Academia.eduAcademia.edu
Paolo Fabiani RICORDO E IM M AGINAZIONE INTRODUZIONE DIDATTICA ALL’ARTE DELLA M EM ORIA libriliberi INDICE Premessa Copyright © 2011 by Libri Liberi, Via San Gallo 21 - 50129 Firenze tel. 055.213921 - fax 055.2717998 - e-mail libri.liberi@tin.it - w w w.libriliberi.com ISBN 978-88-8415-075-2 Progetto grafico: Antonella Pieraccini Realizzazione editoriale: Sepia - Studio Redazionale, Firenze Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, digitale o altro senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Stampa: Global Print, Gorgonzola (M ilano) Prima edizione: maggio 2011 Ristampe 5 4 3 2 1 0 2011 2012 2013 2014 2015 5 1. La struttura 7 2. Le immagini 20 3. I luoghi 29 4. L’associazione 38 5. L’ordine 51 6. La strategia 58 7. Mnemotecniche fonetiche 67 8. Applicazioni delle mnemotecniche per immagini 75 9. Mappe mentali e mappe mnemoniche 89 PREM ESSA o scopo di questo scritto è fornire un’introduzione alle mnemotecniche per immagini. Quindi non un excursus storico sull’arte della memoria né, tanto meno, un saggio psicologico, ma semplicemente un compendio per potersi avvicinare a questa forma di conoscenza, una chiave con la quale poter aprire la porta della nostra immaginazione sul cortile della memoria. Ecco: “la memoria come risultato dell’uso cosciente dell’immaginazione” è forse l’argomento che più di altri ho qui affrontato. Quindi più un piccolo compendio di “immagino-tecniche” a fini mnemonici che non altro. Credo che il sottotitolo specifichi bene l’intento che mi sono posto: dare un’introduzione alla metodologia propria delle mnemotecniche e, dato che la didattica è la scienza della comunicazione e della relazione educativa (così almeno si legge in molti testi di pedagogia fin anche su internet), tale metodologia non può che essere una “strategia” di apprendimento e quindi, per il verso opposto, di insegnamento. Riprendendo tale definizione, sintetizzando e ampliando il focus dell’attenzione, la potremmo definire una “strategia di comunicazione” e la didattica delle mnemotecniche come la “strategia di comunicazione dell’apprendimento rapido”. Il legame tra mnemotecniche, didattica e comunicazione non è cosa nuova: basti pensare che nell’antica Grecia e a Roma tutti i grandi comunicatori – fossero politici, avvocati o poeti – erano in qualche misura retori e ben addestrati all’arte della memoria. Il target a cui è rivolto questo manuale è lo studente universitario, ma soltanto perché il presente testo può venir utilizzato come supporto per corsi in aula e perché l’arte della memoria è argomento di corsi universitari un po’ in tutto il mondo; personalmente spero possa tornare utile a tutti quelli che lo leggeranno. Al tema qui in oggetto ho già dedicato un altro libro, Il cerchio delle illusioni, e ad esso rimando per ogni eventuale approfondimento. L PREM ESSA 5 Capit olo 1 LA STRUTTURA Utilità L’utilità dell’arte della memoria va sempre molto oltre la tecnica e dipende in buona parte dalla fantasia di ognuno. Oggi pomeriggio, prima di mettermi a scrivere questo paragrafo, ho fatto un lavoro di manutenzione alla porta-finestra che dal soggiorno porta alla terrazza del mio appartamento. Ho dovuto smontare tutto, 41 viti con la borchia uguale ma di lunghezza variabile, quindi non intercambiabili: come fare per non sbagliarsi a riavvitarle? Mi sono immaginato sul tavolo una copia in scala della porta-finestra con le sue tre ante e, via via che svitavo e toglievo le viti da quella vera, le posavo sul tavolo in corrispondenza dello stesso punto su quella che mi fingevo. Così ogni vite era al posto giusto e quando sono andato a rimontare gli infissi non mi sono sbagliato. Trucchi come questi ne inventiamo tutti e, spesso, senza neppure farci caso; non serviranno certo a farci vincere un Nobel ma, sicuramente, rappresentano con efficacia come e quanto siano potenzialmente utili le mnemotecniche. La storia delle mnemotecniche è affascinante, anche perché trasversale alla filosofia e alla retorica; la psicologia della memoria essenziale anche perché illuminante ma, l’una e l’altra, travalicano gli intenti di questo breve scritto. L’abate de l’Épée si ispirò all’alfabeto mnemonico di Cosmo Rosselli per la creazione del linguaggio dei sordomuti; Aimé Paris applicò alcuni principi e tecniche mnemoniche nel campo della stenografia di cui egli fu innovatore e, ancora, potremmo continuare con gli esempi, ma è bene che ognuno sia prima di ogni altra cosa l’innovatore di sé stesso; e può darsi infatti che in ogni minimo miglioramento nel nostro modo di pensare si nasconda un piccolo regalo che facciamo a tutti. Viviamo in una società che permette (e spesso impone) una facile fruizione delle notizie ma impedisce la corretta assimilazione delle conoscenze. Troppe informazioni ci giungono da ogni parte, raramente però le elabo1. LA STRUTTURA 7 riamo come parte del nostro bagaglio culturale; riteniamo che alla bisogna possiamo recuperarle ma non è sempre così: le conoscenze entrano a far parte del nostro stesso essere e, anche se spesso non ne siamo consapevoli, influiscono sulla formulazione dei nostri giudizi e delle nostre scelte. Se il nostro patrimonio di conoscenze è scarso e flebili i legami che abbiamo stabilito tra di esse, scarsi e vacui saranno anche i nostri giudizi e superficiali risulteranno le scelte che sulla base di essi prenderemo. Il fine delle mnemotecniche Il fine delle mnemotecniche non è la memorizzazione, ovvero esse non mirano direttamente a memorizzare ma a creare un ordine che permetta il ricordo stabile, duraturo e preciso. Il fine di ogni arte della memoria quindi deve essere sempre un ordine e, a stabilire la fisionomia e la struttura che lo sottintende, è l’immaginazione. Nelle mnemotecniche vi sono elementi esclusivamente soggettivi, altri esclusivamente oggettivi, altri ancor sono elementi soggettivi ma con una “costituzione” oggettiva. Accennare ai primi, esporre i secondi e indicare i rimanenti: questo dovrebbe essere il solo scopo di ogni introduzione all’arte della memoria. L’arte della memoria La “memoria” in quanto “arte” è la quarta e penultima parte della Retorica. Con essa quindi non si intende qui tanto la facoltà naturale della mente quanto il suo esercizio guidato, la sua educazione condotta sotto l’egida dei principi della retorica: consiste nell’esercizio del ricordo in relazione alle altre parti dell’oratoria: inventio, dispositio, elocutio, pronunciatio. Non è chiaro se effettivamente le mnemotecniche siano nate all’interno della riflessione e della pratica oratoria oppure siano di derivazione pitagorica o precedente ancora, fatto sta che è in questo ambito dello scibile che esse hanno conosciuto la loro massima diffusione. Con “arte della memoria classica” si intendono quindi tutte quelle tecniche che, finalizzate a memorizzare “parole” ( memoria verborum ) o “cose-concetti” ( memoria rerum ), determinano non semplicemente un artificio ma creano addirittura una forma mentis, una disposizione complessa e pervasiva che condiziona, quand’anche non definisca, la realtà tutta. Le mnemotecniche moderne, al contrario, sono caratterizzate da un 8 RICORDO E IM M AGINAZIONE maggiore formalismo, da un’impostazione prevalentemente fonetica e fortemente determinata dall’associazionismo delle idee. Le mnemotecniche classiche si fondano invece essenzialmente su tre strumenti: “teatro”, “loci” e “imagines”. Se si devono ritenere dei concetti, si dovrà pensare a un insieme di luoghi – come ad esempio un ampio palazzo composto di molte stanze, oppure un percorso stradale – e imprimersi bene nella mente la loro configurazione. Una volta fissato con la massima accuratezza possibile tale “teatro”, si potrà associare ogni concetto a un’immagine specifica e posizionare l’immagine per ogni concetto da rammentare in una stanza del palazzo o del percorso immaginario, in un ordine identico a quello con cui si intendono ricordare i diversi concetti. Per rievocare i pensieri così appresi, basterà ripercorrere (nella fantasia) una dopo l’altra le stanze del palazzo o le tappe del “tragitto” della memoria; i luoghi che nuovamente rivisiteremo conterranno le immagini dei pensieri che vi avevamo precedentemente collocato, nell’ordine stabilito. Il legame tra le immagini e i concetti ai quali esse rinviano è regolato secondo criteri di somiglianza, analogia, inclusione, contiguità ecc. La nascita delle mnemotecniche Il prologo a ogni trattazione sull’arte della memoria non può iniziare che riportando la storia tramandataci, tra gli altri, da Cicerone: ecco come ce la riassume F. Yates: Nel corso di un banchetto offerto da un nobile di Tessaglia di nome Scopa, il poeta Simonide di Ceo cantò un poema in onore del suo ospite, che includeva un passo in lode di Castore e Polluce. Scopa, meschinamente, disse al poeta che gli avrebbe pagato solo la metà della somma concordata per il panegirico: egli avrebbe dovuto farsi integrare il compenso dagli dèi gemelli, ai quali aveva dedicato metà del poema. Poco dopo, Simonide fu avvisato che fuori lo attendevano due giovani. Si alzò dal banchetto, uscì, ma non trovò nessuno. Durante la sua assenza il tetto della sala del banchetto crollò, schiacciando sotto le rovine Scopa e tutti i suoi ospiti; i loro corpi erano maciullati al punto che i congiunti, accorsi a raccoglierli per la sepoltura, non furono in grado di identificarli. Ma Simonide ricordava i posti a cui essi erano seduti a tavola e poté quindi indicare ai parenti quali fossero i corpi dei loro congiunti. Gli invisibili giovani alla cui chiamata Simonide aveva risposto, Castore e Polluce, avevano pagato generosamente la loro parte del panegirico, facendolo uscire dalla sala del banchetto poco prima del crollo. Proprio questa esperienza suggerì al poeta i principi dell’arte della memoria, di cui si dice che egli sia stato l’inventore. Notando che aveva potuto identificare i corpi degli ospiti mediante il 1. LA STRUTTURA 9 ricordo dei posti a cui erano stati seduti, Simonide si rese conto che una disposizione ordinata è essenziale per una buona memoria1. I principi “operativi” fondamentali delle mnemotecniche sono semplicissimi e vengono sinteticamente esposti da Cicerone con queste parole: Egli [Simonide] dedusse che persone desiderose di addestrare questa facoltà devono scegliere alcuni luoghi e formarsi delle immagini mentali delle cose che desiderano ricordare e collocare queste immagini in quei luoghi, in modo che l’ordine dei luoghi [l’ordine dei luoghi viene anche detto “teatro della memoria” - N.d.A.] garantisca l’ordine delle cose, le immagini delle cose denotino le cose stesse, e noi possiamo utilizzare i luoghi e le immagini rispettivamente come la tavoletta cerata e le lettere scritte su di essa2. Tale passo viene così commentato dalla Yates: Non è difficile afferrare i principi generali della mnemonica. Il primo passo consisteva nell’imprimere nella memoria una serie di loci o luoghi [che nel loro insieme vanno a costituire, è bene ripeterlo, il teatro della memoria - N.d.A.]. Il più comune, benché non il solo tipo di sistema mnemonico di luoghi, fu il tipo architettonico. La descrizione più chiara del processo è quella data da Quintiliano. Per formare una serie di luoghi nella memoria, egli dice, si deve ricordare un edificio, il più spazioso e vario possibile, con atrio, soggiorno, camere da letto, sale, senza dimenticare statue e altri ornamenti che abbelliscono le stanze. Le immagini che devono richiamare il discorso – come esempio, dice Quintiliano, ci si può servire di un’ancora o di un’arma – sono poste, con l’immaginazione nei luoghi dell’edificio già fissati nella memoria. Fatto questo, non appena la memoria dei fatti chiede di essere rivissuta, vengono visitati di volta in volta tutti questi luoghi e i vari depositi sono richiesti indietro ai loro custodi. Noi dobbiamo pensare all’antico oratore che si muove con l’immaginazione attraverso il suo edificio mnemonico mentre costruisce il suo discorso, traendo dai luoghi fissati nella memoria le immagini che vi ha depositato. Questo metodo assicura il ricordo dei vari punti nel giusto ordine, dal momento che l’ordine è fissato dalla successione dei luoghi nell’edificio. Gli esempi dell’ancora e dell’arma dati da Quintiliano possono suggerire che egli avesse in mente un discorso che trattava, in una parte, di materie navali (l’ancora) e in un’altra di operazioni militari (l’arma) 3. Questi riferimenti storici, che via via andremo approfondendo, rendono chiaro in cosa consista l’arte della memoria classica; ora e qui esposti hanno solo uno scopo introduttivo, tanto per familiarizzare la materia che affronteremo nei prossimi capitoli in maniera dettagliata e analitica. 1 Frances A. Yates, L’arte della memoria, Torino, Einaudi, 2007, p. 3. Cicerone, De Oratore II, LXXXVI, 351-354. 3 Frances A. Yates, L’arte della memoria cit., p. 4. 2 10 Figura 1. Simonide préservé par les dieux. Illust razione di Jean-Bapt ist e Oudry (Paris, 16861755). RICORDO E IM M AGINAZIONE 1. LA STRUTTURA 11 Gli elementi La mente si struttura in base all’ordine dell’immaginazione e quest’ultima procede per “luoghi” e “cose” tramite la loro visualizzazione e associazione. L’immaginazione è lo spazio mentale della coscienza. Nell’arte della memoria classica, come accennato, vi sono tre elementi fondamentali: il “teatro”, il “luogo” e la “cosa”. Ad essi ne aggiungo un altro che “non si vede”. Si tratta dell’“ordine” che rappresenta, se così possiamo esprimerci, il meta-elemento dell’arte mnemonica. Gli elementi dell’arte della memoria: la cosa La “cosa” è l’immagine di ciò che dobbiamo ricordarci. È l’oggetto a cui possiamo associare il ricordo e che dobbiamo mentalmente collocare dentro un luogo del nostro teatro della memoria. Se il teatro è la nostra camera da letto, possiamo associare il concetto di “peccato” a una mela rossa che collocheremo davanti alla porta della stanza. Rievocando questa immagine richiameremo così anche il concetto di “peccato”. La cosa è quindi l’immagine del ricordo sia in senso ostensivo (come, ad esempio, la rappresentazione di un treno per ricordarmi il concetto di treno) sia metaforico (l’immagine di una statua con le bilance per rievocare il concetto di giustizia). La memorizzazione della cosa quindi è determinata da due tipi di associazione: quella del significato cui rimanda e quella che ha col luogo in cui la si pone. Se si utilizzano imagines agentes4 si deve aggiungere ad essi anche l’associazione dinamica con altre cose poste dentro allo stesso luogo. Gli elementi dell’arte della memoria: il luogo Il “luogo” è l’immagine di uno spazio (può essere sia reale, come ad esempio una stanza del nostro appartamento, oppure fittizio come l’immagine di un segno dello zodiaco) in cui porre la “cosa” da ricordare. Può quindi essere qualsiasi “spazio” definito e delimitato posto all’interno di un teatro della memoria. Se il teatro è la stanza di un appartamento, luoghi possono essere 4 Parleremo più approfonditamente delle imagines agentes nei prossimi capitoli. 12 RICORDO E IM M AGINAZIONE le sedie, il tavolo, i quadri appesi alle pareti, i divani e ogni altro oggetto ivi presente; se invece è un percorso stradale, luoghi possono essere i marciapiedi, i cancelli, le panchine, gli angoli o gli incroci delle vie, le vetrine dei negozi, le piazzole ecc. Non è necessario che vi siano dei limiti fisici ben definiti a livello cognitivo (ad esempio che un luogo che pongo a un incrocio di una strada sia delimitato da delle paline con del nastro a strisce bianche e rosse), è sufficiente che si consideri quel determinato spazio come un luogo. La trattatistica pone ben definite e meticolose regole per costruirsi i luoghi. Essi non devono essere né troppo grandi, né troppo piccoli, né troppo bui né troppo illuminati, non devono essere troppo affollati né troppo vicini; d’altra parte non devono essere troppo lontani ecc. – insomma, se si ascoltano tutte le voci, non potremo mai costruirci un teatro della memoria. Il mio consiglio è quello di scegliersi un teatro di tipo architettonico o un percorso o quello che volete e iniziare a suddividerlo in luoghi, sarà poi la vostra fantasia a parametrizzare i luoghi alla vostra immaginazione. Gli elementi dell’arte della memoria: il teatro Esso è in definitiva la nostra stessa mente se, per estensione, vogliamo definire la coscienza come il teatro in cui si pensano e, quindi, si ricordano le idee, i concetti, le sensazioni. In senso “tecnico” un teatro della memoria è un insieme – costruito dal mnemonista – di luoghi, di spazi mentali a immagine e somiglianza dei luoghi, posti, spazi reali. Un teatro è quindi un insieme finito, ben determinato, sempre uguale a sé stesso, di immagini rappresentanti “luoghi” in cui poi porre altre immagini rappresentanti le cose che si dovranno rammentare. Anche se nel Rinascimento c’è stato chi ha cercato di costruire veri e propri teatri a fini mnemonici si deve pur osservare che tali tentativi sono stati soltanto eccezioni dal valore storico; nella pratica del passato, come odierna, il teatro della memoria non necessariamente doveva, né deve e – aggiungiamo – non è auspicabile che sia un vero “teatro” ma, semplicemente, un insieme strutturato di luoghi; quindi una stanza, un percorso, un palazzo, una strada ecc. Il concetto importante da capire è che il teatro è l’ordine del pensiero. Miseri e vaghi infatti sono i ricordi quando non vengono ordinati. Il teatro è lo spazio all’interno del quale si trovano i luoghi, i posti in cui porre le cose in quanto custodi dei pensieri. L’ordine e la struttura dei luoghi determinano l’ordine e la struttura delle cose, ovvero dei ricordi. Luoghi e teatro sono elementi stabili del1. LA STRUTTURA 13 le mnemotecniche, mentre le cose sono elementi variabili. Posso, e anzi devo, utilizzare sempre gli stessi teatri fatti dagli stessi luoghi, ordinati nella medesima disposizione, per memorizzare cose sempre differenti. Gli elementi dell’arte della memoria: l’ordine È la costituzione stessa di un teatro, ovvero di un insieme di luoghi immaginari gerarchicamente strutturati all’interno della mente e, contemporaneamente, la capacità associativa che la mente stessa ha nel collegare tra loro le immagini. Tutto ciò costituisce in maniera naturale un modello gerarchico in grado di dare coerenza a uno sciame di per sé frammentario e frammentato di conoscenze. Porsi delle domande “Come posso fare a ricordarmi questa cosa?”. Quando intendiamo assimilare una nozione, di qualunque natura essa sia, non ci poniamo mai la domanda: come posso fare a ricordarmi questa cosa? Ci lasciamo guidare dalle nostre abitudini di apprendimento ripetendo la parola oppure cercando di fissare nella nostra mente la nuova conoscenza come se si trattasse di un soprammobile da posare su un panno ricamato a uncinetto, come se lo sforzo di ritenzione potesse far partorire il ricordo. Ma così non è. Dobbiamo invece iniziare ponendoci dei quesiti su quali possono essere gli aspetti, le caratteristiche delle informazioni che potranno permetterci di rammentarle. Procedere così, è bene chiarirlo subito, risulta abbastanza inutile se non si conoscono i meccanismi della memoria, quindi fin da subito interrogandoci sulle modalità di apprendimento delle nozioni – ben consapevoli però che la risposta o, meglio, le risposte verranno col tempo e saranno tanto più approfondite e mirate quanto più a lungo praticheremo l’arte della memoria. pensiero, è quasi completamente inutile. Essa forza infatti il pensiero sulla rievocazione (si ripete infatti ciò che si vuol ricordare e ricordare, a sua volta, viene fatto coincidere con il riprodurre in un secondo momento quello che adesso stiamo ripetendo per poterlo assimilare) 5, ma i pensieri non ben assimilati non possono venir rievocati dall’imitazione della conoscenza se prima non sono stati compresi e fissati. La ripetizione indefinita non serve né alla fissazione né alla comprensione, quindi è inutile quand’anche dannosa. La ripetizione che aiuta la fissazione della conoscenza dopo la sua comprensione è un’altra cosa; è un’altra cosa anche rispetto alla ripetizione cosiddetta attiva, la ripetizione cioè non meccanica ma rielaborativa, che costringe il soggetto a uno sforzo di comprensione e di argomentazione personale. Quest’ultima fattispecie di metodologia non è né dannosa né inutile ma è deficitaria dal punto di vista strutturale; ovvero, per quanto si possano aver comprese le questioni, i concetti, le formule, i teoremi ecc. se non vengono fissati su uno schema di conoscenze ben definito nella mente di chi li impara resteranno sempre qualcosa di vacuo oppure richiederanno un ulteriore sforzo mnemonico per diventare ricordi permanenti. Rielaborare e legare tra loro conoscenze nuove non garantisce minimamente il ricordo se contemporaneamente non si legano tutte a conoscenze stabili e stratificate nella nostra mente. Quindi si deve prima trovare un sistema per fissare le conoscenze a mente e dopo, ma soltanto dopo, ripeterle in maniera attiva, ovvero rielaborativa. Ricordo e immagine È universalmente noto che si ricordano con maggior facilità le cose legate a immagini sensibili. È certo più agevole fissare nella mente i pensieri attraverso immagini che non con concetti astratti. Gli esempi che potremmo fa5 Il “peso” del ricordo ricade in gran parte nel momento iniziale, nella prima fase assimilativa e soltanto marginalmente sulle modalità rievocative; per questa ragione la ripetizione fine a sé stessa, che mima cioè la rievocazione del Se adesso per imparare a chiedere in inglese “Che tempo faceva a Firenze?” ripeto dieci volte la frase: “What was the wheater like in Florence?” significa che spero che questo esercizio mi sia utile nel futuro quando vorrò chiedere a qualcuno “Che tempo faceva a Firenze?” in inglese. Ripeto semplicemente perché spero che se in futuro avrò necessità di ricordarmi qualcosa lo potrò ripetere come faccio adesso: la semplice ripetizione fine a sé stessa non serve “quasi” a niente perché ripete la conoscenza adesso, quando è presente alla mente e all’attenzione, ma non aiuta minimamente a costruire schemi per fissarla nel lungo periodo. La ripetizione quindi non fa altro che mimare il ricordo, ma non lo crea. Accade così perché la memorizzazione non è la rievocazione. Insistere sulla ripetizione del contenuto di pensiero è vano, cosa ben diversa è invece la ripetizione delle nozioni in fase di memorizzazione; non quindi la ripetizione della nozione, bensì la ripetizione mentale delle immagini che servono a fissare nella mente le nozioni in vista di una futura reminiscenza. 