almeno apprezzare quel suo gesto, all’apparenza così gentile e disinteressato, e che avrebbe gradito il fatto che egli fosse riuscito ad accantonare il suo astio per Giorgio in un’occasione tanto amara. La prospettiva di essere lodato da Francesca non fece perciò che blandire l’amor proprio di Andrea, donandogli un rinnovato desiderio di dirigersi verso l’ospedale. Mentre percorreva il viale diretto al reparto di ortopedia, Andrea percepiva crescere in sé una sensazione d’angoscia, come se stesse per compiere un gesto di cui si sarebbe pentito. Auspicava di non dover assistere all’immagine di Francesca che mostrava il proprio amore per Giorgio. Quando si trovò in procinto di entrare nella stanza di Giorgio esitò: il cuore ebbe un sussulto e l’odore di medicinale, unito all’elevata temperatura della stanza, lo fece barcollare un istante, mentre gocce di sudore cominciarono a bagnargli la fronte e la schiena. Nella testa di Andrea balenò un’idea che lo fece sorridere per un attimo, poiché si disse che non doveva avere timore di avere un malore, dato che si trovava all’ospedale. Nondimeno, presto la serietà tornò sul suo 64 volto. Scorse con un brivido nell’ultimo letto della stanza, quello vicino alla finestra, Francesca seduta vicino a Giorgio e a quella vista il suo stomaco fu colpito da una scarica di emozione. Il suo cuore prese a battere più forte ancora ed egli esitò nuovamente. Avvertì il sudore corrergli sulla schiena: ristette, ma Giorgio lo scorse (aveva il viso rivolto verso la porta d’entrata) e, con un sorriso sofferente nel pallore esangue del volto, lo invitò ad avvicinarsi con un cenno. Andrea si accostò al letto lentamente, come fosse appesantito dai dubbi che lo accompagnavano in quella visita, ma ormai la visita era cominciata. «Ciao Andrea, non ci vediamo da tempo!», gli disse Giorgio, accogliendolo, simulando allegria e sollevandosi sul cuscino, mentre Francesca, silenziosa, lo aiutò a mettersi in quella posizione. «Eh già… devi sempre fare casino per farmi venire a salutarti!», rispose Andrea, cercando di sopperire con l’ironia al proprio imbarazzo. Ciononostante la sua frase risultò fuori luogo: se ne accorse subito e il timore di apparire impacciato lo rese ancora più insicuro, benché si fosse ripromesso di sembrare disinvolto. Francesca proprio in quel momento uscì dalla stanza, dopo aver baciato Giorgio sulla fronte ed aver salutato con calore Andrea, il quale fu rinfrancato dal sorriso aperto che la ragazza gli riservò. Stare solo con Giorgio lo fece peraltro sentire meglio, giacché il sorriso di Francesca gli aveva donato coraggio. Era anche contento perché Francesca e Giorgio non gli erano parsi particolarmente affettuosi l’una verso l’altro. Un barlume di speranza si accese nel suo animo. «E allora… Quanto dovrai stare in ospedale?», chiese quasi subito Andrea, con un tono di voce lievemente ansioso. Giorgio lo guardò stupito e Andrea divenne rosso in viso, capendo di aver fatto una domanda banalissima. Comunque l’amico gli rispose cortesemente: «Mah, si parla di due settimane, poi stampelle, riabilitazione, insomma, una tremenda rottura». «Ma come è successo?», domandò a quel punto Andrea, finalmente ponendo una domanda sensata. «Guarda, non ricordo quasi niente. Scendevo verso il lago, con la moto, forse andavo troppo veloce, non so. All’improvviso mi ricordo solo la sensazione della moto che mi scivola dalle mani, un gran dolore e mi sono risvegliato in ambulanza». Quel discorso che si svolgeva tra di loro era troppo formale per apparire autentifico: entrambi erano a disagio, e parlavano solo per evitare che l’imbarazzo divenisse palese. Andrea aveva chiesto notizie che sapeva già e Giorgio aveva fatto finta di raccontare tutto con affettata partecipazione. Andrea, rinfrancato dal sorriso di Francesca e convinto che lei avesse apprezzato il suo gesto, non vedeva l’ora di andarsene perché in realtà gli interessava poter parlare con la ragazza dopo aver salutato Giorgio. 65 Quest’ultimo, invece, fissava Andrea dal proprio letto in modo insistente: era pallido, sofferente, ma con i capelli riccioli e biondi tutti al loro posto. Fu Giorgio a riaprire le danze, dopo aver emesso un sospiro: «Sai Andrea, mi fa piacere che tu sia qui. Mi rendo conto che per te è stata dura accettare il mio “fidanzamento” con Francesca». Udendo quella frase Andrea sussultò sulla seggiola e per poco non cadde a terra. La parola “fidanzamento” lo urtò moltissimo, lasciandolo di sasso, irritato e confuso. Non comprendeva perché Giorgio gli avesse detto quella cosa: ebbe l’impulso di andarsene e di fare una scenata a Francesca, lì nel corridoio nell’ospedale. Però sarebbe stata una sciocchezza. Cercò quindi di controllarsi e di non rivelare il proprio turbamento, sebbene nella propria mente rivolse a Giorgio parole cariche d’astio. Pensò che “l’amico” gli avesse voluto tirare un colpo basso. Gli sudavano le mani per il turbamento e la rabbia, ma riuscì a contenersi: sentiva su di sé lo sguardo di Giorgio che lo scrutava, avidamente, per osservare l’effetto delle sue parole. Avere la conferma, in quella maniera, dell’esistenza di un grande amore tra Giorgio e Francesca, sarebbe stato insopportabile per Andrea. Alla fine disse semplicemente, mostrando una serenità studiata: «Beh, Giorgio, avrei preferito saperlo prima, in qualche modo, dato il legame che c’è stato tra me e Francesca, invece vi ho visti quella sera all’improvviso…». Giorgio rispose prontamente, come se fosse preparato: «Sai, mi dispiace per quella sera. Io aveva ormai rotto un po’ i ponti con te e gli altri, non ci si vedeva più molto spesso e poi… Francesca mi è parsa così bisognosa di affetto... ». Queste ultime parole fecero di nuovo sobbalzare Andrea: temeva che la ragazza, dopo averlo lasciato, avesse raccontato a Giorgio il disagio patito durante la loro storia. Temeva che lei lo avesse descritto come un uomo freddo e inautentico, arido. Si domandò cosa ci facesse ancora in quella stanza e provò avversione verso Giorgio che, all’apparenza senza intenzione, lo stava ferendo nell’animo. Il dialogo non proseguì perché, quasi subito, nella stanza entrò un’infermiera che chiese a Giorgio come si sentisse e se avesse bisogno di qualcosa. Quando l’infermiera uscì dalla stanza, Giorgio si voltò verso la finestra, sospirando un’altra volta. Sembrava patire, non solo per il dolore fisico: Andrea però non badò a questa sofferenza, perché, irretito dall’ostilità verso l’amico, aveva deciso di ribattere colpo su colpo alle sue cattiverie. Quando Giorgio si voltò una seconda volta verso di lui, sospirando, aveva il volto molto pallido. Andrea, preoccupato, gli domandò se stesse male. «No, sto bene, cioè come prima», rispose Giorgio, aprendo sul proprio volto un sorriso amaro. «Sai, tu forse hai capito già». 66 «Capito già che cosa?», chiese Andrea, sorpreso da quell’affermazione e avvertendo il proprio cuore accelerare un’altra volta. «Voglio dire, quando ti ho visto, ho pensato che venivi qui per me, ma soprattutto per rivedere Francesca, perché so che speri che possiate riprendere a stare assieme. Altrimenti, non credo che saresti venuto». «Che dici Giorgio... », protestò Andrea; ma l’altro riprese a dire: «Ti capisco benissimo, non preoccuparti, Francesca è una ragazza splendida, hai ragione». Giorgio lo aveva smascherato con facilità. Andrea si sentì nudo, senza difesa: il suo piano per nascondere i propri reali sentimenti era stato scoperto facilmente. Non controbatté alla frase di Giorgio dal momento che non ebbe il coraggio di negare l’evidenza. Non si spiegava peraltro per quale ragione Giorgio, all’improvviso, avesse smesso quel tono larvatamente ostile nelle sue parole e gli avesse parlato in modo confidenziale, come se fossero amici di lunga data. Distratto da queste riflessioni, Andrea fu riportato alla realtà da questa inattesa frase di Giorgio: «Il problema è che mi rendo conto che lei non è innamorata di me; io invece lo sono di lei. Non me lo ha mai detto chiaramente che non mi ama, ma sai, sono cose che si percepiscono, non credi? Credevo che col tempo si sarebbe innamorata di me, per questo fino ad oggi le sono stato accanto, ma ormai ho perso le speranze. Ed io le voglio tanto bene». Andrea, udendo quelle parole, ebbe l’impressione di vacillare per il sollievo e la gioia che stava crescendo nel suo animo. Si riprese all’istante, rimanendo però sbalordito: non si sarebbe mai aspettato che quel pomeriggio si sarebbe rivelato così sorprendente. Un’inattesa felicità lo colse pensando che forse Francesca non era lontana, dato che non amava Giorgio e dato che quest’ultimo lo ammetteva di fronte a lui, ovvero ad un possibile rivale. Però provava anche pietà per il ragazzo ferito e perciò cercò di non far trasparire la propria contentezza davanti a Giorgio. Andrea si sentiva altresì responsabile del travaglio dell’amico: si disse che se Giorgio si fosse messo a piangere lui, Andrea, sarebbe esploso dall’imbarazzo. In realtà non accadde nulla di tutto ciò. Allora disse per spezzare quel silenzio: «Mi lasci senza parole Giorgio, non so che dire». «Immagino che tu ti domandi perché dico queste cose proprio a te. Non lo so, mi sento vulnerabile, in questo momento e per il rapporto che hai avuto con Francesca, forse, tu solo mi puoi capire». «Certo…», rispose Andrea. Poi soggiunse: «E che hai intenzione di fare?». L’amico non rispose subito a quella domanda; prima bevve dell’acqua dalla bottiglia appoggiata sul comodino, poi si sistemò con un mano i riccioli biondi, liberando la fronte baciata prima da Francesca. Alla fine rispose, accompagnando le parole con l’ennesimo sospiro e con un tono di voce abbattuto: 67 «Per adesso penso a curarmi e a me stesso, poi non lo so. Dovremo chiarirci naturalmente con Francesca, certo, lo dovremo fare… ». Pronunciando quelle parole, Giorgio sembrò parlare più a se stesso che ad Andrea. Questi si sentì sempre più lieto: comprese che quella visita che aveva compiuto contro voglia, senza entusiasmo e con la paura di vedere in quell’ospedale il suggello dell’amore tra Francesca e Giorgio, si stava trasformata in un inatteso trionfo. Era proprio la paura di apparire indelicato a trattenere Andrea dall’alzarsi dalla sedia per andarsene a godere della sua vittoria. Infatti, capiva che non aveva più senso stare lì, in quella stanza che odorava di medicinale e malinconia. Il viso afflitto di Giorgio, d’altra parte, non era più rivolto verso di lui: l’amico guardava la finestra, tacendo. In quel momento, entrarono nella stanza i genitori del ragazzo ed Andrea ebbe buon gioco nel congedarsi, salutando tutti con ricercata cortesia. In quel piccolo trambusto procurato dall’arrivo dei genitori di Giorgio, non ebbe tempo per salutare Francesca come avrebbe voluto: infatti, la ragazza era rientrata in stanza, contemporaneamente ai genitori di Giorgio. Ma Andrea era contento, non diede peso al fatto di non aver praticamente parlato con la ragazza: era convinto che sarebbe successo presto. Uscì raggiante nel sole di giugno. Capitolo XIII – Finalmente, le parole all’inizio Cinque giorni più tardi, dopo aver vissuto delle giornate colorate da un grande ottimismo sul proprio futuro, benché condite talvolta anche con fulminei attacchi d’incertezza, Andrea rivide Francesca alla Biblioteca centrale, nella città vecchia. Il ragazzo, titubante, emozionato, sebbene rinfrancato dalle confidenze di Giorgio, aveva infatti telefonato a Francesca con il pretesto di chiedere informazioni sullo stato di salute dell’amico. Francesca gli aveva risposto che Giorgio stava un po’ meglio; tuttavia, ben presto la telefonata era divenuta una chiacchierata tranquilla, nella quale i ragazzi avevano parlato di diverse cose: entrambi apparivano molto più sciolti e loquaci rispetto a quando si erano incontrati al bar. Durante la telefonata, Francesca aveva detto ad Andrea che l’indomani si sarebbe dovuta recare in biblioteca per restituire un libro preso in prestito; timidamente, Andrea le aveva proposto di vedersi in quel posto, visto che anche lui avrebbe dovuto rendere un libro (in realtà il prestito sarebbe scaduto dopo tre settimane). Francesca aveva accettato con piacere (almeno questa fu l’impressione di Andrea), come fosse una cosa gradita e ovvia. Andrea non si sarebbe mai aspettato che sarebbe stato così facile rivederla. 68 Si incontrarono in una giornata molto calda; la via principale della città vecchia, che dava sulla grande piazza cinquecentesca, era quel giorno affollata: c’era chi mangiava il gelato, chi sorbiva una granita, chi invece sostava al sole. Qualche turista straniero fotografava i monumenti. Andrea era agitato, tanto per cambiare: aveva l’impressione che quell’appuntamento fosse l’inizio della sua prova d’appello, come se si trattasse di una seconda occasione per riconquistare Francesca o almeno per riallacciare i rapporti con lei. Francesca arrivò puntuale all’appuntamento: era vestita con un abito chiaro intero che si fermava sotto il ginocchio, perdendosi in volute e cerchi orlati decorati con immagini floreali. Aveva scarpe basse, nere, che risalivano le caviglie con un intreccio di lacci simili ai sandali delle antiche donne romane. Teneva i capelli sciolti e fluenti. Naturalmente Andrea la trovò bellissima e desiderabile: l’usuale sorriso della ragazza, appena abbozzato eppure pieno, sincero, dolce, lo fece emozionare. Trattenne a fatica l’impulso di abbracciarla. Si limitò a salutarla con tenerezza, fremendo di emozione: «Ciao, ti trovo bene, nonostante tutto», le disse sorridendo. «Oh sì, ci facciamo coraggio», rispose Francesca, anch’essa con un sorriso. Quel “ci facciamo” non piacque ad Andrea, perché gli sembrò un modo per parlare anche a nome di Giorgio, come se il legame tra di loro fosse ancora saldo. Entrò in biblioteca rabbuiato da quel dubbio: il sorriso che aveva al momento dei saluti si spense rapidamente sulle sue labbra, ma cercò di evitare che Francesca se ne accorgesse. Nel fresco atrio seicentesco Andrea si sentì comunque meglio. Mentre Francesca si trovava al banco del prestito libri, il ragazzo, dimenticandosi di dover lui stesso rendere un volume, prese a consultare lo scaffale con le ultime acquisizioni della biblioteca. Sfogliò alcuni libri di poesie e lesse qualche verso, cercando poi di tenerlo a mente, magari per ripeterlo a Francesca oppure a se stesso, nei momenti di solitudine. Però ben presto tornò a ghermirlo l’idea che lo aveva spinto a vedere la ragazza quel giorno: doveva sapere da lei cosa aveva intenzione di fare con Giorgio e, indirettamente, se tra loro due sarebbe potuto ricominciare qualcosa. Pensava che quell’appuntamento in biblioteca fosse già un buon punto di partenza. Gli era sembrato inoltre che il sorriso che Francesca gli aveva dedicato appena si erano incontrati, sottendesse un sincero piacere di rivederlo. Rispetto al loro incontro al bar, infatti, la ragazza appariva più sciolta. Per questo Andrea si domandò se Giorgio avesse raccontato a Francesca della confessione fatta a lui in ospedale. Dopo essere usciti dalla biblioteca, i due ragazzi presero a chiacchierare con leggerezza, come ai vecchi tempi; Andrea percepiva l’intenso profumo di Francesca entrare nelle sue narici ed avvertiva crescere nel proprio animo il desiderio di amarla nuovamente. Presero un gelato, prima di salutarsi, dato che 69 Francesca aveva ormai restituito il libro e, in teoria, sarebbe dovuta tornare a casa. Andrea tuttavia, facendosi coraggio, le chiese, con il cuore in gola: «Cosa fai adesso?». Erano le sei del pomeriggio. Andrea desiderava passare il resto del pomeriggio con lei. Sognava una cena assieme, benché considerasse questa possibilità come un miracolo irrealizzabile. Per questo attese con agitazione la risposta della ragazza: «Mah, non so, sono libera oggi», gli rispose Francesca, sorridendo. Andrea interpretò quella frase come se ella volesse in realtà dire: “non ho nulla da fare, continuiamo a stare assieme?”. Andrea allora le propose di andare in collina, come tante volte avevano fatto l’anno precedente. Quando Francesca accettò sorridendo, il ragazzo tremò dalla contentezza. Stavano avvicinandosi di nuovo? Mezz’ora dopo i due ragazzi erano in collina, immersi nel silenzio, seduti su una panchina quasi affacciata sul limitare del colle; la città, avvolta in una leggera caligine, si stendeva ai loro piedi, immobile all’apparenza. Udirono a mala pena un campanile che in lontananza suonò le ore, mentre il rumore continuo, seppur tenue, del traffico, saliva fino alle loro orecchie in maniera soffice. Non si trattava però di un rumore fastidioso a quella distanza, benché esso contrastasse con il silenzio del luogo, un silenzio rotto talvolta da una macchina che passava sulla strada o da un gruppo di ciclisti. «Beh, almeno qui c’è quiete», disse Francesca ad un certo punto, sospirando. «Sì, per fortuna; però se fosse stata domenica oppure fosse aperto questo ristorante, ci sarebbe un tale caos», rispose Andrea, senza guardarla, indicando con il braccio la trattoria alla loro sinistra. «Già», soggiunse Francesca, ma con un tono di voce dimesso, come fosse sopra pensiero. Ad Andrea batteva il cuore perché, come temeva, si stava accorgendo di non avere il coraggio di dirle quel che desiderava, ben sapendo che quello sarebbe stato il momento adatto, un momento che sarebbe presto terminato. Nondimeno, non si decideva, non sapeva che fare. Le parole di Francesca lo fecero trasalire, distogliendolo dalle sue meditazioni. «Però, che roba, guarda, case, palazzi, poi ancora case e palazzi, non si vede un buco vere lì sotto. Non è triste?» e, terminata la frase, ella si volse verso Andrea, guardandolo con i suoi occhi castani. Poi riprese a parlare, tornando ad osservare la città: «Tante volte penso che questo posto mi va stretto. Ricordi? Ne abbiamo parlato spesso tra di noi. Viviamo tra persone buone, ma un po’ chiuse, interessate di solito più al lavoro, ai soldi, come se non ci fosse altro di importante nella vita. E chi non fa così viene guardato con sospetto, quasi fosse un estraneo, un mutante, non un essere umano come tutti. Immagino 70 che penserai che sono superficiale a dire questo, che sto generalizzando, che mi affido a luoghi comuni. Forse hai ragione… Però so che vorrei andarmene, anzi, a volte mi sento completamente fuori posto. Certo, spesso mi dico che non è detto che in un’altra città, sarebbe diverso. Un conto è visitare un posto come turista: e allora sembra tutto bello, perché ogni cosa è nuova, sconosciuta e si ha il desiderio di scoprire tutto. Invece, stabilirsi in un’altra città è difficile; probabilmente anche lì, ad un certo punto, tutto diventa quotidiano, usuale, abitudinario e dunque noioso. È proprio difficile, o forse sono io che non so adattarmi? In fondo adattarsi è simbolo di intelligenza, no?». Francesca concluse questo discorso con un sorriso che le illuminò il viso. Andrea sorrise fissandola affascinato: quel discorso gli apparve confuso, ma non ci badò, dato che l’emozione gli serrava la gola. Si accorse soltanto di provare parecchia nostalgia per la loro storia passata, e il rimpianto per gli errori che aveva commesso allora divenne ancora più pungente. Comunque Francesca riprese a parlare, continuando a non guardare Andrea. «Sai, mi sento spesso in tensione, come un vulcano a cui hanno messo un tappo per evitare che esploda. È così da quando sono adolescente, Andrea, e non cambia mai, niente cambia mai. O forse tutto è legato alla fase della mia vita, ai miei studi, alle cose che ho deciso di fare, a quelle che ho scartato. Insomma, sono un impasto di dubbio ed incertezza che, come una valanga, si ingrossa man mano che cade, nutrendosi di altri dubbi, altre incertezze. Mi ricordo una pagina de La morte a Venezia di Thomas Mann, quella dove si parla della vita piena di furore e tensione del protagonista, e qualcuno, per descrivere il suo modo di vivere, fa il gesto di stringere il pugno… Ecco, io sono come un pugno serrato, chiuso, con le dita iniettate di sangue e le nocche bianche per lo sforzo». L’immagine del pugno piacque ad Andrea: se la ricordava bene, aveva letto il libro. Era colmo di gioia per quelle confidenze così intime ed accorate; ma l’emozione gli serrava la gola. Guardò un’altra volta la ragazza, che era ancora voltata verso la città. Il suo elegante profilo acceso dal sole in declino tagliava, sullo sfondo, un bosco di faggi. Francesca continuò a parlare, sebbene con maggiore calma: «A volte ho paura, sai, ho paura di non riuscire, per tutto, tutto quello che faccio o provo a fare. E per questo mi “arrocco”, bello questo verbo, no? Mi arrocco, mi chiudo in me stessa e magari sembro anche scontrosa, indisponente. Ma non è snobismo, indifferenza, è solo il bisogno di vedere le cose, sempre, nella maniera più chiara possibile. Lo so, mi dirai che la vita va presa come viene e che spesso ci si deve abbandonare alla corrente, lasciarsi trasportate e non potrei non darti ragione. Però per me non è semplice: razionalizzare significa faticare, certamente, perdere tempo, ma mi fa pure essere più sicura. E allora devo chiudermi, stare con me stessa». 