14 1. LA Il carico del ricordo RICORDO E IM M AGINAZIONE STRUTTURA 15 re si sprecano, ci limitiamo quindi a osservare che ci ricordiamo sempre e con precisione quelle cose che abbiamo visto in determinati luoghi e ben precisi momenti. Quindi la via maestra per la memorizzazione efficace passa per la strategia di costruirsi, inventarsi sempre delle immagini “ben definite” per le cose che si vogliono ricordare. specie di situazione risiede fondamentalmente nel fatto che abbiamo fatto un uso cosciente dell’informazione: il nome Francesca non ci viene passivamente comunicato ma viene da noi attivamente utilizzato, e gran parte dell’attività richiesta risulta svolta dall’immaginazione. Uso “ interno” dell’informazione Associazione e astrazione Nello studio così come in molte altre attività “mentali” si legano immagini a concetti astratti. L’associazione di un’immagine (che assume la funzione di simbolo) a un concetto non è questione né semplice, né di poco conto. In prima approssimazione possiamo affermare che si ricordano con minor sforzo le immagini legate ad altre immagini o le immagini che hanno un legame naturale (il che vuol dire fondato a sua volta sulla sensibilità e sull’immaginazione) con i simboli che rappresentano. Là dove vi sia un’immagine con un legame arbitrario e formale con i significato che la denota, la mente umana compie uno sforzo. Ancor più sforzo si compie quando – nel ricordare e, per estensione, nel pensare – si deve continuamente mutare piano logico-analogico. Il continuo variare dal pensiero logico astratto a quello immaginativo analogico costringe la nostre mente a uno sforzo e a un continuo “fermarsi-ripartire” che la fa procedere per scatti. Qui risiede per molti la difficoltà nell’apprendimento della matematica e di tutte le materie che richiedono un particolare sforzo astrattivo. Uso volontario dell’informazione Quando ci viene presentata una persona di nome Francesca e ci limitiamo a rispondere “Piacere!”, “Come va?” e iniziamo una conversazione (breve o lunga che sia non importa) senza però “ratificare” la conoscenza acquisita (il nome dell’interlocutrice), ben difficilmente ci ricorderemo che quella persona si chiama Francesca. Stesso discorso se ci mettiamo a ripetere mentalmente: “Francesca, Francesca, Francesca…”. Se invece rispondiamo al primo saluto con “È un piacere conoscerti Francesca!” oppure – nel corso della conversazione – “…e tu Francesca cosa ne pensi di questa cosa?”; le probabilità di ricordarsi del nome di quella persona anche in futuro aumentano considerevolmente. La differenza tra la prima e la seconda fatti16 RICORDO E IM M AGINAZIONE Non è necessario “agire” nel mondo esterno per fissare le informazioni nella nostra memoria, è sufficiente pensare di farlo. Non importa quindi ripetere a voce alta il nome di una persona appena conosciuta per memorizzarlo, basta pensare di farlo. Altrimenti detto non devo pensare tra me e me “Come è bella questa ragazza”, bensì “Come è bella Francesca”, “Quasi quasi chiedo a Francesca di uscire insieme questa sera”. Se devo memorizzare la frase inglese “How long are you here for?” il fatto di trovarmi in Inghilterra e chiederlo realmente a una persona è certo d’aiuto ma, ai fini mnemonici, immaginarsi di trovarsi in Inghilterra e di domandarlo a una specifica persona (per esempio al principe Carlo) produce lo stesso effetto. Uso volontario, interno e reiterato dell’informazione Pensiamo di trovarci in Inghilterra, in una determinata città, in una determinata strada e in un ben specifico momento (tutti diversi dalla situazione precedente in cui ponevamo la domanda “How long are you here for?” al principe Carlo); immaginiamoci di porre la stessa domanda a un’altra ben precisa persona, ad esempio a una ragazza di Bristol di nome Jane che abbiamo conosciuto al mare l’estate scorsa. L’apprendimento della frase risulterà notevolmente agevolato da questo modo di procedere. Uso volontario, interno, reiterato e congruente dell’informazione Immaginiamo di essere poliziotti in servizio di pattuglia nel centro di Firenze e di dover fare dei controlli ai turisti. Immaginiamo di dover chiedere i documenti al principe Carlo e di domandargli per quanto tempo resterà (“How long are you here for?”). Immaginiamo di dover fare poi la stessa co1. LA STRUTTURA 17 sa con Jane e infine con altre persone ancora. Immaginiamo di fare il controllo e la conversazione con il principe in Piazza della Signoria, con Jane in Via Calzaiuoli e con una terza persona (pensiamo però sempre a una specifica persona reale) in Piazza del Duomo. Le tre situazioni rispecchiano il significato della domanda, sono in un certo modo “congruenti” con essa, sono ad essa adeguate, anche dal punto di vista “topografico” essendo i tre luoghi tra loro in successione spaziale. Tutto ciò rafforza la memorizzazione della frase. ralmente. Se le mnemotecniche (e la memoria nel suo complesso) siano dipendenti più dall’ordine che dall’immaginazione è questione vecchia e resterà sempre senza una soluzione definitiva. Qui non si intende certo superare questo millenario dilemma, fatto sta che l’aggettivo “dinamico” attribuito al sostantivo “ordine” va, se non altro, a mediare le due opposte fazioni (quella cioè che vede nell’immaginazione il cardine della memoria e l’altra che invece lo attribuisce all’ordine) in quanto per dinamico si intende proprio modificabile e strutturabile in considerazione dell’immaginazione e della sua fenomenologia. La diversità coerente Il dato da memorizzare va quindi inserito all’interno di un contesto diversificato, non va considerato sub specie aeternitatis, ma sempre in relazione ad altri elementi che gli facciano da cornice. Le immagini con il concetto (o il numero, o la frase o qualsiasi altra cosa) da memorizzare devono essere di volta in volta differenti pur permettendo una certa congruenza tra loro che richiami il dato da memorizzare. Riferendosi all’esempio precedente le scenette di noi che facciamo i poliziotti e chiediamo i documenti ai turisti è certo coerente con la domanda “How long are you here for?”; la differenza di persona a cui ci si rivolge (il principe Carlo, Jane ecc.) e di “location” (Piazza della Signoria, piuttosto che Via Calzaiuoli o Piazza del Duomo) mette in maggior risalto per contrasto (e a volte anche per opposizione o contraddizione) ciò che invece permane, ovvero la domanda che noi poniamo e che è sempre la stessa. M nemotecniche e schema mentale dinamico L’errore da molti commesso è quello di ritenere le mnemotecniche delle metodologie per ricordare le cose. Questo è vero solo in parte; a esser precisi (ma è una precisazione necessaria) le mnemotecniche non devono mirare direttamente al ricordo ma alla costruzione di un ordine mentale all’interno del quale potersi ricordare le cose. Quindi l’obiettivo diretto e primario non è il ricordo ma l’ordine e non un ordine statico bensì dinamico. Soltanto così potrà esser raggiunto anche l’obiettivo secondario che è appunto la memorizzazione, ma si tratta di un risultato “secondario” nel senso che se si ottiene il primo questo viene di conseguenza, segue quasi natu18 RICORDO E IM M AGINAZIONE 1. LA STRUTTURA 19 tale, è quella di pensare a un oggetto specifico che conosciamo, quindi, ad esempio, nel mio caso penserò al coltello con cui taglio il pane e cercherò di figurarmelo in tutti i suoi aspetti: dimensione, peso, colore del manico, affilatura ecc. Inoltre l’immagine deve essere quanto più naturale possibile, non deve cioè venir mediata da una riflessione che ne appesantirebbe la rievocazione; deve essere naturale perché se risulta da un’operazione di riflessione e ragionamento ci si dovrebbe ricordare anche della catena logica di ragionamenti che ci hanno portato a sceglierla. Dato che ciò non è possibile se non al prezzo di eccessivi sforzi si deve concludere e caldamente consigliare di formarsi le immagini con quanta maggiore rapidità e immediatezza possibile. Ciò è garanzia di naturalezza e appropriatezza dell’immagine alla cosa, sicurezza del ricordo. Capit olo 2 LE IM M AGINI Immagine e pensiero A parte rari casi (e che comunque restano molto dibattuti) che riguardano soprattutto i filosofi, tutte le volte che pensiamo a qualcosa, a qualsiasi cosa, la nostra mente evoca un’immagine. Ora, dato che tale immagine è il prodotto di un processo cognitivo che ha proprio in essa il risultato – l’esito finale – si deve ovviamente concludere che essa risulta quindi indissolubilmente legata al “meccanismo” logico-cognitivo che l’ha generata. Dirlo sembra tautologico ed effettivamente lo è, ma spesso ci comportiamo come se così non fosse. Quindi se intendiamo legare il ricordo a un’immagine dobbiamo considerare la natura della cosa da ricordare e la struttura dell’immagine con cui intendiamo assimilarla. Generalmente l’immagine che per prima viene in mente quando pensiamo a qualcosa è quella giusta. Ciò accade perché la nostra mente crea un’associazione istantanea, non mediata dalla riflessione, per cui agisce nel modo per lei più naturale. Se invece stiamo a riflettere su quale sia l’immagine più consona per ricordarsi un concetto ci facciamo condizionare dai nostri obiettivi, dalle nostre credenze e da quelli che sono i nostri scopi “generali”, insomma più ci stiamo a riflette più è facile sbagliare. Facciamola scegliere alla nostra immaginazione, senza mediazione dell’intelletto, l’immagine appropriata. Leggerezza dell’immaginazione Un luogo comune tristemente diffuso vuole che più cose si immaginano, più si appesantisce l’immaginazione, più si affatica la memoria. È una falsità, certo, ma che ha la sua ragion d’essere. Ciò accade perché le persone cercano sempre di collegare le immagini sensibili a concetti tramite un’astrazione coatta, tramite collegamenti forzati, arbitrari e convenzionali. Inoltre tale luogo comune trova sostegno su un’altra credenza banale e falsa: credere che la memoria sia come un magazzino, un contenitore di ricordi. La memoria non è un contenitore ma un’attività, la memoria è per buona parte immaginazione, attenzione e fantasia, per altra parte è ordine. Le persone, se ben considerate, possono dimostrarcelo: le più fantasiose, che spesso sono anche quelle che le “sparano grosse”, sono pure quelle con l’immaginazione più pronta. Immagini di concetti astratti Generalmente l’immagine del concetto, se è riferita a una cosa materiale, viene alla mente immediatamente. Se dobbiamo ricordarci la parola “coltello”, immaginiamoci un coltello, se dobbiamo ricordarci “auto” pensiamo a un’auto e via dicendo. L’unica accortezza, ma è un’accortezza fondamen- Quando dobbiamo associare un concetto astratto a un’immagine la prima regola da seguire, come su accennato, resta sempre quella di far trovare alla mente la soluzione senza starci a riflettere sopra. Anche in questo caso l’immagine più efficace sarà quella più intuitiva, più immediata. Per concetti universali astratti, quali libertà, giustizia, legge, amore ecc. l’associazione con la Statua della Libertà, la statua con le bilance ecc. sono facili allusioni e, se vengono istintive, sicuramente efficaci. Ognuno ha una sua propria 20 2. LE IM M AGINI Rapidità dell’immaginazione RICORDO E IM M AGINAZIONE 21 immaginazione per cui non si può “prescrivere” la lista delle immagini; ciascuno è bene che si crei le proprie e faccia i propri collegamenti personali, che devono essere quanto più “sensibili”, “materiali”, naturali e immediati possibile. Per altri concetti astratti, più che a una sola immagine, generalmente si fa ricorso a un insieme di immagini in movimento o, altrimenti detto, a una scenetta. Per cui, facendo alcuni esempi, se devo ricordarmi l’avverbio “attraverso” penserò ad Alice che passa “attraverso” uno specchio (come dal titolo di L. Carroll, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò); oppure se devo rammentare la parola “nonostante” mi immaginerò uno del mio paese, noto cornuto ma che, “nonostante” tutto, non vuol divorziare dalla moglie. Per i numeri, per le formule, i teoremi, le leggi della fisica e della chimica e via dicendo ovviamente vi sono altri accorgimenti che affronteremo altrove. La regola generale, comunque, è sempre la stessa: cercare di rendere concetti astratti in immagini concrete. Tipi di immagini Le immagini che ci rappresentiamo sono, generalmente, corrispettive ai nostri cinque sensi. Sebbene quando ci si riferisce al termine immaginazione si pensi subito all’immaginazione visiva, alle figure, si deve tenere nel dovuto conto che esiste anche un’immaginazione olfattiva, tattile ecc. L’immaginazione visiva è certo fondamentale ed è quella che la maggior parte delle persone sono abituati a utilizzare e sviluppare, ma non dobbiamo dimenticarci anche delle altre che, soprattutto nelle mnemotecniche, possono tornarci molto utili. Immaginazione visiva Inutile nascondersi però che l’immaginazione visiva sia quella più importante. Essa va sviluppata, per quanto possibile, in ogni suo aspetto. È quella che permette una più rapida e inconsapevole astrazione dall’immagine al concetto; infatti posso astrarre il concetto di cerchio dalla forma del formaggio ma non dal suo odore, se non “per interposta immagine” appunto, nel senso che dall’odore del formaggio passo alla visualizzazione della forma e da questa alla rappresentazione del cerchio e di qui al concetto geometrico del cerchio. L’immaginazione visiva è quindi, in prima approssima22 RICORDO E IM M AGINAZIONE zione, un’immaginazione complessa; dal punto di vista dell’arte della memoria consta di un primo piano, di uno sfondo, della gestione dei colori e della definizione delle forme. Tanto più l’immagine visiva è complessa, ricca, tanto più è naturale, ovvero vicina alla percezione. Là dove invece sia settorializzata, se ne consideri cioè soltanto la forma, o i colori, o la relazione fra le figure e i colori (come nel primo piano in contrapposizione allo sfondo) si insinua l’astrazione e il ricordare si fa sempre più faticoso. Logica dell’immaginazione L’immaginazione visiva inoltre è quella che determina in gran parte la logica delle mnemotecniche. Infatti si deve tener presente che le mnemotecniche sono una modalità di pensiero ben precisa e che, al di là della banale “parentela” con la fantasia sfrenata, hanno una loro logica abbastanza ferrea; soltanto che detta modalità non è la strategia della ragione, bensì quella loro (delle mnemotecniche) peculiare. Fin tanto che nella strutturazione dei ricordi seguiamo la logica dell’immaginazione (che procede più per intuizione che per deduzione, più per analogia sensibile che per congruenza astratta, per somiglianza estrinseca piuttosto che per identità concettuale) la memorizzazione è fluente ed efficace; se al contrario intercaliamo immagini sensibili a concetti astratti si verifica quello che Henri Bergson definiva lo “sforzo intellettuale”1 per cui la memoria o si appesantisce o defluisce nell’oblio. Visualizzazione e reificazione mnemonica Come già accennato, la visualizzazione delle cose è importantissima. Se dobbiamo ricordarci di un concetto dobbiamo formarci un’immagine di esso, o relativa ad esso, nella nostra mente. Tale immagine va poi visualizzata come se fosse realmente davanti ai nostri occhi, come se fosse presente effettivamente lì di fronte a noi. Studi scientifici hanno dimostrato che, a livello neurologico, vi è solo una minima differenza tra il percepire realmente una mela e l’immaginarsela come una cosa reale (reificazione mnemonica), ovvero come se la si stesse effettivamente percependo. 1 Henri Bergson, L’énergie spirituelle, Paris, Presse Universitaires de France, 1996, pp. 153-190. 2. LE IM M AGINI 23 Sinestesia ovvero prendere il presente per reale Ci si deve immaginare le cose come vere: pur essendo semplici prodotti dell’immaginazione, devono venir credute oggetti presenti, come fossero effettivamente percepite. Il mnemonista deve esercitarsi a percepire le proprie fantasie mnemoniche: se deve ricordarsi di “prendere le chiavi” quando esce di casa, deve immaginarsi il mazzo di chiavi nella sua mano, deve sforzarsi di vederlo e di sentirne il peso, deve dare alla propria mente la forza di percepire “quasi” realmente ciò che in verità è solo nella sua immaginazione e non soltanto vederlo ma sentirne anche il peso e tutte le altre qualità tattili. Così quella che originariamente era una figura retorica (la sinestesia) diventa uno strumento psichico di memorizzazione. L’artista della memoria è un visionario consapevole di esserlo. Definizione delle immagini Per realizzare l’effetto “visione reale” ci si deve esercitare a rappresentarsi le immagini nella maniera più definita, precisa possibile. L’immagine deve essere chiara e distinta. Così se dovrò ricordarmi la parola “benzinaio” dovrò immaginarmi il benzinaio da cui vado normalmente a fare il pieno all’auto; raffigurarmelo nell’atto di compiere il suo lavoro con la sua tuta, il suo berrettino, ecc. osservando tutto nei più precisi particolari (colore degli indumenti, se è destrorso o mancino e via dicendo); non è certo indispensabile che l’immagine abbia tutte le caratteristiche della cosa realmente percepita, ma più vi assomiglia meglio è. Figura 2. Robert Fludd, Utriusque Cosmi M aioris scilicet et M inoris M etaphysica, Physica Atque Technica Historia: In duo Volumina secundum Cosmi differentiam divisa, Theodori de Bry, ed. 1619, p. 217. Diagramma descrittivo dei processi percettivi e psicologici della mente umana, nonché della loro interrelazione a livello psicofisico. Al di là del simbolismo ermetico-teosofico e delle motivazioni metafisiche implicite, questa illustrazione è per noi importante soprattutto perché, meglio di altre, rende l’idea di come sensibilità, immaginazione e intelletto vadano a confluire nel costituirsi della conoscenza e, conseguentemente, forniscano anche una spiegazione del funzionamento delle mnemotecniche. La memoria infatti non è un mero prodotto della riflessione astratta o dell’apprendimento libresco, ma un’equilibrata miscellanea di sensibilità e intelletto, immaginazione e astrazione; cosa che, del resto, anche Fludd ben sapeva essendo egli stesso un cultore dell’arte della memoria. 24 RICORDO E IM M AGINAZIONE Neuroattivazione e immaginazione Definire le immagini con precisione nella propria mente e conferirgli caratteri multisensoriali (sinestesia) serve ad attivare risposte neurofisiologiche reali. Facciamo un esempio: affacciarsi a un finestrino del treno mentre è in corsa e immaginarsi con tutta la propria fantasia di star per precipitare farà sicuramente sorgere in noi un sentimento di angoscia se non anche un’immediata emozione di paura. Si tratta certo di un esempio un po’ esagerato, ma il principio che lo sottintende è fondamentale. 