71 Questo discorso di Francesca rimase sospeso tra loro due, perché Andrea non replicò nulla. Il silenzio era divenuto più forte. In basso, verso la città, nella caligine estiva, galleggiava il rumore cittadino, incessante: di contro, lassù tra le colline era tutto differente. Andrea si sentiva immerso in un’atmosfera quasi onirica; sempre più vicino a Francesca, sempre più in sintonia con lei, di cui ammirava la lucidità e l’intelligenza. L’aveva amata e forse l’amava ancora. Non credeva che momenti così intensi sarebbero potuti ritornare. Ma non aveva detto quasi nulla fino ad allora. Poco dopo Francesca si voltò verso di lui: allora Andrea avvertì il proprio cuore sussultare. Vide una donna bella, dai lineamenti vivi, ma con gli occhi stanchi, assenti; il sole al tramonto le illuminava il volto e, nella luce accesa, il suo volto appariva scuro ed affannato. La ragazza gli chiese, guardandolo in modo penetrante: «L’anno scorso avevi capito queste cose di me?». Andrea non seppe che dire: quel riferimento all’anno precedente lo fece trasalire di nuovo: stavano per ricominciare? Si domandò se quella domanda fosse un tranello, o un rimprovero che la ragazza voleva muovergli. Oppure se Francesca stesse valutando la possibilità di tornare con lui, di “provarci” ancora e volesse conoscere cosa egli pensasse in quel momento e se avesse capito i propri errori. Andrea ebbe paura di pronunciare le parole sbagliate. Alla fine rispose soltanto: «No, ammetto, non lo avevo capito». Francesca sorrise, guardando il ragazzo con indulgenza. Si voltò un istante verso la città, poi, volgendo il viso verso Andrea, soggiunse: «Non volevo metterti in imbarazzo. Te lo chiedevo perché durante questi mesi, pensando a te (il cuore di Andrea, a queste frasi, prese a galoppare e un desiderio irrefrenabile di abbracciare Francesca gli nacque in petto, dandogli la sensazione di soffocare) e alla storia con me, mi sono detta che forse non era l’occasione adatta per vivere un amore tra di noi. Confesso che sono un po’ pentita di averti fatto certe accuse, anche se credo tu abbia molte colpe e difetti... ». La ragazza fece una pausa per attenuare l’emozione che le era nata in gola profferendo quelle parole. Decidendo di rivedere Andrea, ella non aveva previsto di arrivare a quel punto, a quel livello di rinnovata intimità, eppure il discorso cominciato, lo capiva, non poteva terminare in modo interlocutorio. Era iniziata la discesa della pallina sul piano inclinato: si trattava di un movimento partito casualmente, ma ormai non poteva più arrestarsi. «Dicevo», riprese Francesca, facendo il gesto di togliersi alcuni capelli dagli occhi, «che ho pensato tanto a noi e che ho concluso che forse la nostra storia non sarebbe potuta andare diversamente. Io sono molto irrequieta, indecisa, vivo entusiasmi facili e grosse delusioni, sono incapace di trovare una via di 72 mezzo. Tu, invece, anche se sei, come dire, un po’ disorientato dalla tua vita, mi sembri più posato, misurato. Certo, magari dissimuli bene, anzi, ammettilo, lo fai spesso, però non sei come me, mi sembri più capace di stare con i piedi terra e di essere freddo, a volte magari troppo… ». Andrea tacque ancora, non sapendo cosa ribattere, benché si rendesse conto che il discorso di Francesca necessitasse una risposta da parte sua: era chiaro che la ragazza chiedeva la sua opinione. Confuso dai quei dubbi, ma ebbro di ammirazione per Francesca, Andrea si domandò inoltre se non fosse giunto il momento di prendere l’iniziativa e di abbracciarla. Tuttavia percepì che qualcosa lo teneva fermo: era l’emozione, certamente, oltre al fatto che la ragazza parlasse di loro due impiegando solo verbi al passato. Comunque fu Francesca che riprese a parlare: «Mi sento al posto sbagliato quasi sempre, in molte situazioni e però non so bene quello che voglio io stessa…uffa… che testa matta, dirai!», concluse sorridendo mestamente, guardando Andrea con dolcezza: quest’ultimo per poco non si gettò verso di lei per abbracciarla. Invece si limitò a dire, con una voce esile, «Ma no, cosa dici... ». «No, non sono una testa matta, è vero, magari lo fossi… sono un po’ orsa, in questa fase, poco disposta a stare con gli altri…Per esempio, pensa a Giorgio (Andrea sussultò udendo quel nome). Lui dice di amarmi e io vedo che è sincero, però io non lo ricambio, penso che lo hai capito. Perché non lo ricambio? Non lo so, succede, senza motivo, anche se mi rendo conto che è un bravo ragazzo e che dovrei essere contenta che una persona così mi voglia bene. E, a un certo punto, cosa succede? Lui ha quel terribile incidente, io corro a vederlo, lo vedo mezzo morto all’ospedale e piango… però per chi piango e per chi soffro? Per Giorgio? Sì, in parte, ma soprattutto per me, perché mi sento in colpa dato che non lo amo mentre lui mi ama, proprio in un periodo in cui avrebbe tanto bisogno di me… Ecco, ancora una volta, quando stavo per avvicinarmi ad una decisione chiara, lineare, ad una scelta sensata, avviene un fatto che intorbida ogni cosa, mi toglie ogni sicurezza e mi fa comprendere d’essere fuori posto: come faccio a abbandonarlo adesso?». Andrea accolse con gioia la prima parte del discorso di Francesca, mentre si rabbuiò sentendo il finale. Come temeva, l’incidente capitato a Giorgio poteva rimettere tutto in gioco, perché forse Francesca non avrebbe avuto il coraggio di lasciarlo. Però Andrea pensò che la ragazza non avrebbe potuto continuare a stare con un uomo che non amava. E poi era felice perché quel pomeriggio Francesca si era aperta totalmente a lui, come non era accaduto nemmeno quando stavano assieme: di nuovo una ventata di ottimismo lo attraversò e lo fece rabbrividire. La trasparenza di quelle rivelazioni, il fatto che Francesca gli avesse comunicato, semplicemente, la propria fragilità, nonostante tutto quello che 73 era successo e nonostante le colpe che la ragazza l’anno prima gli aveva imputato, erano forse il segno che il riavvicinamento tra di loro era un fatto compiuto. Naturalmente, Giorgio rimaneva all’orizzonte, ma ormai appariva ad Andrea lontanissimo, giacché non lo giudicava più un rivale. Malgrado ciò, nonostante avvertisse crescere in sé la fiducia, Andrea non riuscì a dire quello che aveva nel cuore nemmeno in quel frangente, con il sole al tramonto e Francesca in silenzio. Asserì solamente: «Che dirti Francesca, succede anche questo, quasi mai decidiamo in condizioni di chiarezza perfetta e linearità. Però, l’incidente a Giorgio non cambia le carte; capisco che lasciarlo adesso ti sembri una cosa vile, però se non c’è un vero sentimento…. ». Tacque, pensando di essere andato oltre, come se volesse suggerire a Francesca che avrebbe dovuto lasciare Giorgio: temeva di apparire eccessivamente interessato al proprio tornaconto. La ragazza continuava a guardare la città in silenzio: si erano accesi alcuni lampioni che, da lontano, sembravano piccoli punti coloro arancione. Il sole era tramontato tra gli alberi del bosco della collina alla loro sinistra, ma il cielo era ancora chiaro, privo di nuvole, rossastro nel punto dove fino a poco tempo prima il sole aveva brillato. L’umidità stava aumentando e Andrea più volte aveva avuto i brividi, probabilmente per l’emozione, non per il fresco della sera. Francesca rispose con calma alle sue ultime parole: «Sì, hai ragione…». Non aggiunse nulla perché, guardando l’orologio, si accorse che era tardi. «Accidenti, come è volato il tempo, sono quasi le otto e mezza!», disse all’improvviso, mentre Andrea percepì nascere e subito maturare in sé il sentimento del rimpianto per quell’occasione perduta. «Devo andare, Andrea, ma mi ha fatto piacere parlarti. Devo passare da Giorgio, sai, è tardi, il tempo è proprio volato, sono stata bene», aggiunse Francesca come per scusarsi di quella decisione repentina. E sorrise ad Andrea con squisita dolcezza. Scesero verso la città in silenzio, ognuno rapito dalle proprie idee: Andrea era gaio, ma anche pentito di non aver tentato un approccio, visto che Francesca gli pareva molto più vicina. La ragazza, al suo fianco, osservava la città avvicinarsi, pensando che quel giorno Andrea le era sembrato proprio l’uomo che cercava. Ma non doveva lasciarsi ingannare ed avere fretta: era presto. Si salutarono baciandosi delicatamente sulle guance. 74 Capitolo XIV – La messinscena Nelle due settimane successive a quell’incontro Andrea e Francesca si sentirono spesso al telefono: le loro chiacchierate furono piacevoli e prolungate. Non tornarono sulle cose che si erano detti in collina, come se ci fosse un tacito accordo che imponesse loro di pazientare. Andrea era in ogni caso contento, oltre che fiducioso sulla possibilità di tornare con la ragazza, quantunque non vedesse l’ora di poterla stringere a sé nuovamente. Egli riteneva inoltre che a quel punto fosse Francesca a doversi muoversi, se era seriamente intenzionata a tornare con lui, poiché Andrea riteneva di averle mostrato a sufficienza il proprio attaccamento. Eppure non accadde nulla. Naturalmente, durante le telefonate, Andrea non ebbe mai il coraggio di chiedere a Francesca di Giorgio, né di proporle di uscire una sera, né di dirle che l’amava ancora e che voleva rimettersi con lei. Per questo, talvolta, Andrea, in quel periodo, temette che i propri sogni su un futuro assieme a Francesca potessero scomparire all’istante, come i classici castelli di carta, in quanti fondati su false supposizioni. Nel frattempo Giorgio era stato dimesso ed era tornato a casa: ad Andrea l’aveva annunciato Francesca stessa durante una telefonata. Quando seppe la notizia, il ragazzo pensò subito di andare a trovarlo, chiaramente non per informarsi sulla sua salute, bensì per capire a che punto fosse giunta la crisi tra lui e Francesca, dopo le confidenze che lo stesso Giorgio gli aveva fatto in ospedale. Andrea era infatti inquieto, giacché durante le telefonate con Francesca, quest’ultima non accennava quasi mai a Giorgio: se da un lato questo era un bene, perché denotava nella ragazza scarsa affezione per Giorgio, dall’altro tale silenzio rendeva Andrea agitato, perché egli non sapeva quale fosse la reale situazione tra i due. D’altra parte, egli non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla a Francesca. Insomma, il periodo che Andrea stava vivendo era davvero singolare: sia Giorgio che Francesca gli avevano confidato separatamente i loro turbamenti e i dubbi. Egli sapeva quel che avrebbe potuto consigliare loro, però non poteva farlo, in quanto direttamente coinvolto nella situazione e interessato in prima persona alla vicenda. Doveva limitarsi ad aspettare. Perciò dopo qualche giorno, anche su suggerimento di Alfio, Andrea decise di chiamare Giorgio: s’aspettava di udire la voce affaticata e abbattuta di un convalescente, per di più in crisi con la propria donna. Invece, Giorgio rivelò di avere una voce squillante e, durante la telefonata, si mostrò estremamente amichevole con Andrea, dicendogli con entusiasmo che sarebbe potuto andare a trovarlo quando lo avesse desiderato. Il tono della telefonata non piacque molto ad Andrea, che si domandò se quella contentezza potesse essere dovuta ad una riconciliazione con Francesca, ma scartò questa ipotesi, perché la 75 ragazza, al telefono, pur non parlando direttamente di Giorgio, gli era parsa sempre più amareggiata per la situazione che stava affrontando. Ad ogni modo, dopo quella telefonata, per Andrea divenne ancor più essenziale vedere l’amico convalescente. Giorgio abitava in periferia, in un condominio elegante, dalle pareti color ocra, con i balconi ornati di fioriere, alcune colorate, altre un po’ smorte, forse a causa della canicola di quel periodo. Il cielo tuttavia quel giorno era scuro, c’era vento e dai colli appariva imminente un temporale rinfrescante. Andrea sorrise, vedendo i cumulonembi addensarsi si disse: “Ogni volta che vedo Francesca o qualcuno che ha relazioni con lei si scatena un temporale….”. Un po’ emozionato e col fiato corto per via delle scale fatte a piedi, Andrea suonò il campanello dell’appartamento dell’amico: quasi subito sentì scattare la serratura della porta. Sulla soglia gli apparve una bella ragazza sui venticinque anni, bionda, con una capigliatura folta e disordinata, come se quei capelli fossero stati gettati su quella testa solo quella mattina. Andrea rimase sorpreso da quell’apparizione e, forse perché aveva notato il suo imbarazzo, la ragazza gli allungò la mano e gli disse, sorridendo disinvolta: «Ciao, vieni pure, Giorgio ti aspetta. Piacere, Paola». Andrea rispose un po’ impacciato al saluto; cercava nella mente un ricordo del volto, piuttosto attraente, della ragazza, perché aveva la sensazione di averla già vista qualche volta, ma non trovò nulla. Superato lo sconcerto iniziale, Andrea entrò in casa camminando dietro a Paola, notando la sua esile figura, i blue-jeans stretti che indossava e l’intenso profumo che emanava. Evidentemente, i genitori di Giorgio non erano in casa, dato che Paola si comportava da perfetta anfitrione. Dopo aver percorso, avvolti in una penombra silenziosa, un breve corridoio che dava su due stanze le cui porte erano chiuse, i ragazzi entrarono nella camera di Giorgio. Questi era steso nel suo letto con la gamba ingessata, mentre alle sue spalle, spostata leggermente sulla sua sinistra, si trovava una finestra aperta su un cielo fattosi ormai violaceo. Sulla parete alla destra di Giorgio (il cui letto era appoggiato al muro) alcune mensole reggevano libri voluminosi, mentre nella parete sinistra vi era la riproduzione di un quadro di Vang Gogh, La camera di Arles. Al centro della stanza si trovava un tavolo da lavoro, sormontato da un computer acceso che emetteva una musica a volume molto basso; a fianco, c’era il tavolo per il disegno geometrico. Giorgio avevo il viso rossastro e sembrava anche ingrassato dall’ultimo volta che Andrea l’aveva visto. Sorrise nel salutare Andrea: i capelli biondi e ricci erano sparpagliati in disordine sulla fronte, mentre gli occhi erano febbrili, lucidi, e si muovevano come se Giorgio fosse in preda ad una grande nervosismo o si aspettasse qualcosa di esaltante da quella visita. Andrea rimase 76 colpito da questi occhi troppo mobili, da persona fuori di sé, sebbene Giorgio cercasse di dissimulare ogni tensione. Paola si muoveva a proprio agio nella stanza, come se fosse di casa. Andrea notò che indossava un paio di ciabatte e, al di sotto della felpa che la ragazza portava, scorse i lembi di un canottierina da notte: Andrea concluse che Paola avesse dormito lì. Sorrise tra sé e sé per quell’idea e divenne traboccante di speranza, come se assaporasse la possibilità che Paola fosse la nuova fidanzata di Giorgio, la “sostituta” di Francesca. In quello stesso istante, Paola si avvicinò a Giorgio per sistemargli meglio il cuscino; gli porse un bicchiere d’acqua e, compiute queste operazioni, si sedette sulla sedia, quasi di fronte ad Andrea il quale a sua volta, per invito di Giorgio, si mise sull’orlo del letto. Fin da subito, dopo aver iniziato a scambiare qualche frase di circostanza con Giorgio, Andrea ebbe la scomoda sensazione di essere fuori posto. L’amico era assai mutato rispetto all’ultimo loro colloquio all’ospedale: quella volta Giorgio, appena ricoverato, era pallido, smagrito e parlava con un tono di voce flebile e sommesso. Almeno questo era il ricordo che Andrea conservava di lui. Oltre alla debolezza fisica, confessando ad Andrea la consapevolezza delle difficoltà che viveva con Francesca, Giorgio quel giorno aveva esibito senza problemi la propria fragilità, la sofferenza per quell’amore non corrisposto. Invece quel pomeriggio, a casa sua, Giorgio si presentava diverso, sia nel fisico, apparendo più colorito e ingrassato, sia nello spirito, come se avesse attuato una metamorfosi. Gli occhi rivelavano un’agitazione malamente mascherata. La voce era vibrante: spesso il ragazzo parlava con un tono così alto da dare l’impressione di essere sul punto di urlare; oltre a ciò, prorompeva di frequente in risate sonore che apparivano ad Andrea sproporzionate rispetto al motivo che poteva averle causate. Inoltre, Giorgio era un fiume in piena: raccontava ad Andrea tante cose, parlava dei giorni in ospedale, della ricostruzione dell’incidente fatta dalla polizia, del fatto che alcuni ricordi di quel pomeriggio cominciassero ad affiorargli nella mente solo in quel periodo. Naturalmente non disse nulla che riguardasse Francesca. Sopraffatto dalla sorpresa e dall’imbarazzo, durante la visita Andrea riuscì a pronunciare solo poche frasi: d’altra parte, Giorgio non gli lasciava alcun spazio. Paola stette quasi sempre in silenzio, con le gambe accavallate, osservando Giorgio con un’espressione divertita e commossa al tempo stesso. Ogni tanto, la ragazza gli si avvicinava per sistemargli il cuscino e scambiare con lui sorrisi ed occhiate tenere. Apparivano come due fidanzati che si promettono delle coccole più profonde appena l’estraneo di turno se ne sarà andato. Ad Andrea parve perciò palese che tra Paola e Giorgio ci fosse qualcosa di tenero e si convinse sempre più della fine della storia tra Giorgio e Francesca. 77 Queste riflessioni lo resero impaziente di andarsene, di chiamare Francesca per sapere la verità, per avere la definitiva conferma della fine del suo rapporto con Giorgio. Per questo Andrea divenne più teso e cominciò ad avere caldo: la stanza iniziò a sembragli soffocante e il desiderio di togliersi da quella situazione divenne sempre più pressante. Voleva andarsene per pensare solo a Francesca, per sapere se e quando fosse tornata libera. Al tempo stesso, tanti interrogativi attraversarono l’animo di Andrea: si chiese per quale ragione Giorgio lo avesse ricevuto assieme a Paola, mostrandosi a tal punto affettuoso verso di lei, senza mai nominare di Francesca, e senza nemmeno presentargli la ragazza come sua fidanzata. Giorgio intendeva comunicargli indirettamente la rottura tra lui e Francesca? E perché aveva scelto quella forma tanto bizzarra? Forse voleva fargli capire che non gli importava nulla di Francesca poiché aveva già trovato un’altra donna? E come mai, invece, all’ospedale era stato tanto aperto con lui, e si era mostrato così fragile? Insomma, Andrea si era stancato di stare seduto su quel letto; perciò ad un certo punto disse, a mo’ di formula di congedo: «Bene Giorgio, mi ha fatto piacere rivederti e vedo che stai meglio. Ora vado via, ho un impegno… ». «Te ne vai così presto!», gli rispose all’istante Giorgio, sorridendo in modo quasi beffardo, conferendo invece alla propria voce un tono accorato chiaramente affettato. Almeno, questa fu l’impressione che Andrea ebbe, udendo quell’esclamazione; nondimeno, per evitare discussioni, egli non replicò nulla: riteneva Giorgio un po’ matto. Per questo disse soltanto, mantenendo un’intonazione di voce neutrale: «Sì, sai, ho fatto proprio una visita veloce, non potevo fare diversamente, ma sono contento di trovarti bene…, verrò un’altra volta». In cuor suo aveva già deciso che non sarebbe più tornato. «Certo, certo, sto molto meglio, soprattutto nello spirito… anche grazie a Paola», ribatté Giorgio, rivolgendosi con aria complice alla ragazza ed ignorando lo sguardo perplesso di Andrea, il quale continuava a rimanere seduto. «E tu, come stai?», soggiunse quasi subito tornando a guardare con un atteggiamento canzonatorio Andrea, come se pure lui fosse un malato. «Io?... beh, bene», balbettò il ragazzo con palese imbarazzo; Andrea proprio allora cominciò ad avere l’impressione che lo stessero prendendo per il naso e solo a stento si mantenne calmo. Un forte scoppio di tuono ed uno scroscio di pioggia violento distrassero i ragazzi per un attimo. Quasi subito, dopo il tuono, la grandine cominciò a crepitare contro l’asfalto. Paola chiuse prontamente la finestra: l’aria nella stanza per Andrea diventò ancor più pesante. Iniziò a sudare: avvertì che la propria fronte era madida e si augurò che Giorgio non se ne accorgesse giacché non voleva rendere manifesto il proprio disagio. Tuttavia quest’ultimo, guardandolo in tralice con un sorriso 78 cattivo, gli domandò: «E Francesca come sta, l’hai vista di recente?». Giorgio pose la domanda con un tono di voce volutamente distaccato, come se cercasse notizie su una persona di cui non gli importasse nulla. Ascoltando quelle parole, Andrea si chiese se Giorgio avesse fatto una battuta o avesse parlato sul serio. L’espressione del viso dell’amico non lasciava infatti trasparire nulla: egli sorrideva ancora e sembrava che stesse recitando un copione. Andrea si domandò altresì se quel pomeriggio Giorgio avesse architettato tutta quella scena o se fosse frutto del caso oppure della sua follia. Non sapendo che fare, né cosa dire e non volendo dar l’impressione di essere uno che si fa pendere in giro facilmente, decise di adottare lo stesso tono di Giorgio, rimanendo sospeso tra verità e sarcasmo. Disse come a voler comunicare di averla invece incontrata qualche tempo prima, all’insaputa dell’amico: «In questi ultimi giorni non l’ho vista». Tacque qualche secondo, affinché Giorgio arrivasse da solo a quella conclusione, poi aggiunse: «Comunque so che sta bene e credo in effetti di rivederla presto». Parlò con tranquillità, cercando di instillare nell’animo di Giorgio l’idea di una Francesca che forse sarebbe potuta tornare sui propri passi ed amare di nuovo Andrea, dopo l’intermezzo, infausto, con lui. Andrea riuscì nell’intento o almeno così gli sembrò: Giorgio difatti smise di sorridere per un attimo, sebbene si riprese quasi subito. Andrea fu felice di aver colpito nel segno, e finalmente si levò dal posto in cui era seduto, perché si era reso ormai conto che quel dialogo non avrebbe portato da nessuna parte. Un senso di noia, di stanchezza e di indifferenza verso la scena che si svolgeva davanti a lui lo assalì: questa volta però fu lieto di avvertire quell’indolenza, perché comprese che non valeva la pena affannarsi a contrastare quella scena ridicola che era stata certamente preparata, anche perché aveva la l’impressione che Giorgio fingesse e che fosse tuttora innamorato di Francesca. Paola era solo un diversivo. 79 Capitolo XV – La ricerca e la scoperta Pochi giorni dopo quell’incontro tanto bizzarro con Giorgio, Andrea fu invitato ad andare sul lago da Alfio (ci sarebbe stata anche Lucia), con l’intenzione di permettergli di portare anche Francesca e provare a riallacciare i fili con lei: «Non vorrai mica venire da solo. Terresti il moccolo, come si dice in questi casi, e so che non verresti, giustamente: è una noia andare in giro con una coppia. Invece per te è una buona occasione per portare Francesca, dai, chiamala. Ti ho invitato per darti una mano con lei, sappilo. Se Giorgio si è comportato con te in quel modo, è chiaro, non sta più insieme a Francesca. Lei è libera ormai e chissà… Perciò, chiamala al più presto, mi raccomando», gli suggerì Alfio, invitandolo. Andrea ringraziò l’amico perché, dopo essere stato da Giorgio, si struggeva pensando a come chiedere un appuntamento a Francesca (la ragazza gli aveva confermato, via telefono, che aveva lasciato Giorgio, ma non aveva aggiunto altro): gli veniva quindi offerta una grossa possibilità. Per questo fu contento per l’invito, giacché riteneva che l’amico fosse nel giusto, però l’idea di chiamare all’istante Francesca per proporle quella gita lo spaventata. Rivelò all’amico la propria riluttanza a chiamare la ragazza. Dopo averlo ascoltato, Alfio lo squadrò dalla testa ai piedi, esortandolo a non “fissarsi” con quelle idee senza senso. Andrea si oppose debolmente a quelle critiche dicendo: «Ma se Francesca sospetterà che la invito ad uscire con me e una coppia, capirà che è tutto preparato e… ». Alfio ascoltò quelle parole allargando le braccia. Rispose comunque con decisione, cercando di scuotere l’amico dall’inerzia: «Ma che dici Andrea! È ovvio che è così, non siamo mica nati ieri, neanche Francesca, lo capirebbe pure un bimbo che l’obiettivo è quello! Ma perché non dovrebbe accettare? Non la si obbliga a rimettersi con te, però ci si prova. Se accetta saremo a buon punto! Uffa, sei senza speranza, Andre’». Malgrado le flebili resistenze dell’amico, Alfio non si diede per vinto e quasi subito aggiunse, facendo serio in volto, come a voler mostrare nessuna indulgenza per i tentennamenti di Andrea: «Senti, se non inviti Francesca in questo momento sei fesso, scusami se te lo dico! È tornata libera, mi hai detto che avete parlato di tante cose, che ha dimostrato di star bene con te, che si è confidata su tante cose, che vi siete baciati sulle guance! Cosa vuoi di più per spicciarti? L’avresti mai detto, quella sera che l’hai vista con Giorgio, che in poche settimane saresti stato a questo punto, cioè ad un passo da lei? E adesso, ti fermi e ti attacchi alle solite paranoie? Cos’è, vuoi vincere il premio in qualità di miglior creatore dal nulla di motivi per lamentarsi? La chiamo io, Francesca, vuoi?». A quelle parole risolute e al tempo stesso affettuose, Andrea finalmente si scosse: si sentì uno sciocco a farsi irretire, di continuo, da false idee. Chiamò 80 Francesca proprio in quell’istante e, nonostante i suoi dubbi e il batticuore, scandito dagli squillo del telefono, non credette alle proprie orecchie quando la ragazza accettò l’invito. Dopo quella telefonata di successo, Alfio sorrise all’amico e gli disse, dandogli due pacche sulle spalle: «Mi devi un bel po’ di birre, Andre’, e ringrazia il cielo che sono un tipo calmo, perché prima mi hai fatto proprio rabbia. E dopo il lago andiamo a casa dei miei, la casa di vacanza, a mangiarci una pizza. Ti sto preparando un sabato da urlo, vedrai! Se tutto va bene, le birre aumenteranno di numero». «Grazie Alfio, sì, quante birre vuoi». Il sabato mattina successivo i ragazzi si diressero dunque verso il lago; le strade erano affollate, mentre la giornata si annunciava calda, con un cielo limpido ed un sole pieno, il cui calore per fortuna era mitigato dalla brezza che soffiava da molte ore. Le automobili, ferme nelle colonne che si erano formate fin dal primo mattino, sembravano le classiche scatole di latta roventi, rese vivibili soltanto dagli impianti di condizionamento dell’aria. I quattro ragazzi giunsero al lago stanchi sebbene contenti di potersi finalmente stendere sulla sabbia: durante il viaggio avevano chiacchierato di tante cose, con leggerezza. L’atmosfera tra di loro, nonostante i diversi timori che attraversavano i loro animi, era distesa. D’altra parte, ognuno di loro aveva qualche piccola preoccupazione quando rifletteva sul significato di quella giornata; essi, però, avevano anche delle aspettative, dei desideri che speravano di realizzare proprio quel giorno. Durante il tragitto verso il lago Andrea aveva parlato meno di tutti. Si chiedeva con quale spirito Francesca fosse lì con loro ed era teso perché non sapeva cosa avrebbe potuto ottenere da quella giornata. E poi nemmeno lui, forse, sapeva quel che voleva. L’idea di essere in qualche modo obbligato a fare qualcosa per riconquistare Francesca lo rendeva nervoso e taciturno, nonostante le occhiate di Alfio che, guardando nello specchietto retrovisore, lo incitava a farsi avanti. Inoltre, la presenza di Lucia imbarazzava Andrea: si augurava che Alfio avesse raccomandato più volte alla ragazza di non fare neppure un accenno larvato a quella notte in cui entrambi l’avevano “amata”. Lucia invece ricordava sorridendo quella notte nella quale si era concessa a quei due uomini che, quel giorno, le erano di nuovo vicini: sapeva di dover tacere, ma conservava, nel ricordo, un sotterraneo disprezzo per quei ragazzi così schiavi del suo corpo, unitamente all’orgoglio di averli avuti assieme. E poi da qualche giorno le cose con Alfio andavano benissimo e Lucia si augurava che continuassero in quella maniera. Alfio stesso, assai spiritoso quella mattina e con gli occhi azzurri particolarmente brillanti, era intenzionato ad aiutare l’amico e, nel contempo, avrebbe voluto far comprendere a Lucia, una volta per tutte, che voleva sinceramente stare con lei ed amarla, nonostante le incertezze e i dubbi del passato. Infine, Francesca, vestita con un abito leggero, 81 di colore chiaro, un po’ scollato, che finiva poco sotto il ginocchio, appariva tranquilla e rilassata: vedeva però nell’imbarazzo di Andrea il segno di una giornata che avrebbe potuto riservarle delle sorprese e immaginava che Alfio e Andrea avessero orchestrato qualche stratagemma per farla “cadere”, però non si sentiva per questo arrabbiata, né presa in giro. Liberatasi di Giorgio, la ragazza aveva deciso di lasciare scorrere la propria vita serenamente, accettando gli eventi senza ragionare troppo su loro significato; si era accorta che le faceva piacere stare con Andrea e che la rabbia provata verso di lui l’anno prima era oramai svanita. Il ragazzo le era sempre piaciuto, questo lo ammetteva, e le piaceva anche allora. E perciò, perché opporsi alla possibilità di una riconciliazione se lui l’amava ancora, come sembrava chiaro? Per questo quel giorno Francesca era curiosa di capire se Andrea fosse effettivamente cambiato, se avesse riflettuto sui motivi della fine della loro storia l’anno prima e se fosse pronto ad amarla di nuovo: solo allora tra di loro avrebbero potuto riprendere certi discorsi e sussurrasi certe parole. Un’ora dopo tutti e quattro i ragazzi erano in spiaggia. Dopo essersi stesi sul bagnasciuga, di fronte all’acqua di lago il cui colore, naturalmente, ricordava solo alla lontana quella del mare, Alfio e Lucia presero a ridere fra di loro, a sfiorarsi nel tentativo di spalmarsi la crema solare sulla schiena: alla fine di quella lotta simulata (una sorta di rito propiziatorio per l’amore), Alfio stampò un bel bacio sulla bocca di Lucia, che dopo il bacio riprese a ridere a bocca piena, raggiante per quella manifestazione d’amore. Andrea sorrise osservando la scena: l’amico, in poco tempo, aveva ottenuto quello che voleva. E lui? Cosa avrebbe fatto? Si voltò alla sua destra: Francesca prendeva il sole senza dire nulla; aveva gli occhi nascosti dagli occhiali da sole. Forse dormiva. Andrea per pudore non la guardò a lungo; ciò nonostante, la vista delle gambe, della sua pelle, del seno raccolto nel costume gli accese la passione e il desiderio di lei. Per attenuare quelle sensazioni, tornò ad osservare la spiaggia, gli altri bagnanti, le ragazze, alcune bellissime, che passavano davanti a lui: tuttavia, nulla lo distrasse, perché la figura di Francesca, al suo fianco, così attraente e taciturna, lo pungeva nel cuore. Si credeva in dovere di fare qualcosa, ma non sapeva agire. Dato il silenzio che correva tra Francesca e Andrea, furono Alfio e Lucia a dirigere la conversazione. Lucia parlava molto, dicendo ad Alfio che quando si sarebbero sposati lui avrebbe dovuto mantenerla, perché era stanca di lavorare tanto. Benché quelle frasi venissero pronunciato con tono ilare, Andrea si stupì nel sentire parlare Lucia di matrimonio e convivenza: lui avrebbe mai accettato di stare con una donna che una sera aveva amato pure un suo amico? Intanto Alfio, sempre sorridendo, senza battere ciglio, aveva ribattuto a Lucia: «Ma se non fai nulla tutto il giorno! Pensa che venerdì l’ho chiamata alle due e mi ha risposto dicendo di essere già a casa! Questi statali! Beati voi!». 82 «Sono andata a casa prima perché il giorno primo avevo fatto lo straordinario!». Dopo questo scambio di battute, Lucia riprese a parlare, continuando a ridere rumorosamente, e si rivolse a Francesca, che nel frattempo aveva smesso di prendere il sole e stava perciò assistendo divertita a quella discussione: «Insomma, povere donne, abbiamo il diritto di stare tranquille, se l’uomo può permetterselo, perché faticare, no Francesca?». «Mah, non so, io vorrei mantenermi indipendente, sai, non si sa mai, nella vita, poi essere mantenuta non mi piacerebbe, credo», ribatté Francesca. Questa risposta troppo meditata velò il sorriso di Lucia. Per questo Francesca, essendosi accorta di aver parlato in modo serioso, aggiunse quasi subito: «Certo, però, se trovo un uomo ricco e bello, insomma, perché no? Magari sarebbe lui che mi impedirebbe di lavorare!». Questa risposta provocò una risata generale e stemperò il piccolo imbarazzo che si era creato in precedenza. Lucia, continuando su quell’argomento, disse: «Sapete, c’è una mia amica che a casa deve fare tutto. Il suo ragazzo non muove un dito. Torna a casa la sera dal lavoro, si siede a tavola, mangia e basta. Solo il sabato lui l’aiuta, perché fanno la spesa assieme. La mia amica lavora sia in ufficio che a casa. Ecco, in quel caso io mi ribellerei! In effetti è meglio avere un lavoro, per avere una indipendenza, non si sa mai». «Sì, sì, è quello che volevo dire», rispose Francesca prontamente, desiderosa di non apparire eccessivamente seria. «Ma stai parlando della tua amica Marta?», chiese Alfio, inserendosi nella discussione. «Sì», rispose Lucia. «Quella che si sposa tra un mese. Ah già, non te l’ho detto ancora, siamo invitati». «Ah sì, sì, che rottura… dicevo, quella Marta è proprio strana. Con te si lamenta del suo moroso, ma quando usciamo con loro non fanno altro che stare appiccicati, come se non si vedessero mai, mentre invece vivono assieme da tempo. Per cui non credo molto a quello che dice, dato che alcune donne amano lamentarsi a prescindere del proprio uomo». «Ma sai», disse Andrea, ritrovando uno sprazzo di buonumore, «potrebbe essere una terapia di coppia, no?». Alfio lo guardò sorridendo stupito. Francesca, ridendo anch’essa di gusto, gli domandò: «Ah sì, e quale sarebbe questa terapia? Sono curiosa… ». Andrea, emozionato per il sorriso con cui Francesca aveva accompagnato la sua richiesta di chiarimenti, spiegò la propria idea: «Mah, ci sono coppie che vivono assieme, che sono in crisi, che soffrono la routine eccetera. E allora i medici consigliano a queste coppie di uscire, di vedersi fuori casa, come succedeva quando non convivevano, a volte anche 83 suggerendo di fare sesso in macchina. Non so, forse perché il “rischio” eccita, la novità può aiutare a recuperare la passione». «Certo che se la tua amica Marta, già prima di sposarsi, ha questi problemi, è messa male! E come vanno sessualmente?», disse Alfio lasciandosi andare ad una grande risata e rivolgendosi a Lucia, ancora intenta a guardare Andrea che aveva appena concluso il suo discorso. Udendo la frase di Alfio, Lucia diventò tutta rossa in viso. Rispose soltanto: «Alfio, non parliamo mai di sesso io e Marta! E poi non sono affari tuoi!». «Sì, certo, e io ci credo. Voi donne dite sempre che noi uomini siamo fissati e non parliamo d’altro. Vorrei ascoltare invece voi quando parlate di noi e di sesso in nostra assenza!», ribatté Alfio, seguitando a ridere di gusto. Un’ultima risata generale concluse quella conversazione: le ragazze si schermirono, imbarazzate, mentre i due ragazzi fecero altre domande piccanti, senza ottenere ovviamente risposta. Poco dopo tutti e quattro smisero di palare, dedicandosi alla tintarella e ai propri pensieri. Alfio e Lucia continuarono però a scambiarsi teneri baci; Andrea stava meglio di prima, percepiva di essere ancor più affine a Francesca nell’animo. La spiaggia era affollata: molti ragazzi si divertivano a giocare con il pallone sul bagnasciuga; altri, seppure nello spazio ristretto della battigia, si dedicavano al tennis, mentre alcuni bimbi cercavano di creare strane costruzioni con quella che a prima vista sembrava sabbia, ma che in realtà era ghiaia finissima. Altre persone prendevano il sole, alcune leggevano, altre, forse, dormivano. Poco più avanti, dove cominciava il parcheggio, c’era il classico bar da luogo di mare che mandava la musica di moda quell’estate, dal vago ritmo sudamericano. Il sole intanto era alto nel cielo, benché una nube piuttosto corpulenta lo avesse coperto e un vento fresco alzatosi in quel momento avesse reso meno calda l’aria. L’altra sponda del lago si vedeva meno nitidamente, coperta da una lieve caligine, forse segno dell’aumento dell’umidità e dell’afa. Verso l’una i ragazzi andarono a pranzo, poi ripresero a parlare tra di loro con leggerezza ed allegria; più tardi, si misero di nuovo a prendere il sole. A metà pomeriggio Lucia e Francesca si alzarono per andare a fare una passeggiata. Appena si furono allontanate, Alfio si avvicinò ad Andrea dicendogli: «Allora, come mai parlate così poco tu e Francesca?». «C’è un po’ di imbarazzo, io non so che fare, Alfio; però mi sembra che c’è una bella atmosfera… ». «Sì, certo. Capisco pure l’imbarazzo, l’emozione, però è importante che sia venuta: ha accettato di stare con noi e anche con te, è un segnale positivo, no? Hai visto come era allegra stamattina e a pranzo? Il buffetto che ti ha dato al ristorante, dopo la scemenza che hai detto sulla scuola, è stato tenero davvero, è un buon segno». 84 «Sì, è stato un bel gesto, lo ammetto, mi ha dato coraggio. Però ho un po’ di fifa a parlare con lei di noi, mi mette soggezione». «Perché non le proponi una passeggiata? Anzi no, facciamo una cosa: appena torna Lucia, me la porto via con me per un po’, così rimanete soli». «Va bene, va bene». Di fronte a quella proposta, Andrea avvertì il cuore iniziare a battergli forte: rimanere solo con Francesca avrebbe significato dover fare qualcosa per provare a intuire se la ragazza avesse riflettuto sulla possibilità di tornare con lui. Ma cosa avrebbe fatto? Cominciò a sentirsi agitato, incapace di prendere qualsiasi iniziativa: desiderò quasi che Alfio non attuasse la sua idea e che la giornata si concludesse senza altri avvenimenti, lasciandolo con la soddisfazione di aver ritrovato Francesca, di aver visto bene accolto il suo invito e di essere stato trattato dolcemente da lei. Non era sufficiente come soddisfazione? No, non lo era, lo dovette ammettere e, ancora una volta, di fronte ad un passaggio forse cruciale della propria vita ed alla possibilità di manifestare le proprie emozioni, Andrea comprese di essere “assalito” dalla paura, dalla tentazione di fuggire, di scappare via, come se credesse ancora che le cose bramate si potessero ottenere nella vita senza fare sforzi, semplicemente. Appena Lucia tornò, Alfio le propose di fare un “salto” al bar. Andrea e Francesca rimasero quindi soli: all’inizio entrambi apparvero imbarazzati, incapaci di dirsi alcunché di significativo. Scambiarono due parole sulla bellezza della giornata, sulla mia mitezza del clima e su quell’estate che si annunciava gradevole. Andrea sentiva venir meno ogni proposito di riconquista: stava fallendo ancora una volta? Durante le pause nei loro discorso, Francesca si guardava attorno un po’ perplessa ma divertita, perché aveva da tempo inteso quali fossero le intenzioni di Andrea, sebbene intuisse anche le paure e i timori del ragazzo. Lei stessa, d’altra parte, non era del tutto convinta di riprendere una storia già vissuta e non finita bene. Però era curiosa di vedere quale “tattica” Andrea avrebbe attuato. Per spezzare il silenzio, ad un certo punto, Francesca disse, guardando il libro che Andrea teneva vicino a sé: «Che stai leggendo?». Andrea si scosse dal torpore; rispose, mostrando il libro a Francesca, «Me lo hai regalato tu, ricordi? Ombre nell’ombra, di Paco Ignacio Taibo II. È molto bello, profondo, pieno di avventure, di belle storie, oltre che di riflessioni nobili». «Lo so», rispose Francesca, «Paco non tradisce mai. Io invece, da mesi, sono alle prese con Cent’anni di solitudine. Non ho tempo per leggere e poi spesso mi perdo, con tutti quei nomi che appaiono più volte. Sai che mi sono appuntati su un quaderno i fatti e i personaggi fondamentali? L’ho fatto per seguire meglio la trama, dato che non riesco a leggere tutti i giorni». 85 Andrea sorrise, perché ritrovava la sua Francesca in quelle discussioni letterarie. Per non far cadere la conversazione, parlò un’altra volta del libro di Paco Ignacio Taibo II. Disse: «Guarda che bella questa pagina, verso la fine del libro. Ascolta, è l’inizio del capitolo 55: Mi sarebbe piaciuto salire su tutte le navi che ho caricato, su tutte le navi da cui ho aiutato a scendere i passeggeri, portando le loro valigie ricoperte di etichette colorate di alberghi, dogane, linee ferroviarie. Mi sarebbe piaciuto salire a bordo di quei giganti bianchi e luccicanti sotto il sole, e partire. Io non sono di qui. Non appartengo a questa terra dove sono nato; e nella vita si impara, impara chi vuole imparare, che nessuno appartiene alla terra dov’è nato, dove l’hanno messo al mondo. Che nessuno è di nessun posto. Alcuni cercano di mantenere l’illusione e si costruiscono nostalgie, sensi di possesso, inni e bandiere. Tutti apparteniamo ai luoghi dove non siamo stati prima. Se esiste nostalgia, è per le cose che non abbiamo mai visto, per le donne con cui non abbiamo mai dormito, e per gli amici che ancora non abbiamo avuto, per i libri non letti, per i cibi nella pentola ancora non assaggiati. Questa è la vera e unica nostalgia. Ti piace l’idea? Voglio dire, la nostalgia come sentimento verso ciò che non si possiede, verso ciò che mai si avrà o che difficilmente sarà nostro. Non ci avevo mai pensato prima, perché la nostalgia la vediamo sempre diretta verso qualcosa che in passato ci è appartenuta e che adesso non è più con noi. E invece, se rifletti bene sulla cosa, capisci che pure nel futuro sarà così, che vedremo mille cose, ne desidereremo migliaia e ne avremo, sì e no, una decina, ad essere ottimisti. Non ti nascondo che mi sono trovato subito in sintonia con queste parole. Beh, credo che tu non sia stupita di questo fatto». Francesca sorrise perché ritrovava il suo Andrea, sognante, vagamente ingenuo, con la testa un po’ fra le nuvole, pronto ad emozionarsi per la pagina di un libro o per il verso di una poesia. In fondo lei aveva amato quel tipo di persona. Forse l’avrebbe amato di nuovo. Rispose guardandolo negli occhi: «Immaginavo che quella pagina ti sarebbe piaciuta. So che è un tipo di nostalgia che tu stesso avrai avvertito qualche volta, quella verso il “non provato”. Sì, in effetti è una bella idea, però non deve diventare fonte di angoscia, altrimenti il futuro diventa una cosa inquietante, a cui si pensa senza curiosità, né eccitazione. Invece, oltre alla nostalgia per il non ancora provato, ci dovrebbe essere la coscienza che quello che otterremo con il nostro impegno sarà una qualcosa che ci darà soddisfazione proprio perché è frutto della nostra fatica. Non dico che dovremo accontentarci passivamente: dovremmo piuttosto riuscire a dare la giusta dimensione ai sogni, senza farci sommergere da loro. Certo, proprio io lo dico! Con la mia testa sempre fra le nuvole!». «Come sei filosofica oggi! Comunque sono d’accordo con te». 86 «Non prendermi in giro, Andrea. Sai che ogni tanto so riflette anche su queste cose. A scuola qualche volta mi sono distratta in questo modo, nei momenti in cui la routine stava per uccidermi. Ecco, vorrei vivere, nel futuro, avendo sulle spalle il minor numero possibile di rimorsi, rimpianti, di occasioni perse e di disillusioni. Più facile a dirsi che a farsi, lo ammetto!». I ragazzi sorrisero per qualche istante dopo quei discorsi e Andrea vide illuminarsi il visto di Francesca: quel sorriso che la ragazza disegnò sul proprio volto le donò una rinnovata freschezza ed una leggiadria più intensa. Andrea ribatté alle considerazioni di Francesca asserendo che le trovava molto giuste, non pessimiste, bensì realistiche. Francesca, dopo averlo guardato sorridendo, replicò a sua volta: «Bene, ti ringrazio, sai… Mi viene in mente un fatto bizzarro, a proposito di pessimismo, chissà perché. Tempo fa, a scuola, durante un’interrogazione, ho chiesto ad un alunno cosa si intende, parlando di Leopardi, di “pessimismo cosmico”. E lui, con la faccia più tranquilla di questo mondo, mia ha risposto che si intendeva l’idea che l’universo fosse un pericolo per l’uomo perché può distruggerlo da un momento all’altro. Io, dopo averlo ascoltato, l’ho guardato interdetta, credendo che mi stesse prendendo in giro. Invece, lui credeva di aver detto la cosa giusta! E si è stupito del quattro che gli ho dato!». Sorrisero entrambi per quell’episodio divertente ed ambedue avvertirono, ridendo, una sensazione che si rinnovava, come il sentore di un’atmosfera dolce che tornava a sussistere tra di loro. Alla fine, nonostante i timori, era stata una fortuna, per Andrea, il poter rimanere solo con Francesca. Non si dissero più nulla poiché Alfio e Lucia tornarono quasi subito. Era ormai pomeriggio inoltrato. I quattro ragazzi decisero di andare alla casa dei genitori di Alfio: il sole tramontava dietro i monti dell’altra sponda del lago; la luce serale era viva, fulgida, e rallegrava l’animo, perché non faceva eccessivamente caldo. La spiaggia cominciava a svuotarsi e le strade iniziavano, invece, a riempirsi di automobili. Qualche rada nuvola continuava a galleggiare nel cielo chiaro, ma si stava dissolvendo, per lasciare posto alla morbida luce del crepuscolo estivo. 87 Capitolo XVI – La brezza di lago Quella sera stessa i ragazzi cenarono nella casa che i genitori di Alfio da qualche anno avevano acquistato sul lago: si trattava di un appartamento piccolo, arredato modestamente, ossia della tipica casa vissuta occasionalmente. La cosa più gradevole era il terrazzino che si affacciava verso il lago. Per i ragazzi fu infatti piacevole sentire la brezza che giungeva dallo specchio d’acqua, dato che la casa era quella sera molto calda, visto che le finestre erano state chiuse per tutto il giorno. La serata era comunque mite: il cielo era tornato limpido, i cumulonembi del pomeriggio si erano dissolti e in quel momento una luna grande, bianca, accendeva con la sua luce argentea le colline attorno, illuminandole, e rendendo meno minaccioso il loro profilo scuro contro il cielo blu. La cena fu allegra, nonostante la stanchezza; mentre mangiavano, i ragazzi sembravano tutti e quattro presi da un generale ilarità: Andrea, rinfrancato dai discorsi fatti con Francesca sulla spiaggia, si sentiva pressoché sollevato dal compito di dover parlare con lei e si stava divertendo a raccontare aneddoti sul suo primo anno di insegnamento a scuola. Aveva avuto la conferma che tra di lui e Francesca era rinata un’intesa e si riteneva già soddisfatto di questo risultato per quel giorno, perché non aveva il coraggio di andare oltre e temeva di fare qualche mossa sbagliata che potesse rovinare tutto. Francesca, dal canto suo, rideva di gusto ai racconti di Andrea: la preoccupazione che aveva la mattina, prima che la giornata cominciasse, era svanita ed ella era ormai rilassata, ben disposta verso Andrea. Si domandava, tuttavia, perché lui non le avesse ancora detto chiaramente il motivo per cui l’aveva cercata di nuovo. O meglio, Francesca l’aveva capito, ma si aspettava che fosse il ragazzo a farsi avanti: si augurava di vederlo più risoluto di un tempo. Alfio e Lucia, meno assillati dal pensiero di dover sostenere il peso di rendere allegra la serata visto il buonumore dei loro amici, ascoltavano con piacere le parole di Andrea, mentre, sotto il tavolo, si tenevano stretta la mano, per suggellare quella giornata nella quale il loro amore era stato confermato. Ad un certo punto, dopo cena, i ragazzi si misero a sorbire delle grappe, divenendo ancor più distesi e contenti. Francesca, all’improvviso, disse, stupendo tutti: «Bella giornata, ragazzi, ci voleva, sapere? È stato un periodo un po’… così… ». Sorrise dolcemente dopo quelle parole, come se volesse comunicare agli altri qualcosa di cui essi erano già a conoscenza. Andrea ebbe un piccolo sussulto ascoltando quelle frasi: di certo Francesca si riferiva alla fine della sua storia con Giorgio. «Bene, ci tenevamo che ti rilassarsi», le rispose Alfio, sorridendo. 