2. LE IM M AGINI 25 Emotività dell’immagine Ogni immagine che ci rappresentiamo a fini mnemonici deve suscitare un’emozione e anche sempre accompagnarla. Dobbiamo essere emotivamente coinvolti da ciò che pensiamo affinché i ricordi facciano maggior presa. Ogni cosa che pensiamo deve o attirarci, o ripugnarci, interessarci o schifarci e, se nella realtà spesso così non è (dato che riceviamo dall’ambiente anche informazioni che ci lasciano totalmente indifferenti), dobbiamo sforzarci di dare una coloritura emotiva a tutte le immagini che mandiamo a memoria. L’emozione che suscita un ricordo di un fatto realmente accadutoci è facile da identificare, perché è legata dalla nostra esperienza di vita. Un fatto da noi solo immaginato, per poter poi essere ricordato, deve essere investito “a priori” da un’emozione. Mentre il ricordo “naturale” genera un’emozione; nel caso delle mnemotecniche dev’essere l’emozione ad aiutare a suscitare il ricordo. L’emozione indotta nell’immagine mnemonica ha quindi una funzione diversa dalla passionalità di un ricordo di un fatto reale: sebbene sia identica nel risultato è, in definitiva, una suggestione. Il consiglio da dare è quindi semplice: carichiamo emotivamente le immagini dei concetti che intendiamo ricordare. Se dobbiamo imparare una lezione di matematica che di per sé non suscita nessun particolare sentimento (se non la frustrazione di chi non la capisce o un gradevole autocompiacimento in chi invece riesce ad apprenderla) cercheremo di crearci immagini dei concetti in essa inclusi e connotarle emotivamente. Ci sforzeremo di provare veramente quei particolari sentimenti come se le immagini non fossero soltanto nella nostra mente ma divenissero reali. mo fingerci delle cose cerchiamo di attribuire loro i caratteri dell’esagerazione e dell’eccentricità. Questo in definitiva dicono tutti i manuali di mnemotecniche; vorrei però precisare che ciò non sempre è indispensabile e, tanto più ci si abitua a gestire le proprie immagini mentali, tanto meno si sente il bisogno di esagerarle. Immagini eccentriche Il padrone che morde il cane fa più notizia del cane che morde il padrone: regola base, come noto, del giornalismo, ma si tratta di una regola proprio perché l’insolito attira l’attenzione e si mantiene in mente più del “solito”. Una variante delle immagini esagerate è quindi la categoria delle immagini eccentriche. Le esagerazioni spesso però rappresentano soltanto una “differenza” quantitativa rispetto a una cosa normale, e vengono riferite generalmente a una sola immagine o, meglio, all’immagine di una singola cosa (anche se va precisato che non sempre, né necessariamente, è così); al contrario le immagini eccentriche sono rappresentazioni composite in cui uno o più elementi vengono accostati a un altro o altri elementi in maniera inusuale, imprevedibile e anche improbabile. Se devo rappresentarmi Babbo Natale nell’atto di tagliare il panettone, l’immagine avrà maggior forza mnestica se egli utilizzerà una katana (la spada dei samurai) che non un semplice coltello da cucina. Eccentrico, nel nostro discorso, è quindi tutto ciò che viene associato senza che vi siano fra i componenti del ricordo elementi di affinità, relazione logica, prossimità o consuetudine. Esagerazione delle immagini Immagini in movimento Uno dei sistemi per dare una tonalità emotiva alle immagini è quella di esasperarle. Immagini eccessive e forti restano impresse nella mente più di quelle consuete e deboli. Ciò ovviamente ha un valore anche per quel che concerne l’attenzione. Un tuono attira la nostra attenzione in proporzione di quanto è rumoroso e tanto più il fulmine è vicino; se per la strada, camminando, incrociamo un uomo alto 2,10 m probabilmente attirerà la nostra attenzione e ci rimarrà impresso più di uno alto 1,75 m. Una persona vestita in maniera estremamente stravagante sortirà lo stesso effetto e in misura maggiore di un’altra dall’aspetto ordinario. Quindi quando dobbia- Nell’arte della memoria classica si definivano imagines agentes, ovvero delle immagini in cui vi è qualcuno o qualcosa che compie un’azione su qualcuno o su qualcos’altro. In realtà il concetto di imagines agentes è un po’ più complicato e l’ho affrontato in altra sede in maniera approfondita2. Qui limitiamoci a dire che un “oggetto” in movimento attira la nostra attenzione e si mantiene nella nostra memoria meglio di uno statico. Ciò avviene per 26 2. LE IM M AGINI RICORDO E IM M AGINAZIONE 2 Paolo Fabiani, Il cerchio delle illusioni. Arte della memoria ed esperienza dell’immaginazione, Firenze, Libri Liberi, 2010. 27 vari motivi ma, soprattutto, perché una cosa immobile viene, o può venire, considerata da sola, sub specie aeternitatis; mentre una in movimento deve sempre venir considerata in relazione a qualcos’altro. Quindi nei luoghi più che un singolo elemento conviene sempre immaginarsi delle “scenette”, in cui c’è qualcosa che si muove e che “agisce”. Capit olo 3 I LUOGHI Parametrizzazione delle immagini Parametrizzare le immagini nella nostra mente significa ingrandirle o rimpicciolirle e, in ogni modo, adattarle al luogo (mentale) in cui porle o alle altre cose (anch’esse immagini mentali) a cui accostarle. Non soltanto dobbiamo immaginarci le cose per meglio ricordarcele, ma dobbiamo anche immaginarcele come più o meno grandi per poter rafforzare o, comunque, indirizzare il ricordo. Si tratta di un continuo adattamento che si deve apportare tra immagini e tra immagini e luoghi che investe non soltanto meramente le dimensioni di un’immagine ma anche la prospettiva su di essa. Infatti se devo immaginarmi un cartone di latte da 1 litro a 1 metro di distanza mi figurerò certo un’immagine di dimensioni maggiori (rispetto al luogo in cui la pongo) che non se fosse a 10 metri. Esercitarsi a parametrare coscientemente le immagini, modificandone le dimensioni che naturalmente saremmo portati ad attribuir loro, è un esercizio fondamentale dell’arte della memoria non sufficientemente valorizzato dalla quasi totalità degli studiosi di questa disciplina. “ Cosa” , “ luogo” e “ teatro” sono immagini Le immagini da sole non sono sufficienti a costituire un’arte mnemonica efficace. Come ci insegna la storiella di Simonide, le immagini devono venir collocate in un luogo loro specifico. L’ordine dei luoghi, la loro successione, vanno così a costruire il teatro della memoria. Una cosa deve esser ben chiara: “cosa” da ricordare, “luogo” e “teatro” sono tutte e soltanto immagini. Quindi se definiamo il teatro come l’ordine dei luoghi e questi ultimi il deposito delle immagini risulta ovvio che l’ordine è determinato dai criteri di concatenazione e associazione dei luoghi, nonché dalle strategie utilizzate per rievocare da essi i ricordi. La logica è quindi una logica delle immagini perché si tratta di una tecnica per immagini anche se, ovviamente, le immagini poi si possono – e in tanti casi si devono – associare a concetti astratti. I luoghi naturali dell’immaginazione Tutto in uno Tutte le caratteristiche fin qui assegnate alle immagini mnemoniche devono o, almeno, dovrebbero essere presenti contemporaneamente in ogni immagine creata a fini mnemonici. Sinestesia, eccentricità, emotività, movimento, esagerazione, parametrizzazione e, non di rado, esasperazione se inserite una alla volta nelle nostre immagini le rendono più forti e più stabili nella memoria; se applicate tutte insieme a ogni ricordo lo rendono quasi indimenticabile. 28 RICORDO E IM M AGINAZIONE Pensiamo al nostro appartamento; è composto di stanze e ognuna di esse ha una sua specifica ragion d’essere e funzionalità. La cucina per fare da mangiare e pranzare; il bagno per lavarsi; la camera da letto per dormire; il ripostiglio per depositare gli oggetti che utilizziamo sporadicamente ecc. Ogni cosa al suo posto, come recita un vecchio proverbio, e questa è anche la regola fondamentale per costruire i luoghi di un teatro della memoria. Il luogo è il contenitore della cosa, quindi, quando andremo a costruirci il nostro teatro della memoria, dovremo fare attenzione a come e dove andremo a collocare le cose. I luoghi devono venir fissati con accuratezza nella nostra mente. I luoghi nel loro insieme altro non sono che il teatro, quindi parlare dei luoghi significa parlare del teatro. 3. I LUOGHI 29 La scelta non è indifferente. La mia considerazione è semplice: conviene iniziare sempre dai teatri naturali, ovvero da luoghi reali in cui siamo stati. Se possibile conviene costruirci dei teatri della memoria in luoghi a noi familiari, ovvero la nostra casa, il percorso da casa a lavoro ecc. Il luogo reale è sempre da preferire all’artificiale, il luogo ben definito sempre da preferirsi al vago, il familiare all’estraneo. Una volta memorizzato bene il teatro... lo si deve percorrere soltanto mentalmente! di facilitare la memorizzazione non solo delle cose ma, elemento molto più importante, dei luoghi stessi. Fra chi usa teatri a percorso c’è chi preferisce alternare i luoghi a destra e a sinistra rispetto al senso di marcia. Si tratta di inserire un elemento di discontinuità controllato e quindi qualcosa che va a creare una regola logica che aiuta la memorizzazione. Quando si ripercorre mentalmente un tracciato e si fissano le cose nei luoghi, conviene sempre considerare (“lanciare uno sguardo”) non soltanto la cosa nel luogo che si sta memorizzando ma anche la cosa e il luogo che precedono e la cosa e il luogo che seguono. Ciò crea ulteriori e forti legami nella catena mnemonica. Uso dei luoghi nel teatro La figura e lo sfondo Il teatro della memoria – anche se costruito sulla base di un percorso, di un posto realmente esistente – è un fatto esclusivamente mentale. Ovvero: una volta che si è mentalmente definito e stabilito ogni luogo in sé e il teatro nel suo complesso non dobbiamo metterci a percorrerlo realmente ma soltanto mentalmente. Il continuo e sistematico uso dei luoghi garantisce della stabilità del teatro. Come si è in grado di percorrere mentalmente con estrema facilità (fin anche nei minimi particolari) il percorso che da casa nostra tutti i giorni ci conduce alla fermata dell’autobus, così dobbiamo essere in grado di fare con il nostro teatro della memoria. Dobbiamo percorrerlo mentalmente quanto più possibile e dobbiamo esercitarci, tutte le volte che lo “navighiamo” con la nostra immaginazione, a inserirci delle cose che ci rappresentino i concetti che dobbiamo memorizzare. Il luogo deve essere per il mnemonista quanto più chiaro e definito possibile e l’immagine quanto più forte e precisa egli riesca a rappresentarsela. Può capitare di avere luoghi grandi (ad esempio un incrocio tra due strade) e cose piccole da porvi (ad esempio una catenina d’oro) oppure il contrario (un soprammobile sul comò in camera sul quale inserire l’immagine di un veliero inglese del XVIII secolo); il problema è sempre lo stesso: come fare? La risposta è semplice: parametrizzare. Il vantaggio dell’immaginazione sulla realtà è che può ingrandire e ridurre le cose a proprio piacimento. Si può quindi parametrizzare una cosa piccola a un luogo ampio ingrandendola, così come la si può adattare a un luogo ristretto rimpicciolendola. Dimensionare la cosa al luogo e viceversa è un’operazione di grande utilità anche perché permette di fissare con maggior forza le cose nella nostra mente e ciò in base a quanto detto nei paragrafi sull’esagerazione delle immagini. Luoghi e teatri reali o fittizi? La cosa e il luogo Grandezza dei teatri Si è detto che in ogni luogo dobbiamo porre una cosa che “simboleggia”, indica, rimanda a un concetto che dobbiamo ritenere a memoria. Si deve considerare che noi abbiamo sul luogo la prospettiva dell’osservatore che lo osserva non come se ci fosse all’interno ma come se vi fosse posto di fronte. Se il nostro teatro è una strada, i luoghi che lo compongono si troveranno ai margini e la posizione dell’osservatore sarà dal centro della strada che guarda il margine. Se si utilizza un teatro a percorso conviene crearsi dei luoghi tali per cui da ognuno di essi si possa vedere in lontananza il luogo che precede e quello che segue. Ciò consente di avere sempre cognizione del teatro nel suo complesso e Questo è un problema che va visto sotto molteplici punti di vista. Possiamo ad esempio costruirci un teatro ad hoc per memorizzare un esame universitario, per un concorso pubblico o per superare un esame per una licenza di vendita ecc. In questo caso il numero e la fisionomia dei luoghi sono strettamente correlati al materiale che va mandato a memoria; deve essere il teatro ad adattarsi completamente ai contenuti da assimilare. In altri casi possiamo decidere di avere un solo teatro da adoperare sempre; all’occasione consiglio di usare una cifra tonda che può variare a seconda delle proprie predisposi- 30 3. I LUOGHI RICORDO E IM M AGINAZIONE 31 zioni alla gestione dell’immaginazione. Possiamo infine predisporre i nostri teatri della memoria non fini a loro stessi ma anche come supporto ad altre tecniche mnemoniche che abbiamo, o avremmo, intenzione di imparare. Nel qual caso (che è anche il mio) consiglio di costruirsi un teatro con 100 luoghi e uno di 30. Io ho ricavato quello di 30 all’interno di quello di 100 luoghi. Ricavare un teatro più piccolo da uno più grande è un’operazione abbastanza facile quando si utilizzano teatri a percorso come faccio io; lo si può comunque fare sempre, anche con teatri ricavati all’interno di palazzi o di appartamenti. In alcuni casi però l’uso di un teatro piccolo ricavato all’interno di uno grande può creare conflitto, conviene allora inventarsi un teatro piccolo in maniera differente. Crearsi due teatri comunque non rappresenta un affaticamento della memoria, per cui si tratta di un’operazione alla portata di tutti. Come muoversi nei teatri Seguire sempre lo stesso ordine di percorrenza è fondamentale. È questa operazione che determina l’ordine del teatro, ovvero la sua struttura. Ciò è intuitivo quando si utilizzano teatri a percorso, diventa meno banale quando si usano altri tipi di teatri. C’è ad esempio chi utilizza il corpo umano come teatro 1; in questo caso stabilire un ordine e rispettarlo è fondamentale. Se si inizia a fissare i luoghi partendo dalla testa poi giù al collo e poi al braccio sinistro e via dicendo si deve sempre partire dalla sinistra e non dalla destra. Se si utilizza l’alfabeto latino come teatro vale lo stesso ragionamento, così come per ogni altro tipo di teatro. Tipologie di luoghi e di teatri Da quanto detto nel paragrafo precedente si evince che si possono utilizzare tanti tipi diversi di luoghi e di teatri e ognuno può costruirsene quanti ne vuole alla bisogna. Generalmente possiamo dividerli in tre categorie: reali, fittizi o misti. Reali sono i luoghi a immagine di luoghi, appunto, reali (la nostra casa, il percorso da casa a lavoro ecc.); fittizi sono quelli costruiti con l’immaginazione (lo zodiaco, il quadro di un pittore, una filastrocca ecc.) o 1 Si veda la Figura 3 tratta dal libro La Plutosofia di Filippo Gesualdo, 1600. 32 RICORDO E IM M AGINAZIONE Figura 3. Il corpo umano può venir utilizzato come teatro della memoria. Un esempio ce lo fornisce il testo di Filippo Gesualdo, Plutosofia, Vicenza, Perin, 1600. I luoghi sono in ordine topografico: si parte infatti dall’alluce del piede destro, poi a salire tutta una serie di punti in successione (tallone destro, stinco destro, ginocchio destro ecc., fino a ridiscendere sul lato destro e giungere infine all’alluce del piede sinistro. Le osservazioni da fare sono essenzialmente le seguenti: 1) i luoghi si trovano in successione spaziale; 2) sono tutti sulla parte esterna del corpo; 3) si inizia dalla parte destra (evidentemente il percorso è pensato per persone destrorse le quali, quando devono iniziare a fare qualcosa, prediligono farlo con la mano o il piede destro). 3. I LUOGHI 33 stabiliti arbitrariamente e convenzionalmente dall’uomo (l’alfabeto latino, i numeri naturali, i nomi dei mesi dell’anno ecc.). I luoghi misti sono quelli che hanno al loro interno elementi reali e altri fittizi (posso ad esempio inserire in un percorso reale un fiocco rosa ogni cinque luoghi per ricordarmi a che punto sono del mio percorso); i teatri misti sono quelli che hanno al loro interno luoghi reali con luoghi misti oppure, luoghi reali con luoghi immaginari e infine luoghi reali alternati a luoghi misti e a luoghi fittizi. Pensiamo ad esempio a un corridoio reale con ai lati 10 porte reali; si tratta di un teatro un po’ piccolo, come posso ingrandirlo? Posso aggiungere delle porte immaginarie (luoghi fittizi) e, al tempo stesso, inserire nelle porte reali elementi che mi permettano di suddividere la porta-luogo in due luoghi diversi che sono misti, ovvero reali e al tempo stesso immaginari (posso ad esempio immaginarmi che una porta reale sia tagliata a metà con una motosega e considerare la parte superiore e quella inferiore al taglio come due luoghi distinti). Inizio e fine del teatro Se il teatro è un percorso stradale, oppure un percorso all’interno di un edificio o di un appartamento, conviene, là dove possibile, porre in contiguità l’ultimo luogo con il primo. Ovvero si deve tendere a costruire un percorso ad andamento circolare; è ovvio che non potrà mai essere (se si tratta di un teatro reale) un cerchio perfetto e, spesso, neppure assomiglierà a un cerchio, ma deve comunque cercare di essere una figura geometrica chiusa. Regole precise non ce ne sono e, se si va a leggere cosa dicono le fonti storiche oppure i mnemonisti contemporanei troveremo di tutto e di più. L’unica regola da seguire è quella di provare; soltanto l’esercizio e la sperimentazione su sé stessi possono dirci quali siano i parametri giusti da adottare. Là dove si incontrino delle difficoltà a memorizzare i luoghi oppure a memorizzare le cose in certi luoghi dobbiamo sempre chiederci perché. Certo è che, se non riusciamo a ricordare cosa abbiamo messo in un determinato luogo (se, ad esempio, ciò accade sempre al luogo numero 19), significa che lì c’è qualcosa che non va (o che non va in noi), qualcosa che ci crea distur- Figura 4. Ecco come commenta Lodovico Dolce questa figura (nella traduzione in parte libera fatta del libro di Johann Host von Romberch, Congestorium artificiosae memoriae, Venezia, M elchiorre Sessa, 1533): “ Finalmente conviene ai luoghi una cotal qualità, che essi non siano né troppo oscuri, né troppo lucidi: ovvero di figura e di forma simile, o rotonda o sferica. Perciocché l’oggetto che trascende, guasta il senso e di qui la cosa non proporzionata men si riceve dalla potenza” . Dialogo di messer Lodovico Dolce nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar la memoria, Venezia, Giovan Battista et M archio Sessa fratelli, 1552, p. 26. L’immagine e la descrizione fatta da Dolce-Romberch va nel senso della rappresent azione delle proporzioni ideali t ra l’uomo e lo spazio secondo ideali che erano quelli tipici del Rinascimento (basti pensare all’uomo vit ruviano di Leonardo) volt i in part e al recupero dei canoni est et ici, ma non solo, della classicità e, per altra parte, all’esaltazione del simbolismo magico esoterico proprio di tanti pensatori, nonché mnemonisti, di quell’epoca: basti pensare a Ficino, Pico, Bruno e Fludd. 34 3. I LUOGHI Come costruirsi i luoghi RICORDO E IM M AGINAZIONE 35 bo per cui conviene sostituirlo. Alcune considerazione sono di semplice buon senso: evitare luoghi esageratamente grandi o piccoli, troppo bui o troppo illuminati, troppo affollati, troppo distanti o troppo vicini ecc. In definitiva è sempre meglio evitare luoghi troppo dispersivi. Come già detto però l’unico criterio essenziale, l’unica legge dalla quale non si può né si deve mai derogare, è che i luoghi siano tra loro contigui. Uso implicito della teoria dei luoghi Il punto di vista sulla lezione. Generalmente gli studenti si seggono sempre nello stesso posto in aula per assistere alle lezioni. Da quando ho iniziato ad approfondire le mnemotecniche l’ho sempre trovato un errore. A ogni lezione di dovrebbe cambiare posto e non mettendosi sulla seggiola accanto ma cambiando completamente posizione nella stanza. Se alla prima lezione eravamo nella prima fila a sinistra, nella seconda cercheremo di essere nella prima fila a destra, la terza al centro di una fila di centro, poi in fondo a sinistra, in fondo a destra e via dicendo. Cambiando posizione, ci cambia il panorama, la prospettiva da cui si osserva l’insegnante e la lavagna. Ciò non permetterà certo di riuscire a memorizzare le lezioni in maniera perfetta ma sicuramente sarà d’aiuto per la costruzione del ricordo della situazione che abbiamo vissuto e per diversificare il ricordo di una lezione da quello delle altre. Svuotare i luoghi Anche in questo caso una parte importante la gioca la soggettività di ognuno di noi. C’è chi riesce a svuotarli riempiendoli con altre immagini più vive, chi li vuota automaticamente dopo un po’ di tempo che non li usa e chi non ha bisogno di fare né l’una né l’altra cosa. Se si memorizzano bene i luoghi si ritroveranno sempre vuoti dopo l’uso a meno che non si voglia volontariamente ricordarsi di ciò che vi si è posto dentro. Se si ha difficoltà a fare così si può provare a ripercorrere tutto il teatro pensandolo vuoto. Si possono anche riempire tutti i luoghi con sequenze fisse di immagini: se ad esempio abbiamo un teatro con cento luoghi, per evitare che si stabilisca un’associazione fissa tra un determinato luogo e una specifica immagine si può porre quest’ultima in tutti i luoghi così che l’associazione cosa-luogo non sia né esclusiva né rigida. Conviene comunque ripassare il teatro vuotando mentalmente tutti i luoghi. Infine va osservato che “naturalmente” il nostro sistema cognitivo si dispone a pensarli vuoti ogni qual volta si abbia la necessità di riempirli. Dove studiare. È un fatto statisticamente assodato: la gente studia sempre nello stesso posto. Chi per ragioni di lavoro si trova a dover approfondire i settori di proprio interesse in un ufficio o in una stanza adibita a studio è “giustificato” ma gli studenti, che poi sono la maggior parte di quelli che studiano, questa scusa non ce l’hanno e “si piazzano” sempre negli stessi luoghi: sempre nella propria cameretta oppure sempre nello stesso posto della stessa biblioteca. Questo è un errore. Se il tempo lo permette lo studente farebbe bene ad andare a studiare sulle panchine nei parchi, nelle piazze (ovviamente meglio le piazze con all’interno giardini e alberi e lontano dalle strade altamente transitate) o dove vuole lui variando il più possibile luogo. D’inverno o quando piove e si è costretti ad andare in biblioteca o a restare in casa: sarebbe bene cambiare posto a sedere di giorno in giorno; certo in casa si può variare di poco ma tutte le variazioni che si possono apportare è bene adottarle, fosse soltanto cambiare l’orientamento della sedia o della poltrona su cui leggiamo. 