88 «Già, “rilassarmi”, un verbo che non uso da tempo… nell’ultimo mese è stata una cosa che non ho mai fatto, sapete, l’incidente di Giorgio, poi, insomma, quello che ne è seguito». Udendo quelle parole, Andrea sentì il proprio cuore riprendere a correre, tuttavia Francesca non aggiunse nulla, poiché Lucia le chiese, con un tono di voce incerto e titubante: «È ancora in ospedale? Sta meglio? E… come siete messi tra di voi?». «Quante domande», rispose sorridendo Francesca, mostrando un po’ imbarazzo. Era poco abituata a confessare agli altri i propri sentimenti; in quella circostanza, poi, era ulteriormente riluttante, dato che Alfio e Lucia non erano suoi amici intimi. Nondimeno Francesca quella sera, era chiaro, desiderava parlare, liberarsi di diversi pesi. Per cui disse, abbassando lo sguardo verso la tovaglia: «Sì, Giorgio sta meglio, so che è tornato a casa e…. sì, lo saprete penso, non siamo più assieme, se si può parlare del fatto che siamo stati assieme, dato che è stato tutto così impalpabile. È stato tutto molto leggero, molto strano: non ero affatto innamorata di lui». Quasi subito, facendosi coraggio e superando la propria timidezza, Francesca raccontò nei particolari come si fosse lasciata con Giorgio. Due giorni dopo aver ricevuto la visita in ospedale di Andrea, Giorgio si era rifiutato di accogliere Francesca nella propria stanza. Lo aveva però fatto, secondo il giudizio di Francesca, in modo misero e poco civile, giacché le aveva scritto semplicemente un messaggio sul cellulare; nel messaggio la pregava di non andare mai più a trovarlo, aggiungendo che aveva capito tutto e che era giusto che non si vedessero più. Francesca raccontò di essere rimasta stupita da quel comportamento, ma altresì sollevata, perché avrebbe fatto una figura poco bella se avesse lasciato Giorgio proprio dopo quell’incidente. Da allora, ovvero da tre settimane prima di quella gita al lago, non lo aveva più visto né sentito. Alfio, ascoltate quelle parole, guardò Andrea raggiante, senza ovviamente dire nulla; Lucia era contenta per l’amico di Alfio e disse a Francesca che aveva fatto bene lasciar perdere Giorgio. Andrea avvertì nel proprio animo una specie di valanga di contentezza che lo fece vacillare sulla seggiola: ebbe l’impressione che Francesca avesse raccontato quei fatti solo per lui, sebbene non lo avesse mai guardato in faccia, come se ella non avesse avuto il coraggio di dirgli direttamente quelle cose. Una gioia enorme lo ghermì: sperò di poter rimanere solo con Francesca quella sera e decise che le avrebbe confessato il suo amore. Era fiducioso, credeva che Francesca desiderasse tornare con lui. Altrimenti, si disse Andrea, perché avrebbe accettato di partecipare a quella gita? Perché, lì, a cena, avrebbe confessato chiaramente la fine della sua “storia” con Giorgio, sapendo quello che lui, Andrea, provava per lei? 89 Più tardi, come se fosse tutto preordinato dal destino (e soprattutto da Alfio), Andrea rimase solo con Francesca. Successe tutto in apparenza casualmente. Alfio, dopo aver messo della musica, cominciò a ballare con Lucia. Andrea e Francesca, invece, rimasero entrambi seduti, silenziosi e imbarazzati. Andrea era del tutto avvolto dall’emozione: riusciva a malapena a elaborare dei pensieri compiuti e, dopo il subitaneo entusiasmo provato poco prima, stava tornando a temere di non essere capace di fare a Francesca il discorso giusto. Qualche minuto dopo, come a voler sollecitare questo discorso, Alfio spinse Lucia nell’altra stanza e, come d’incanto, Andrea si ritrovò Francesca, vicina e, ai suoi occhi, bellissima. Appena furono soli, la ragazza si voltò verso Andrea e gli chiese: «Cosa hai oggi Andrea?». Il ragazzo rispose balbettando perché si rendeva conto che, forse, stava per cominciare la conversazione decisiva: «Nulla… Nulla… ». Francesca si voltò nuovamente verso la tavola, sospirando nervosamente, come se si fosse aspettata un’altra risposta da Andrea. Tornava il ragazzo indeciso, poco sincero, scarsamente propenso a mostrarsi nella propria autenticità? Andrea comunque si scosse e le domandò a sua volta: «Perché lo dici?». «Perché ogni tanto oggi ti ho visto troppo silenzioso, con la testa fra le nuvole. Per fortuna abbiamo parlato di libri e ti sei ripreso! Poi a cena hai recuperato ancora, eri di buonumore, si vedeva. Ho creduto che fosse per colpa mia, che questo tuo atteggiamento un po’ chiuso e taciturno fosse dovuto alla mia presenza». Queste parole intenerirono Andrea: avrebbe voluto abbracciare Francesca, stringerla a sé; si mise ad osservare il suo profilo, gli occhi scuri pieni bellezza, e si domandò come la ragazza avrebbe reagito di fronte a un suo bacio, a un suo gesto un po’ più deciso, repentino. Nondimeno non riuscì a muoversi benché lo desiderasse: aveva paura di sbagliare, di fallire, di interpretare male l’atteggiamento di Francesca. Disse soltanto: «Però anche tu oggi mi sei sembrata qualche volta un po’ distaccata, almeno finché non abbiamo parlato di libri… »; il cuore che gli correva in petto gli spezzò le parole in bocca, «come se fossi distante, insomma, è la stessa cosa che potrei dire io di te… ». Francesca sorrise a quelle parole senza replicare: con la mano sinistra giocava con un risvolto della tovaglia, mentre con l’altra raccoglieva delle minuscole briciole di pane sul tavolo. Sembrava nervosa, come se attendesse che succedesse qualcosa. Andrea si disse che avrebbe perduto una grande occasione se avesse fatto nulla. Ciò nonostante, non si mosse. Dalla stanza da letto, intanto, giungevano le risa di Lucia, le parole a bassa voce di Alfio e il 90 rumore dei loro baci: l’amico gli aveva spianato la strada, ma lui era ancora prigioniero di se stesso. La musica era cessata, la sala da pranzo era avvolta nel silenzio. Il vociare delle persone che passeggiavano nella via di sotto giungeva attenuato alle loro orecchie. Eppure, nonostante l’incertezza e l’insicurezza, ad un certo punto Andrea prese le mani di Francesca fra le sue: la ragazza non ebbe all’apparenza alcuna reazione, ma non fece nulla per ritrarsi. Le mani rimasero strette, non si sciolsero, sebbene entrambi esitassero. Andrea sentiva che stava finalmente compiendo quel gesto e che i mesi di sofferenza, di dolore, erano alle spalle: aveva oltrepassato un margine, un confine, e non poteva tornare indietro. E poi, era evidente, la ragazza non rifiutava quel gesto: l’esito di quel momento di attesa appariva inevitabile, ciononostante mancava ancora una piccola mossa per renderlo un momento che li avrebbe nuovamente uniti. Andrea osservò un’atra volta Francesca: ella invece contemplava, assorta in chissà quali pensieri, il piatto vuoto davanti a lei; Andrea scorse il petto di lei che si sollevava e che si abbassava velocemente, gli parve con una certa concitazione. Francesca stessa, dunque, era in preda all’emozione e forse attendeva un gesto risolutivo di Andrea. La vista del seno della ragazza, la cui forma si indovinava sotto la maglietta, accese ulteriormente di desiderio il ragazzo. Per questo Andrea trovò finalmente il coraggio di dire a Francesca: «Francesca, sai, e se riprovassimo? So che con Giorgio le cose non sono andate bene». Francesca attese che Andrea avesse terminato di parlare, poi sospirò, come per voler stemperare l’emozione. Il quesito che Andrea le aveva posto non l’aveva colta impreparata, ma stava in silenzio perché era cosciente di quanto fosse importante la sua risposta. Qualche secondo più tardi si decise: voltandosi verso il ragazzo, che la scrutava intensamente, gli disse: «Andrea, confesso che anch’io ho pensato a ricominciare con te; prima però, posso sapere una cosa?». Andrea, sempre più agitato quantunque ebbro di gioia per quella frase di Francesca, ebbe un po’ di timore di ciò che la ragazza gli avrebbe chiesto. Per cui, con un filo di voce, rispose: «Dimmi… ». «Stai sereno, niente di grave», gli disse Francesca sorridendo bonariamente. Poi continuò, più seria: «La giornata di oggi è stata organizzata per me, cioè, per aiutarti a riconquistarmi?». «No», rispose immediatamente Andrea, di nuovo pieno di confusione, allontanandosi lievemente da Francesca come se volesse osservarla meglio e scoprire con quale spirito avesse posto quel quesito. Egli tuttavia non scorse sul viso di lei né rabbia, né un’espressione di rimprovero. Francesca riprese a parlare: 91 «Non c’è problema, tranquillo, lo dico perché, insomma, come vedi, noi siamo soli, loro sono di là che si sbaciucchiano, e quindi… Dovremmo essere due coppie, stasera?». «Dovremmo essere quello che vorremmo essere». Terminata questa frase, Andrea iniziò a baciare Francesca sulla guancia destra, poi più volte le sfiorò la bocca, come per chiederle se poteva arrischiarsi ad andare più a fondo. Il cuore correva all’impazzata nel suo petto, mozzandogli il respiro. Pochi minuti più tardi non ci fu più nulla che li divise e si baciarono, si abbracciarono su quelle sedie. Quando uscirono sul balcone, continuarono i baci e le carezze, sempre appassionati: Andrea si sentiva leggero, pieno di entusiasmo, felice di quello che stava succedendo. Il corpo di Francesca tornava a stringersi al suo, fremere al tocco delle sue mani e Andrea aveva la sensazione di soffocare dalla gioia e dall’eccitazione. Quando Alfio e Lucia videro i loro amici così uniti, batterono loro le mani: Alfio era davvero contento per l’amico. Francesca invece, più imbarazzata di tutti, era diventata rossa in viso. Ma era felice, o almeno tale credeva di essere. 92 Capitolo XVII – Una notte come se nulla fosse successo Più tardi, tornati in città, Andrea e Francesca si separarono da Alfio e Lucia, promettendosi di rivedersi presto; Andrea si offrì di accompagnare Francesca a casa con la propria macchina. L’atmosfera che c’era tra di loro era profondamente mutata rispetto a quando si erano visti giorni prima. Entrambi erano convinti che quella giornata non avrebbe dovuto mai finire e che la notte appena iniziata fosse un’appendice esaltante di quel giorno di pieno di letizia, non la sua conclusione. Mentre i due ragazzi camminavano abbracciati verso la macchina di Andrea, Francesca disse all’improvviso, ridendo: «Che giornata, non me l’aspettavo così! O forse sì, non so, sono confusa». «E come te la aspettavi? Perché sei confusa?». «Non so, credimi, avevo capito che qualcosa mi spingeva di nuovo verso di te, ma non sapeva che fare, non sapevo se sarebbe stata la cosa giusta. Sinceramente non lo so neppure ora, però non voglio pensare troppo. Me lo hai detto spesso: l’indigestione di pensiero, di riflessione sulle cose che mi succedono rovina la bellezza di quella che si ha». «È il mio stesso difetto, lo critico in te ma ce l’ho pure io il vizio di riflettere troppo!… e poi spero che quello che è successo stasera non sia casuale, un episodio. Non vorrei tornare a provare nostalgia di te, sia perché ti avrò persa, sia perché non ti avrò in futuro… Ricordo il libro di Paco Ignacio Taibo II?». «Non credo che proverai quella nostalgia, almeno spero sia così. Ma è presto per parlare del futuro, no?». Dopo questa frase, detta in modo affrettato, come per scacciare suggestioni non piacevoli, Francesca si fermò per scrutare Andrea negli occhi, come volesse rimarcare l’importanza di quel che stava per dichiarare, e disse: «Sai cosa mi ha spinto stasera a baciarti? Il tuo cuore: intuivo il battito del tuo cuore perché, mentre mi stringevi le mani, vedevo che ansimavi un po’. E tremavi. Poi ho sentito il sudore delle tue mani e, quando ci siamo abbracciati, ho avvertito martellare del tuo cuore nel petto: è stata un’emozione che non mi aspettavo davvero e che mi ha dato il coraggio di lasciarmi andare». Si baciarono un’altra volta con trasporto in mezzo al marciapiede deserto, come se desiderassero recuperare il tempo perduto quell’anno; dopo ogni bacio, Francesca guardava Andrea negli occhi lungamente, con insistenza. Il ragazzo, invece, durante le pause sfiorava con le mani la bocca di Francesca, i suoi occhi, il suo naso, come a voler sincerarsi che fosse proprio lei la donna stretta a lui e che non fosse un’illusione. 93 Quella sera sembrava tutto facile, leggero, chiaro e pulito; Andrea e Francesca si sentivano come due individui capaci di isolarsi da tutto il resto del mondo per amarsi totalmente. La notte che galleggiava sopra di loro, le stelle, offuscate dalla luna, appese sopra le loro teste, la brezza fresca della notte estiva, costruivano un quadro di dolcezza e gioia unico nel suo genere. I ragazzi sapevano che quel momento tanto delicato sarebbe presto finito: un altro giorno sarebbe giunto, un’altra notte, altre stelle, altre lune, di sicuro meno affascinanti e struggenti. Per questo, volevano godersi quella notte fino all’ultimo, sorbendola goccia a goccia, senza pensare al futuro, almeno in quei momenti. Credevano difatti che le difficoltà che sarebbero inesorabilmente giunte, lo stemperarsi dell’esaltazione, sarebbero stati resi sopportabili dalle loro vite intrecciate. Andrea era molto loquace nella propria felicità. Francesca, invece, era silenziosa. Infatti, come se volesse giustificare il comportamento poco affettuoso dell’anno prima, Andrea cominciò a dire molte cose a Francesca, la quale, dal canto suo, non gli aveva chiesto nessuna spiegazione. Malgrado ciò, Andrea parlava, parlava, dicendo che entrambi avevano commesso troppi errori, in quei mesi in cui erano stati lontani, e che non avrebbero dovuto ripeterli. Aggiunse di aver compreso le proprie mancanze, assicurò di aver riflettuto molto su di esse e promise che non le avrebbe più commesse e che si sarebbe impegnato per essere migliore. Francesca, ascoltandolo, pensò che il ragazzo, preso dall’entusiasmo di quella nottata, stesse esagerando con quei proclami. Ciò nonostante volle essere indulgente, assecondarlo e non cercò di contraddirlo, poiché quella sera desiderava stare con lui come non le era mai capitato prima. D’altra parte, lei stessa era stanca del proprio eccessivo razionalizzare, dell’abitudine, così deleteria talvolta, che la spingeva a cercare di vedere sempre cosa ci fosse di nascosto dietro ai sentimenti e dietro a tutte le parole. E poi aveva voglia di Andrea, un desiderio che le pareva nuovo, come se fosse nato quella sera stessa e non avesse alcun rapporto con quello sperimentato durante la loro storia dell’anno prima. Tuttavia, prima di salire in casa sua, la ragazza volle puntualizzare una cosa. Perciò, quando Andrea tacque un attimo, Francesca gli disse: «Sono davvero contenta, stasera. Da quando ti ho rivisto dopo la scuola, giorni fa, mi sono accorta che mi sentivo legata ancora a te, all’improvviso. Ti giuro, non me lo aspettavo, ero un po’ traumatizzata per l’anno scorso e allora, dopo che ti avevo incontrato, mi sono detta che avrei dovuto resistere e non vederti più. Però non è stato possibile, soprattutto perché con Giorgio è andata come sai. Perciò mi sono detta: perché resistere a un desiderio così naturale? Certo, spero che certe situazioni non si ripetano, o almeno, spero che saremo in grado di affrontarle: le incomprensioni, i litigi 94 per cose da nulla fanno male più che le questioni serie, a volte… Vorrei che potessimo sentirci tutti e due liberi di essere noi stessi. Il senso del sentimento dell’amore, per me, è proprio questo, non la cancellazione dell’altro, ma l’offrirgli la possibilità di essere pienamente se stesso. Amare significa per me aiutare il mio uomo a realizzare le proprie caratteristiche; per esempio, aiutarlo ad essere libero, a pensare meglio, a respirare “un’aria diversa”, ti ricordi? questa espressione la usavo spesso». Erano parola accorate, sebbene un po’ vacue, cariche di sentimenti, utopie ed illusioni. Un nuovo, lungo bacio, suggellò la loro unione. Entrarono in casa entrambi emozionati ed eccitati. Si sedettero sul divano, abbracciandosi e baciandosi con trasporto, pronti a farsi sommergere dalle proprie carezze. A un certo punto, però, Francesca arrestò quelle effusioni e disse, mentre Andrea la guardava vibrante di attesa e di felicità: «Sai Andrea, l’anno scorso, con te, negli ultimi tempi, mi sono sentita stanca, avvilita, addirittura esausta qualche volta. Parlarti era impossibile, eri un muro di gomma, come si dice; l’anno scorso, credimi, a volte, quando stringevo le tue mani, non sapevo se stringevo una persona o un pezzo di stoffa. È umiliante avere l’impressione di toccare un pezzo di stoffa quando si crede di abbracciare il proprio uomo. Scusa se te lo dico con queste parole, ma non voglio nasconderti niente». Andrea le rispose che la capiva e che quelle parole erano importanti perché avrebbero potuto aiutarlo a non sbagliare più. Francesca tacque, lievemente perplessa per la facilità con la quale il ragazzo le dava ragione, sebbene comprese che l’eccitazione di Andrea lo rendeva sordo a qualsiasi discorso. Poi le parole terminarono e durante quella notte fecero l’amore più volte che poterono: Andrea credette di essere al colmo della contentezza perché poteva di nuovo stringere quel corpo, accarezzarlo, poteva baciare il seno di Francesca, sentirla fremere di piacere tra le sue braccia: furono sensazioni che gli donarono una gioia enorme che credeva di non aver mai sperimentato in precedenza. Raramente gli era accaduto di aver desiderato con quell’intensità una donna e poi di averla fatta propria. Quella sera invece era successo e la felicità che sperimentava gli parve la giusta ricompensa per i mesi di travaglio e sofferenza passati. Durante quella notte d’amore con la donna che amava Andrea ebbe l’impressione di vivere un momento “perfetto”, nel quale ogni sogno si realizzava, ogni amarezza scompariva, ogni desiderio prendeva una forma reale e pulsante. Francesca era stata dolcissima e passionale, come se anche per lei quei mesi in cui non si erano frequentati fossero stati solo un’interruzione, una parentesi dolorosa ma necessaria da dimenticare in fretta. Si addormentarono quando albeggiava, esausti ed ebbri di piacere e passione: Andrea tuttavia non dormì quasi per nulla, perché aveva il cuore 95 che continuava a battere velocemente per l’emozione. Si volse diverse volte alla propria sinistra per osservare Francesca, come per sincerarsi che la donna al suo fianco fosse effettivamente lei: il suo respiro regolare, il viso sereno, gli diedero, ogni volta che l’osservava, la convinzione di essere la persona più fortunata del mondo. Da tempo sognava una notte come quella. Capitolo XVIII – Le certezze di un’estate, poi l’autunno… Dopo quella serata di fine estate, l’amore tra Andrea e Francesca sembrò tornato con rinnovata forza e fresca passione: entrambi all’inizio ebbero l’impressione che l’interruzione di quasi un anno nei loro rapporti non ci fosse mai stata. Ogni gesto, ogni frase, ogni azione sembravano originali, appena nate, ma al contempo salde, durature, come se i due ragazzi si fossero amati da sempre e fossero ormai da tempo assieme. I contasti, le difficoltà, le discussioni avute mesi prima apparivano lontane: Francesca non pensava più a Giorgio, che per lei rappresentava solo il ricordo di un momento di incertezza e di patimento; Andrea, da parte sua, aveva bruscamente interrotto i contatti con Antonella (la ragazza aveva avuto una lunga crisi di pianto quando era stata lasciata, ed aveva accusato Andrea di essere “falso” e “ipocrita”), senza peraltro raccontare a Francesca di quel rapporto passeggero. Andrea comprendeva che, in virtù di quella storia d’amore con Francesca, aveva la possibilità di fare “pulizia” nella propria vita; si sentiva più determinato: si diceva che finalmente, dopo tanta turbolenza, aveva cominciato ad intravedere una luce nuova. Tante cose che per mesi gli erano parse oscure, difficili, senza attrattive, in quel periodo erano tornate ad sembragli piane, chiare e pure, comprensibili senza sforzi eccessivi e soprattutto sopportabili. Anche i rapporti con la madre, la quale aveva accolto con gioia la notizia che il figlio fosse tornato a stare con Francesca, erano diventati migliori. Andrea sperimentò in quel frangente della propria vita la soddisfazione di poter essere se stesso, di non dover dissimulare i propri stati d’animo, di non dover fingere e di poter vivere secondo le proprie idee e aspirazioni. Quella stessa estate Andrea e Francesca fecero una bella vacanza al mare, all’estero, sperimentando, per un mese intero, l’anticipazione della vita di coppia, dato che avevano prenotato un piccolo appartamento ammobiliato. Si trovarono molto bene, sebbene il posto incantevole e l’eccitazione per il loro amore rendessero ogni cosa più facile e lieve. Andrea era certo che, una volta tornati a casa, quell’idillio stabilitosi tra di loro sarebbe continuato. Francesca invece non ne era ugualmente convinta, perché sapeva quanto illusorio potesse essere quel benessere estivo; tuttavia, la ragazza evitò, durante la vacanza, di 96 esporre ad Andrea tali dubbi, poiché voleva godere appieno del bel clima che si era creato tra di loro dopo la riconciliazione. Mentre vivevano quella vacanza idilliaca, i due ragazzi addirittura pensarono di progettare il loro futuro assieme, al fine di dare un seguito concreto a quel presente tanto dolce, benché inevitabilmente fugace nella sua breve bellezza. Cominciarono perciò a prendere seriamente in considerazione la possibilità di iniziare una convivenza, una volta tornati a casa. Era stata Francesca a proporre la cosa per prima: lei viveva da tempo da sola e dunque la casa in cui convivere esisteva già. Con Andrea avrebbero potuto, gradualmente, provare a vivere assieme da lei, avendo come obiettivo, nel giro di pochi mesi, la piena convivenza e magari qualcosa di più. Francesca era convinta che solo in quel modo entrambi avrebbero potuto “verificare” il loro grado di coesione e di affiatamento; naturalmente, ambedue decisero, per evitare di essere precipitosi, di attendere qualche mese e non cominciare subito a convivere: nel frattempo, per così dire, si sarebbero potuti “addestrare” a farlo. Francesca riteneva altresì che soltanto la possibilità di avere il ragazzo al proprio fianco tutti i giorni le avrebbe consentito di conoscerlo veramente e di abituarsi alle sue “bizze”. Naturalmente, non espose ad Andrea questa convinzione. Andrea approvò con entusiasmo il progetto della convivenza e spese tante parole per supportare e lodare le proposte della fidanzata. Francesca fu contenta di trovare in lui tanta partecipazione, sebbene avrebbe preferito sentire almeno una critica oppure semplicemente sapere cosa Andrea pensasse veramente della sua proposta. Possibile che gli andasse tutto bene? Temeva che il ragazzo accondiscendesse alle sue richieste per evitare qualsiasi discussione. Infatti, da quando erano tornati assieme, Andrea si era mostrato molto affettuoso, delicato, attento eppure, secondo Francesca, eccessivamente disponibile. Non la contraddiceva mai ed esprimeva la propria opinione solo dopo che Francesca aveva esposto la sua. La ragazza non apprezzava molto questo atteggiamento, perché secondo lei non era possibile che Andrea fosse diventato all’improvviso tanto servizievole; soprattutto, ella sospettava che quell’atteggiamento sarebbe presto finito, magari sostituito da altri comportamenti, senza dubbio meno morbidi e concilianti. La vacanza terminò e ricominciarono per entrambi le diverse occupazioni. Andrea, ripreso il lavoro a scuola, godeva per il vigore e l’entusiasmo ritrovati. Persino le riunioni preparatorie a scuola, prima dell’inizio dell’anno scolastico, non gli pesarono. Più tardi, prese a preparare le prime lezioni con molta cura, cercando di trasmettere agli studenti la sua grande passione per la conoscenza. Più in generale, ogni momento della sua giornata conteneva in sé una goccia di felicità, perché il pensiero di Francesca lo accompagnava costantemente. Francesca, di contro, tornata alla vita di tutti i giorni, divenne gradualmente meno serena. Si trovava ancora in preda alle paure che d’estate l’avevano 97 qualche volta angustiata e che si erano acuite con la fine delle vacanze e la ripresa della scuola. Per Francesca in ogni caso la presenza di Andrea era benefica ed era perciò lieta di ciò, quantunque, qualche volta, mentre si trovava assieme a lui, ella aveva notato il temporaneo risorgere di alcuni di quei comportamenti che l’anno prima le avevano dato fastidio. Nei primi tempi comunque non si era preoccupata eccessivamente, perché sapeva che non avrebbe potuto pretendere che Andrea avesse cancellato rapidamente quei comportamenti che non le piacevano. Francesca, inoltre, cercava di persuadersi del fatto che certi atteggiamenti non sarebbero scomparsi mai del tutto e che, in fondo, se si ama qualcuno, lo si deve accettare anche nei suoi tratti meno gradevoli. E poi, lei stessa, essendo alla ricerca di una nuova serenità, si era ripromessa di essere meno perfezionista e di lasciare che il suo uomo fosse se stesso: pure lei, difatti, si era resa conto che un’attenzione smisurata verso certi piccoli comportamenti era deleteria, perché la sottoponeva ad una fatica psicologica che le rendeva la vita più complicata di quanto in realtà essa fosse. Ciononostante, malgrado queste buone intenzioni, malgrado l’impegno che la ragazza spendeva per essere più serena, Francesca era ben lontana dal riuscire ad attuare tali propositi: una specie di inquietudine assidua la accompagnava, come suo carattere distintivo Quindi, inevitabilmente, con il passare dei mesi (si era in autunno inoltrato), alcuni suoi dubbi riacquistarono forza, a dispetto dell’impegno che ella profondeva per ignorare le mancanze di Andrea. Infatti, il ragazzo aveva ricominciato a cadere nei suoi difetti in maniera più frequente: abulia, indolenza, silenzi immotivati, qualche volta addirittura capricci e musi lunghi. Dopo un mese Francesca, non ritenendo più giusto tacere le proprie perplessità, aveva cominciato a far notare al fidanzato, sebbene con dolcezza, i comportamenti che a lei non piacevano. Andrea, di fronte a quei rilievi tanto morbidi e delicati, giustificava in genere questi suoi atteggiamenti in diverse maniere, ma alla fine si arrampicava sui vetri quasi sempre. Francesca era delusa per quelle risposte evasive; eppure, pensando di non dover essere troppo ossessiva verso Andrea, decise di lasciar correre, augurandosi di aumentare la propria capacità di sopportazione. Perciò, allorché Andrea qualche volta metteva il broncio, senza motivo apparente, Francesca lo lasciava “bollire nel suo brodo”, sperando di stemperarne la rabbia. Francesca, per mantenersi calma, si diceva che quelle bizze di Andrea erano passeggere, che quei silenzi ostinati sarebbero presto scomparsi e che Andrea era cambiato in meglio rispetto all’anno prima. Il ragazzo in effetti appariva più presente, più dolce, più affettuoso e più attento a certi particolari, benché, nonostante tutto, nel fondo del suo comportamento, fosse presente l’usuale ritrosia a mostrare appieno i propri sentimenti, ovvero quella che Francesca chiamava “gelosia di se stesso”. La ragazza credeva che, con il tempo, questa 98 ritrosia di Andrea si sarebbe attenuata, giacché era convinta che il loro amore avrebbe annullato ogni reticenza. In realtà, quest’opera di auto-convincimento di Francesca subiva di frequente delle battute d’arresto, e lei soffriva a vedere il suo uomo così impenetrabile, tanto che qualche volta gli aveva detto: «Andrea, ogni tanto vorrei spaccare la tua testa in due per vedere cosa c’è dentro, per capire quello che pensi di me, di noi, del mondo… ». Nonostante i buoni propositi, Francesca comprese presto che non sarebbe più riuscita ad ignorare i gesti di Andrea che le davano fastidio; come era perciò prevedibile, una sera di ottobre, peraltro dopo aver fatto l’amore con passione, Francesca e Andrea ebbero la prima seria discussione da quando erano tornati assieme. Tutto era nato da un fatto a prima vista di scarsa rilevanza, eppure quella volta Francesca non era riuscita a tacere. Quella sera, dopo l’amore, Andrea si sdraiò beato e sorridente a fianco di Francesca, come fosse sul punto di addormentarsi. La ragazza, assai seccata da questo atteggiamento, gli chiese: «Per te baciarsi dopo aver fatto l’amore è una cosa tanto difficile da fare?». Andrea, mezzo stordito dal sonno e dalla rilassatezza che lo stavano invadendo, rispose sospirando e con un tono di voce stanco: «Ma no, che dici, scusa… », e si alzò, lentamente, per baciarla. Ma Francesca si ritrasse, dicendogli: «Lascia stare, non fa niente». Dopo qualche istante di silenzio, aggiunse: «Ogni tanto mi domando (e so di essere banale) se tu con me fai l’amore o solo del sesso. Del sesso davvero soddisfacente, ma forse senza sentimento». Andrea sorrise a quella domanda, perché credette che la ragazza stesse scherzando. Rispose sorridendo: «Secondo te?». Francesca, dopo aver udito quella replica bonariamente ironica, cominciò ad osservare intensamente Andrea, come volesse capire se lui la stesse prendendo in giro o se invece parlasse seriamente; il ragazzo, invece, prese ad accarezzare i capelli di Francesca, sperando con quel gesto di attenuare ogni possibile arrabbiatura. Ma il tentativo non andò a buon fine, dal momento che Francesca replicò, sorridendo con amarezza: «Secondo me? Mah, penso che tu sei appassionato, e ne sono contenta, ma non so se il tuo cuore lo è altrettanto». Ascoltando quelle parole, Andrea smise di ridere. Capì che la questione si faceva seria e rivide i fantasmi dell’anno prima, i musi lunghi di Francesca, i propri errori. Quell’osservazione gli fece male, perché riteneva che, da quando erano tornati assieme, egli non avesse fatto mancare nulla a Francesca dal punto di vista della passione. Si giudicava a posto con la coscienza e perciò, quella sera, ingiustamente accusato. Nondimeno, Andrea in quell’istante aveva molto sonno ed era troppo lieto per cominciare una discussione che non aveva alcun desiderio di sostenere. Disse soltanto: 99 «Ti assicuro che c’è pure il cuore, Francesca», e mandò un sospiro lungo, come a voler comunicarle il desiderio di essere lasciato in pace. «Va bene, voglio fidarmi di te, anche se ogni tanto, te l’ho già detto, vorrei rompere la tua testa, aprirla come un melone, per vedere cosa c’è dentro, per capire cosa provi veramente per me, cosa pensi, che idee hai, insomma, per capire finalmente molte cose di noi». Andrea, senza guardarla, le rispose: «Ma tesoro, io sono contento, per me è un momento piacevole questo qui, mi pare chiaro, no?». Francesca sorrise malinconicamente a quelle parole: Andrea, senza volerlo, aveva confermato le accuse di impenetrabilità che lei gli aveva rivolto poco prima. Il ragazzo non aveva detto nulla per svelare qualcosa di sé, ma si era trincerato dietro un’espressione banale, conciliante. La ragazza si irritò perciò un’altra volta e ribatté subito: «Mi raccomando, non sprecare le parole, so che ti costano tanto. Per te questo periodo è solo “piacevole”? Sei semplicemente “contento”? E basta? Non puoi farti forza e usare degli aggettivi un po’ più personali che dicano qualcosa di più chiaro su di te? Devi sempre controllarti, essere in possesso delle tue facoltà? Non puoi lasciarti andare? Se per te tutto quello che c’è tra di noi è semplicemente “piacevole”, allora mi spiego perché sei poco entusiasta e un po’ freddino». Andrea non replicò a quelle accuse: rimase silenzioso, dato che non voleva continuare a discutere, temendo un litigio più serio. Si chiedeva altresì, in cuor suo, per quale ragione quella sera Francesca fosse tanto suscettibile. Non credeva di avere fatto qualcosa di tanto grave; temette, per un istante, che Francesca potesse rinfacciargli nuovamente gli errori che lui aveva compiuto l’anno prima e che avevano rovinato la loro storia. Tuttavia, in quell’occasione non si sentiva colpevole, perché riteneva di aver dimostrato la capacità di comprendere le proprie mancanze e di non volerle ripetere. Per fortuna di Andrea, nemmeno Francesca aveva voglia di discutere quella sera; però la irritava l’atteggiamento rinunciatario del ragazzo ed aveva paura di sperimentare un’altra volta la sua incostanza, la sua freddezza. Perciò, Francesca, rispondendo ad un impulso di tenerezza che le sorse all’improvviso nell’animo, prese le mani di Andrea fra le sue e gli disse, come per svegliarlo dal torpore (in realtà il ragazzo era ormai ben vigile): «Mi ascolti? Io ti voglio bene, per me è amore quello che c’è tra di noi». Udendo quella frasi, Andrea si sentì sollevato, credendo che la ragazza si fosse acquietata; si levò dunque dal cuscino e si avvicinò a Francesca. Le diede un bacio sulla bocca e poi tornò ad appoggiarsi stancamente sul cuscino, dicendole: «Anche per me». Non avrebbe potuto compiere un gesto meno indicato: Francesca fu ferita dal tono di quella risposta che le apparve un tentativo per tenerla buona. 100 Rispondendo questa volta ad un impulso aggressivo, disse ad Andrea: «Certo, non sai dire altro che “anch’io”, “pure io”, dipende dalle versioni. Ma non prendi mai l’iniziativa tu per dirmi una cosa bella, per dimostrarmi il tuo amore, sempre che ci sia. Sai solo replicare alle mie frasi, sono io che mi espongo, tu te ne stai ben rintanato nel tuo cantuccio». Ascoltandola, Andrea si destò definitivamente: si mise con la nuca sul cuscino, perché comprese che la questione si faceva sempre più seria. Temeva ancora un litigio. Si avvicinò a Francesca e le disse col tono di voce più conciliante possibile: «Francesca, cosa c’è? Come mai ti sei rabbuiata, musona mia? È successo qualcosa di grave, ho fatto qualcosa di serio?». «No, non è successo niente; non succede mai niente tra di noi…». «Mamma mia, come sei tragica. No, su, dimmi, qualcosa c’è che ti turba: cosa significa “non succede mai niente tra di noi”? Perché non ti esprimi chiaramente?». Dopo aver parlato, Andrea si mise ad osservare Francesca con attenzione: la stanza era ormai immersa nella penombra, ma il ragazzo poteva sorgere lo stesso, a breve distanza, il profilo del viso della ragazza. Francesca, pure lei con la nuca appoggiata al cuscino, guardava invece fisso davanti a sé, verso la parete di fronte. Nondimeno, i suoi occhi erano assenti, mentre l’animo galleggiava nell’amarezza. Non voleva dire nulla perché non le pareva il caso e non voleva dover ammettere con se stessa di aver sbagliato a tornare con Andrea; al contempo, durante quei tre mesi aveva accumulato diverse perplessità e qualche dubbio e temeva che, non esponendo queste sue preoccupazioni, esse sarebbero potuto diventare qualcosa di più serio. L’episodio di quella sera, le sue proteste per non essere stata baciata, erano state solo una scusa per non parlare di cose più gravi. In fondo, era riuscita a contenersi molto più di quello che si aspettava in quei tre mesi; tuttavia, volle far sapere lo stesso qualcosa ad Andrea, ma con calma. Dunque, si voltò verso di lui e gli disse: «Andrea, ascoltami, non sono arrabbiata né furiosa. Certo, c’è qualche cosa che mi ha dato fastidio… Ti confesso che mi scoccia dovertelo dire perché fa più male a me dirti queste cose, ma è giusto. Allora, stasera forse ho esagerato a lamentarmi, d’accordo: l’ho fatto perché ho visto in questa tua freddezza un segno di un tuo atteggiamento più generale. Intendo quell’atteggiamento in cui tu ti mostri un po’ troppo innamorato di te stesso; insomma, per te, una volta che sei soddisfatto, è tutto a posto. Non dico che sei egoista, però ogni tanto mi dà molto fastidio il tuo comportamento». Andrea, smarrito per quei rilievi che non sapeva né intendere e né accettare, rispose con tono dispiaciuto e contrito: «Ma io non me ne accorgo, non lo faccio apposta…. ». 101 A quelle parole, Francesca lo guardò indulgente, con dolcezza, accarezzandolo e baciandolo come fosse un bambino da consolare. Poi rispose: «Ma tesoro, lo so. In ogni caso, non assumere adesso l’atteggiamento da bimbo offeso… non vale la pena, sai che non mi piace, dato che non ti sto processando né offendendo… Il fatto che tu non ti accorga di queste cose è normale perché sei fatto così e per te non c’è nulla di sbagliato. Difficilmente ammettiamo i nostri difetti, no? Lo facciamo tutti! Gli altri invece, di solito, li vedono meglio». «Mamma mia, Francesca, sei un po’ ossessionante, castrante, se posso dire così. È difficile essere naturale in tua presenza…». «Puoi pensare quello che vuoi su di me, Andrea, anche se mi spiace che tu dica così, ma so che è giusto confrontarsi, dialogare. Però se mi fai finire di parlare, ti spiego meglio perché dico queste cose. Per esempio, dimmi, l’altro giorno, al museo, chi ha fatto la fila per i biglietti?». Di fronte a quella domanda, Andrea rimase attonito, giacché la giudicò senza senso. Rispose, quasi balbettando: «La fila al museo? Beh, l’hai fatta tu… Ma cosa c’entra? Non ti capisco… ». «C’entra, Andrea… L’ho fatta io, appunto… ». «Ma me lo hai proposto tu! Io l’avrei fatta senza problemi», ribatté Andrea, con una certa foga, allontanandosi un po’ da Francesca, come se volesse scrutarla meglio in viso per comprendere perché la ragazza avesse accennato a quell’episodio. In realtà, Andrea era spazientito, oltre che stanco per quella discussione che giudicava inutile e un po’ capziosa. Accese l’abat-jour alla sua destra e l’oscurità della stanza si smorzò di colpo. Una motocicletta passò a tutto gas nella strada a fianco facendo un gran baccano, poi la casa di Francesca tornò ad essere immersa nel silenzio. Dal piano superiore, tuttavia, si avvertivano i passi degli inquilini che sparecchiavano dopo la cena e che, forse, si preparavano per guardare la televisione. Non si trattava però di un rumore fastidioso. La sera stava scivolando mollemente nella notte. Andrea sentì il proprio stomaco brontolare, ma non poteva chiedere di mangiare quando stavano discutendo in quel modo perché sapeva che Francesca l’avrebbe presa male. Inoltre, aveva freddo, dato che era senza vestiti: per questo si avvolse nelle coperte. La ragazza comunque riprese presto a parlare, distraendolo da queste meditazioni: «Dicevo che non fa nulla se io ho fatto la coda, dal momento che c’erano solo quattro persone davanti a me. So che l’avresti fatta senza problemi, ci mancherebbe. Però, pure in quell’occasione, ti sei comportato come fai spesso, cioè quando qualcuno può fare una cosa al posto tuo non ti tiri indietro, anzi, accetti di buon grado. Non dico che te ne approfitti, ma quasi… Uffa», 102 s’interruppe Francesca, sbuffando, «che pena doverti dire queste cose, sto peggio io di te che le ascolti… sarò ossessiva, lo vedo, ma quando un comportamento mi dà fastidio non so controllarmi… Dicevamo: mi hai fatto fare la coda senza troppi problemi, ammettilo, anzi eri sollevato istintivamente… perché ti dico questo? È ovvio che non mi riferisco alla situazione particolare, al fatto del museo, ma ad un tuo comportamento generale… pure gli altri, penso, si accorgono di questo tuo atteggiamento, del fatto che se qualcuno fa una cosa che potesti fare tu, sei soddisfatto, non batti ciglio e ti guardi bene dall’offrirti tu di farla». Andrea stava diventando sempre più irritato mentre udiva quelle frasi, soprattutto perché riconosceva che Francesca aveva delle ragioni; ciò nonostante, non voleva ammetterlo e poi non credeva che quel suo comportamento fosse tanto negativo: giudicava eccessiva quella discussione che aveva rovinato una serata d’amore. Francesca, dal canto suo, continuò a parlare, sempre con un tono di voce dolce: si era stretta a lui e aveva cominciato ad accarezzagli i capelli sulla fronte, come per attenuare il peso delle accuse pronunciate in precedenza. Andrea non rispose a quelle coccole, offeso com’era, ma nemmeno si ritrasse. Francesca disse allora: «Tesoro, non arrabbiarti. Se noto certe cose, se mi irrito con te è perché ci tengo tanto, ti voglio bene, è chiaro, no? Con questi comportamenti tu mi trasmetti l’idea che per te tu ed io non siamo ancora diventanti un “noi”, cioè una coppia, ma siamo due “io” che si frequentano, si vogliono bene, stanno insieme, ma non sono ancora fusi assieme». Dopo queste parole inattese che lo colpirono parecchio, Andrea disse con un tono di voce dimesso: «Addirittura…. ». «Ma sì, Andrea, me ne accorgo che per te è così, da piccoli gesti; ti assicuro che per me è diverso. Certo, mi dico che è questione di tempo, e che quando staremo assieme, anzi, magari quando vivremo assieme, tutto si aggiusterà e tu comincerai a pensare per noi due… Almeno lo spero… E c’è un’altra cosa… so che è presto, per carità, però questa estate abbiamo parlato spesso della possibilità che iniziassimo a vivere assieme… Mi sembravi contento, magari troppo, a volte. E invece, da un po’ di tempo, non ne parli più… Come mai?». Andrea, scuotendosi dal torpore che lo stava prendendo nuovamente, rispose con vigore a quella domanda che giudicava fuori luogo: «Ma certo che sono contento! La casa però è tua e devi dirmi tu quando si può fare, Francesca… ». La ragazza sorrise perché quella risposta di Andrea corroborava il discorso che lei aveva appena pronunciato. Poi disse: 103 «Andrea, hai sempre una risposta pronta per tutto: perché ti giustifichi in questo modo sciocco? Vedi che non ha senso? A volte bisogna ammettere di non sapere cosa dire, no? Non voglio fare la parte della maestra, di quella che giudica, sappilo, ma che risposta è quella che mi hai appena dato? La casa è mia, certo, ma devi venirci tu, dunque, dobbiamo parlarne e soprattutto lavorare assieme per prepararla, no? Cominciare una convivenza è laborioso, perché bisogna adattare la casa, tu devi portare le tue cose eccetera. Non si fa di certo da un giorno all’altro! Va be’, basta discutere, hai capito quello che volevo dirti, ma ti assicuro che non sono arrabbiata. Ho fiducia sul fatto che, col tempo, le cose si appianeranno… ». Un bacio appassionato tra di loro suggellò la ritrovata armonia, benché Andrea meditasse ancora una replica contro quelle accuse. Dopo il bacio, Francesca guardò Andrea negli occhi, sospirando indulgente. Le sembrava qualche volta di discorrere con un bambino e la cosa le dava sempre grande fastidio. Tuttavia non esternò questo suo disagio. Anzi, parlò con un tono di voce ancora più dolce, comprensivo, ma senza rimangiarsi nulla delle cose affermate in precedenza; lei stessa si era stancata di quella discussione che rischiava di non approdare a nulla. Prima di alzarsi dal letto per andare a cena, Francesca disse ad Andrea questa frase: «Andrea, spesso mi dico che ti amo troppo e che soffro vanamente. Vorrei non amarti per nulla o amarti di meno, a volte; come lo vorrei, certe volte, ma non ci riesco… ». Capitolo XIX – La discussione e lo strano appuntamento Passò più di un mese da questo episodio. Un tardo pomeriggio di fine novembre, Francesca stava camminando lentamente verso casa sua, dopo una riunione pomeridiana a scuola. Mentre passeggiava, la ragazza osservava il traffico caotico di quell’ora, i nugoli di fari accesi fermi ai semafori, in attesa del verde. La infastidivano il rumore dei colpi di clacson e le accelerazioni nervose dei motori, inutili, dato che il traffico procedeva a rilento. Sempre camminando adagio, giunse all’altezza di un distributore di sigarette, dove si trovavano alcuni ragazzi che, al suo passaggio, risero in modo un po’ sguaiato. Francesca li ignorò e proseguì. La serata era fresca, non fredda; giungeva alla fine di una giornata insolitamente luminosa, anche se a quell’ora, con il buio, era scesa la foschia ed ogni cosa era diventata più spenta. Le stelle non si vedevano, mentre durante il giorno il cielo era stato terso come raramente accadeva in quella stagione. Sempre camminando, Francesca incrociò molte persone che come lei rincasavano. Era difficile scorgere il loro volto, sia per l’oscurità (attenuata, 104 ma non cancellata, dalla luce dei lampioni e dai fari delle automobili), sia per la fretta che esse mostravano: Francesca paragonò quelle persone a delle ombre di carne senza volto, all’apparenza pronte a scivolare via verso le porte delle loro abitazioni. Eppure, si disse al contempo, dietro a quelle stanchezze che segnavano i volti, dietro a quella voglia di tornare al caldo delle case, c’erano comunque delle storie vissute, dei pensieri, delle gioie o dei dolori. Non si trattava di semplici ombre avvolte da impermeabili o giacche per ripararsi dall’umidità della sera d’autunno, bensì di uomini e donne vivi, alla loro maniera; Francesca stessa, in quell’istante, si sentì parte di quel flusso di persone, si sentì di essere una di loro, talvolta felice (a queste meditazioni si accompagnò l’immagine di Andrea che le diede un brivido, non del tutto piacevole), talaltra infelice, altre volte invece indifferente verso quello che le succedeva attorno. Guardò l’orologio e si disse che era tardi; l’ora dell’appuntamento si approssimava e perciò avrebbe dovuto affrettare il passo. Francesca era contrariata per quell’impegno che aveva preso e che giungeva dopo un noioso consiglio di classe, però si disse “via il dente, via il dolore”. Si trattava di rivedere Giorgio. Il ragazzo, infatti, l’aveva chiamata diverse volte al telefono e, con calma ma con fermezza, aveva insistito tanto per poterla rivedere. Giorgio le aveva detto che quei mesi in cui non si erano visti gli erano serviti per rimettersi sia fisicamente, sia moralmente: stava meglio, era più disteso e non avrebbe voluto tagliare del tutto i ponti con lei, alla quale, aveva assicurato, si sentiva legato da una profonda amicizia. Alla fine dell’ultima telefonata, quando Francesca aveva ormai accettato, Giorgio le aveva detto: «Sei la donna migliore che abbia mai conosciuto: ci siamo lasciati male e vorrei avere la possibilità di spiegarti come io ho vissuto la storia tra di noi». Francesca aveva resistito all’inizio alla richiesta di Giorgio, non ritenendo necessario quell’incontro, anzi temendolo. In seguito, quando il ragazzo le aveva parlato della sua nuova storia d’amore con Paola, raccontandole che quest’ultima che gli aveva donato serenità (anche se aveva aggiunto di essere rimasto male quando aveva saputo che lei, Francesca, era tornata a con Andrea), Francesca si era tranquillizzata e aveva accettato di vederlo, dato che non le andava di discutere in eterno, conoscendo la capacità di Giorgio di insistere con costanza per ottenere quello che voleva. Eppure quella sera, mentre si avvicinava al luogo dell’incontro, Francesca era pentita di aver accondisceso alla richiesta del suo ex fidanzato: di quali chiarimenti parlava Giorgio? E soprattutto, perché lei aveva accettato? Non avrebbe potuto dire a Giorgio che ci avrebbe riflettuto e che si sarebbe fatta sentire lei, in modo da prendere tempo? Perché era stato tanto difficile rifiutare o temporeggiare? Ponendosi quelle domande, Francesca accusava 105 la propria pigrizia e la propria mancanza di risolutezza. Ma ormai non poteva tornare indietro. Dopo aver raggiunto la fine della via che stava percorrendo, Francesca attraversò una piccola piazza lastricata ed infine entrò in un portico con il pavimento lucido, illuminato dalla vetrina di un negozio di antiquariato. Qualche metro più avanti, sulla sinistra, scorse la vetrina del bar in cui avrebbe dovuto incontrare Giorgio; appena entrata nel locale, fu abbagliata dalle luci, il cui effetto era accentuato dalle specchiere che coprivano le pareti e che riflettevano le immagini dei tavoli e dei (radi) avventori che sorbivano l’aperitivo serale. L’arredamento del locale riproduceva, malamente, uno stile che si poteva definire da belle epoque: oltre alle ampie specchiere, risaltavano i lampadari di vetro smerigliato, ampollosi, le seggiole con lo schienale di velluto rosso e il sedile dello stesso colore, i tavoli con le gambe esili e contorte, color seppia. Il bancone aveva il pianale di finto marmo, mentre la parte inferiore, il bancone vero e proprio, aveva, sulla parte anteriore, una serie di piccole specchiere che riflettevano, deformandole, le gambe degli sgabelli. Francesca pensò che quell’arredamento fosse il trionfo del kitsch e si disse che l’atmosfera del locale risultava piuttosto buffa: l’arredamento di stile demodè contrastava con i moderni macchinari da bar, con l’abbigliamento dei clienti. Benché forse l’arredamento potesse farlo credere, era insomma difficile immaginarsi che da un momento all’altro, dalla porta d’ingresso, sarebbero entrati Robert Musil o Karl Kraus. Francesca si sedette ad un tavolino: si sentiva lievemente nervosa, come se attendesse di svolgere una pratica fastidiosa, quantunque necessaria. Si guardò ad uno specchio, come per accertarsi di apparire calma agli occhi altrui: i capelli scuri, vaporosi, erano ordinati, mentre la camicetta bianca, unita ad una gonna scura che terminava poco sotto il ginocchio, restituiva l’immagine di una donna giovane, bella, desiderabile. Però il volto pallido tradiva una certa ansia, esaltata dal movimento un po’ febbrile degli occhi. L’animo di Francesca era infatti nuovamente in subbuglio: si domandò se avesse fatto bene a raccontare ad Andrea di quell’appuntamento. Quando ne aveva parlato, il ragazzo le aveva detto soltanto, con tono di voce laconico, “Va bene, fa’ pure quello che credi”, ma Francesca, conoscendolo, sapeva che quando Andrea rispondeva in quella maniera significava che egli in realtà era arrabbiato e soffriva. E dunque si era pentita subito di averglielo detto, sebbene fosse contrariata dal fatto che Andrea non avesse esternato nemmeno in quel caso quel che provava realmente. Andrea, Andrea, croce e delizia in quel periodo. Seduta in quel tavolino, Francesca pensò al suo fidanzato, sospirando. Nell’ultimo mese avevano 106 avuto ancora delle discussione e lui qualche volta le era sembrato indolente, poco attento alla loro relazione, eccessivamente concentrato su se stesso. La piccola ramanzina che Francesca gli aveva fatto il mese prima (la sera dopo l’amore) non sembrava aver sortito effetti. Per questo, dopo essersi detta più volte che, col tempo, Andrea sarebbe cambiato, ella aveva ripreso a temere di aver fatto una scelta precipitosa decidendo di tornare a stare con lui. Seduta nel bar, Francesca rammentava soprattutto la discussione che lei e Andrea avevano avuto due sere prima, allorché lei era rimasta molto delusa dal sapere che, nel periodo in cui non erano stati assieme, Andrea aveva frequentato Antonella, pur avendole giurato di aver sempre sofferto per lei e di averla sempre pensata. Quella sera, dopo aver cenato in un bel posto, Francesca e Andrea avevano passeggiato a lungo le mura della città vecchia. Era un serata autunnale molto limpida e tiepida per il periodo: le luci della città bassa brillavano al di là del limite delle mura. Regnava un silenzio discreto, sebbene qualche automobile, ogni tanto, spezzasse la quiete che Francesca e Andrea avevano costruito attorno a loro. La serata era stata per loro molto tenera fino: avevano cenato in un ristorante rinomato, mangiando un’ottima paella e bevendo del buon vino. Andrea quella sera era spiritoso, allegro, sorrideva spesso ed era loquace come raramente gli capitava; Francesca era rimasta in silenzio a godersi quell’armonia che finalmente li univa, e alla fine l’allegria del ragazzo l’aveva contagiata, rendendola lieta, anche se ogni tanto un pensiero oscuro le attraversava la mente, facendola vibrare di amarezza, contro la sua volontà: “Perché non può essere più spesso così leggero e bello stare con lui?”