36 RICORDO E IM M AGINAZIONE 3. I LUOGHI 37 è più appropriato utilizzare – a volte può essere utile domandarsi a cosa l’informazione che voglio ricordare è opposta, simile, dissimile, vicina, lontana ecc. Capit olo 4 L’ASSOCIAZIONE La somiglianza Il concetto di associazione Il concetto di associazione è di per sé talmente ampio che nelle mnemotecniche costituisce un tema a parte. Associare ciò che per la prima volta si conosce a ciò che già ci è noto rappresenta il modo più naturale per ampliare i propri orizzonti e consolidare ogni e qualsivoglia bagaglio di conoscenze. Procedendo con questo criterio è possibile stabilire legami duraturi tra le cose (immagini, concetti ecc.) in maniera tale che pensando all’una ci sovvenga a memoria anche l’altra. L’associazione è il criterio fondamentale per inserire le nuove informazioni all’interno del nostro patrimonio cognitivo, nel conto in banca delle nostre conoscenze. Attraverso i legami associativi è possibile introdurre le nuove informazioni all’interno dei nostri schemi mentali già consolidati. Ciò rappresenta il più importante elemento di dinamicità di tali schemi. Infatti la nuova nozione che entra a far parte del vecchio sistema di conoscenze lo modifica in proporzione, in base cioè al valore che attribuiamo al “nuovo dato” in paragone al “vecchio schema”. L’associazione mentale non soltanto è lo strumento cardine di ogni mnemotecnica, ma anche di tutta la creatività umana, in quanto spesso le invenzioni sono nuove associazioni, associazioni inusuali tra cose già note. Si possono associare le cose in base alla loro somiglianza o a una caratteristica che le rende simili. Posso associare due nomi in base, ad esempio, alla fede calcistica di due persone che portano quel nome: assocerò i nomi “Franco e Giovanni” perché so che sono entrambi tifosi della Fiorentina e hanno l’abbonamento in curva Fiesole. Potrò ricordarmi i presenti a una riunione di lavoro in base a uno stesso colore che hanno i loro indumenti (Antonio calzini verdi; Marco giacca verde scuro; Martina gonna verdolino ecc.). La somiglianza può essere per forma, fonetica, funzionale (vi sono sedie diversissime tra loro tanto che è impossibile avvicinarle in base alla fisionomia ma solo in base all’uso), concettuale o tematica (le allergie, lo scarico merci, il costo degli appartamenti, la vendita delle auto, il rilascio dei permessi sono tutte cose scollegate tra loro ma che possono trovare un minimo comun denominatore nel tema della mobilità urbana) e infine per classificazione. Il contrasto Sui criteri associativi si basano, oltre a tutte le mnemotecniche propriamente dette, anche la teoria delle mappe mentali, argomento che affronteremo poi. In verità ogni nostra attività mentale che sia un minimo strutturata si regge sulle associazioni. Data la vastità e invasività dell’argomento, per semplificarcelo – e per meglio comprendere quale tipo di associazione Il contrasto consente di affinare nella nostra mente le immagini degli oggetti. Confrontando le cose attraverso i loro tratti distintivi è necessario che le si considerino in tutti i loro aspetti, attività che invece può venir evitata nel considerare le somiglianze. Il legame per opposizione è un legame più astratto della somiglianza ordinaria. Aristotele nel De Anima sostiene che si comprende attraverso due “strade”: creando legami tra ciò che è simile e distaccando ciò che è diverso. Ciò è indubbiamente vero se però si considera che anche l’opposizione è un particolare tipo di “legame”: lo è per contrarietà. A volte conviene associare cose opposte proprio per questa loro specificità del “richiamo”: il bianco opposto al nero piuttosto che al rosso; il chiaro allo scuro piuttosto che all’evidente; il caldo al freddo piuttosto che al tiepido ecc. La legge logica a cui tale sistema di associazione in vario modo e spesso indirettamente rimanda è la massima scolastica omnis determinatio 38 4. L’ ASSOCIAZIONE Le regole delle associazioni RICORDO E IM M AGINAZIONE 39 est negatio. Definendo una cosa nego tutto il resto e, ovviamente, la negazione più radicale è “l’esatto opposto” di ciò che affermo e nell’affermare l’uno come opposto all’altro, l’altro mi risulta indissolubilmente legato ad esso. La sequenza La corretta sequenza richiama il concetto di contiguità (leggendo il vocabolario di latino risulta che contiguus significa “ciò che si tocca”). La corretta sequenza si ha quindi quando le cose, i concetti, le idee ecc. sono posti in un ordine tale per cui vi sia una qualche forma di “vicinanza” o “prossimità”, sia essa logica, spaziale o temporale. La mnemotecnica dei luoghi si fonda su questo principio di associazione. In essa infatti i luoghi sono relazionati l’uno all’altro in una catena di elementi contigui e continui. Ciò ha valore soprattutto spaziale: uscendo da una stanza di casa mia entro necessariamente in un’altra e uscendo dalla porta dell’appartamento vado necessariamente nel pianerottolo e da questo nell’atrio del palazzo, poi nel vialetto del giardino ecc. In conseguenza di tutto ciò ricorderemo meglio le cose poste nella corretta sequenza che non procedendo per balzi. Inizio, svolgimento e chiusura Figura 5. Immagine tratta da Johann Host von Romberch, Congestorium artificiosae memoriae, 1533. Esempio di alfabeto mnemonico basato sulla somiglianza fra alcuni utensili e la forma delle lettere che intendono rappresentare. Al di là dell’effettiva efficacia mnemonica di t ali st rat agemmi, essi rappresent ano comunque un’import ant e tappa nel percorso della conversione fonetica e nell’apprendimento tramite la conversione delle lettere e dei numeri (simboli astratti e convenzionali) in immagini di oggetti reali. Questo criterio in parte richiama il precedente, estendendone logicamente la struttura e le varianti in quanto i contenuti, i significati e il filo logico delle argomentazioni devono esser posti nel giusto ordine, espressi nella corretta sequenza. L’arte oratoria ben ci insegna che un discorso deve avere un suo inizio, un suo sviluppo e una sua fine tutti ben definiti e precisi. Analogamente i nostri discorsi, soprattutto se sono organizzati in storielle metaforiche oppure in sequenze di associazioni mnemoniche, devono avere una struttura che rispetti una logica. In questo caso però si tratta di un criterio più ampio: in generale si deve sempre cercare di organizzare i nostri ricordi in maniera da poter essere comunicati agli altri in forma compiuta. In definitiva i grandi oratori e i bravi comunicatori, prima ancora di avere una bella “parlantina”, sono persone che sanno ciò che vogliono dire, il modo e l’ordine con cui dirlo. A titolo esemplificativo riportiamo le parti del discorso retorico e una breve descrizione per mostrare la relazione con le mnemotecniche dell’immaginazione. 40 4. L’ ASSOCIAZIONE RICORDO E IM M AGINAZIONE 41 • exordium , esordio, è l’inizio del discorso, il momento in cui l’oratore cerca di attirare l’attenzione dell’uditorio accattivandosi le simpatie di quante più persone possibili dilettando e com- movendo con ornamenti la propria introduzione; • narratio, esposizione dei fatti, per informare chi ascolta (o legge) sui contenuti del discorso. La narrazione si riduce quasi sempre ad essere un’esposizione in ordine cronologico o in ordine logico. Spesso viene fatta seguendo un ordine relativo alle finalità dialettiche e in funzione degli scopi che si è dato l’oratore e che prendono corpo subito dopo, nella • argumentatio, argomentazione, dimostrazione delle prove a sostegno della tesi ( confirmatio) che si intendono avanzare e confutazione, spesso anticipandoli, degli argomenti avversari ( refutatio); • peroratio, epilogo, ovvero la conclusione del discorso; in questo caso si cerca di puntare, come nell’esordio, più sugli “effetti speciali” attirando l’attenzione e suscitando gli affetti con tutto il pathos possibile. Tale criterio “argomentativo-retorico” è quindi anche un criterio dell’ordine. Ciò facilita la comprensione, la fruizione e l’attenzione da parte dei discenti. Così nell’apprendimento conviene sempre dare alle cose da memorizzare un capo e una coda. Se si tratta di un discorso la struttura “oratoria” è ottima e sperimentata dalla storia; se invece si tratta di qualcosa di più ampio (come ad esempio il programma di un esame) lo schema retorico deve comunque venir considerato – se non in senso stretto – almeno come un punto di riferimento verso il quale è sempre bene tendere. Si noti infine che la costruzione retorica del discorso “persuasivo” non potrebbe essere così strutturata se a fondamento di tutto non vi fosse l’immaginazione. Ciò avviene non soltanto perché il discorso deve delectare per accattivarsi la simpatia dell’uditorio, ma soprattutto perché le tesi e le confutazioni, quand’anche non siano esse stesse argomentazioni basate sull’immaginazione, risultano sempre maggiormente convincenti quando utilizzano esempi che sempre sull’immaginazione si fondano. La dialettica argomentativa del discorso retorico così come del teatro mnemonico si posano su un substrato immaginativo. Tale questione viene sovente definita come «legge del buon inizio, della buona continuazione e della buona chiusura»1. 1 Mario Polito, Guida allo studio: la memoria, Padova, Muzzio, 1995, p. 221. 42 RICORDO E IM M AGINAZIONE Tipi di associazioni Generalmente vi sono tre tipi di associazioni mentali: 1) associazione tra immagine e concetto; 2) associazione tra immagine e immagine; 3) associazione tra concetto astratto e concetto astratto. Il ruolo rivestito dall’immaginazione nelle prime due fattispecie è di per sé abbastanza evidente (almeno per le nostre finalità) mentre nel terzo caso è materia del contendere da sempre tra i filosofi ma, proprio per questo, è questione che in parte esula la presente trattazione. Il tipo più “naturale” di associazione è tra immagine e immagine ed è quello che con più facilità si imprime a memoria. Il legame tra concetti astratti al contrario è quello più flebile. La maggior parte dei legami che però ci troviamo a creare nelle mnemotecniche sono dei primi due tipi. Il legame tra immagine e cosa astratta è una via di mezzo tra il primo e il terzo e quello che più sovente ci troviamo ad affrontare. In realtà, anche senza accorgercene, utilizziamo molto più le associazioni tra immagini che però, proprio a causa della loro “naturalità”, non creano particolari problemi. Le associazioni si possono categorizzare anche in merito alla modalità associativa: sensoriale (possiamo ricordarci di una cosa dall’odore, dal suono ecc.), emotiva (un’emozione ci fa ricordare di una situazione ad essa associata e viceversa), logica (da una serie definita di immagini “indurne” un’altra; da un concetto dedurne un altro) e da una combinazione di tutti questi fattori. Doppia codifica Le immagini sono più facili da ricordare delle parole che richiamano concetti astratti perché a differenza di queste ultime (che usufruiscono soltanto della codifica verbale) dispongono di una doppia codifica: verbale e immaginativa. Parole come “tavolo”, “quaderno” vengono codificate dal nostro sistema cognitivo sia a livello verbale che immaginativo mentre parole astratte come “gnoseologia” o “nonostante” vengono per lo più registrate soltanto a livello verbale. Per rendere “tangibili” anche i concetti astratti si deve quindi provvedere a crearsi delle immagini che (in base ai criteri associativi già esposti e ad altre metodologie che verremo qui di seguito a mostrare) ce li rappresentino. Detto in altri termini, là dove un concetto astratto ha un richiamo soltanto verbale nella nostra mente (almeno in prima istanza) porremo un’immagine coerente col termine e ad essa confacente e, così fa4. L’ ASSOCIAZIONE 43 cendo, andremo a strutturare due legami (uno verbale e uno immaginativo) che ci renderanno l’idea più familiare. I criteri associativi I sistemi per organizzare le conoscenze sono essenzialmente questi: somiglianza sia reale che metaforica; continuità (aumento, diminuzione, scale di gradazione, ecc.); contiguità (pianto, lacrime); relazione (latte-burro); induzione logica; deduzione logica; rapporto causa-effetto, contrasto, opposizione e soprattutto i legami retorici (metafora, metonimia, sinestesia, analogia ecc.), l’assonanza, la rimembranza sensoriale (un suono, un odore ecc.), la radice etimologica, la rima, la filastrocca ecc. Il principio fondamentale da seguire e che a ogni associazione dovrebbe sottostare, se possibile sempre, è quello di associare immagini a immagini. Faccio un esempio. Se devo ricordarmi di due concetti astratti come “concordia” e “disapprovazione”, sarò costretto a crearmi delle immagini (meglio delle imagines agentes) per ogni concetto. Così penserò a due amici che si trovano d’accordo stringendosi la mano e poi un’altra scena in cui uno dei due amici fa con la mano un cenno di “disapprovazione” con lo sguardo truce verso l’altro. Il collegamento è tra il concetto astratto e la scenetta reale che lo rappresenta e tra le due scenette reali, non tra una scenetta reale e un concetto astratto. Detto così sembra banale ma, soprattutto nell’apprendimento delle lingue, così banale poi non è. Lo sforzo intellettuale e la memorizzazione Non è possibile mettere ordine fra le immagini se non si è in grado di fissare con forza e prontezza le rappresentazioni nella mente e, per far ciò, si deve essere in grado di saper distinguere i dettagli che le compongono. La distinzione dell’immagine coincide col suo esser “vivida” nella precisione della forma. Il termine “definire” richiama i concetti di dare un fine a ciò di cui stiamo parlando, tracciare i limiti, il perimetro delle idee, precisare, centrare la massa cognitiva all’interno di uno spazio determinato. Definire infatti è anche determinare. L’arte della memoria è la tecnica di dare un perimetro alle idee. Prima di distinguere i particolari però si deve vedere l’insieme. Per far ciò nel modo corretto si devono tener presenti alcuni fattori. Innanzitutto il Figura 6. Immagine tratta da Johann Host von Romberch, Congestorium artificiosae memoriae, 1533. Esempio di alfabeto mnemonico basato sulle immagini di alcuni animali e le lettere iniziali del loro nome. “ La nozione, come viene attuata negli alfabeti visivi, è di una semplicità infantile: come insegnare a un bambino a ricordare C ricorrendo alla figura del cane. Rosselli, a quel che sembra con la massima serietà, suggerisce di ricordare la parola AER attraverso le immagini di un Asino, un Elefante e un Rinoceronte” , Frances A. Yates, L’arte della memoria, Torino, Einaudi, 2007, p. 110. Esistono alcune varianti a questo tipo di alfabeti visivi; una di queste è quella di associare le lettere ad alcune persone che si conoscono attraverso l’iniziale del loro nome. 44 4. L’ ASSOCIAZIONE RICORDO E IM M AGINAZIONE 45 concetto di percezione. Ciò che così chiamiamo è già e sempre anche un’interpretazione del sentito, un’elaborazione istantanea di ciò che entra nel nostro “campo” cognitivo. Anche la psicologia scientifica è arrivata (dopo tanto affaccendarsi) a questa ovvia conclusione dalla quale, per quel che ci riguarda, possiamo trarre alcuni precetti. Percepire e considerare l’insieme non significa “sfocare” i particolari o, peggio ancora, escluderli dall’attenzione. Al contrario i particolari (e questo dovrebbe emergere chiaramente da una considerazione complessiva sulle mnemotecniche) acquisiscono valore e “definizione” iconica proprio in relazione e all’interno del tutto. Dato che la percezione è già di per sé un’interpretazione, aggiungere ad essa un’altra interpretazione intellettuale, una rielaborazione, è quanto di più sbagliato si possa fare e lo è per un motivo semplicissimo: perché così facendo non riusciremmo mai a memorizzare interi libri o lunghe liste di nomi. La percezione e la considerazione del tutto deve essere immediata e complessiva. La percezione del tutto e la distinzione dei particolari devono avvenire contemporaneamente e a uno stesso livello di coscienza. Se la distinzione è frutto di una rielaborazione o di una trasposizione, traduzione, dal percepito all’astratto il fallimento è assicurato. Il mago Robert Houdin, da cui Harry Houdini prese il nome, era un famosissimo prestigiatore dell’800, citato da H. Bergson 2. Per farla breve: Houdin aveva inventato un esercizio semplice ma intelligentissimo. La cavia dell’esperimento era suo figlio a cui egli mostrava una pedina del domino per un attimo e prima che il bambino potesse contare i pallini bianchi subito gliela copriva. Senza contare, basandosi sulla percezione istantanea, e immediatamente questi doveva dire quanti erano i pallini bianchi. Ogni giorno Houdin ripeteva l’esercizio, premurandosi di aumentare il numero delle pedine ogni qual volta il piccoletto dimostrava di rispondere agevolmente. Da quel che riporta Bergson egli usava le pedine 3-4 e 4-5. Se prendiamo alla lettera ciò che dice Houdin però, l’esercizio da lui proposto va oltre la semplice (si fa per dire) ritenzione istantanea del percepito, in quanto non si trattava, nel suo caso, di mantenere e sviluppare la memoria fotografica ma, soprattutto, di sviluppare una capacità sintetica istantanea. Si doveva infatti, senza sommare, immediatamente dire quanti erano i pallini. Effettivamente non è semplice e, a dir la verità, non è chiaro 2 H. Bergson, L’énergie spirituelle cit., p. 157. 46 RICORDO E IM M AGINAZIONE neppure se questo era, originariamente, il fine dell’esercizio. Infatti egli dice che appena fatte vedere le pedine venivano coperte, ovvero si impediva un conteggio con le pedine scoperte ma niente vietava infatti che il soggetto potesse poi velocemente fare la somma avendo presenti nella mente le pedine “fotografate”. Tutto però lascia supporre che l’esercizio perfettamente eseguito fosse quello che pretendeva non la somma “calcolata” delle pedine fotografate ma l’insieme intuito immediatamente. A questo ben più complesso esercizio conviene addestrarsi. Questa la differenza fondamentale tra la memoria istantanea per le immagini e per la “somma dei pallini”; la seconda fattispecie richiede, oltre a una memoria fotografica prontissima, anche una capacità sintetica immediata. Una mente allenata può compiere l’errore di identificare un calcolo velocissimo con un “riconoscimento” intuitivo. Io ad esempio non ho nessuna difficoltà a dire immediatamente quanti erano i pallini anche avendo davanti molte pedine e un osservatore esterno, data la velocità delle mie risposte, non può dire se le mie siano risposte intuitive oppure calcoli molto veloci; in cuor mio so però che si tratta di calcoli molto veloci. Se l’intuizione sia una deduzione istantanea oppure no è storia vecchia: già nel ’600 si interrogavano su questo problema e negli ultimi secoli l’inchiostro è corso a fiumi; qui per ora il problema è un altro e ha a che fare con l’identificazione dell’immagine più che con il calcolo. Un calcolo matematico è sempre di per sé un’operazione deduttiva, almeno se consideriamo la questione così; l’esercizio di Houdin deve quindi riferirsi al riconoscimento (che è un’operazione istantanea e intuitiva) piuttosto che al calcolo. Un’altra osservazione, a questa strettamente correlata, è che vi è una notevole differenza tra due comportamenti: se, ad esempio, la visione delle pedine viene impedita da una mano o da un foglio di carta oppure se è il mnemonista a chiudere gli occhi. Detto altrimenti, per quanto breve sia il tempo che ho a disposizione per osservare l’immagine (le pedine di domino) trovo una notevole differenza nel trattenere nella memoria la stessa immagine a seconda che sia io a chiudere gli occhi oppure venga ostruita da un’altra immagine. La memorizzazione è avvantaggiata se a un’immagine non ne segue un’altra. Infatti è molto più facile ricordare un’immagine percepita anche per pochi decimi di secondo se subito dopo si chiudono gli occhi. Se a un’immagine ne segue un’altra, anche se di per sé indefinita, come può essere un foglio di carta completamente bianco (ma pure di un altro colore), la mente non ha il tempo per fissare l’immagine nella memoria che subito è presa dalla percezione seguente. Questa almeno potrebbe essere 4. L’ ASSOCIAZIONE 47 una spiegazione, un’altra potrebbe essere che sono abituato a fissare le immagini chiudendo subito gli occhi. Comunque sia, l’esercizio di Houdin doveva e deve ancor oggi essere un esercizio sulla memoria istantanea e non sulla deduzione veloce, quindi deve esserci qualcosa nel racconto di Bergson che non viene detto o che non viene con precisione specificato: a mio parere è vera la seconda ipotesi. Bergson afferma che Houdin iniziò mostrando al proprio figlio due pedine: la 4-3 e la 5-4. Cos’è che non specifica? Non specifica se l’esercizio richiedeva soltanto l’uso di queste due pedine oppure se iniziò semplicemente da queste due pedine. Che differenza fa, chiederete voi? Una differenza sostanziale. Perché se l’esercizio prevedeva l’uso soltanto di due tipi di pedine (la 4-3 e la 5-4), invece che di tutta la serie, il discorso cambia. Infatti con due sole fattispecie di immagini l’attenzione si sposta dal calcolo al riconoscimento3. Dopo un po’ d’esercizio si riconosce la “configurazione” dei pallini senza bisogno di concentrarsi sulle singole pedine che, comunque (ed è questo l’elemento essenziale), devono venir ugualmente prese tutte in considerazione; infatti devo averle presenti tutte per poter attribuire un valore preciso all’immagine complessiva. Ora tale esercizio diventa più completo aggiungendo alle pedine fino a ora considerate anche il loro inverso, ovvero, oltre alla pedina 4-3 con quattro pallini sopra e tre sotto, anche quella 3-4, con tre pallini sopra e quattro sotto. Ciò aumenta esponenzialmente il numero delle combinazioni, ovvero delle configurazioni. Così facendo si hanno meno punti di riferimento fissi in quanto, ad esempio, la mezza pedina con 4 pallini può essere sia sopra che sotto, così quelle di 3 e 5; in tal modo non è più sufficiente concentrarsi soltanto sui 3 o sui 5 ma si deve necessariamente avere una visione veramente complessiva dell’immagine per in- dovinare il numero (il valore dell’immagine) preciso. Il segreto per una memoria intuitiva è quindi quello di attribuire un valore semantico all’immagine, quale che esso ed essa siano. Questo credo fosse l’esercizio di Houdin. Si tratta di un esercizio che, mascherato da calcolo deduttivo, ha la sua vera finalità nel riconoscimento intuitivo dell’immagine complessa attraverso il riconoscimento degli elementi, le raffigurazioni “parziali” (ma anch’esse a ben considerare complesse) che la compongono. Infatti lo scopo per il quale Houdin lo aveva approntato non era di far diventare suo figlio un insigne matematico, quanto quello di poter utilizzare questa capacità di riconoscimento istantanea durante gli spettacoli di illusionismo. Il figlio infatti doveva riconoscere, dopo esser stato bendato, in mano a chi erano determinati oggetti che suo padre gli indicava con un segno convenzionale. Il figlio di Houdin dopo un rapido sguardo alla sala in cui si svolgeva lo spettacolo veniva bendato e fingeva una facoltà di veggenza che ovviamente non aveva; possedeva invece una fortissima memoria immaginativa istantanea in grado di permettergli di ricostruire l’immagine della sala con tutte le persone e le cose ivi contenute. Ora, il fine dell’esercizio di Houdin era il riconoscimento intuitivo immediato e la memorizzazione istantanea di un’immagine nonché delle parti che la componevano. L’efficacia di detta strategia, indipendentemente dal fatto che se non continuamente esercitata si perde velocemente nel tempo 4, è più “emblematica” che non operativa, in quanto Facciamo l’esempio più semplice, l’esercizio con 4 pedine. Le combinazioni possibili sono poche e costituite dalla somma di pedine “3 e 4” (ovvero pedine con 7 pallini) e di “4 e 5” (pedine con 9 pallini): se mi vengono mostrate 4 pedine ognuna con 7 pallini otterrò un totale di 28 pallini, infatti “7 + 7 + 7 + 7 = 28”. Ora, le altre combinazioni possibili sono poche ed eccole: “7 + 7 + 7 + 9 = 30”; “7 + 7 + 9 + 9 = 32”; “7 + 9 + 9 + 9 = 34”; “9 + 9 + 9 + 9 = 36”. In questa accezione la visualizzazione istantanea deve considerare l’insieme delle immagini, delle pedine; questo insieme è a sua volta una sola immagine che può valere 28 oppure 30, oppure 32, oppure 34 o, infine, 36. A quel punto il problema del calcolo veloce viene superato dal riconoscimento dell’immagine a cui si attribuisce un valore, determinato appunto dal numero di pallini che comprende. Questo esercizio è a mio parere eccezionale in quanto consente, contemporaneamente, il riconoscimento istantaneo della parte e quello dell’insieme. Infatti si tratta di “intuire” quante pedine di valore 7 ci sono nell’immagine complessiva per attribuire loro automaticamente un valore. Si può per contro prendere come riferimento anche le pedine di valore 9. 