. Dopo cena, dirigendosi verso la macchina parcheggiata vicino alla porta meridionale della città vecchia, i due ragazzi si incamminarono abbracciati stretti stretti, arrestandosi spesso a baciarsi. Andrea avvertiva crescere in sé il desiderio di Francesca in maniera sempre più pressante, mentre la baciava, mentre sentiva il contatto con il corpo di lei e quando la sfiorava cercando di trarla a sé. La ragazza stava bene, felice di potersi donare ad un uomo che quella sera le era apparso dolce, pieno di attenzioni e sinceramente innamorato. Giunti in prossimità della macchina, mentre chiacchieravano liberamente, ad un certo punto Andrea raccontò per sommi capi a Francesca la sua storia con Antonella, definendo quest’ultima una ragazza un po’ fatua, ingenuamente innamorata di lui. Appena ebbe ascoltato quelle parole, Francesca si irrigidì e non riuscì a dire nulla: le diede fastidio non solo il fatto che Andrea avesse visto qualcuno in un periodo in cui si le aveva confessato di essere stato sofferente a causa sua, ma specialmente la leggerezza con la quale egli le aveva rivelato la cosa. Le sembrò l’atteggiamento dell’uomo che si vanta, di fronte a una donna, delle 107 proprie conquiste, come una persona qualunque, come un maschio qualunque: anche Andrea era così? Queste riflessioni tolsero a Francesca ogni gioia, quella sera, e una cupa delusione la ghermì, dandole il desiderio di stare da sola. Andrea peraltro non comprese all’istante i motivi di quell’irrigidimento di Francesca, dell’ostinato silenzio che andò avanti per qualche minuto. Quando la ragazza parlò e disse la sua, comincio un litigio vero e proprio. Francesca chiese ad Andrea dove fosse finita tutta la sofferenza di cui lui le aveva parlato: non le aveva raccontato di essere stato male per mesi dopo che lei lo aveva lasciato? Non le aveva giurato (se lo ricordava bene!) di aver pensato soltanto a lei, in quei mesi, nei quali aveva sempre sperato di conquistarla di nuovo? Invece si era “sollazzato” con un’altra donna, così, per passare il tempo, per tenersi in allenamento, senza naturalmente impegnarsi troppo, disse infine Francesca, sorridendo amara. Poi aggiunse, come a chiosare il suo sfogo: «E il “bello”, Andrea, è che io non ti ho di certo chiesto di giurare, sei tu che lo hai fatto… Lo so, chi mente rafforza la propria bugia spergiurando! Che bisogno c’era di dirmi una falsità? Chi ti impediva di vedere qualcuno se eri libero? E allora perché non dirmelo? Sei davvero bravo, come fai spesso, a giurare il falso, perché quando ci sei di mezzo tu non si può mai sapere ciò che è vero e ciò che non lo è… Uffa, sono cose che ti ho già detto, sono proprio patetica, ma è così e sono stufa dei tuoi maneggi con le parole e la fiducia degli altri. Non è giusto prendere in giro tutti». Quella frase confusa rappresentava bene l’animo di Francesca: la ragazza non sapeva se aggredire Andrea o limitarsi a criticarlo; si rendeva conto che stava esagerando nei suoi rimbrotti, e tuttavia l’episodio di quella sera divenne per lei la classica punta di un iceberg. Si pentì quasi immediatamente delle cose non belle che aveva detto al suo fidanzato, ma non volle ritrattare nulla. Andrea si difese da quelle accuse senza troppa convinzione: come talvolta gli accadeva, la prospettiva di affrontare una discussione gli tolse forza e determinazione. E poi riteneva che Francesca stesse esagerando. Quella sera inoltre, dopo la bella atmosfera che si era creata, dopo la prospettiva di una notte d’amore, dover abbandonare questi progetti risultava per lui particolarmente amaro e fastidioso. Non si spiegò per quale ragione Francesca si impuntasse su una questione che per lui era di secondaria importanza. Incapace di interpretare esattamente la situazione, disse ad un certo l’unica frase che non avrebbe dovuto pronunciare: «Ma anche tu hai frequentato qualcuno, durante quest’anno, mi sembra!». Sentendo questa frase, Francesca ebbe voglia di andarsene, perché si sentì salire il sangue alla testa. Come già le capitava durante la loro prima 108 relazione (la ragazza si ricordò di quel particolare proprio in quell’istante e ne soffrì), Francesca si chiese se Andrea dicesse sul serio oppure la stesse prendendo in giro. Decise ad ogni modo di rispondere con calma, senza esternare la propria irritazione: «La differenza tra la mia storia e la tua, Andrea, è che io non ho detto che in questi mesi sono stata sempre triste in attesa del tuo ritorno. Ti ho detto che ero arrabbiata con te e che lasciarti è stata una liberazione, anche se naturalmente non sono stata bene con la testa. È vero, la storia con Giorgio non ha significato molto per me, altrimenti non sarei qui, ma è stata una persona che, in un momento preciso della mia vita, ha saputo trovare delle parole giuste, ecco tutto». Pur non desiderando di apparire brusca, Francesca aveva cercato di essere pungente, impiegando l’espressione “lasciarti è stata una liberazione”, con l’intento di colpire Andrea e provocare almeno una reazione da parte sua. Il ragazzo infatti fu ferito da quella sottolineatura e prese a malvolere Giorgio ancora di più, come se fosse lui il responsabile quella discussione. Nella sua mente disse a Francesca: “Allora perché non torni con lui?”, ma non rese manifesto questo pensiero. Quella sera Andrea ebbe soprattutto paura di perdere definitivamente Francesca; era la prima volta che questa idea si insinuava nella sua mente, da quando erano tornati assieme. Egli constatava con amarezza che un’altra volta, dopo quasi quattro mesi di dolcezze e qualche arrabbiatura leggera, Francesca lo accusava di insincerità e inautenticità, come l’anno prima, e che lui non faceva nulla per discolparsi, se non opporre a quelle accuse un mutismo che all’esterno doveva apparire arrogante e orgoglioso. Terminata la discussione, i due si salutarono comunque con dolcezza, come due amanti feriti che fanno la pace; in realtà, tante nubi fosche si erano addensate sul loro futuro in comune: per questo, mentre era seduta ad aspettare Giorgio in quel locale, Francesca, rievocando quel litigio, divenne sempre più malinconica. Amareggiata da quel ricordo, si disse ad un certo punto che non aveva affatto voglia di rivedere Giorgio: non era più serena come aveva creduto di essere poco prima, e proprio in quegli istanti le tornarono in mente le stranezze che Giorgio aveva fatto durante l’estate. Certo, al telefono il ragazzo era sparso rassicurante, disteso, felice di stare con la sua nuova “fiamma”, però in quell’istante, nell’imminenza dell’incontro, Francesca riprese a dubitare fortemente di questa tranquillità che le pareva eccessivamente ostentata. E se Giorgio avesse dissimulato una calma che non possedeva? Se le avesse fatto una scenata, come già era successo altre volte? Come avrebbe reagito lei? Per attenuare questi pensieri carichi di ansia, Francesca si voltò verso gli altri tavoli, dove scorse gli altri clienti intenti a chiacchierare e a bere vino, 109 liquori o cocktail dai colori indecifrabili. Non c’era molta gente, quella sera, essendo un giorno feriale. Tuttavia la vista di quelle persone rassicurò Francesca, perché era chiaro che Giorgio non avrebbe potuto lasciarsi andare a scene isteriche in pubblico; ma la preoccupazione e un’ansia sottile continuarono a tormentarla, ed ella si sentì indifesa, sola… Un impulso possente ad alzarsi e andarsene la afferrò, ma proprio in quell’istante Giorgio si sedette accanto a lei. 110 Capitolo XX – Sono tranquillo, però… In quello stesso momento, nella parte vecchia della città, Andrea stava passeggiando assieme ad Alfio e Giovanni. La via principale non era molto affollata, anche se si notavano alcuni turisti aggirarsi curiosi fra i monumenti. Dalle vie laterali, a singhiozzo, giungevano gruppi di ragazzi, studenti dell’università, che avevano finito le lezioni e tornavano verso casa. Altri ragazzi, invece, riempivano i locali dei panifici, dove andavano a gustare pizzette o patatine fritte. Ma non c’era concitazione nei loro volti e nei loro gesti, come se pure per loro fosse giunto il tempo del silenzio. Un cantiere per sistemare la pavimentazione della via principale ostruiva il passaggio: i pedoni dovevano, ad un tratto, camminare quasi in fila indiana. Il cantiere era fermo e gli attrezzi da lavoro languivano tra la polvere bagnata e i sacchi di cemento, ricoperti da goccioline di rugiada. Lo scavo mostrava una pavimentazione forse più antica, come se quel luogo carico di storia volesse approfittare dei lavori di manutenzione ordinaria delle sue vie per svelare, a poco a poco, le testimonianze archeologiche che conservava nel sottosuolo. La sera che arrivava mollemente aveva toni e colori tenui e non era eccessivamente fredda. L’atmosfera appariva piuttosto silenziosa, come se le persone, a quell’ora, avessero deciso di prendersi una pausa di riflessione dopo le fatiche della giornata. Ad un certo punto, il campanile della piazza principale, affascinante nella sua antica e austera bellezza, suonò, con calma e solennità, le sei di sera. L’aria profumava di umidità, di terra bagnata e di cibo. Andrea quel pomeriggio mostrava sul volto un’espressione vagamente malinconica. Era triste non solo perché Francesca stava per incontrare Giorgio, ma soprattutto per le incomprensioni che, nell’ultimo periodo, avevano ripreso ad affollare il rapporto con lei. Sapeva che stava rischiando di nuovo di perderla, eppure, al contempo, comprendeva d’essere incapace di lasciarsi andare con lei, di vivere quella passione con la pienezza che meritava; era però deluso anche dall’atteggiamento di Francesca, che giudicava troppo severo. Quando si trovava con lei, infatti, Andrea aveva l’impressione di essere costantemente sotto esame e di dover sempre dimostrare qualcosa. Per questo si sentiva poco incline ad essere spontaneo. I rilievi, le critiche che la ragazza gli muoveva, gli apparivano sovente esagerati, come se Francesca fosse ossessionata da certe cose che lui, invece, non reputava importanti. Riflettendo su quelle difficoltà, e pensando altresì a quanto avesse desiderato riavere Francesca, alla sofferenze passate, alla trepidazione con cui aveva atteso di poterla 111 riabbracciare, Andrea percepiva crescere nel proprio animo il rimpianto e l’amarezza. Quel pomeriggio nella città vecchia, per lunghi tratti, il silenzio malinconico di Andrea aveva indotto Alfio a chiacchierare con il solo Giovanni, che quel giorno si era unito a loro per la passeggiata. Entrambi i ragazzi erano in ferie (Andrea invece aveva fatto solo tre ore a scuola, la mattina) e ne avevano approfittato per godersi il pomeriggio autunnale nella città vecchia, camminando senza pensieri. Alfio era contento e rilassato quel giorno perché proprio la sera prima aveva proposto a Lucia di cominciare a convivere: presto dunque sarebbe andare a vivere nella casa di lei (Alfio stava ancora con i genitori, mentre Lucia da tempo viveva da sola), in vista forse di un matrimonio e di una vita in comune. Avevano entrambi superato i dubbi, le diffidenze e, soprattutto, il ricordo di quella sera folle nella quale Alfio aveva condotto Andrea con sé per farsi amare con lui da Lucia; la consideravano come un episodio passato, al quale Alfio e Lucia non badavano più, non perché lo avessero dimenticato, ma perché pareva loro un atto compiuto in un momento per entrambi difficile, nel quale si sentivano disorientati e incerti su quale sarebbe stato il loro avvenire. Perciò Alfio quel giorno aveva gli occhi azzurri più brillanti del solito. Capiva di aver finalmente imboccato una strada nella vita: dopo il lavoro sicuro e soddisfacente che aveva trovato in una grossa azienda, si prospettava altresì per lui una maggiore stabilità sentimentale. Si trovava perciò in una disposizione d’animo allegra e avrebbe voluto che tutte le altre persone potessero condividere la sua lietezza. Proprio per quel motivo si rammaricava di vedere Andrea scuro in volto, perché avrebbe desiderato che anche lui potessero godere della sua gioia. Decise quindi di rivolgergli la parola per distrarlo da fosche meditazioni, benché sapesse quanto l’amico amasse chiudersi nel silenzio quando c’era qualcosa che non andava bene. Però Alfio ormai sapeva che quella chiusura in se stesso dell’amico non era del tutto intenzionale: se all’esterno essa appariva come un anelito di solitudine, nella realtà era solo un modo per attirare l’attenzione, una richiesta d’aiuto che Andrea, per orgoglio, non aveva il coraggio di esprimere chiaramente. Per questo ad un certo punto Alfio gli chiese, approfittando del fatto che Giovanni era impegnato a rispondere al telefono: «A cosa pensi Andrea?». «A niente». «Bugiardo». Infatti, non era vero e per Alfio era stato facile accorgersene. Conosceva l’amico da anni e gli era bastato osservare il suo volto per comprendere che 112 la mente di Andrea era attraversata da riflessioni cupe. Si trattava nuovamente della solita inquietudine, dell’irrequietezza senza nome e misteriosa che lo afferrava talvolta? Andrea tornava ad essere come mesi prima, ossia apatico, malinconico senza motivo, incapace di esprimere i propri sentimenti? Alfio in quel frangente pensò pure a Francesca, domandandosi se tra lei e l’amico le cose andassero bene, dato che Andrea non aveva parlato molto di sé e di Francesca nell’ultimo periodo. Come se gli avesse letto nel pensiero, Andrea gli disse all’improvviso, mentre stavano passando davanti alla sede della biblioteca, quasi nello stesso punto dove Andrea e Francesca, in estate, si erano incontrati e poi erano andati sui colli: «Stasera Francesca vede Giorgio, per un aperitivo, da quel che ho capito». «Ah», rispose Alfio, sorpreso da quella rivelazione che non aveva richiesto espressamente. Stranamente fu però sollevato dall’apprendere che l’amico soffriva finalmente per una ragione concreta. Ad ogni modo, incuriosito e sorpreso da quella notizia, Alfio volle continuare la conversazione per saperne di più. Perciò chiese: «Ma perché Giorgio e Francesca si devono incontrare?». Dopo aver udito la domanda, Andrea lo guardò con un’espressione del volto stanca, quasi avvilita. Tuttavia, rispose quasi all’istante e raccontò ad Alfio ogni cosa, insistendo nel riportare le perplessità di Francesca sull’opportunità di accettare quell’invito, ma accennando anche dell’insistenza di Giorgio. Sembrava un discorso fatto per convincere l’amico che Francesca era stata costretta ad accettare di vedere Giorgio e che non lo aveva fatto sua sponte. Dopo che Giovanni se ne andò, dal momento che aveva un impegno per le sette, salutando Alfio e Andrea con calore, i due ragazzi, rimasti soli, si sentirono più a proprio agio. Soprattutto Andrea, il quale non amava che Giovanni sapesse di Francesca e Giorgio. Vista l’ora, i due amici entrarono in un bar per bere un po’ di vino come aperitivo prima della cena. Il locale in cui decisero di andare non era molto pieno, ma si sedettero lo stesso in un tavolo lontano dalla porta d’entrata, come se volessero mettersi in disparte. Dopo essersi seduti, ripresero la conversazione, senza troppa convinzione. Si distraevano facilmente; ordinarono ad un cameriera formosa e cordiale mezzo litro di vino rosso e un tagliere di salumi e formaggi. Quando la cameriera, dopo aver portato cibo e vino, se ne andò, Alfio strizzò l’occhio all’amico: «Andrea, che guardi? Non dovresti! Hai lo sguardo così profondo verso quella là! La stai spogliando con le pupille… E la tua fidanzata? Che direbbe?». 113 «Cosa dici…. però è simpatica la ragazza, insomma, ha degli argomenti interessanti». «Sì, sì, certo, argomenti interessanti, immagino quali. Però io non amo le donne troppo tonde, soprattutto quando sono già impegnato. Quando sono libero, invece, beh, quasi tutte vanno bene, eh eh!». Risero per quegli scherzi tra di loro, mentre la cameriera ogni tanto li guardava da lontano, come se comprendesse d’essere l’oggetto di quelle risa. Ad Andrea balenò in mente la possibilità che lui potesse piacerle e provò ad immaginarsela a letto che faceva l’amore con lui. S’immaginò la morbidezza delle forme del corpo della ragazza, ma presto smise perché si vergognò di quelle fantasie. Forse il disappunto per il fatto che Francesca che rivedesse Giorgio quella sera, favorì il suo tradimento virtuale. Comunque quegli scherzi, il vino e il cibo resero i due ragazzi più allegri. Andrea aveva il viso arrossato ed era molto più ciarliero. Quando Alfio gli chiese di Francesca e di quell’incontro con Giorgio, Andrea parlò infatti con maggiore tranquillità e con minore reticenza: «Sono teso, Alfio e un po’ incavolato. Mi chiedo cosa voglia da lei quel matto di Giorgio». «Cosa credi che voglia… », rispose Alfio lasciando la frase in sospeso. In realtà, non sapeva cosa dire all’amico perché non aveva idea di quel che Giorgio volesse realmente da Francesca e ignorava per quale motivo la ragazza avesse accettato l’invito. Escludeva in ogni caso un ritorno di fiamma, poiché sapeva come si erano svolti i fatti e si fidava di Francesca. Però fece comunque uno sforzo per dire qualcosa e aggiunse: «Vedrai che Francesca sarà chiara con lui e Giorgio capirà, si rassegnerà una volta per tutte. E poi, non sta con quella ragazza, Paola, ormai? Per cui, non preoccuparti!». Dopo aver udito quelle parole rassicuranti, Andrea vuotò il bicchiere di vino tutto d’un fiato. Non rispose subito alle frasi di Alfio; questi d’altra parte si pentì quasi immediatamente di averle pronunciate, dato che era chiaro che le aveva profferite solo per fare coraggio all’amico e che significavano poco. Ad ogni modo, qualche attimo dopo, Andrea disse: «Il problema è che Francesca è stata fin troppo esplicita con lui, eppure quel folle di Giorgio non ha ceduto; le scrive via messaggio delle frasi senza senso, le dice che sta con Paola ma che rimarrà sempre “fedele” a lei come amico; insomma, a me sembra pericoloso. Che significa dire una cosa del genere alla propria ex?». Ascoltando quelle confidenza, Alfio divenne ancora più sconcertato, perché non capiva per quale motivo la ragazza avesse accettato, se le cose stavano in quella maniera; nondimeno, cercò di schierarsi dalla parte di 114 Francesca, della sua intelligenza, soprattutto per rendere Andrea meno avvilito. «Andre’, se Francesca ha deciso di incontrarlo è perché sa come prenderlo, penso. È una ragazza intelligente, forse lo vuole vedere per dirgli in faccia di smetterla con quel comportamento. Non devi diffidare, né preoccuparti troppo. Giorgio forse è un po’ scosso, ha avuto un’estate difficile, ma è innocuo». «No, io non mi preoccupo per Francesca, ma per lui, non credo sia tanto remissivo. Ti ho raccontato di questa estate, quando sono stato a casa sua e ha inscenato quella specie di commedia, ricordi?». Alfio ricordava il racconto di Andrea, l’assurdo pomeriggio che aveva vissuto a casa di Giorgio, mentre questi era convalescente. Stava perciò per dire ad Andrea un’altra frase di incoraggiamento, ma fu bloccato da un’idea che gli balenò nella mente, subitanea: non volle continuare quei discorsi per compatire l’amico. Quella sera si disse che non invidiava Andrea, come invece era successo talvolta in passato: quella sofferenza continua, quell’incertezza costante, quell’incapacità di essere autentico, erano per lui delle cose inammissibili. Alfio si disse però anche che quel pomeriggio Andrea, ora triste e ora euforico, ora abulico, ora intento a guardare la cameriera procace, gli suscitava più irritazione che compassione: in fondo, era lui che andava a cacciarsi in quelle situazioni difficili, oscure, dove non c’era chiarezza, nelle quali Andrea si rivelava incapace di prendere decisioni nette. La colpa era sua. 115 Capitolo XXI – L’ironia della sorte Quando Giorgio le si sedette a fianco, Francesca ebbe il classico tuffo al cuore. Naturalmente, benché un istante prima avesse deciso di andarsene, a quel punto non si mosse e sperò che il ragazzo non si fosse accorto del movimento da lei accennato per alzarsi dalla sedia: non voleva apparigli in difficoltà. Appena si fu seduto, Giorgio le sorrise, salutandola, e le strinse la mano affabilmente. Tuttavia, nonostante il sorriso, il volto del ragazzo appariva pallido; gli occhi erano come immersi in un liquido trasparente che li rendeva vitrei oltremisura. Giorgio quella sera indossava una giacca corta di renna, una camicia chiara e dei panatoli scuri: evidentemente, intendeva apparire molto elegante. La ragazza fu investita da un forte odore di dopobarba. Nella mano sinistra Giorgio teneva una rosa, elegantemente confezionata nel cellophane: Francesca comprese che era un regalo per lei e divenne ancor più imbarazzata. Il disagio in lei crebbe ulteriormente allorché, all’improvviso, con uno scatto un po’ goffo e senza guardarla negli occhi, Giorgio le porse il fiore dicendole: «Questa è per te». Francesca prese macchinalmente la rosa, farfugliando confuse parole di ringraziamento. Avrebbe voluto rifiutare, ma tacque. L’imbarazzo tra i due divenne sempre più tangibile; per fortuna, arrivò il cameriere per prendere le ordinazioni: l’uomo giunse sorridendo nel suo gilet da lavoro amaranto con bottoni neri, e prese a fissare con una certa insistenza Francesca. La ragazza ordinò un mojito, mentre Giorgio un Cuba libre. Il cameriere, piuttosto giovane, completamente calvo e con un pizzetto biondo ben curato, prese scrupolosamente l’ordinazione, dedicando un’ultima occhiata a Francesca. «Un’altra vittima», le disse Giorgio appena il cameriere se ne fu andato, come per rompere il ghiaccio, ma la battuta non fece ridere per nulla Francesca: la ragazza era tesa, sempre più pentita di aver accettato l’appuntamento e la rosa che aveva ricevuto l’aveva resa ulteriormente confusa. Temeva di essere scambiata dalle altre persone presenti nel bar per la fidanzata di Giorgio. Francesca divenne ancora più agitata allorché si accorse che la fronte di Giorgio, nonostante l’aria fresca del locale, era imperlata di sudore: quel particolare all’apparenza insignificante la allarmò assai, perché si convinse che quel sudore era il segno dell’estremo nervosismo di Giorgio, del suo stato di tensione malamente dissimulato. Nel frattempo il cameriere aveva portato i bicchieri, sempre sorridendo con cortesia a Francesca, che rispose a sua volta con un sorriso, non perché gradisse quelle attenzioni, ma perché voleva comunicare al cameriere che quello seduto al suo fianco non era il suo ragazzo. Si sentì però molto sciocca appena il cameriere se ne fu andato. 116 Intanto Giorgio aveva per due volte dato l’impressione di voler cominciare a parlare, senza però profferire verbo. Egli continuava ad essere pallido, ad avere gli occhi lucidi, mentre le labbra erano quasi esangui, i lineamenti contratti, i capelli disordinati, la fronte sudata. Quei particolari restituirono a Francesca l’immagine di un uomo completamente diverso da quello che aveva conosciuto: una persona fuori di sé che si controlla a fatica. Si disse che Giorgio era un estraneo di cui diffidare, una persona non del tutto in sé e questa sensazione non fece che aumentare la sua ansia. Eppure, finalmente Giorgio parlò, sciogliendo un poco la tensione che si era creata tra di loro. Disse soltanto: «Grazie Francesca per aver accettato il mio invito» e cominciò a sorridere, ma, così parve a Francesca, lo fece in modo forzato, come se stesse cercando di mantenere un atteggiamento misurato per apparire sereno e calmo agli occhi di lei. «Beh, che dovevo fare, praticamente mi hai costretto», ribatté quasi all’istante Francesca, tentando in ogni caso di evitare qualsiasi durezza nel tono della propria voce. «Mi dispiace se sono stato troppo insistente, ma, sai, dovevo parlarti assolutamente». Quella frase così decisa irritò profondamente Francesca: le parve che Giorgio si ritenesse autorizzato ad imporle qualcosa, si trattasse di una confessione o di una confidenza non richiesta, come se tra loro vi fosse ancora un legame speciale. Per questo gli rispose con un tono di voce più deciso e seccato rispetto a quanto aveva fatto poco prima: «Non abbiano nulla da dirci». Avrebbe voluto alzarsi ed andarsene per conferire maggiore autorevolezza alla frase, ma non lo fece, giacché le mancò ogni determinazione: non aveva ancora finito di bere il suo drink e non voleva offrire agli altri clienti del locale l’impressione di chi se ne va in fretta. Francesca era infatti combattuta tra il desiderio di scappare e la compassione che Giorgio comunque le faceva, nonostante tutto. E poi una strana curiosità la spingeva a rimanere in ascolto delle cose che il ragazzo aveva da dirle. «So che fai la cattiva, ma in fondo sei buona», le disse Giorgio ad un certo punto, sorridendo con aria complice, assumendo un atteggiamento pretesco, uno sguardo ammiccante e avvicinando il proprio viso a quello di lei. Francesca, irritata per quel tono di voce, si allontanò istintivamente dal suo viso e si domandò, lievemente allarmata, se il ragazzo non fosse effettivamente pazzo. In quell’attimo Francesca cominciò ad avere realmente paura: il cuore prese a batterle più forte, mentre i palmi delle 117 mani cominciarono a sudare. Si chiese, avvertendo un nodo di nostalgia in gola, dove si trovasse Andrea in quel momento. «Lo sai che sono ancora innamorato di te?», le disse all’improvviso Giorgio, sorridendo di nuovo senza allegria, ma prendendole la mano. Francesca, trasalendo per quella “confessione”, ritrasse immediatamente la mano da quella del ragazzo: era stata toccata da una mano sudata e tremante, e perciò ne ebbe ribrezzo. Istintivamente si guardò attorno allarmata, ma nessuno dei clienti del bar faceva caso a loro. Perciò, rispose con un filo di voce alle parole di Giorgio, cercando però di assumere un tono sprezzante: «Tu sei pazzo… ». «Sì, di te… ». Appena udì quella frase che Giorgio le disse fissandola negli occhi, Francesca, attonita, si guardò attorno un’altra volta, come per cercare aiuto: nel locale in quel frangente c’era molto rumore perché era proprio l’orario dell’aperitivo e perciò nessuno avrebbe potuto accorgersi del suo pallore. Le persone chiacchieravano, chi seduto ai tavoli, chi appoggiato al banco, ma nessuno rivolgeva lo sguardo verso il loro tavolino. Una musica rock anni ‘70 contribuiva a rendere il locale ulteriormente chiassoso. Francesca invidiò le altre persone, le vide più felici di lei e meno sole, in quel momento. Decise però di troncare la discussione con fermezza, giacché ogni riguardo e ogni curiosità verso Giorgio erano svanite: «Ascoltami Giorgio, non mi pare giusto che tu dica così, ora che stai con Paola. Ci siamo frequentati per pochi mesi e tutto è finito lì, non possiamo certo parlare di un grande amore. Per cui smettila di dire queste stupidaggini. Per me l’appuntamento di oggi è finito, ce ne possiamo andare e se mi hai chiamato per dirmi queste cose, potevi risparmiare il costo delle telefonate!». Tuttavia Francesca non si mosse perché attendeva una riposta da Giorgio; questi però in quell’istante stava rivolgendo gli occhi altrove, come fosse distratto. La ragazza, infastidiva e preoccupata a causa di quell’atteggiamento che giudicava schizofrenico, non volle dare l’impressione di scappare perché impaurita: pensava che comportandosi in quella maniera avrebbe fatto il gioco di Giorgio. Non voleva nemmeno lasciarsi andare a frasi che avrebbero potuto ferire il ragazzo, dato che lo riteneva un po’ “matto”, ne temeva le possibili reazioni e, al fondo del proprio cuore, provava ancora della pena per lui. Ebbe compassione pure per Paola, ossia per colei che in quel periodo passava per essere la fidanzata di Giorgio. Quando il ragazzo tornò a scrutarla, Francesca notò un’altra volta quegli occhi vitrei, all’apparenza assenti, il volto privo di espressione: il ragazzo finì di bere lentamente il suo cocktail, senza dire nulla. 118 All’improvviso, con un tono di voce flebile, Giorgio disse a Francesca, senza guardarla: «Ho capito, va bene». Quasi subito si alzò dalla sedia, indossò la giacca di renna e si avviò verso la cassa, estraendo il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni. Francesca rimase meravigliata da questo atteggiamento: non avrebbe dovuto essere lei quella cui sarebbe toccato alzarsi e andare via, date le circostanze? Era lei quella che trovava assurda e intollerabile la situazione e che non avrebbe dovuto più essere lì da molto tempo, non Giorgio. Eppure la sua indecisione l’aveva bloccata ed era stato Giorgio, all’apparenza il più debole fra loro, a compiere il solo gesto sensato, adatto ad un momento come quello. Le venne in mente Andrea per un attimo, si ricordò di doverlo chiamare e si ripromise di farlo appena uscita dal locale. Nel frattempo, Giorgio aveva pagato il conto anche per lei ed era uscito senza guardarla, né aggiungere nulla a ciò che aveva detto poco prima. Fuori dal locale, sotto il portico, li investì una folata di nebbia: Francesca fu felice per quell’aria fredda che la scosse dal torpore. Pensò fosse necessario riprendere il discorso con Giorgio: per ironia della sorte, era diventata lei ormai quella che voleva parlare, che desiderava continuare a vederlo quella sera, per spiegare il proprio comportamento e per sapere perché Giorgio si atteggiasse in quel modo. La situazione si era rovesciata rispetto all’inizio e Giorgio infatti sorrideva, come se si fosse lui il vincitore. Erano quasi le sette di sera. 119 Capitolo XXII – Una storia sbagliata In quegli stessi istanti, nella città vecchia, dopo l’aperitivo a base di salumi e vino locale, Andrea decise di andare a cena con Alfio: Francesca non si era ancora fatta sentire e così, oltre alla preoccupazione, in lui era sorto un sottile rancore verso di lei. Si domandava infatti come fosse andato l’incontro con Giorgio, cosa si fossero detti e perché la ragazza non gli avesse scritto nemmeno un messaggio; scoprì di essere un po’ geloso, ma non disse nulla ad Alfio (che comunque lo capiva benissimo, pur tacendo). Peraltro, dato che era passata più di un’ora dal momento in cui sapeva che Francesca e Giorgio avevano appuntamento, dato che non aveva ricevuto né un messaggio, né una telefonata da lei, Andrea si ritenne in diritto di essere offeso e arrabbiato: possibile che l’incontro durasse tanto? Non volle chiamare direttamente lui, dicendosi che sarebbe stato un gesto inopportuno, poiché era Francesca che avrebbe dovuto farlo, visto che sapeva quanto lui fosse preoccupato; inoltre, sarebbe stato imbarazzante ricevere una telefonata da lui mentre Francesca si trovava in compagnia di Giorgio. Queste erano le meditazioni con le quali Andrea giustificò il suo silenzio. Sempre riflettendo in silenzio mentre camminava a fianco di Alfio, Andrea si disse ad un certo punto, colto da un attimo di follia: “E se all’improvviso ha riallacciato i fili con Giorgio? Se gli ultimi litigi l’avessero fatta disamorare di me e l’avessero spinta, come l’anno scorso, a cercare rifugio tra le braccia di Giorgio?”. Erano ipotesi che Andrea costruì nella sua mente senza dar loro troppo peso, perché le credeva non realistiche. Nondimeno, quel sottile dubbio si insinuò nella sua mente, germogliando incertezza. Poco dopo, Andrea e Alfio entrarono in un ristorante per mangiare qualcosa. Si trattava del locale che frequentavano spesso, perché economico e dotato di ottimi cuochi. Era il posto del primo incontro con Francesca, dell’incontro con Antonella (ricordandosi della ragazza, Andrea si chiese per un attimo dove ella si trovasse e se avrebbe mai accettato di rivederlo qualora lui l’avesse richiamata) e dell’incontro fortuito con Giorgio e Francesca. I due ragazzi si sedettero ad un tavolino molto piccolo, in una sala ampia, imbiancata da poco; al centro della sala troneggiava un tavolo da biliardo, attorno al quale si muovevano alcuni anziani che giocavano commentando a voce alta i colpi dell’uno o dell’altro. Per il resto, la sala era in gran parte vuota: solo un’altra coppia di avventori occupava un tavolino alla sinistra di quello in cui erano seduti Andrea e Alfio, mentre un uomo anziano, 120 malinconicamente solo, beveva del vino ad un tavolo che si trovava di fronte ai due ragazzi. Andrea, da quando era entrato nella sala, si sentiva meglio: aveva ripreso a chiacchierare allegramente con Alfio e in quella maniera riusciva a non pensare a Francesca che non dava segni di sé. I due amici, per distrarsi, aveva preso a discorrere delle disavventure di Giovanni e della sua fidanzata e la cosa divertì molto Andrea, quantunque egli non avrebbe voluto mai trovarsi nei panni dell’amico, tanto sfortunato. Giovanni frequentava da un anno una ragazza molto carina che Andrea giudicava un po’ bizzarra: aveva dei grandi occhi celesti, all’apparenza sempre intenti a squadrare gli altri, capelli biondi disordinati e viveva frequenti cambi d’umore che peraltro si riflettevano sui comportamenti di Giovanni, sempre pronto ad assecondarla ed ascoltarla. Quando l’amico si era messo assieme a lei, la ragazza, che si chiamava Claudia, aveva invitato a casa sua (viveva da solo poco fuori città) pure gli amici di Giovanni. Andrea si era trovato bene a mangiare all’aperto, sotto un piccolo pergolato, anche perché sperava di conoscere qualche amica di Claudia. Ma quella cosa non successe mai, visto che Claudia, benché frequentasse molti colleghi di lavoro (lavorava come segretaria nella redazione di un settimanale per annunci di lavoro molto noto in città), raramente aveva invitato qualche amica a quei ritrovi. D’altra parte, quegli incontri ben presto finirono, poiché Alfio si annoiava, Andrea era distratto dalla ricerca di Francesca e gli altri loro amici, evidentemente, si erano trovati male, dato che aveva sempre rifiutato gli inviti, inventando diverse scuse. Naturalmente Claudia, dopo diversi rifiuti, aveva smesso di invitarli. Nonostante fosse cosciente dei comportamenti un po’ di bizzarri della propria ragazza, Giovanni appariva innamorato di Claudia: dormiva spesso a casa sua, le teneva in ordine l’appartamento e, avendo lui stesso preso casa da poco, aveva proposto alla ragazza di andare a vivere con lui. Alfio, raccontando fatti che Andrea in parte già conosceva, aggiungeva suoi commenti, a volte amari, a volte salaci, a proposito dell’ingenuità di Giovanni, il quale fino ad allora era sempre stata ritenuta da loro una persona molto intelligente, misurata e scaltra. La vicenda si era conclusa malamente per il loro comune amico. Infatti, dopo un anno di fidanzamento, nel momento in cui Claudia aveva ormai lasciato l’appartamento in cui stava (che in realtà era proprietà di una sua vecchia zia) e quando Giovanni, inebriato dalla possibilità di una convivenza, aveva predisposto il suo per ospitarla con tutti gli “onori”, successe il fattaccio. Una sera Claudia sarebbe dovuta arrivare con i bagagli e i suoi oggetti personali a casa di Giovanni per cominciare a portare da lui le proprie cose, in modo da poter dormire lì e, in pratica, cominciare la 121 convivenza proprio da quella sera. Ebbene, quella volta Claudia non si fece vedere. Giovanni, ovviamente molto preoccupato, l’aveva cercata sul telefono cellulare che risultò però staccato. Altre possibilità per contattarla non ne aveva: Giovanni infatti non conosceva il numero di casa dei genitori di lei (Claudia, lasciato il suo appartamento e in attesa di trasferirsi da Giovanni, era difatti tornata a vivere dai suoi) e perciò era rimasto sveglio tutta la notte, provando di tanto in tanto a chiamarla sul cellulare e auspicando uno squillo di lei. Con suo grande dolore, Giovanni però non riuscì a contattare Claudia nemmeno nei giorni successivi. La verità, amara ed assurda, gli fu rivelata da una e-mail ricevuta tre giorno dopo: Claudia gli diceva di non amarlo abbastanza, di non sentirsi pronta per convivere con lui e che per quei motivi aveva deciso di lasciarlo. Glielo scriveva per mail, non avendo il coraggio di dirglielo in faccia: si scusava del proprio comportamento, asseriva di comprendere bene che era una cosa meschina e ignobile, ma aggiungeva di non poter fare diversamente. Giovanni, allorché lesse l’e-mail, per poco non cadde a terra fulminato. Aveva confidato ad Alfio di aver pianto molto, perché aveva visto cadere in frantumi in un attimo la prospettiva di un amore duraturo, di una convivenza. Aveva risposto alla mail di Claudia con un tono conciliante, augurandosi che lei, a sua volta, gli scrivesse ancora. Tuttavia, dopo qualche giorno di disperazione e infinita tristezza, unita ad una illogica speranza che ogni cosa tornasse a posto, Giovanni si era messo l’animo in pace. «Povero Giovanni, anche oggi pomeriggio aveva una faccia scura scura. E sono passati gia tre mesi da quando è successo!», aveva concluso Andrea alla fine del racconto, sinceramente dispiaciuto, cercando di immaginarsi come si sarebbe comportato lui se si fosse trovato in una situazione tanto amara. Naturalmente, rabbrividì al solo pensiero. Giovanni a lui non aveva mai raccontato quella disavventura per intero, perché era amico più di Alfio che suo. Per cui la sorpresa di Andrea era sincera. «E non è finita, sai», aggiunse Alfio, sorridendo. «Ieri Lucia mi ha detto che ha saputo da un suo collega, vicino di casa dei genitori di Claudia, che fra due mesi quella matta si sposa, ma ti rendi conto?! Non ho il coraggio di dirlo a Giovanni, è meglio che non lo sappia». Dopo quella frase, i due ragazzi risero molto, non perché sottovalutassero la sfortuna di Giovanni, ma perché quella storia appariva senza senso e stravagante, come la stessa Claudia era apparsa loro; oltre a ciò, ironia della sorte, era capitata proprio a Giovanni, ritenuto da tutti loro un pezzo di pane. Comunque, al di là della tristezza per Giovanni, quel racconto concitato e divertente nella sua triste verità, il dialogo con Alfio, la cena gustosa (Andrea aveva preso un risotto ai funghi e le scaloppe al vino bianco; Alfio un’insalata di mare abbondante), accompagnata da un ottimo vino rosso, 122 resero Andrea contento e rilassato. Si disse che aveva fatto bene, quella sera, ad uscire e non rimanere a casa ad aspettare la telefonata di Francesca. Se non fosse uscito, si sarebbe ritrovato a pensare a lei, sarebbe divenuto cupo e scontroso; sarebbe riandato alle incomprensioni che avevano avuto negli ultimi giorni, ai litigi, alla sua incapacità di mostrare realmente i propri sentimenti, le proprie idee e a Francesca che forse non lo comprendeva appieno. E al loro irrimediabile essere distanti. Invece, quella sera, dopo la cena con il suo amico, ogni cosa gli appariva ad Andrea leggera, facile, priva di oscurità, e anche quel locale, con il suo odore di vernice fresca, le parole in dialetto degli anziani intenti a giocare a biliardo, con i tavolini vuoti, gli parve un bel posto, una specie di buen retiro dove ristorarsi dopo le tensioni e le malinconie della vita. Dopo cena Andrea ed Alfio si salutarono con calore, entrambi felici di essersi stati tanto bene assieme, di aver passato allegramente delle ore, in quel modo scanzonato e leggero. Verso le otto e mezza Andrea, ormai assai preoccupato per il silenzio di Francesca ed intenzionato a chiamarla, si avviò verso la propria auto, che era posteggiata vicino alla porta meridionale della città vecchia. Fu allora che il suo telefono squillò. 123 Capitolo XXIII – Senza nemmeno la forza per salvarsi Un’ora prima di quella telefonata, quando Andrea ed Alfio avevano appena cominciato a mangiare, Francesca stava camminando cupa e perplessa a fianco di Giorgio, dopo che entrambi erano usciti silenziosi dal locale in cui avevano preso l’aperitivo. Al momento di salutarsi (o meglio, quando Francesca credette che fossero sul punto di porre fine a quell’incontro), Giorgio aveva chiesto alla ragazza se volesse accompagnarlo a piedi fino alla macchina, posteggiata nelle vicinanze del bar in cui erano stati. Francesca aveva accettato quasi all’istante, perché sperava che, nel tragitto, potesse avere l’occasione per chiarire definitivamente ogni cosa con lui, in modo da non doverlo più rivedere. Ella aveva infatti la sensazione che la loro discussione non fosse terminata e non si fidava del silenzio di Giorgio, della sua apparente rassegnazione, dell’aria dimessa e malinconica che il suo volto aveva assunto. Insomma, dopo il confronto avuto al bar, Francesca stava realizzando, con disappunto, che i loro ruoli si erano inaspettatamente rovesciati: in quel frangente era lei quella che aspirava a mettere le cose in chiaro e che esigeva da Giorgio una spiegazione, sia per quell’appuntamento che aveva preteso, sia per quel comportamento tanto indecifrabile. Francesca si domandava in particolare perché Giorgio le avesse detto di amarla in quella maniera. Non aveva ormai capito che lei voleva stare con Andrea (ebbe un sussulto pensando al suo fidanzato, ricordandosi che avrebbero dovuto sentirsi al telefono proprio a quell’ora, come erano d’accordo. Si ripromise di chiamarlo entro pochi minuti) e che per lui non c’erano speranze? Oppure coltivava ancora delle illusioni? Francesca avrebbe voluto fugare ogni dubbio tra di loro, ogni possibilità di malinteso, incomprensione, e soprattutto cancellare dalla testa di Giorgio qualsiasi idea di poter, un giorno, tornare a stare con lei. Durante il breve tragitto verso la macchina, tuttavia i due ragazzi non parlarono per nulla di quelle cose, perché Giorgio domandò a Francesca notizie sul lavoro a scuola, come se volesse evitare discussioni più serie. Francesca cercò diverse volte di riportare il discorso su loro due, senza riuscirci, e la cosa la rese nervosa. Quando giunsero nei pressi della macchina, Giorgio rimase per qualche istante immobile vicino alla portiera del guidatore, poi chiese a Francesca, sorridendo con tristezza: «Posso accompagnarti a casa?». «Sì, va bene…», rispose Francesca immediatamente, senza riflettere, presa ancora com’era dal proposito di ottenere una spiegazione da lui e non preparata a quella proposta. Sentì che era stata un po’ imprudente ad accettare il passaggio, nondimeno salì ugualmente in macchina, non 124 potendo fare diversamente, anche perché aveva freddo ed avvertiva la foschia serale diventare più spessa e più umida. Aveva voglia di casa, di tepore, di un pasto leggero e un tè caldo. Mentre saliva in auto, Francesca vide passare pochi metri alla sua sinistra due ragazzi abbracciati, intenti a baciarsi mentre camminavano. Quell’immagine la riempì di una forte nostalgia e il pensiero di Andrea tornò ad afferrarla. Si disse che forse avrebbe fatto bene a scrivergli almeno un messaggio, ma Giorgio tornò a parlare e Francesca non ne ebbe il tempo. Giorgio guidava con calma nel traffico, ancora un po’ caotico, dell’ora di cena: Francesca per questo divenne più tranquilla, visto che abitava vicino e presto sarebbe arrivata a casa. Giorgio aveva cominciato a parlare della sua laurea, ormai prossima, e della volontà di lavorare nello studio di un suo zio che faceva già l’architetto. In seguito, disse, avrebbe desiderato avere uno studio tutto suo. Francesca seguiva quel racconto controvoglia (non aveva infatti chiesto lei a Giorgio di narrarle quelle cose), sebbene avesse capito che non avrebbe potuto più riprendere la questione che le stava a cuore. Immaginò che Giorgio si fosse davvero rassegnato a perderla per sempre, che avesse compreso ogni cosa e che ritenesse più logico e dignitoso parlare d’altro. Questa idea era più un augurio che una certezza, eppure Francesca cominciò a sentirsi maggiormente sollevata, affezionandosi a questa idea con tutta se stessa. Invece, senza preavviso, Giorgio le disse ad un certo punto, guardandola con un’espressione del viso abbattuta: «Allora con te non ho proprio speranze…?». Quelle parole spensero il sollievo di Francesca, facendole salire nell’animo una grande apprensione. Cullò la speranza di non aver ben compreso il tono di quell’affermazione, si augurò che il ragazzo l’avesse detto per gioco e per questo esitò qualche istante prima di rispondere, dato che non aveva scorto con chiarezza l’espressione del volto con cui Giorgio aveva pronunciato la frase. Ad ogni modo, Francesca volle rispondere con un’affermazione decisa, che non potesse offrire adito a malintesi: «Non sono stata chiara poco fa, Giorgio? Ancora mi dici queste cose?». «Sì, certo», rispose il ragazzo laconico. Appariva molto deluso ed affranto. Francesca tirò un sospiro di sollievo. Pensò infatti che se Giorgio aveva parlato con quel tono rassegnato, significava che si fosse finalmente convinto dell’assurdità di quello che le aveva detto. Decise quindi di non approfondire la questione, per non dare vita ad una nuova, infruttuosa discussione. E poi casa sua era vicina e non le pareva il caso correre il rischio di farlo arrabbiare. «Ma non conta niente il fatto che io ti amo!?», disse invece all’improvviso Giorgio, con un tono di voce mesto, che a Francesca parve un lamento di 125 un bambino che fa i capricci e pesta i piedi. Quella frase di Giorgio la scosse oltremisura, facendola letteralmente trasalire: il timbro di voce lagnoso le sembrò del tutto in contraddizione con il tono di voce dimesso e rassegnato che il ragazzo aveva avuto in precedenza. Francesca per questo si allarmò, ebbe di nuove l’impressione di stare a fianco di un folle e si chiese che cosa Giorgio volesse ancora da lei. Malgrado queste preoccupazioni, la ragazza cercò di rimanere tranquilla, essendo in prossimità del portone del suo palazzo. Perciò replicò pacatamente a Giorgio, ma con fermezza: «Ricominci? Non mi avevi detto che…». Non terminò la frase. Erano ormai arrivati sotto casa sua: Giorgio aveva fermato la macchina, aveva parcheggiato ed aveva spento il motore. Francesca avvertì la paura, come un coltello gelido, trapassarle il corpo, tagliandola in due: il terrore la rese immobile. Giorgio le stava accarezzando la gamba sinistra, poco sotto il ginocchio, all’altezza dell’orlo della gonna. Francesca era pietrificata, incredula, i muscoli costretti da una grande tensione, il respiro affrettato. Prese ad osservare la mano del ragazzo come se si fosse trattato di un insetto ripugnante che camminava sulla sua gamba: non riuscì a dire nulla. Non si voltò a guardare Giorgio in quegli attimi. Il suo cuore era in tumulto, il fiato le mancava per il terrore: provò a guardare in direzione del portone del suo palazzo, con la speranza che giungesse qualcuno che potesse aiutarla: non c’era nessuno; allora Francesca, sempre più terrorizzata, guardò più basso, cercò con gli occhi il porta oggetti della portiera, vide il suo cellulare, presa dall’idea di afferrarlo e chiamare Andrea… Andrea, in quel momento così lontano e così necessario. Nell’attimo in cui la mano di Giorgio prese a salire lungo la coscia, accarezzandola con maggior vigore, Francesca ebbe un sussulto, come se si fosse finalmente resa conto della gravità della situazione: bloccò con forza la mano del ragazzo, la tolse con energia dalla propria gamba, si voltò verso Giorgio e gli urlò con tutta la forza dei polmoni: «Che cazzo fai, sei impazzito?!». La parola volgare la rese più forte, come se avesse mostrato in quel modo a Giorgio che non poteva permettersi di agire in quella maniera. Il ragazzo infatti non reagì, e rimase silenzioso nella penombra dell’abitacolo. Francesca non riuscì a scorgere l’espressione del suo volto, non solo per la scarsezza di luce, ma anche per la rabbia e la nausea che la stava invadendo e le impedivano di essere lucida. Prese il telefono, si accinse ad aprire la portiera per andare via e per vomitare tutto il terrore, la malinconia, la delusione e il ribrezzo che le si erano accumulati dentro durante quella serata disgraziata. Udì Giorgio, alle sue spalle, che le diceva, affranto: «Scusami Francesca, non so cosa mi è preso». 