4 Nell’ambito degli studi sulla lettura veloce queste tematiche hanno avuto ampia risonanza. Il riconoscimento immediato fu però un argomento che si sviluppò nel settore militare. Durante la prima guerra mondiale, agli albori dell’aviazione, si pose il problema di come riconoscere gli aerei nemici. Prima si riusciva a distinguere il nemico dall’amico e prima lo si poteva attaccare; era nel vero senso della parola una questione di vita o di morte. I tecnici dell’aviazione britannica, ben consci del problema e delle sue implicazioni, svilupparono un macchinario detto “tachistoscopio”, una sorta di proiettore in grado di riprodurre immagini su un grande schermo a intervalli variabili di tempo. Con l’uso di tale strumento si comprese che l’occhio umano ha enormi capacità di riconoscimento sia per la velocità di acquisizione che per la precisione del riconoscimento. Tali studi dal campo militare passarono poi anche alle ricerche sulla lettura veloce. In questo settore però emersero anche i limiti dell’addestramento con il tachistoscopio: «Gli studenti che progredivano grazie al tachistoscopio riferivano di sentirsi generalmente insoddisfatti dei loro risultati dopo qualche settimana di lettura da post-laureato. La maggior parte di loro riferiva che, poco dopo la fine del corso, la velocità di lettura tornava inesorabilmente al livello precedente» (Tony Buzan, Lettura veloce, Bergamo, Alessio Roberti editore, 2007, p. 57). L’esercizio del domino di Houdin era un tachistoscopio ante litteram , se così possiamo dire; personalmente mi ci sono addestrato per un periodo non tanto per diventare bravo come il figlio di Houdin, né per fare il prestigiatore quanto per verificarne la validità. E devo dire che la mia esperien- 48 4. L’ ASSOCIAZIONE 3 RICORDO E IM M AGINAZIONE 49 è proprio “l’emblema” di come la memoria funzioni “perfettamente” là dove i pensieri si dispongano sullo stesso piano cognitivo, oppure procedano da piani cognitivi continui, senza sbalzi né forzature, dalla pura percezione al concetto astratto. Il principio che possiamo ricavarne ai fini dell’efficienza della nostra memoria è che legando un concetto a un altro, oppure prestando attenzione a vari oggetti di studio, non dobbiamo percepire uno “scatto” e uno “scarto” tra ciò che precede e quel che segue. Più i pensieri filano “lisci come l’olio”, più fluida è la successione delle immagini, dei pensieri e delle riflessioni nella nostra mente, minore è lo sforzo. Per inverso, maggiore è lo sforzo esercitato nell’apprensione mnestica, peggiore è il criterio utilizzato nell’associare i pensieri, i concetti e le immagini. Far seguire immagini a immagini collegandole con i criteri propri delle immagini è sicuramente il modo migliore per ricordarsi le cose e quello che utilizziamo sempre (senza prestarci la dovuta attenzione) nella vita di tutti i giorni quando, per ricordarci le cose che ci sono capitate, non abbiamo bisogno di ricorrere a nessuna particolare tecnica rievocativa. Capit olo 5 L’ORDINE L’ordine degli ordini Tutti i metodi di catalogazione, indicizzazione, sistemazione di cose e conoscenze (enciclopedie, cataloghi delle biblioteche, codici di leggi, disposizione delle fattispecie merceologiche sugli scaffali in un negozio, elenchi del telefono ecc.) stanno a dimostrare che per la conservazione e il successivo ritrovamento di ogni cosa è necessario un ordine. Gli ordini possono essere di diverso tipo e natura: • • • • • • • • • logico-tematico; semantico; alfabetico; numerico; ordine degli acrostici e acronimi; ordine dei luoghi (in un teatro della memoria classico); ordine delle concatenazioni associative; ordine delle simbologie (es. zodiaco); ordine per tavole di parole (trattato nella sezione delle mnemotecniche fonetiche) (Plebani, p. 185). za conferma quanto riportato dagli studenti citati da Buzan: esercizi di riconoscimento immediato come quello di Houdin o il tachistoscopio funzionano indubbiamente ma richiedono un continuo esercizio, terminato il quale cessano anche i benefici. Si devono organizzare gerarchicamente (ovvero formalmente) i contenuti di conoscenza seguendo criteri deduttivi (dal generale al particolare) oppure induttivi (dal particolare al generale). Al di là del concetto logico in senso stretto, possiamo far rientrare nell’ambito della deduzione “mnemonica” anche quello che stabiliamo tra leggi generali e casi particolari, oppure leggi a valore più circoscritto. Uno studente di giurisprudenza, per esempio, 50 5. L’ ORDINE RICORDO E IM M AGINAZIONE 51 nel suo ordine di conoscenze legislative porrà la Costituzione a un livello superiore delle leggi ordinarie e queste a un livello superiore alla leggi regionali ecc. L’ordine logico e tematico, come indica il nome, comunque è sempre relativo al “soggetto” che si deve memorizzare, per cui un argomento avrà un ordine determinato dalla materia che tratta (una lezione di chimica avrà un ordine definito e derivato, ad esempio, dai concetti, dalle leggi e dagli esperimenti sugli acidi e le basi e via di seguito; una lezione su Kant avrà un ordine determinato in gran parte dalla prospettiva “criticista” ecc.). Detto così sembra banale, ed effettivamente lo è; però la maggior parte delle persone studia sempre alla stessa maniera indipendentemente dall’oggetto da apprendere. Quindi affermare che ogni materia dovrebbe avere un suo specifico criterio di studio è certo ovvio, molto meno forse lo è però comprendere perché non ci adeguiamo mai a certe ovvietà. Ordine in base a classificazioni Nell’organizzare le informazioni secondo un ordine logico-tematico si potranno altresì utilizzare categorie concettuali formali quali le classificazioni che permettono la delimitazione di insiemi di informazioni in base a qualità distintive da noi stabilite tramite, appunto, i criteri di definizione utilizzati. Al di là dell’uso di classificazioni già standardizzate è consigliabile crearsi propri criteri classificatori che, meglio di altri, rispecchino la nostra forma mentis e l’oggetto che si deve apprendere. In tale questione possono infatti rientrare anche griglie interpretative quali: classificazioni in merito agli aspetti sociali, politici, giuridici; considerazioni di tipo storico; disposizioni concettuali fenomenologiche (tesi-antitesi-sintesi) o cronologiche (prima-dopo: “in prima approssimazione”, “in seconda istanza” ecc.). mini: fucile, cucchiaio, software, bicchiere, percussore, mouse, pistola, tovagliolo, monitor, forchetta, caricatore, DVD, piatto, proiettile, hard disk. Ora, tale lista può essere “riordinata” in base a un criterio semantico per cui avremo tre gruppi di cui uno relativo alle armi da fuoco, l’altro degli utensili per pranzare e il terzo di natura informatica. Così disposti avremo una nuova lista di più agevole apprensione: 1) fucile, percussore, pistola, caricatore, proiettile; 2) cucchiaio, bicchiere, tovagliolo, forchetta, piatto; 3) software, mouse, monitor, DVD, hard disk. A differenza degli altri tipi di “ordinamento” delle cose nei teatri quello semantico permette di comprendere una procedura che la nostra mente, comunque, adotta, o dovrebbe adottare, sempre: scomporre il materiale “grezzo” che ci giunge dall’esperienza per poi riorganizzarlo in base a un criterio. Riorganizzare le “cose” in base al criterio semantico è l’attività più proficua che possiamo fare in quanto attiva tutto il nostro sistema cognitivo di conoscenze pregresse e obbliga a uno sforzo di concentrazione e analisi superiore a qualsiasi altra attività, almeno per ciò che riguarda l’apprendimento mirato. Il discorso a questo punto si amplia e si complica; possiamo però dire che scomporre le conoscenze date in base a un criterio analitico per quanto possibile ben definito e riorganizzarle in funzione della “vicinanza”, “somiglianza”, “prossimità” semantica non affatica la memoria ma al contrario la esalta; non complica la conoscenza, anzi la semplifica e la rende più profonda e più “stabile”. Ordine alfabetico e numerico In realtà l’ordine semantico potrebbe venir incluso nei due precedenti, in quanto l’ordinamento dei “contenuti” in base a criteri logici, tematici e classificatori implica necessariamente una “valutazione” semantica di ciò che andiamo a organizzare. Stesso discorso per altri criteri che esporremo da qui a breve. Si deve però eccepire che tale criterio ha sue peculiarità per cui conviene trattarlo a parte. Faccio un esempio; prendiamo la seguente lista di ter- Data la familiarità che ognuno di noi ha con l’alfabeto, tale criterio può avere un’utilità che spesso non viene considerata. Faccio un esempio: se dobbiamo fare una relazione sulla crisi idrica dei paesi del Mediterraneo potrei farmi una scaletta degli argomenti da affrontare basandomi proprio su un ordine alfabetico: Acqua; Bilancio degli stati; Crisi economica; D issesto idrogeologico; Erosione delle coste da parte del mare; Falde freatiche ecc. Oppure se devo memorizzare i concetti-base di una materia (storia, filosofia, matematica, chimica, fisica ecc.) – data la genericità del “soggetto” – posso benissimo utilizzare un criterio alfabetico per cercare delle parole chiave che mi chiariscano ma, soprattutto, mi diano un ordine stabile delle conoscenze di quella materia. Stesso discorso vale, almeno superficialmente, per l’ordine in base ai numeri naturali. Tale ordine però non permette un aggancio diretto del numero alla parola (come può essere nell’ordine al- 52 5. L’ ORDINE Ordine semantico RICORDO E IM M AGINAZIONE 53 fabetico l’iniziale); se ne deve quindi trovare uno numerico. Ad esempio, lo stato italiano è una Repubblica che ha al suo vertice 1 Presidente della Repubblica, 1 Parlamento composto da 2 camere (Senato e Camera dei Deputati) condotte nei lavori da 2 presidenti, 3 questori, 4 vicepresidenti e 8 segretari (1-1-2-2-3-4-8). Sull’ordine numerico però esistono vere e proprie mnemotecniche, alcune anche molto sofisticate che affronteremo oltre. L’ordine dei numeri naturali è un ordine estremamente formale ma anche estremamente potente: se ci pensate, ognuno di noi è in grado di ripetere a memoria un numero pressoché infinito di parole basandosi su tale sistema. Infatti le parole “uno”, “due”, “tre” ecc. sono a tutti gli effetti parole come tutte le altre; in maniera non differente da “libro”, “casa”, “treno” si basano sullo stesso alfabeto e sulla stessa pronuncia. Una banalità direte voi; mica tanto rispondo io; infatti se vi avessi chiesto se esisteva un sistema per ripetere migliaia di parole, o milioni, con facilità ben difficilmente avreste pensato al sistema dei numeri naturali interi. Certo ripetere a memoria i numeri non serve a molto (è pur vero che se non fossimo capaci di farlo sarebbe un grave difetto), ma ciò che qui ci deve interessare è la profonda intelligenza su cui tale sistema si basa: vi sono dieci simboli e alcune (poche) ferree regole per collegarli insieme. La potenza di tale sistema non è raggiungibile per altre vie ma, comunque, dovrebbe sempre rappresentare il modello per ogni mnemotecnica. Nelle mnemotecniche classiche è d’uso corrente numerare i luoghi, oppure nominarli e, infine, nominarli con una lettera in ordine alfabetico. Acronimi L’acronimo è un nome formato con le lettere o le sillabe iniziali o finali di determinate parole di una frase o di una definizione, leggibili come se fossero un’unica parola (rif. Vocabolario Treccani). L’acronimo può essere una sigla (C.I.A. – F.I.A.T. – R.A.I.) oppure la fusione di due parole (l’iniziale dell’una con la parte finale dell’altra) in maniera che il significato complessivo del termine sia facilmente intuibile (cantautore, eliporto, palacongressi). L’acrostico è, sotto certi aspetti, un’evoluzione logica dell’acronimo in quanto è un acronimo che va a formare una parola di senso compiuto. Ecco un esempio con la parola “ricordare”: • Comprensione (più si capisce meglio si ricorda). • Organizzazione (le conoscenze vanno organizzate per esser meglio assimilate). • Recupero (si devono adottare le giuste tecniche di recupero delle informazioni). • Doppio legame (tra parole e immagini che rappresentano i concetti). • Associazione (l’associazione dei concetti a immagini, delle immagini ad altre immagini). • Richiamo (a volte basta solo una lettera per richiamare alla mente un’intera parola). • Elaborazione (per meglio fissare un ricordo si deve rielaborare l’informazione già appresa). Ordine topologico, ovvero ordine dei luoghi Il teatro, come abbiamo già detto, è l’ordine stesso dei luoghi. Possiamo qui aggiungere che senza il teatro i luoghi in sé, scollegati cioè da tutti gli altri, non hanno la stessa forza mnemonica che se venissero connessi. Di fatto è il nostro senso di orientamento a creare “teatri” dai luoghi che occupiamo. L’ordine dei teatri è, in senso lato, ogni ordine spaziale che stabiliamo tra le immagini. Tra gli ordini non formali è sicuramente il più potente. Infatti, in maniera simmetrica al sistema dei numeri naturali, esso consta di alcuni simboli fondamentali (i singoli luoghi) collegati secondo una o poche regole (il teatro). La sua potenza risiede nel fatto che, pur avendo una fermezza paragonabile (non per esattezza ovviamente) al sistema di numerazione arabo, consente un’ampissima varietà di applicazioni in quanto poggiante sull’immaginazione. La struttura del teatro mnemonico è quindi formale nella logica ma immaginativa nella sua costituzione, definizione e applicazione. Ordine delle concatenazioni associative • Ripetizione (operazione comunque necessaria per memorizzare). • Immaginazione (facoltà a fondamento della memoria). Rispetto a quanto abbiamo precedentemente detto possiamo qui aggiungere che, in merito all’ordine stabilito dalle associazioni mentali, il criterio che si utilizza (sempre che lo si faccia coscientemente) nell’associare le immagini, le cose e i concetti rappresenta – o può rappresentare – un ordine. 54 5. L’ ORDINE RICORDO E IM M AGINAZIONE 55 Infatti posso ordinare le cose in base al criterio con cui le associo tra loro. Se decido di associare le cose in base a una determinata caratteristica che posseggono (per esempio metto tutte le camicie dentro i cassetti in basso, mentre pongo tutti i maglioni nello scomparto centrale sopra ai cassetti del mio armadio in camera; oppure decido di mettere tutti gli indumenti di un certo colore, o in base all’uso che ne faccio, in determinati cassetti piuttosto che in altri) essa mi diventa la struttura dell’ordine. Quindi una qualità può essere il tramite tra la prima cosa da ricordare e la seconda, mentre un’altra può esserlo tra la seconda e la terza e così via. Le filastrocche e le rime rientrano in questo tipo di classificazione in quanto stabiliscono associazioni semantiche attraverso legami linguistici o iconici. “Trenta dì conta novembre con april giugno e settembre, di ventotto ce n’è uno e tutti gli altri ne han trentuno” è una filastrocca che, ad esempio, riporta in rima un ordine stabilito semanticamente (cioè dal calendario). Ordini simbolici Figura 7. L’immagine qui sopra riportata è un esempio di percorso della memoria. Si tratta di un’illustrazione presente nel libro di Johann Host von Romberch, Congestorium artificiosae memoriae, Venezia, M elchiorre Sessa, edizione del 1533. A imitazione di quanto fatto da Cicerone, Romberch consiglia di utilizzare itinerari che si percorrono abitualmente. L’immagine mostra il percorso di un pastore (bubulcus) che partendo con il suo gregge dalla stalla attraversa una città (o un villaggio dall’urbanistica tardo-medievale) passando prima dal macellaio (bovicida), poi dal libraio (bibliopola) e di seguito dall’armaiolo (bellator), dal barbiere (barbitonsor) per giungere infine all’abbazia (abatia). 56 RICORDO E IM M AGINAZIONE La nostra cultura è fatta di segni che rimandano a significati complessi; molti di essi sono rigidamente organizzati per cui non è difficile trovare insiemi strutturati di simboli. Un esempio classico sono i segni dello zodiaco, ma altri (ad esempio i dipinti oppure le cartine topografiche) se ne possono trovare e servirsene come “appoggio” della memoria. Faccio soltanto due esempi universalmente noti: il gioco dell’oca, che è un vero e proprio percorso delle memoria, e la smorfia napoletana che, soprattutto nelle sue rappresentazioni iconografiche, rende bene l’idea del rapporto simbolico tra immagine e numero. Si possono inoltre creare sistemi di simboli rappresentanti lettere attraverso la somiglianza della forma (vedere Figura 5) o veri e propri codici simbolici. Affrontare approfonditamente questo argomento richiederebbe tempo e porterebbe il discorso lontano dall’oggetto di questo corso introduttivo, quindi mi limiterò, nel prosieguo del manuale, a qualche breve accenno. 