126 Non gli rispose e aprì la portiera con foga per uscire. Giorgio allora l’afferrò da dietro, alle spalle, e la trasse a sé, cercando di baciarla in bocca e di accarezzarla di nuovo, questa volta sul seno. Sorpresa da quella mossa fulminea, Francesca non seppe reagire subito, però evitò i baci, benché Giorgio tentasse di trascinarla verso di sé, tenendole le braccia bloccate. La ragazza, terrorizzata, lanciò un urlo, insultò con odio Giorgio, gli graffiò il dorso di una mano e così riuscì a sottrarsi alla sua stretta. Si mise a correre più veloce che poteva: correva lontana da casa sua, lontana da quell’uomo che aveva cercato di farle del male, lontana dalla disperazione che, a folate, le percorreva il naso, la gola, tutto il corpo, come fosse impastata all’umidità di quella sera di autunno. Sconvolta, corse fin verso la casa di Andrea, poco distante dalla sua: si fermò nel porticato antistante la porta d’ingresso dell’abitazione. Sapeva che se avesse suonato il campanello nessuno le avrebbe aperto, giacché la madre di Andrea era via per un convegno. Cercò il cellulare e fu felice quando lo trovò, perché temeva di averlo perduto nella colluttazione. Il cuore le batteva forte, come se stesse per sfondare il petto. Francesca cercò di calmarsi, ma l’angoscia non l’abbandonò per nulla. Diverse volte si guardò alle spalle, ansimante, ancora terrorizzata, temendo di scorgere Giorgio da un momento all’altro. Si sentì appena più tranquilla quando una macchina si avvicinò a lei per entrare nei garage. Cercò di quietarsi, dicendosi che tutto era finito e che Giorgio non era riuscito a violentarla, se mai avesse voluto farlo. All’improvviso tuttavia si accasciò a terra, dietro ad una colonna, come volesse nascondersi alla vista altrui, e iniziò a vomitare violentemente, percorsa da forti contrazioni dell’addome. Quando smise di rigettare, si pulì la bocca e il viso e solo allora si accorse che le sue guance erano rigate di lacrime: per il terrore provato non se ne era resa conto. Appena stette un po’ meglio, telefonò ad Andrea. 127 Capitolo XXIV – Epilogo La telefonata di Francesca fu tremenda per Andrea. La ragazza, piangendo, gli raccontò in modo confuso e concitato quello che le era accaduto e lo implorò di fare presto, di raggiungerla appena avesse potuto. Dopo quella telefonata, Andrea divenne agitatissimo, con il cuore in subbuglio e la bocca secca. Non credeva che un fatto come quello avrebbe potuto capitare a lui, alla sua donna. Gli sembrava di essere lui stesso ferito, lacerato, come se quella violenza Giorgio l’avesse fatta direttamente a lui. Era svanita l’allegria della serata trascorsa con Alfio e si era liquefatto il lieve rancore che durante la serata egli aveva maturato verso Francesca, quando si era accorto che il tempo passava e che lei non lo chiamava. Si sentiva in colpa per aver dubitato di lei, per aver ipotizzato, in un attimo di follia, che la ragazza non gli telefonasse perché stava riprendendo i contatti con Giorgio… e invece quell’uomo le stava facendo del male! Come era stato ignobile il suo pensiero e come era stato stupido, lui, a farla arrabbiare, giorni prima, e a trattarla rudemente. Andrea si avviò perciò più velocemente che poté verso casa sua. La strada che scendeva verso il centro era quasi deserta: rade automobili lo incrociarono, ma lui non le vide affatto. Delle gocce di pioggia, inattese, cominciarono nel frattempo a picchettare sul parabrezza, ma egli non se ne accorse e non azionò nemmeno i tergicristalli. La confusione nella sua testa era enorme, però, all’improvviso, un’idea riuscì a mettere da parte tutte le altre e a prendere il sopravvento: il volto di Giorgio. La consapevolezza che quel ragazzo si fosse comportato in quella maniera con Francesca fece avvampare le guance di Andrea: il sangue gli salì alla testa, tanto che sbandò due volte, rischiando sbattere contro le altre macchine parcheggiate ai lati della carreggiata. Nella sua vita non aveva mai odiato nessuno, ritenendo questo sentimento troppo cattivo, difficile sia da provare che da esprimere; malgrado ciò, quella sera avvertì nascere in lui un odio viscerale verso Giorgio e un desiderio fortissimo di affrontarlo, di picchiarlo e di fargli del male. Era difficile da credersi, ma proprio lui, il ragazzo mite, malinconico, incapace di adirarsi, proprio lui, Andrea, era furioso, e il suo animo traboccava di livore violento. Anche l’immagine di Francesca sofferente, di fronte a questa sensazione carica d’avversione, sembrava perdere terreno, fino a diventare solo un elemento che accentuava l’astio e il desiderio di ferire Giorgio a qualunque costo. Giunto in prossimità di casa sua, Andrea lasciò l’auto praticamente in mezzo alla strada; percorse con il cuore in gola il porticato fino alla porta della propria abitazione. Scorse Francesca accasciata vicino all’ingresso, nella penombra. Le luci dei portici illuminavano fiocamente la scena, 128 conferendole un’aria ancor più tetra. Si precipitò verso Francesca, la scosse chiamandola per nome: la ragazza, appena lo vide, gli sorrise debolmente, senza tentare di alzarsi; i capelli di Francesca erano in disordine, bagnati dal sudore. Un forte odore di vomito veniva dal giardino attiguo e dai vestiti che lei indossava. Andrea ne ebbe ribrezzo: per un breve istante egli esitò a chinarsi amorevolmente verso la ragazza, ma Francesca s’accorse di quell’esitazione e ne soffrì molto. Riprese perciò a piangere, sussultando, perché realizzò che pure il suo uomo quella sera rimaneva lontano da lei, nell’animo, vinto dal disgusto. Andrea invece pensò che Francesca piangesse ancora per lo spavento, per il dolore provato e l’umiliazione patita. Perciò prese a stringerla a sé, a baciarla sugli occhi, sulla bocca, percependo l’odore salato delle lacrime che lei aveva versato. Le disse le parole più dolci che gli vennero in mente: Francesca non rispose nulla, ma lasciò fare perché si sentiva debole, triste, perduta. Poi, Andrea la fece entrare in casa e l’aiutò stendersi sul letto. Quando Francesca si sistemò finalmente a letto, alla luce della stanza, apparve ad Andrea pallida e provata, oltre che stanchissima. Non piangeva più e, mentre Andrea la accarezzava, fu presa dal sonno. Ma, appena chiudeva gli occhi, si svegliava di soprassalto, ancora in preda della paura. Questo fatto successe due volte. Andrea la coccolava dopo ogni brusco risveglio, sebbene ad un certo punto Francesca, comprendendo di non poter dormire, si mise a sedere, appoggiando le spalle al cuscino. Cominciò a raccontare ad Andrea, con estrema sofferenza, cosa le avesse fatto realmente Giorgio. Mentre narrava, le lacrime le salirono più volte agli occhi, benché cercasse di non piangere: non versò lacrime solo a causa dell’affronto di Giorgio, ma anche perché in quegli istanti la sua mente, in modo crudele, fece emergere dalla sua memoria pure tutte le incomprensioni e le discussioni avute con Andrea durante quell’ultimo periodo. Francesca pensò che la premura che Andrea quella sera le stava mostrando era una cosa scontata, che chiunque, finanche un estraneo, le avrebbe concesso nelle condizioni in cui lei si trovava. Era compassione, si disse Francesca, non vero amore, ovvero quel che aveva sperato che, in quei mesi, Andrea potesse finalmente donarle. Non volle però rivelare quelle meditazioni, e riuscì ad evitare che Andrea si accorgesse di quelle sue fosche riflessioni. Ciò nonostante, a dispetto di questo travaglio interiore, in parte tranquillizzata dalle premure di Andrea e in parte vinta dalla spossatezza, a un certo punto Francesca si addormentò realmente; eppure la sua mente non cessò di lavorare e, in uno stato di dormiveglia più che di vero sonno, ella continuò rimuginare i pensieri amari che aveva iniziato a costruire già da quando aspettava Andrea nel portico, dopo essere fuggita dalle mani di 129 Giorgio. Infatti, quando si trovava accasciata davanti alla porta di casa di Andrea, Francesca, sebbene scossa dal tentativo di violenza subìto, aveva riflettuto anche su quell’ultimo periodo passato con il suo ragazzo, sulle cose che aveva desiderato e non aveva ottenuto, sull’incomunicabilità che li aveva avvinti. La violenza fisica che aveva rischiato di subire (e quella psicologica, tremenda, che aveva invece subìto pienamente) le donarono in quegli istanti una straordinaria lucidità; confessò a se stessa che avrebbe dovuto, nuovamente, ricominciare da capo e che la scelta di tornare con Andrea era stata affrettata. Non sarebbe stato meglio liberare la propria mente, ricostituire il rapporto prima di tutto con se stessa, lasciarsi alle spalle Andrea, Giorgio, tutte le tensioni, le difficoltà, le incomprensioni di quell’intero anno tanto disgraziato? Sì, era necessario, concluse Francesca. Si disse che l’anno prima, dopo aver lasciato Andrea, non era rimasta sola per un periodo sufficientemente lungo, perché appena quattro mesi dopo aveva preso ad uscire con Giorgio; in seguito, di nuovo, Andrea nella sua vita. Al contrario, avrebbe dovuto attendere, stare più tempo da sola, per conoscersi ancor meglio, per fare piena luce sul proprio animo e solo in seguito, eventualmente, ricominciare un rapporto con qualcuno. Forse non era Andrea che non andava bene: probabilmente lei stessa non era preparata per convivere, per un futuro in coppia e per un avvenire da spendere al fianco di un’altra persona. Avrebbe dovuto avere pazienza, un maggiore rispetto di se stessa prima di tutto ed ammettere che non era colpa solo di Andrea se, in quell’ultimo mese, il loro rapporto era andato incontro ad alcuni problemi. Nel frattempo, quasi contemporaneamente al momento in cui Francesca si era assopita nel suo letto, anche Andrea si era addormentato. Un’ora dopo il ragazzo venne però destato da un rumore leggero, una specie di singhiozzo; aprì gli occhi e scorse Francesca che lo guardava con un’espressione sofferente in viso e delle lacrime che le rigavano le guance. Il ragazzo si avvicinò a lei per consolarla, ma quasi immediatamente si arrestò, dato che udì Francesca che, con un tono di voce flebile, gli domandava: «Perché, Andrea, perché?». «Che c’è Francesca? Cosa succede? Ti senti male?», le rispose lui, allarmato, pensando che stesse ancora sognando e stesse rivivendo, come un incubo, l’episodio di Giorgio. «No, no, sto bene», rispose Francesca senza guardarlo. Poi, dopo essersi asciugata le lacrime con un fazzoletto di carta, soggiunse: «perché, Andrea, perché è tutto così difficile, ogni giorno, e così incerto e sfuggente? Perché facciamo a gara a ferirci, a stare male e non ci amiamo serenamente, se una parte di noi ci spinge a farlo? Cosa ci rende tanto aridi, incapaci di vivere i nostri sentimenti? Perché non prendiamo più spesso le cose così come 130 vengono, con naturalezza, con spontaneità, senza andare a guardare sempre cosa c’è dietro, sospettosi, diffidenti, verso tutto e verso tutti? Perché ci intriga il lato oscuro delle cose e ci complichiamo la vita per questioni da nulla? Perché, perché?». Andrea, sgomento e stupito da quelle parole accorate, da quelle frasi intrise di tristezza e di malinconica consapevolezza, comprese benissimo il senso di quelle espressioni: non erano frutto di un sogno, né nascevano solo dal dolore appena provato dalla ragazza, bensì riassumevano i dubbi e le incertezze che Francesca aveva accumulato in quei mesi. Insomma, era lui, in parte, la causa della sua sofferenza. Andrea realizzò in quel frangente che quelle frasi angosciate erano di nuovo un rimprovero contro la sua incostanza, la sua inautenticità, la sua ritrosia a comportarsi in maniera spontanea e naturale. Nondimeno, anche quella volta, non seppe dire nulla di significativo a Francesca e si limitò ad abbracciarla: la sentì però fredda, inerme. Percepì le sue lacrime sulle proprie gote, e il distacco della ragazza che non ricambiava gli abbracci e i baci che lui le dava. Per questo Andrea si riconobbe impotente, paralizzato dalla propria inettitudine e dal distacco che Francesca gli mostrava. In quell’istante, proprio mentre si stringeva a Francesca nel modo più dolce e saldo possibile, ad Andrea tornò in mente, come un incubo, ancora una volta la solita immagine: Giorgio, sì, lui, quello che aveva causato quel dolore alla sua ragazza e che, indirettamente, era responsabile di quella situazione così difficile. Ad Andrea salì nuovamente il sangue alla testa, come gli era accaduto quando, due ore prima, in macchina, stava tornando a casa sua per soccorrere Francesca. Decise di fare qualcosa: attese che la ragazza si addormentasse, cercando di consolarla con dolcezza. Ci volle un po’, dal momento che Francesca ebbe altri due conati di vomito; poco dopo, la ragazza, rimettendosi a letto, chiese scusa ad Andrea per quelle frasi dette in precedenza, dicendo di essere scossa e di non sapersi controllare. Eppure Andrea credeva di aver compreso ogni cosa e riteneva essenziale fare qualche cosa. Verso l’una Francesca si mise a dormire profondamente. A quel punto Andrea, con il cuore in tumulto, decise di uscire di casa per cercare Giorgio: non sapeva come si sarebbe comportato nel caso lo avesse visto, eppure, guidato da quella risoluzione avventata, salì ugualmente in auto e si diresse verso la casa di colui che aveva fatto del male a Francesca. Era una decisione impulsiva e sconsiderata, visto lo stato in cui lasciava Francesca, sola e ferita in casa sua, ma Andrea, rapito da una disperata voglia di vendetta, non era capace di ragionare lucidamente in quel frangente. Durante il tragitto verso casa di Giorgio, nelle strade deserte e bagnate (aveva smesso di piovere, ma la serata rimaneva cupa, il cielo non si vedeva, 131 offuscato dalla foschia e dalle luci dei lampioni), Andrea più volte si domandò cosa stesse facendo e se non sarebbe stato meglio tornare indietro, resistendo alla propria impulsività. Tuttavia, con uguale insistenza, si disse più volte che Giorgio doveva pagare e che l’offesa a Francesca era qualcosa di abominevole che non poteva rimanere impunita: solo in quella maniera, forse, lei avrebbe ripreso ad amarlo. Così combattuto e incerto giunse dopo cinque minuti sotto casa di Giorgio, ma ci mise del tempo prima di suonare il campanello. Un’altra volta dubbi e incertezze lo afferrarono: e se Francesca si fosse svegliata in casa sua e non lo avesse visto, cosa avrebbe pensato? E se avesse avuto bisogno di auto? Non sarebbe stato meglio avvertirla? Quel gesto che desiderava compiere sarebbe stato davvero quello giusto per mostrare a Francesca il suo amore? E lui, non aveva sempre affermato di essere contrario alla violenza? E poi, si disse ancora Andrea percependo un brivido lungo la schiena, come sarebbe finita con Giorgio? Cosa sperava di ottenere da quella sua iniziativa? Non era solo un modo per dare sfogo a quella sua rabbia repressa, conseguenza della constatazione della sua incapacità a mostrarsi autentico e ad amare Francesca? Tutti queste domande, accavallate l’una sull’altra in una disfonia che gli faceva scoppiare la testa, resero Andrea ancora più esitante; però, l’immagine di Giorgio che toccava la sua Francesca e il desiderio di rivalsa ebbero nuovamente il sopravvento, anche perché il ragazzo si disse che giunto a quel punto non aveva ormai scelta, dato che era uscito di casa con tanta precipitazione. Si arrestò perciò indeciso davanti ai citofoni del palazzo di Giorgio. Si rammentò di quando era stato in quella casa qualche mese prima, d’estate, e un nuovo fiotto di rancore verso Giorgio lo colse. Il cognome dell’ex amico campeggiava vicino al pulsante del citofono. Schiacciare quel pulsante divenne all’improvviso per Andrea il gesto più difficile del mondo: aveva il cuore in subbuglio, la bocca secca, le mani sudate e tremava per l’umidità della sera e la tensione. Il suo dito s’appoggiò per lunghi istanti al pulsante del campanello, ma non lo schiacciò; percepì come molesto il freddo del metallo del pulsante. Un’idea fulminea gli attraversò la mente: e se avesse lasciato perdere? Era ancora in tempo per evitare una sciocchezza. Malgrado questi pensieri, però, quasi senza farci caso, ad un certo punto premette il pulsante. Era prevalso in lui il desiderio di rivalsa. Mentre Andrea attendeva una risposta dal citofono, il suo respiro divenne sempre più rotto dall’emozione, i muscoli sempre più tesi; nonostante la serata umida e fredda, Andrea avvertì il sudore corrergli lunga la schiena. Passarono alcuni secondi di estrema eccitazione, in attesa dell’inevitabile, della voce di Giorgio che avrebbe domandato chi fosse. 132 Ma nessuno rispose; come fosse in trance, Andrea suonò di nuovo, sempre in preda ad una grande agitazione, senza ottenere risposta nemmeno quella volta. Incredulo, con il cuore in subbuglio, provò una terza volta, senza successo. In quel momento, come si fosse appena destato da un incubo, resosi conto del fallimento della sua iniziativa, Andrea avvertì la tensione scivolare via dal proprio corpo, i muscoli rilassarsi: divenne spossato, stanchissimo, abbattuto. Sconfitto, sul punto di cadere a terra, esausto. Giorgio non era in casa: nessuna “vendetta” ci sarebbe stata quella sera, per Andrea. Il ragazzo, di fronte allo scacco del proprio tentativo, capì di essere del tutto vuoto di pensieri e idee: non si aspettava per nulla quell’epilogo e l’ira che in precedenza, mentre suonava il citofono, si era per un attimo convertita in ansia, era tornata in quel momento a scorrergli nelle vene. E gli faceva male. Ma non poteva sfogarsi con nessuno: si sentiva dileggiato anche dal destino. Si disse che forse avrebbe fatto meglio a stare vicino alla sua Francesca che soffriva a casa sua, dopo la violenza. E invece, l’orgoglio... Perciò, ebbe all’improvviso una gran voglia di tornare da Francesca, ma rimase almeno dieci minuti sotto il portone di casa di Giorgio, nella foschia notturna, incapace di agire in qualunque modo, impotente quantunque colmo d’ira. Per sfogarsi, cominciò a pendere a calci un sacchetto di plastica che una folata di vento gli aveva posato vicino ai piedi. In quel sacchetto preso a calci, Andrea non scorse solo l’odiato viso di Giorgio, ma anche la propria immagine, la propria debolezza, la propria inconsistenza, la propria vacua identità. Eppure, nonostante la rabbia che metteva nello sferrare i calci, pure quel sacchetto, alla fine, volò via lontano da lui, senza subire danni: i calci di Andrea furono fendenti sferrati contro il vuoto, contro l’aria umida di quell’autunnale oscurità, contro il silenzio che sembrava assistere alla sua collera impotente. 133 Indice Capitolo I – Ballando nell’oscurità ................................................................................................. 2 Capitolo II – Il silenzio dell’amante................................................................................................ 7 Capitolo III – L’incontro, all’improvviso ..................................................................................... 11 Capitolo IV – Un pomeriggio invernale, mesi prima… (flash-back) ............................................. 15 Capitolo V – Il dubbio assiduo dell’amante .................................................................................. 23 Capitolo VI – Un’altra donna, cercando però la stessa ................................................................. 27 Capitolo VII – “Senza nemmeno avermelo detto” ....................................................................... 31 Capitolo VIII – Uno di troppo..................................................................................................... 35 Capitolo IX – In alto, lontano, sorretto dal nulla .......................................................................... 41 Capitolo X – Un dialogo che spezza il silenzio ............................................................................. 47 Capitolo XI – L’amore di riserva .................................................................................................. 55 Capitolo XII – Un fatto inatteso .................................................................................................. 62 Capitolo XIII – Finalmente, le parole all’inizio............................................................................. 68 Capitolo XIV – La messinscena ................................................................................................... 75 Capitolo XV – La ricerca e la scoperta ......................................................................................... 80 Capitolo XVI – La brezza di lago ................................................................................................. 88 Capitolo XVII – Una notte come se nulla fosse successo ............................................................. 93 Capitolo XVIII – Le certezze di un’estate, poi l’autunno… .......................................................... 96 Capitolo XIX – La discussione e lo strano appuntamento.......................................................... 104 Capitolo XX – Sono tranquillo, però… ..................................................................................... 111 Capitolo XXI – L’ironia della sorte ............................................................................................ 116 Capitolo XXII – Una storia sbagliata ......................................................................................... 120 Capitolo XXIII – Senza nemmeno la forza per salvarsi .............................................................. 124 Capitolo XXIV – Epilogo .......................................................................................................... 128 134