5. L’ ORDINE 57 Capit olo 6 LA STRATEGIA La prima e più importante strategia è la tecnica del teatro della memoria che abbiamo fino ad ora esposto. È la più potente mnemotecnica su base immaginativa e può servire da compendio e integrazione anche alle altre tecniche che mostreremo in seguito. Niente vieta ad esempio di associare dei locks (vedremo tra breve di cosa si tratta) a dei luoghi del nostro teatro della memoria, oppure di associare, sempre ai luoghi del teatro, le imagines agentes di ciò che abbiamo deciso di ricordare ecc. Per uno studioso dell’immaginazione, sia egli filosofo o psicologo o entrambe le cose, i teatri classici dell’arte sono fondamentali in quanto si fondano su principi “naturali” di funzionamento della nostra mente, della nostra memoria e, quindi, della nostra immaginazione. Si tratta di immaginarsi delle storielle in cui compare ogni elemento che deve essere mandato a memoria. L’ordine delle associazioni viene determinato dall’ordine in cui vanno ricordate le cose. In ciò si richiama l’ordine su accennato. Se ad esempio devo ricordarmi la seguente lista di parole • • • • • 58 armadio bicchiere tavolo zaino colazione • • • • • libro impressione documenti libertà consumismo RICORDO E IM M AGINAZIONE un metodo per ricordarsi questa lista può essere quello di immaginarsi la seguente scenetta: mi sono nascosto in un armadio perché è tornato a casa il marito della mia amante il quale per bere un bicchiere d’acqua si mette a sedere vicino al tavolo in cucina e così vede il mio zaino appoggiato lì sopra, accanto a una tazza di latte e a un piatto pieno di biscotti per la colazione. Muovendomi, maldestramente faccio cadere un libro appoggiato su un palchetto dentro all’armadio, il marito apre l’armadio e mi vede tutto nudo ricavandone una brutta impressione. Tutto infuriato dice alla moglie di preparare i documenti per il divorzio; lei gli risponde di essere finalmente contenta di riprendersi la propria libertà. Lascio l’allegra famigliola e vado a mangiarmi un panino da McDonald’s, la patria del consumismo . Al di là della banalità della scenetta e della scarsa importanza che personalmente attribuisco a queste tecniche, c’è da dire che un’utilità effettiva e importante per l’arte della memoria ce l’hanno. La storiella che ho raccontato in realtà è poco più di una scenetta teatrale, banale e stupida quanto volete ma, comunque, una scenetta. Tali strategie a mio avviso perdono di funzionalità ed efficacia quanto più diventano complesse. Una storiella come quella or ora riportata può ancora “reggere”; se però si vanno a costituire trame più complesse, quasi fossero un film, si presentano problemi di varia natura che è inopportuno trattare in questa sede. Al contrario se ci limitiamo a una sola scenetta con pochi riferimenti mnemonici al suo interno, la funzione mnestica assolta è di notevole qualità. Ciò ovviamente non toglie che ci si possano costruire tante scenette e porle in ognuno dei luoghi del nostro teatro. A quel punto però l’ordine non lo dà più la concatenazione associativa delle immagini interne alla storiella ma la struttura “oggettiva” del teatro ed è tutto un altro discorso. Ora tali scenette nelle mnemotecniche hanno un loro termine ben preciso, sono imagines agentes. Le concatenazioni associative banali come queste possono rappresentare anche un utile esercizio mnemonico per lo sforzo di fantasia oltre all’impegno di associazione e concatenazione che richiedono. Rispetto alle tecniche classiche e a quelle fonetiche però hanno un gran difetto. Le semplici concatenazioni associative sono autosussistenti, nel senso che fondano la loro forza mnestica sull’associazione interna degli elementi che le compongono. I teatri classici e le mnemotecniche fonetiche invece si fondano su un’associazione esterna al materiale da apprendere, ovvero a un insieme di immagini che nel primo caso si chiamano teatro e nel secondo lock. Il teatro è un “piano” mnemonico fissato con forza e precisione prima dell’apprendimento delle nuove informazioni e da esse indipendente, per cui le nuove nozioni che 6. LA STRATEGIA 59 andremo a memorizzare inserendole in esso avranno una maggiore presa sulla nostra mente proprio perché andranno a posizionarsi su un piano stabile. Al contrario, se ci fondiamo soltanto sull’associazione interna degli elementi che compongono un sistema di ricordi viene proprio a mancare il piano stabile su cui poggiarli; essi si ritrovano allora sospesi per aria. Quindi le imagines agentes sono sempre da preferire se inserite in un teatro. La tecnica delle concatenazioni associative di per sé può avere infine una qualche utilità nell’apprendimento delle lingue. Si deve osservare che comunque e prima delle imagines agentes che tratteremo tra breve, anche le immagini statiche possono essere utilizzate a fini mnemonici. Tali sono i quadri e tutte le raffigurazioni (stampe, fotografie, litografie ecc.) impresse su un supporto fisico. In passato erano molto utilizzate per servire da “promemoria” e al tempo stesso da “riassunto” di intere opere. Basti ricordare la dipintura proposta al frontispizio de La scienza Nuova di Giambattista Vico, oppure le tavole di Gustav Doré per ricordare la Divina Commedia di Dante o ancora le raffigurazioni della Via Crucis raffiguranti le tappe verso il Calvario di Cristo. Le immagini statiche a questo punto però assumono funzione o di interi teatri o, a seconda dei casi, di luoghi e cose. Adesso vanno tanto di moda le mappe mentali (schemi concettuali riassuntivi di testi, teorie, materie d’esame, relazioni ecc. riportati su carta attraverso linee vettore e connettive tra parole semanticamente e/o sintatticamente legate tra loro) che utilizzano i principi dell’associazione immaginativa. Come facilmente intuibile, un pensiero astratto è più facile da ricordare se viene associato a un’immagine concreta, relativa a qualche oggetto dell’esperienza. La ridefinizione dei concetti astratti in immagini sensibili da sola però non è sufficiente per un’arte della memoria veramente efficace. Si deve fare un ulteriore sforzo immaginativo: le immagini non devono essere statiche ma, se possibile, sempre in movimento, devono compiere una qualche azione. Devono altresì avere una carica emotiva, ovvero: ciò che Figura 8. Anche i quadri possono venir usati come teatri della memoria. A mio avviso sono da preferire quelli che ritraggono paesaggi conosciuti. Qui riportiamo ad esempio il dipinto di Bernardo Bellotto in cui viene raffigurata Piazza della Signoria a Firenze nel 1742. Siamo davanti a un teatro molto complesso anche se costituito di pochi luoghi – cosa che, al momento, non è importante trattandosi soltanto di un esempio. La complessità consiste essenzialmente nel fatto che la piazza in 260 anni si è trasformata; tale “ asimmetria” però può convertirsi in un beneficio. Innanzi tutto essendo la riproduzione di un luogo effettivamente esistente risulta comunque un valido aiuto nel caso in cui si voglia fare del luogo ritratto (in questo caso Piazza della Signoria) un teatro della memoria reale. Infatti la prima cosa da fare è fissare con forza i luoghi che costituiscono il teatro. La forza di un teatro, e quindi della memoria artificiale tutta, dipende principalmente da come vengono fissati i luoghi che lo compongono. Tutte le volte che dobbiamo mandare a mente qualcosa, non potendo andare a farci il giro di Piazza della Signoria, saremo costretti ad affidarci alla nostra immaginazione. Visualizzare una f ot o e una riproduzione di un dipint o che raff igurano il nost ro t eat ro può quindi tornarci estremamente utile per fissare i luoghi mnemonici. I dipinti e le fotografie comunque possono venire utilizzati come luoghi e/o teatri della memoria indipendentemente dal fatto che raffigurino qualcosa di reale e che noi conosciamo direttamente, come mostreremo oltre. 60 6. LA RICORDO E IM M AGINAZIONE STRATEGIA 61 queste immagini “agenti” compiono deve incontrare la nostra approvazione o disapprovazione, schifarci o piacerci ecc. Con l’adozione delle imagines agentes il mnemonista fa un uso controllato e volontario delle passioni e dell’immaginazione; un atto cioè di per sé opposto a quanto avviene quando ci lasciamo andare alle fantasticherie e ai sogni a occhi aperti, in cui è la sequenza delle “figurazioni” a determinare le nostre passioni ed emozioni. Le imagines agentes, se così vogliamo dire, si possono anche definire come una “scena”, una “scenetta” (in cui un attore compie un gesto, un atto su un oggetto o su un altro attore che ha però funzione di oggetto) che la nostra mente allestisce nei luoghi del teatro della memoria. In quanto concetto quindi la definizione di “imagines agentes” viene utilizzata anche al singolare; infatti il concetto stesso di “imago agens” è di per sé contraddittorio: se si tratta di un’immagine che “agisce”, si muove, compie un gesto ecc. non è una sola ma più immagini della stessa cosa che si susseguono con rapporti spaziali mutanti dalle une alle altre; insomma vale qui la logica del paradosso della freccia di Zenone. La prima applicazione di tale pratica è abbastanza ovvia: è sufficiente sintetizzare un insieme coerente di concetti, una tesi, una teoria ecc. in un piccolo numero di parole chiave, associare ad esse delle immagini e farle interagire in una imagines agentes. Anche in questo caso vale quanto detto precedentemente per la scelta dei luoghi; è infatti intuibile la necessità di associare i concetti a immagini vive, coerenti e immediatamente rievocanti i concetti voluti. Tutto ciò viene naturale se si utilizzano le regole associative su esposte e se si fa esercizio. Le im agines agentes sono già di per sé delle m nem otecniche; crearsi delle imagines agentes di ciò che vogliamo ricordarci, anche senza porle in un luogo del nostro teatro, garantisce una buona presa mnestica dei pensieri. concentrarsi su ciò che è possibile fare da subito. L’azione deve esser presente quasi sempre in una rappresentazione che voglia mantenersi a lungo nella memoria, ma non deve costituire una trama troppo complessa. Come una frase semplice ha un soggetto, un verbo e un complemento oggetto, così l’immagine che dobbiamo fissare nella memoria deve avere qualcuno o qualcosa (il soggetto) che compie un’azione (il verbo) “di, a, da, in, con, su, per, tra, fra” qualcos’altro (il complemento oggetto). La similitudine tra imagines agentes e periodo sintattico semplice non è affatto banale e rappresenta uno dei punti di forza di teorie come quella di Prendergast a cui faremo cenno fra poco parlando dell’apprendimento delle lingue. L’imagines agentes deve quindi ridursi, inizialmente, a rappresentare non una storia complessa (un film – tanto per intenderci), quanto una singola azione, un insieme limitato di “sequenze” di immagini che permettano di fissare l’immagine della cosa all’azione compiuta con, da, oppure su di essa. Deve essere, semplicemente, un’immagine in movimento o, per la precisione, un’immagine di un’azione. Deve esserci qualcuno o qualcosa che fa qualcos’altro. Giordano Bruno nella “prima pratica” consigliava di crearsi un alfabeto in cui a ogni lettera poter collegare una persona nell’atto di compiere un’azione su un oggetto 1. A tutti noi è capitato di non ricordarci una parola, ce l’abbiamo sulla punta della lingua ma non ci vuol proprio tornare a mente. Poi accade che ascoltiamo un discorso, sentiamo un rumore oppure anche una sola lettera e, come per miracolo, la parola perduta affiora a galla. Ora Bruno, ispirandosi in parte a Pietro da Ravenna, l’aveva pensata proprio bene: non importa memorizzare tutte le parole, è sufficiente memorizzare la prima sillaba o, semplificando noi ancor più, le prime tre lettere che compongono il fonema. Egli partì quindi dall’alfabeto latino a cui aggiunse le lettere greche che non trovavano in esso un corrispettivo fonetico e semantico e le lettere dell’ebraico, il tutto per 30 simboli. Al di là dell’aspetto mnemo-fonetico, pur rilevante nel nostro discorso ma sul quale siamo costretti a sorvolare, è da considerare che queste 30 lettere de- Un errore da molti commesso è quello di immaginarsi delle storie complesse, delle trame da film per meglio memorizzare fatti, persone, cose, programmi d’esami ecc. A un certo livello – e utilizzando tecniche specifiche – ciò può avere anche un senso; all’inizio dello studio è un’attività sicuramente deprecabile. Funziona, quando funziona, per motivi tutt’altro che scontati e di facile intuizione. Quindi lasciamo perdere; conviene invece 1 62 6. LA RICORDO E IM M AGINAZIONE Non è questo il luogo per esporre le teorie di Giordano Bruno; a titolo puramente esemplificativo (quindi senza attribuirgli nessun valore storiografico) liberamente prendo ad esempio, mutandola radicalmente, la prima pratica bruniana per la memoria delle parole. Ciò che credo caratterizzi la mia esposizione è l’accento sulla grammatica e il parallelismo tra la prima pratica e la sintassi di lingue moderne come la nostra; rimando invece all’interpretazione di Gianni Golfera per ogni eventuale e maggiormente appropriato approfondimento sulla tecnica bruniana che, comunque, presenta caratteri di complessità di apprendimento, difficoltà di applicazione e dubbia praticità che trascendono gli intenti di questa guida. STRATEGIA 63 scena e il significato della parola; altrimenti detto: cosa lega l’immagine di Rachele che esibisce una livella con il significato di trasmettere e ripetere? Volendo anche poco o niente. A questo punto però si apre un’altra annosa questione che in questo testo introduttivo siamo in parte costretti a sorvolare. Comunque l’essenziale lo devo pur chiarire: innanzi tutto l’immagine deve servire a evocare una parola e non un significato; comprendere questo è fondamentale. La prima cosa è quindi imparare la nuova parola, dato che il significato lo sappiamo già; non c’è infatti bisogno (anche se prima io un accenno l’ho fatto) di memorizzare il significato di “trasmettere”, “comunicare” ecc. Ciò che dobbiamo, in primo luogo, imparare è la nuova parola, l’imagines agentes è per la parola sconosciuta non per il significato noto. Si deve comunque riconoscere che è opportuno anche un riferimento iconico al significato, ma ciò a determinate condizioni che affrontate qui ci porterebbero veramente fuori rotta. vono potersi anche combinare tra loro. Bene, a ogni lettera dell’alfabeto colleghiamo una persona; nel mio caso, essendo un uomo, una donna. Non è necessario che il nome della donna inizi con la stessa lettera che deve rievocare la sua immagine ma, se così è, tanto di guadagnato. La ragazza è quindi il soggetto nonché la prima lettera della sillaba da ricordare. Adesso dobbiamo occuparci della seconda lettera, come facciamo a ricordarcela? Semplice, il nostro soggetto, la nostra signora, dovrà pur far qualcosa; ecco l’azione che essa compirà verrà collegata alla seconda lettera. L’azione ha funzione di predicato verbale, indica l’azione e insieme al soggetto è uno dei componenti fondamentali della frase in quasi tutte le lingue. Inoltre il predicato verbale, nella frase semplice, segue sempre il soggetto, quindi non soltanto cronologicamente ma pure logicamente l’azione segue l’agente. Con il verbo abbiamo quindi la seconda lettera; la terza a questo punto non può che essere il complemento oggetto, ciò verso cui l’azione del soggetto è indirizzata. Avremo quindi trenta oggetti che, a nostra scelta, costituiranno la terza lettera. In tutto dovremmo disporre di 90 elementi. Io ad esempio mi ero costruito un alfabeto con tutte donne (sono più facili da ricordare) che iniziava con l’immagine della mia amica Alessandra nell’atto di Allattare un’Ampolla (A-A-A). L’immagine è sicuramente bizzarra ma efficace dato che la mia amica ha un bel seno prosperoso e inoltre compiva un’azione espressa con un verbo che iniziava anch’esso con A su un oggetto iniziante per A. È fondamentale comprendere quanto importante sia l’associazione tra immagini raffiguranti la stessa lettera sotto i suoi tre differenti aspetti (soggetto, verbo, complemento) dato che questo rappresenta il “perno” delle ruote della memoria. La forza dell’associazione è tra il simbolo della lettera e le tre immagini che la rappresentano sotto i tre diversi aspetti or ora menzionati. Quindi una volta fissate nella mente le associazioni “A-A-A”, “B-B-B” e via dicendo, le associazioni “composite” (rappresentanti tutte le sillabe tri-elementari possibili con tutte le lettere dell’alfabeto) evocheranno naturalmente le immagini di riferimento. Se, ad esempio, dovessi ricordarmi la parola inglese “relay” (parola che significa, a seconda dei contesti: trasmettere, riferire, comunicare, ripetere ecc.) mi raffigurerò una ragazza che si chiama Rachele mentre Esibisce una Livella, la mostra al pubblico magari in piedi sul banco del negozio in cui lavora: quindi lei espone, riferisce come si usa una livella. Si osserverà opportunamente che in questa immagine potrebbe anche non esservi niente che costituisca un legame tra la rappresentazione della Figura 9. Esempio di ruote mnemoniche utilizzate da Giordano Bruno. Le lettere presenti in anelli diversi hanno significato e funzioni differenti. Nel primo anello a ogni lettera va collegata una figura mitologica o eroica. Al secondo anello le lettere vanno fatte corrispondere a un' azione che può esser compiuta da una delle suddette “ personalità” mitologiche. Al terzo anello ogni lettera deve far riferimento a un attributo o a uno st rument o possedut o o ut ilizzat o dalle f igure mit ologiche. Ogni at t ribut o deve potersi “ applicare” a ognuna delle figure mitologiche. Dall’unione di una figura mitologica con un’azione e un at t ribut o o st rument o si ot t iene una imagines agentes in grado di esprimere una sillaba, o una sigla o comunque un insieme tri-elementare di lettere in grado di funzionare da lock (appiglio) per la memoria. 64 6. LA RICORDO E IM M AGINAZIONE STRATEGIA 65 Ora, indipendentemente da tali problematiche collaterali, questi esempi sono, per l’appunto, soltanto esempi e come tali vanno presi. In realtà se vogliamo utilizzare questa tecnica dobbiamo fare qualcosa di più che non giustapporre a dei soggetti alfabeticamente selezionati e disposti dei corrispettivi predicati verbali nonché i conseguenti complementi oggetto. Dobbiamo popolare il nostro teatro di 90 simboli di cui 60 espressi da immagini di persone o cose e 30 da azioni, quindi da qualcosa di più “astratto” che non la semplice immagine della cosa. Comprendere l’azione giusta da far compiere a tutti e 30 i soggetti non è affatto semplice, dato che dobbiamo trovare 30 azioni che si adattino bene a 30 soggetti: azioni come “allattare” ed “esibire” sono indubbiamente azioni che ben si adattano ai soggetti di sesso femminile ma già con questi due esempi possiamo notare che è più coerente il secondo esempio dato che “esibire” si adatta meglio a ogni tipo di oggetto che non il verbo “allattare”. Certamente l’esempio dell’allattamento dell’ampolla può ancor più ravvivare il ricordo dato che si tratta di un’immagine strana, inusuale e bizzarra, ma non sempre le cose tornano come in questo caso. Ma possiamo sempre farle “quadrare”. La mnemotecnica grammaticale dell’imagines agentes della prima sillaba consente di crearci un appiglio per rievocare pensieri, concetti ma, soprattutto e in primo luogo, parole; è in definitiva una tecnica di memoria verborum . La gestualità è, in termini mnemonici, una modalità di creazione di imagines agentes. La recitazione aiuta la memorizzazione delle parole. Se così non fosse come farebbero gli attori di teatro (che spesso ma non sempre conoscono le mnemotecniche) a ricordarsi intere commedie a memoria? La parola associata al gesto si rafforza nella misura in cui gli dona significato. Mimare è già di per sé stesso un atto associativo; non solo, spesso il gesto segue naturalmente la parola rendendo il legame ancora più stretto quand’anche lo manifesti espressamente. Inoltre l’associazione gesti-parole e il mimare possono venir considerati a tutti gli effetti delle vere imagines agentes. 66 RICORDO E IM M AGINAZIONE Capit olo 7 M NEM OTECNICHE FONETICHE Il codice fonetico Il codice fonetico è un sistema preposto ad associare o, meglio, convertire i numeri in lettere. In molti hanno affrontato questa questione: Hérigone, Leibniz, Feinagle, Paris; in Italia, Silvin, Aureli e Plebani e nel resto del mondo tanti altri ancora. Questa conversione può esser fatta in molti modi e nel corso dei secoli e nei diversi autori ha avuto molti aggiustamenti. Il sistema, va riconosciuto, è semplice e geniale, anzi è tanto più geniale quanto meglio riesce ad esser semplice. Come tutti sanno è difficile ricordarsi a memoria i numeri, soprattutto se lunghi. Tale sistema permette di trasformare i numeri in parole e frasi in maniera tale che siano più facilmente rammentabili. Fin dal Medioevo vi sono stati sistemi che cercavano di trasformare i numeri e le lettere in immagini e prima ve ne erano altri ancora diversi (in quanto il sistema di numerazione era differente). I molti sistemi che si sono succeduti dal Rinascimento all’Età moderna si fondavano ancora sul concetto di somiglianza dell’immagine e dell’associazione “materiale”. Ecco un esempio di come associare le cifre arabe a degli oggetti: 1 Chiodo (simile per forma e posizione). 2 Cigno (simile per forma a un cigno stilizzato). 3 Aquila in volo (se inclinato il numero 3 può vagamente ricordare un aquila in volo). 4 Vela (simile a una vela di una barca o di una nave). 5 Gancio (vagamente simile, ma in posizione inclinata, a un gancio attaccato al muro). 6 Proboscide (simile per andamento della curva). 7 Aratro (vagamente simile per forma, ma non per inclinazione, a un aratro arcaico stilizzato). 7. M NEM OTECNICHE FONETICHE 67 8 Pista macchinine (le macchinine elettriche con cui giocano i bambini). 9 Palloncino (simile a un palloncino tenuto per un filo di spago). 0 Ciambella (simile per forma). Tale tipo di associazione può venir ulteriormente rafforzato assegnando alla cifra e all’oggetto un colore; così, con un po’ di fantasia, avremo: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0 Chiodo/ marrone (uno/bruno). Cigno/blu (due/blue). Aquila/grigio (il colore dell’uccello che si allontana in volo). Vela/bianco (le vele spesso sono bianche). Gancio/nero (spesso sono di metallo nero). Proboscide/avorio (il colore delle zanne anatomicamente vicine alla proboscide). Aratro/verde (l’aratro che incide la terra e rovescia le zolle con l’erba verde). Pista/rosso (pensare a una macchinina rossa o all’assonanza rosso/otto). Palloncino/arancione (un colore sgargiante tipico dei palloncini). Ciambella/giallo (le ciambelle sono giallo-dorate). Questi stratagemmi possono avere una loro utilità se applicati su piccoli numeri ma si rivelano complessi e poco economici se adoperati sui grandi numeri. Quindi la strada da seguire per i grandi numeri deve essere un’altra. È assodato che ci ricordiamo con più facilità le parole che non i numeri e molto meglio le frasi che non i numeri lunghi. Quindi si deve trovare un modo per convertire direttamente le cifre in lettere e, come detto, in molti hanno contribuito a questa impresa. Conversione fonetica 1 = T, D the, Tao, etto, atto, Dea ecc. 2 = N, GN Noè, gnu, anno ecc. (suono nasale) 3=M mai, amo, miao ecc. 4=R eroe, re, oro, reo ecc. 5 = L, GL olio, Leo, ali ecc. (suono liquido) 6 = C, G ciao, acciaio, oggi ecc. (C e G dolci, suono palatale) 7 = CH, GH, Q (K) ghiaia, oca, eco ecc. (suono gutturale) 8 = F, V uova, uva, Eva, afa ecc. 9 = B, P bue, ape, oppio ecc. 0 = S, Z, SC asso, asse, zio, zoo, tazza ecc. (suono sibilante) Ovviamente non è importante la scelta dei termini di conversione – si tratta del resto di parole che possono essere sostituite a piacimento – quanto il criterio con cui sono state scelte che necessariamente dovrà essere rispettato alla lettera. Regole di conversione e di composizione Dagli esempi fatti nella colonna di destra si possono intuire già alcune regole. Parte del successo di queste tecniche è che sono proficuamente utilizzabili sfruttando un insieme di segni già noto (l’alfabeto) e un numero limitato di regole rigide nella definizione ma che comunque permettono una certa elasticità e ampiezza di applicazioni. Se prima abbiamo associato i numeri a degli oggetti e a dei colori adesso li assoceremo a delle lettere. Se però adottiamo un’associazione rigida iniziando con 1 = A, 2 = B, 3 = C, 4 = D, 5 = E ecc. ci rendiamo subito conto che la sequenza delle lettere che otterremo facendo una qualsiasi conversione non porta a niente; innanzi tutto perché se converto le dieci cifre arabe mi resta fuori più della metà dell’alfabeto e poi perché con le dieci lettere che utilizzo ben difficilmente riuscirò a costruire parole e, soprattutto, frasi sensate. Il criterio da seguire deve quindi necessariamente essere un altro che troviamo riassunto nella seguente tabella che dovrà essere ben memorizzata: Costanti e variabili. Come possiamo facilmente desumere dalla tabella la conversione va fatta soltanto con le consonanti; le vocali non hanno nessun significato, servono soltanto per poter ordinare le consonanti in parole coerenti e con un significato d’uso comune. Quindi le consonanti rappresentano le “costanti” del nostro metodo, mentre le vocali sono le “variabili”, le parti cioè che posso cambiare alla bisogna senza perdere nessun valore di conversione fonetica. Questa è stata una grande invenzione: avere una parte fissa di conversione rigida (consonanti con numeri) e una parte mobile (le vocali) di adattamento semantico al fine di costruire parole e frasi con un senso compiuto. 68 7. M NEM OTECNICHE FONETICHE RICORDO E IM M AGINAZIONE 69 Consonanti doppie. Le consonanti doppie contano per una soltanto, quindi se devo convertire la parola tazza in numero non avrò 100 (T = 1 + Z = 0 + Z = 0) ma 10 (T = 1 + ZZ = 0); bella sarà 955 (B = 9 + L = 5 + L = 5) bensì 95 (B = 9 + LL = 5), quindi la parola bella sarà foneticamente equivalente alla terza persona singolare del verbo belare ( bela), così la frase “una bella che bela” darà 1-95-95 e non 1-955-95. Pronuncia. L’associazione non andrà fatta con il segno scritto della consonante ma con il suo suono (da qui il nome di conversione fonetica); quindi quando andremo a pronunciare la lettera D non dovremo dire Di (D + i) ma semplicemente D, come fanno i bambini quando imparano l’alfabeto. È importante fare così altrimenti si crea subito un’associazione rigida tra consonante e vocale che non deve aver luogo, dovendo questa infatti variare alla bisogna. Gruppi fonetici. L’insieme GL varia di valore a seconda della pronuncia per cui la parola maglia sarà 35 (M = 3 + GL = 5), mentre la parola igloo darà 75 (G = 7 + L = 5). Stesso discorso vale anche per altri gruppi. SC: uscita vale 01 (SC = 0 + T = 1) mentre esco vale 07 (S = 0 + C = 7). Per la pronuncia di alcune parole straniere dovremmo introdurre anche altre eccezioni ma per non appesantire troppo l’argomentazione ci fermiamo qui e rimandiamo ad altro scritto un ulteriore approfondimento. Limitiamoci a dire che basta usare il buon senso (ed esercitarsi un po’ a convertire), per cui la j di Jugoslavia ha valore neutro mentre quella di jolly conta 6 in quanto si pronuncia come la g; così la y di rally ha valore di vocale ecc. La conversione fonetica consente di memorizzare numeri lunghi trasformandoli in parole o frasi dal senso compiuto e, per questo, di più facile ritenzione che non lunghe catene di cifre dall’impalpabile significato. Facciamo un esempio: se per caso dobbiamo memorizzare un numero di dieci cifre (come potrebbe essere un numero di telefono, un numero di matricola o di un’utenza di servizio, fornitura di acqua, gas, elettricità ecc.) possiamo convertirlo foneticamente con una frase di facile apprendimento: 1 3 2 9 8 9 4 2 8 7 Do Ma Ni Pio Ve O ppu Re Ne Vi Ca domani piove oppure nevica 1329894287 Ovviamente non sempre vengono frasi così coerenti, spesso saremo costretti a inventarci frasi più bislacche. Ecco alcuni esempi con date “storiche”: 11/09/2001 (t/d) (t/d) (z/s) (p/b) (n) (z/s) (z/s) (t/d), “ti doso bene se azzanno”; 12/10/1492, “dono a tazze derubato” e via dicendo. Una volta apprese però le frasi bislacche si fissano con maggior precisione nella mente che non quelle più consuete. Il calendario, un esempio di applicazione pratica Pensiamo a un ufficio o a una biblioteca: ogni libro e ogni pratica vanno posti nel giusto ordine, sullo scaffale o dentro il faldone apposito per poter essere con facilità ritrovati. Così funziona anche la memoria. La tecnica della conversione fonetica ci ha dato qualcosa di più che non la semplice traduzione dei numeri in parole in quanto le parole, spesso se non sempre, si portano dietro anche delle immagini. Per cui se penso alla trascrizione fonetica dei numeri da 1 a 100 otterrò anche una serie di parole e quindi di immagini ordinate. Non soltanto: per ricordarmi l’ordine di queste immagini e la loro corretta successione non dovrò ricorrere a un teatro ma basterà riconvertire la parola in numero, cosa che, con un po’ di esercizio, mi risulterà facile. 70 RICORDO E IM M AGINAZIONE Per dimostrare l’efficacia di questo metodo 1 generalmente si pone agli “apprendisti” mnemonisti un gioco a indovinello. Si chiede al mnemonista di indovinare in quale giorno della settimana (lunedì, martedì, mercoledì ecc.) cade una determinata data dell’anno (il 25 dicembre piuttosto che il 15 agosto o un qualsiasi altro giorno). Con grande stupore degli astanti il mnemonista indovina sempre il giorno. Come fa? Si è forse imparato tutto il calendario a memoria? In realtà il sistema è molto semplice (ma anche molto geniale l’inventore che per primo ci ha pensato): si deve consultare il calendario dell’an1 Si veda Maurizio Possenti e Paola Cuppini, Tecniche di memoria e lettura veloce, Firenze, GiuntiDemetra, 2009, pp. 189-191. 7. M NEM OTECNICHE FONETICHE 71 no che si intende memorizzare e controllare in quale giorno (numero) cade ogni primo lunedì del mese. Per il 2011 si ha questa serie: Gennaio 3 Febbraio 7 Marzo 7 Aprile 4 Maggio 2 Giugno 6 Luglio 4 Agosto 1 Settembre 5 Ottobre 3 Novembre 7 Dicembre 5 A questo punto conviene raggruppare la serie numerica così ottenuta in insiemi di due, tre o quattro cifre (377 - 426 - 415 - 375) e convertirli foneticamente. Otterremo ad esempio “magico rancio a radice ammucchialo” che non significa assolutamente niente se non si vuol proprio affibbiargli un senso ma che sicuramente è più facile da memorizzare che non 377426415375; sicuramente è più facile che non impararsi a memoria tutto il calendario. A questo punto il gioco è fatto; se infatti mi viene richiesto di che giorno viene l’11 gennaio, sapendo che il primo lunedì del mese è stato il 3 non dovrò fare altro che un semplice calcolo matematico aggiungendo a 3 il 7 e arrivando così al lunedì successivo, il 10, quindi l’11 deve per forza essere un martedì. Obietterete voi che forse ci si mette meno a controllare direttamente il calendario che non a fare tutto questo lavoro di memorizzazione e calcolo; rispondo che avete ragione, si tratta soltanto di un gioco, ma mostra un’applicazione intelligente di un principio razionale e, da un certo punto di vista, anche economico. Per alcune tipologie di lavoratori (chi svolge attività di segreteria, ad esempio) ciò però potrebbe rappresentare anche un effettivo aiuto, ma adesso non è importante il suo uso pratico quanto il valore di esempio che può rappresentare per la nostra esposizione introduttiva. Anche la sequenza stabilita dalla conversione fonetica dei numeri non è tanto importante per la “memorizzazione diretta”, quanto per la creazione dell’ordine che poi permetterà la memorizzazione. so, semplice e dalle potenzialità infinite; la trascrizione fonetica dei numeri dà un sistema oggettivo e univoco di “costruzione” astratta delle parole-immagini; infine le parole-immagini così ottenute possono essere la rappresentazione “sintetica”, “l’immagine chiave” del concetto da ricordare oppure trasformarsi a loro volta in luoghi della memoria a cui poter collegare o dentro cui inserire altre immagini rappresentanti ricordi. Se, ad esempio, devo memorizzare una lunga lista di termini non dovrò far altro che collegare l’immagine della cosa rappresentante ogni termine all’immagine del lock. Così se il numero 1 viene trascritto foneticamente nella parola “dea” e devo ricordarmi del termine “lettera” mi immaginerò la dea Venere mentre imbuca una lettera dentro una cassetta postale; se dopo dovrò memorizzare la parola “coltello” potrò immaginarmi Enea (la mia trascrizione fonetica del numero 2) che cerca di scassinare con un coltello la cassetta postale dentro cui Venere aveva messo la sua lettera. Uno dei più evidenti vantaggi dei locks rispetto ai loci classici è che possiamo sempre sapere a quale punto del teatro si trova un’immagine o un lock, dato che ognuno di essi è il corrispettivo di un numero. Inoltre i teatri così costruiti possono essere virtualmente infiniti. Essi, come già accennato, possono essere utilizzati anche come immagini di numeri per ricordarsi pin , numeri di conti correnti e altro. I luoghi dei teatri classici, per contro, hanno altri enormi vantaggi: sono molto più duttili, consentono un ordine spaziale e puramente immaginativo che non necessita di nessuna conversione logica; sono per così dire molto più naturali dei locks e per questo, a giudizio di chi scrive, sono da preferire. Tabella dei locks Quello che segue è soltanto un esempio 2 di come può venir costruita una tabella di locks ad uso di teatro della memoria. Alcune sommarie considerazioni: innanzitutto si è messa la parola “Zoo” (che sta per zero) all’inizio. Se si struttura un teatro però conviene metterla per ultima al posto del 100 (in alternativa si può utilizzare un termine con valore 100 come può essere la parola “discesa”), in quanto se usata davanti all’1 tutte le immagini diventa- Locks Le parole ottenute dalla trascrizione fonetica dei numeri funzionano come dei locks (lucchetti), dei punti di appiglio ai quali attaccare le cose da memorizzare. Sono a tutti gli effetti i sostituti dei loci nei teatri classici della memoria. Il sistema numerico decimale, altrimenti detto, fornisce un ordine preci- Si veda ad esempio: Maurizio Possenti e Paola Cuppini, Tecniche di memoria e lettura veloce cit., pp. 161-162; Tito Aurelj, L’arte della memoria, Roma, Carlo Voghera, 1905; Gianni Golfera, L’arte della memoria di Giordano Bruno, Milano, Anima Edizioni, 2005; Benedetto Plebani, L’arte della memoria, Milano, Hoepli, 1899; Aimé Paris, Souvenirs du cours de mnémotechnie, Paris, Madame Lévi Libraire, 1829. 72 7. M NEM OTECNICHE FONETICHE RICORDO E IM M AGINAZIONE 2 73 no corrispettivi dei numeri dei luoghi successivi: così il corrispettivo del numero 1 “Dea” (proviamo a immaginare la Dea Afrodite) in realtà è il luogo numero 2 (il numero 1 è lo “Zoo”). Quindi costruendo un teatro di locks partiamo sempre dalla conversione fonetica del numero 1. Nella tabella che segue si è anteposto all’1 lo 0 semplicemente per mettere in fila tutti i numeri con la stessa decina (dal 10 al 19; dal 20 al 29 ecc.), ma costruendo il teatro partiamo sempre dal numero 1 e arriviamo al 100. 0. Zoo 10. Tazza 20. Naso 30. M azza 40. Rossa 1. Dea 11. Tetto 21. Nodo 31. M ito 41. Ruota 2. Enea 12. Donna 22. Nonna 32. M anna 42. Rana 3. Uomo 13. Dama 23. Gnomi 33. M amma 43. Rame 4. Oro 14. Tiro 24. Nuora 34. M auro 44. Raro 5. Olio 15. Telo 25. Anello 35. M ele 45. Rally 6. Gioia 16. Doccia 26. Noci 36. M icio 46. Regia 7. Oca 17. Tacco 27. Nocca 37. M acchia 47. Ricco 8. Uova 18. Tuffo 28. Neve 38. M afia 48. Rovo 9. Bue 19. Tappo 29. Nappa 39. M appa 49. Roba ********** ********** ********** ********** ********** 50. Lesso 60. Gesso 70. Cassa 80. Vassoio 90. Pazza 51. Loto 61. Cetto 71. Chiodo 81. Foto 91. Body 52. Lana 62. Cenno 72. Cono 82. Vino 92. Panna 53. Lima 63. Cima 73. Camme 83. Fame 93. Piuma 54. Alloro 64. Cera 74. Carro 84. Verro 94. Baro 55. Lella 65. Cielo 75. Chilo 85. Foglia 95. Balla 56. Leccio 66. Ciuccio 76. Cuccia 86. Faggio 96. Bacio 57. Allocco 67. Geco 77. Coca 87. Fico 97. Bocca 58. Leva 68. Ceffo 78. Cavo 88. Fava 98. Buffo 59. Lupa 69. Ceppo 79. Cappio 89. Fobia 99. Pappa 74 RICORDO E IM M AGINAZIONE Capit olo 8 APPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI Imagines agentes e apprendimento delle lingue Prima di iniziare questo capitolo del manuale desidero fare una precisazione. La parte dell’apprendimento delle lingue è, pur nei limiti di uno scritto introduttivo come questo, preponderante rispetto a quella dell’apprendimento delle altre discipline e il perché è presto detto. L’apprendimento delle lingue è più complesso, dal punto di vista dell’immaginazione, che non le mnemotecniche per ritenere le formule matematiche, oppure le leggi ecc. Tutte queste cose infatti possono venir riportare a quanto detto sulle regole generali dell’arte della memoria per immagini1; al contrario l’apprendimento delle lingue (che tra l’altro ha un uso molto più ampio di ogni altra disciplina dato che, comunque, nel comunicare una qualsiasi forma di sapere, scienze, arti ecc. non si può prescindere dal conoscere una lingua) necessita di spiegazioni ulteriori e diverse che non per ogni altra forma strutturata di comunicazione e conoscenza. Nonostante sia ormai diventato un luogo comune quello di ritenere che non si impara una lingua dalla grammatica (dato che ognuno di noi ha imparato la propria lingua madre senza l’ausilio di nessun compendio di morfologia e sintassi), in tutte le scuole, pubbliche come private, elementari come l’università, si continua a incentrare lo studio delle lingue proprio sulle regole formalizzate dai linguisti. In natura però non esiste grammatica! Perché questo errore così facilmente identificabile non viene corretto? 1 In realtà la questione della matematica è più complessa e l’affronteremo alla fine di questo saggio. Il centro della mia argomentazione adesso è il ricordo in relazione alla memoria più che il ricordo in relazione alla comprensione dei concetti; in questo senso quindi la presente argomentazione differisce da quella che riporterò alla fine. 8. A PPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI 75 2 In realtà il metodo Prendergast è stato recuperato ma pure semplificato, denaturato e strumentalmente aggiunto a molte nostre contemporanee metodologie di insegnamento delle lingue. gole parole, piuttosto che la grammatica? Perché le frasi rappresentano già dei piccoli teatri della memoria, all’interno dei quali poi si possono cambiare le cose nei luoghi, ovvero le parole all’interno della struttura grammaticale. Il teatro è già la sintassi, le immagini sono già la semantica, le cose nei luoghi sono già le parole. Il tutto deve formarsi per imitazione e senza sforzi di comprensione, così come quando andiamo a fare una passeggiata non compiamo nessuno sforzo per comprendere dove siamo, da quale parte siamo arrivati e verso quale direzione stiamo andando. Il significato emerge dopo, gradualmente quasi quanto spontaneamente: prima si parla poi si capisce ciò che si dice. La memorizzazione quindi segue una strada diversa, e per alcuni aspetti anche opposta, alla comprensione astratta del concetto. È questo un principio che dovrebbe esser sempre tenuto presente: la comprensione astratta rende difficoltosa la memorizzazione a chi non ha un’adeguata struttura concettuale nella quale inserire ciò che viene compreso. Per il bravo professore di filosofia o di matematica, ad esempio, non è difficile imparare una nuova teoria astratta in quanto ha uno schema mentale arricchitosi e affinatosi negli anni nel quale farla convergere; per un giovane studente invece è vero il contrario: un notevole sforzo di comprensione è assolutamente inutile se non viene associato alla creazione di uno schema mentale, di un teatro della memoria. Il concetto astratto non soltanto va compreso ma va anche “collocato” da qualche parte. Anzi, prima che compreso, andrebbe sempre collocato. Sì, ma dove? Non certo in uno schema mentale astratto che, appunto, si deve ancora costruire (oppure stiamo costruendo), non certo in un ordine surrettizio e avulso dal contesto in cui ne siamo venuti a contatto. Le cose vanno imparate senza nessuno sforzo intellettuale, per imitazione e collocandole, sempre per fare un esempio (che però di per sé non ha ambizioni di essere esaustivo), su di noi, al centro del nostro teatro cognitivo, della scena che stiamo vivendo nel momento in cui le apprendiamo. Per questo motivo i bambini imparano facilmente e senza l’ausilio di nessuna grammatica a parlare la lingua dei loro genitori: collocano le frasi che sentono naturalmente e intuitivamente nella situazione in cui le hanno apprese, senza nessun medio dell’astrazione. “Mangia la pappa” significa semplicemente il suono: “mangia la pappa”, quando il bambino è davanti a una scodella piena di cibo e sua madre gli è di fronte con un cucchiaio pieno di pappa. Lui non sa cosa significhi mangiare, cosa sia la pappa, cosa sia un verbo, un soggetto, un complemento ecc.; sa soltanto che la mamma 76 8. A PPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI Vi sono ragioni psicologiche: le regole sintattiche forniscono uno schema già prefabbricato, non richiedono un impegno realmente creativo e, a ben considerare, neppure profondamente interpretativo; vi sono poi ragioni sociologiche: stabilire infatti precise regole di traduzione, di codifica e decodifica dei linguaggi “regolarizza” gli scambi fra le comunità, siano essi commerciali, legali, burocratici o politici. Infine vi sono ragioni di economia didattica: infatti una lingua non si può insegnare ma soltanto imparare; una lingua non è semplicemente una conoscenza che si trasferisce da una persona a un’altra ma una competenza che nasce all’interno dell’individuo che si relaziona con un ambiente socialmente evoluto. Ciò che può essere comunicato, e quindi trasferito e – in definitiva – “venduto” è semplicemente uno “schema di apprendimento”, ovvero una grammatica. Le reticenze più forti a una vera riforma della didattica in questo settore comunque vengono dalla psicologia: ricevere uno schema di apprendimento già codificato esime dal riflettere autonomamente, dallo sforzo di comprensione (e già questa è una ragione fortissima del successo delle grammatiche) e, d’altra parte, rassicura perché chi ha scritto il libro di grammatica ne sa sicuramente più di noi. In realtà tentativi di scavalcare il “metodo grammaticale” non sono mai mancati nella storia; un esempio chiarificatore ci viene offerto da Thomas Prendergast che nel suo The mastery of languages codifica un nuovo (e non soltanto per quel periodo, il 1864) metodo per l’apprendimento delle lingue straniere. A parte il fatto che tale sistema è tuttora valido e che sarebbe interessante analizzare, al di là delle ipotesi su suggerite, il perché non abbia avuto la diffusione che merita2, esso risulta interessante per vari motivi. Il primo dei quali è che per l’apprendimento delle lingue non c’è bisogno di sforzare la memoria per la ritenzione delle parole; l’apprendimento inoltre non deve partire dalle strutture grammaticali e neppure dalla traduzione nella propria lingua. L’apprendimento della lingua deve prescindere dalla comprensione semantica del linguaggio e deve basarsi sulla ripetizione e l’apprendimento “percettivo” (articolazione dei suoni e ritenzione dell’immagine sensoriale) delle frasi. Per quale motivo si devono imparare le frasi (le lunghe e complesse meglio delle brevi e semplici) evitando di comprendere le sin- RICORDO E IM M AGINAZIONE 77 emette dei suoni che noi gente acculturata riconosciamo nell’insieme di grafemi “mangia la pappa”, quando lui è a sedere a tavola con davanti un oggetto pieno di roba calda e che sua madre gli pone un cucchiaio pieno di quella roba. Infine questa situazione egli non la riflette come potrebbe sembrare dalla descrizione che ora ne ho data, semplicemente la sperimenta su di sé senza il medio dell’astrazione. Il significato della frase è nella scena stessa che vive, è parte integrante del suo teatro della memoria. Così si imparano le lingue in maniera idiomatica, sostiene Prendergast e, sinceramente, è difficile dargli torto. Il fatto è però che col passare degli anni il bambino viene progressivamente coinvolto e intrappolato in un sempre più complesso sistema di simboli e significati e, con l’affermarsi di questo, si va sempre più perdendo la naturalezza dell’apprendimento infantile. Recuperare il vecchio sistema di apprendimento diventa quasi impossibile; per contro esso viene sostituito dall’apprendimento per “addizione”: si sommano le vecchie conoscenze alle nuove, in tal modo però inserendole sempre nei soliti schemi mentali che, col passare del tempo, si rendono sempre più rigidi. Le mnemotecniche stesse risentono spesso di questa tendenza all’astrazione che poi altro non è che tendenza alla ritenzione mnemonica, alla mente come magazzino di informazioni. Infatti molte tecniche tradiscono in parte i loro stessi presupposti irrigidendo l’apprendimento all’interno di rigide regole che non tengono nel dovuto conto i processi di astrazione. La memorizzazione forte, potente, parte sempre con un processo di deastrazione, di rinuncia ai nostri schemi mentali fissi, per adattare la mente alle nuove conoscenze. Infatti, se adeguiamo le nuove conoscenze ai nostri schemi fissi di pensiero, dobbiamo compiere un complesso e faticoso lavoro di astrazione, di adattamento “semantico” del nuovo concetto al vecchio schema “sintattico”. Al contrario, se nell’apprendimento adeguiamo la nostra mente alla cosa da imparare, se creiamo un nuovo sistema di riferimento (un nuovo schema, una nuova rete di relazioni o come la vogliamo chiamare) alla cosa che si pone sul suo stesso piano cognitivo, l’astrazione (e quindi lo sforzo) non entra in gioco che in minima parte. Certo è che tutta la nostra società e la nostra stessa mente, per sua intima natura, ci spingono sempre verso la conferma degli schemi che col tempo ci andiamo formando e affinando. Ciò comporta un notevole risparmio di energie mentali nell’immediatezza dell’apprendimento del nuovo, ma al prezzo di un maggiore sforzo successivo e di una minore capacità ritentiva sul medio e lungo periodo. Figura 10. Il diagramma dell’albero si trova nell’ Arbor scientiae di Raimondo Lullo, ed. a st ampa Lugdunum 1515. Come possiamo vedere si t rat t a di una mappa ment ale (così verrebbe definito oggi tale disegno) preposta a ricordare un insieme strutturato di conoscenze (in questo caso la scienza di cui Lullo si riteneva l’ideatore). Si osservi che i vari concet t i sono rappresent at i da parole che vengono dispost e in espansione dal tronco dell’albero: in alto dai rami e in basso dalle radici. Senza entrare nei dettagli della scienza di Lullo possiamo comunque constatare con facilità che i concetti sono posti gerarchicamente dal centro verso la periferia dello schema – senza mai tornare indietro – in base al ruolo che essi rivestono all’interno del sistema filosofico che intendono rappresentare. Si consideri infine che tanto le radici quanto i nastri su cui sono scritte le parole sui rami hanno andamento curvilineo e che inoltre, al di là della stessa immagine dell’albero, vi sono altre immagini atte a rafforzare la presa mnestica dei concetti (fiori, frutti, il monaco ecc.). 78 8. A PPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI RICORDO E IM M AGINAZIONE 79 Nell’apprendimento idiomatico, così come nelle mnemotecniche, si teme di ripartire sempre da zero o, almeno, da uno o da due, da cinque, da dieci e non da mille o da cinquemila così come, per abitudine, siamo portati a pensare ogni volta che apprendiamo qualcosa di nuovo. È una paura infondata quella che inconsciamente ci tiene lontani dal corretto metodo di apprendimento; la paura di perdere tutto ciò che si è già appreso. Infatti, accantonare gli schemi mentali di riferimento acquisiti viene naturalmente scambiato per perdere tutto ciò che si è appreso come se la “vita” di ciò che si conosce dipendesse dal sussistere dei nostri rigidi schemi mentali. Al contrario, riuscire ad aggiungere nuovi schemi (nuovi teatri) ai vecchi rende la nostra mente più elastica e più agile il pensiero. Uno sforzo effettivamente va fatto, esso però va in una direzione diversa rispetto a quella che normalmente si crede. Si tratta dello sforzo di cambiare sistema di riferimento, di lasciare i nostri punti d’appoggio per costruirne altri. Per il sistema di apprendimento di Prendergast vale quel che sosteniamo per i teatri della memoria. Erroneamente si ritiene che l’uso dei teatri della memoria rappresenti un affaticamento della memoria, che si carichino le menti delle persone con immagini inutili ecc.; in realtà senza teatro non esisterebbe coscienza, la coscienza stessa è il teatro della nostra mente. Ciò che dobbiamo fare è diventare, almeno in parte, padroni del meccanismo. Normalmente adattiamo le nuove conoscenze ai nostri schemi rigidi di pensiero. Con le mnemotecniche non si cerca subito di rendere più elastici e flessibili tali schemi; si tenta invece di aumentarne il numero imparando a crearne, coscientemente e metodicamente, di nuovi. È soltanto in un secondo tempo, quando si è già padroni del sistema di memorizzazione tramite teatri, che si può cercare di rendere più elastici i nostri schemi mentali. Infatti il mnemonista abile non soltanto pone nuove conoscenze in nuovi teatri, ma riesce anche ad adattare i vecchi teatri alle nuove conoscenze. L’apprendimento e la memorizzazione devono avvenire, per così dire, in maniera “idiomatica”, senza il medio della riflessione, senza troppo elucubrare su concetti e immagini. Ciò pone l’obbligo dell’esercizio perché, almeno all’inizio, non è facile liberarsi dalle vecchie abitudini. Quel che spesso neppure i mnemonisti tengono in considerazione è che la mente si dà naturalmente dei teatri, ovvero contestualizza i propri contenuti che, per sé presi, sono sempre e soltanto delle astrazioni. L’apprendimento idiomatico di una lingua per imitazione pone infatti l’accento sul contesto (la frase) più che sulla cosa (le singole parole), sulla rappresentazione (iconica o acustica che sia) piuttosto che sul significato. Non possiamo riportare qui il sistema di Prendergast nel suo complesso, visto che nella nostra società, e dati gli attuali metodi di insegnamento, diventa impossibile prescindere dalla grammatica; possiamo però prenderne alcuni spunti. 80 8. A PPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI RICORDO E IM M AGINAZIONE M usicalità L’apprendimento di un gran numero di vocaboli e delle strutture sintattiche delle lingue non può avvenire che con estremo sforzo attraverso il metodo associativo. Si devono invece considerare altri due tipi di apprendimento: apprendere frasi dal senso compiuto; apprendere “la musicalità”, la cadenza della frase senza concentrarsi sul suo significato “statico”, ovvero sulla sua traduzione. Quindi la pronuncia della frase deve sempre precedere la traduzione del vocabolo. M emorizzare la frase e associarla all’immagine Dobbiamo iniziare a imparare frasi utili senza stare a tradurle ma associandole all’immagine di ciò che rappresentano. Se devo imparare la frase “How much does it cost?” non mi focalizzerò sulla traduzione letterale bensì mi fingerò una scenetta in cui io chiedo al pasticcere quanto costa una crostata con la marmellata, un’altra immagine dove pongo sempre la stessa domanda ma a un altro personaggio, ad esempio a una commessa di un negozio di elettronica che mi mostra un nuovo modello di telefono e via dicendo. Le frasi prima delle regole delle frasi Le regole grammaticali si “materializzano” in frasi (per cui ad esempio la costruzione della frase interrogativa del present continuous in inglese prende corpo in frasi del tipo “Is it raining?”, “Who are you waiting for?” ecc.) per cui si devono imparare gli esempi senza fare riferimento alla regola che li sottende ma collegandoli a immagini dinamiche ( imagines agentes) coerenti. Più le immagini sono diverse nell’oggetto ma coerenti nel criterio grammaticale implicito, più saranno efficaci. Frasi come quelle ora esposte non hanno niente in comune, eccezion fatta che per la costruzione grammaticale che, guarda caso, è proprio ciò che abbiamo deciso di non considerare. Co81 me procedere allora? Costruiamoci immagini che siano legate tra loro proprio dalla funzione grammaticale della frase. Sembra difficile ma con un po’ d’impegno non lo è affatto. In questo caso pensiamo di essere a sedere nel nostro ufficio e di parlare a un nostro collega che sta guardando fuori dalla finestra. Ripetendo “Is it raining?” immaginiamo che egli stia guardando fuori mentre piove; con “Who are you waiting for?” invece sta guardando per strada mentre arriva la sua fidanzata con cui ha un appuntamento. Alle precedenti posso senza problemi aggiungere la frase “What are the children doing?” e immaginarmi che il mio collega invece di guardare la fidanzata stia osservando i bambini che abitano nel palazzo di fronte mentre stanno guardando la televisione che è posta vicino alla finestra e che mi risponde “They’re watching television.” Così come posso immaginarmi di essere in ufficio davanti alla finestra mentre sono a telefono con un amico che mi chiede cosa sta facendo il mio collega (“What’s Paul doing?“) e io che rispondo “He’s reading a newspaper” dopo che il mio collega (questa volta è lui a sedere alla scrivania a leggere) mi ha chiesto: “Is it raining?”. Obietterete che non sempre è così facile creare dei collegamenti, ma si tratta di un obiezione non completamente esatta. In realtà si può sempre procedere in questo modo e la dimostrazione è proprio nelle frasi inglesi che vi ho ora riportato: non le ho infatti scelte io per mia comodità ma le ho prese “tali e quali” da una serie di esempi sul present continous dall’Essential grammar in use della Cambridge University Press (sono esempi che si trovano tutti insieme a p. 18 dell’edizione a cura di Raymond Murphy, 2007). Comunque sia è bene ripetere che i legami tra le immagini e le regole grammaticali non devono necessariamente essere per similitudine immaginativa (come potrebbe essere l’ambientazione dell’ufficio negli esempi su riportati) ma soprattutto per prossimità funzionale come negli esempi della frase “How much does it cost?” in cui cambiano i luoghi, i personaggi e gli oggetti ma resta identica l’azione del chiedere il costo dell’oggetto, oppure come negli esempi posti all’inizio del libro in cui fingevamo di essere poliziotti e controllando i documenti ai turisti chiedevamo “How long are you here for?”. parliamo col cameriere) e avviare uno scambio di battute col nostro o i nostri interlocutori. Ciò può risultare alquanto ostico, soprattutto se non si è molto esercitata l’immaginazione in precedenza, ma, per fortuna, vi è un sostituto molto utile e divertente della conversazione immaginaria: i fumetti. Così poter leggere dei fumetti in inglese facilita di molto l’apprendimento della lingua: essi sono supportati dalle immagini; generalmente non richiedono un bagaglio lessicale particolarmente complesso e, a differenza dei libri di narrativa, sono molto più vicini alla lingua parlata. Il vantaggio di esercitarsi con le conversazioni immaginarie è che funzionano meglio, prima e, soprattutto, esercitano l’immaginazione; i vantaggi della lettura dei fumetti è che sono meno impegnativi per l’immaginazione, esimono dalla costruzione delle frasi. I fumetti sono passivi, le conversazioni immaginarie attive: proprio per questo i primi sono più facili mentre le seconde più efficaci. Costruzioni perifrastiche e traduzione Il tradurre è, a sua volta, un buon esercizio; il sistema migliore è tradurre nella lingua che si vuole imparare, quindi per un italiano tradurre dall’italiano all’inglese. Non è importante il numero di errori che si commettono – sempre che si possa far controllare la traduzione a chi è in grado di correggerci – quanto l’esercizio di composizione. Non è importante tradurre alla lettera, anzi è meglio tradurre nei modi più variegati possibile, utilizzando giri di parole ecc. Ecco cosa racconta Thomas de Quincey nella sua autobiografia: A tredici anni scrivevo in greco con facilità, e a quindici possedevo quella lingua così bene che non solo componevo poesie greche in metri lirici, ma potevo conversare in greco corrente e senza imbarazzo. Da allora non ho mai incornato un dotto che fosse capace di tanto, e io dovevo la mia bravura alla pratica quotidiana di tradurre dai giornali a prima vista nel miglior greco possibile: perché la necessità di frugare nella mia memoria e nell’inventiva alla ricerca d’ogni sorta di combinazioni ed espressioni perifrastiche per rendere le idee, le immagini, le relazioni tra le cose, proprie del tempo moderno, mi aveva dato un dominio della lingua che non avrei mai raggiunto a furia di piatte traduzioni di saggi morali ecc.3. Conversazioni immaginarie Nell’apprendimento delle lingue straniere un ottimo esercizio è quello di fingersi delle conversazioni con qualcuno. Dobbiamo immaginarci una situazione reale (come ad esempio quella in cui ci troviamo in un ristorante e 82 RICORDO E IM M AGINAZIONE 3 Thomas de Quincey , Confessioni di un oppiomane, Milano, Garzanti, 2003, p. 11. 8. A PPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI 83 Le costruzioni perifrastiche, così come ogni altra forma di costruzione sintattica e di traduzione semantica che favoriscano l’inventiva dell’individuo, sono sicuramente da preferirsi. In maniera poi neppure tanto dissimile si apprende una lingua straniera “sul posto”. Si combinano gli elementi lessicali in nostro possesso non per riprodurre esattamente ciò che si vorrebbe dire ma per riuscire a esprimere ciò che si intende comunicare; altrimenti detto: se non sappiamo tradurre alla lettera una frase della nostra lingua in un’altra, che conosciamo poco, cosa facciamo? Semplicemente cerchiamo di combinare le parole straniere e i pochi elementi grammaticali in nostro possesso per costruire una o più frasi nell’altra lingua cercando di avvicinarci, per quanto possibile, a ciò che vorremmo esprimere. Col passare del tempo e seguitando a fare questo tipo di sforzo arriveremo a padroneggiare alcune frasi “perfette” nell’altra lingua. Esse costituiranno degli elementi stabili nell’universo mnemonico che andiamo formandoci della nuova lingua; automaticamente ci serviranno da modelli per esprimere altri concetti che condividono però lo stesso schema sintattico. Faccio un esempio: quando insegnavo italiano agli studenti stranieri, prima o poi durante il corso accadeva che mi chiedessero di insegnare un sistema per imparare il modo congiuntivo perché, a loro dire, “il congiuntivo è il verbo più difficile da imparare in italiano”. Generalmente insegnavo, modificandolo in italiano corrente, il famoso verso di Cecco Angiolieri “Se fossi fuoco arderei il mondo”. Ripetevo io più volte la frase mentre spiegavo la funzione del congiuntivo (e anche quella del condizionale) nella costruzione della frase ipotetica. Poi per esercizio chiedevo di costruire frasi simili nella struttura, ma di applicarle ad altre situazioni del tipo: “Se fossi ricco comprerei un’auto nuova”, “Se tu fossi comprensiva ti direi la verità” ecc. Infine io suggerivo la situazione e chiedevo agli studenti di costruirci sopra una frase ipotetica sul modello di Cecco, esempio: “mela-matura-mangiare”, “Se la mela fosse matura la mangerei”. Cercavo però di proporre frasi che avessero o potessero avere un diretto “corrispettivo” nell’immaginazione, meglio nella percezione presente, cioè esempi su qualcosa di presente in aula. Questo sistema consentiva di ottenere una memorizzazione delle regole grammaticali funzionale alle esigenze di ognuno. L’attenzione poi si sarebbe concentata su una frase “concreta” e non su una regola astratta. Molti esercizi che si trovano sui libri (come ad esempio quelli che chiedono di completare frasi date, oppure di risistemare frasi destrutturate) mirano invece a fissare regole grammaticali astratte. Queste frasi “cardine” e “modello” a livello di mnemotecnica hanno funzione di locks. 84 RICORDO E IM M AGINAZIONE L’errore “ associativo” Le strategie presentate fino ad ora prescindono il criterio associativo. Infatti si è detto di memorizzare le frasi più che le parole e anche le frasi devono venir memorizzate più per la melodia, per “il suono” che producono che non per la traduzione semantica o la struttura grammaticale che veicolano. L’associazione c’è ma non è un’associazione rigida fra parola e significato, quanto fra “suono” e situazione in cui l’atto linguistico si manifesta. Ciò non di meno le mnemotecniche associative in quanto tali possono avere una loro proficua applicazione nell’incrementare il lessico di una lingua straniera, come vedremo tra breve. Nell’apprendimento delle lingue straniere è certo importante crearsi immagini delle frasi e delle parole che si vanno imparando ma, ancor più importante, è prestare attenzione a quali tipi di legami associativi si intendono utilizzare. Se devo imparare la parola “apple” la prima immagine che mi viene in mente è quella di una mela, dato che questa è la sua traduzione, ma non è l’immagine giusta per ricordarsela. Perché? Eppure, se la parola apple significa “mela”, alla mela devo pensare? Certamente, salvo il fatto che per memorizzare una parola devo, in un certo qual senso, “transitare” dalla parola all’immagine ma per ricordare devo poter risalire dall’immagine alla parola. Ed è a questo punto che l’immagine della mela mostra tutta la sua inefficacia: perché per l’immagine della mela io ho già nel mio vocabolario mentale una parola che la denota: la parola “mela” appunto. Quindi se penserò all’immagine della mela non mi tornerà in mente la parola “apple” bensì “mela”. L’immagine deve allora permettermi di risalire alla parola, me ne costruirò quindi una rifacendomi ai criteri associativi su esposti per cui, ad esempio, la parola “apple” mi ricorda per pronuncia la parola “Paul”, mi costruirò quindi la frase “(lui) è Paul”, ovvero l’imagines agentes (mi chiamo infatti Paolo) di un mio amico che mi presenta a un’inglese dicendo “(lui) è Paul” (èpoll) mentre sto tenendo in mano una mela. La regola aurea per l’apprendimento dei termini di una lingua straniera Per parlare correttamente una lingua straniera si devono imparare dai 2000 ai 4000 termini. Non sono poi tantissimi. Si possono imparare anche 100 termini al giorno senza un eccessivo impegno seguendo alcune regole. La prin8. A PPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI 85 cipale delle quali è, come abbiamo anticipato sopra, di creare due immagini. La prima dovrà per somiglianza (sia essa fonetica, semantica, logica, di prossimità ecc.) richiamare la parola (meglio ancora: la pronuncia della parola) nella nostra lingua; la seconda il significato della parola. Faccio un altro esempio: per memorizzare il verbo inglese “to seek”, mi immaginerò una persona di mia conoscenza particolarmente secca che va a cercare i funghi. Due immagini quindi fuse in una sola azione: l’immagine della persona secca e quella del “cercare” i funghi. Per ricordarsi la parola inglese “riddle” che significa “indovinello”, “enigma”, mi immaginerò un famoso comico davanti alla sfinge di Giza che ride. Esempi potrei farne tanti e qualcuno obietterà che non per tutte le parole si possono trovare immagini adatte. Rispondo che non è poi così difficile e che la cosa importante è che le immagini devono ricordare qualcosa a voi, e a voi soltanto, non a tutti, come sono costretto a fare in questi esempi io. Nella sezione riservata alle tecniche fonetiche abbiamo introdotto il concetto di locks, dei lucchetti; tale strategia può venir applicata anche all’apprendimento dei termini in lingua straniera attraverso le imagines agentes. Se devo ricordarmi la parola “deserve” lo potrò certo fare per assonanza con “deserto” (o, meglio, con l’immagine di uno studente particolarmente bravo, quindi “meritevole” che tiene in mano il suo diploma di laurea nel mezzo di una duna nel deserto), ma potrò anche associarla a dei lucchetti da me preventivamente imparati. Per cui, seguendo le indicazioni nella tabella dei locks su riportata, associerò la parola a dei locks in base alla trascrizione fonetica inversa (che dà dalla parola il numero, in questo caso 1048). In questo caso non importa associarla a tanti lucchetti quante sono le consonanti, ma soltanto a quelle iniziali; una o due sono generalmente sufficienti. Generalmente l’uso di imagines agentes più locks garantisce una buona presa mnestica. Imagines agentes scienze e matematica rare la fisica, prima ancora che dai concetti, dalle immagini che ci “mostrano” i concetti. Ciò vale anche per la geometria e, quindi, estendendo, per tutta la matematica. Sulla matematica però qualche precisazione va necessariamente fatta dato che, a differenza di tutte le discipline che fondano su di essa la loro esattezza e rigorosità, essa non ha sempre un immediato e diretto “corrispettivo” visivo. Anche per le formule e i teoremi più astratti e complessi si possono trovare immagini da “cucire” insieme secondo le regole dell’immaginazione e dell’associazione su esposte, per cui rimando chi voglia approfondire le tecniche applicate alla matematica e alle scienze ad altra sede; dal punto di vista delle mnemotecniche dell’immaginazione esse presentano certo argomenti di ulteriore approfondimento ma richiederebbero un’ampia esposizione e discussione, tutte cose cioè che travalicano gli intenti di questo manuale. Il pericolo è quello di fornire tecniche che si fermano alla mera rievocazione fattuale delle “parole e dei numeri” non consentendo però un paritetico e parallelo apprendimento dei concetti. È stato questo il caso del famoso mnemonista russo Seresevskij studiato dall’ancor più famoso neuropsichiatra Lurija. Seresevskij riusciva a memorizzare tutto ma non sempre di ciò che ricordava comprendeva il significato, tanto è vero che, con egual facilità, ricordava cose semanticamente rilevanti e altre assolutamente insignificanti. Con la tecnica della costruzione di una storiella tramite concatenazioni associative (che abbiamo su esposto) egli riusciva a memorizzare anche formule molto complesse ma assolutamente insignificanti. Ecco un esempio: Neiman (N) uscì fuori e frugò con il bastone (.). Guardò un albero seccato che gli ricordò una radice ( √) e pensò: «Non stupisce che questo albero sia morto e che le sue radici siano state messe a nudo, visto che esso esisteva già quando costruii questa casa [casa in russo si dice Dom], queste due qui (d 2)», e di nuovo batté in terra con il bastone (.). Egli disse «Le case sono vecchie, si dovrebbe mettere su di esse una croce (X)». Ciò dà un grande profitto sul capitale originario: egli investì nella loro costruzione 85 mila rubli. L’edificio è rifinito nella parte superiore del tetto ( –– ) e sotto c’è un uomo in piedi che suona l’armonica (VX)… 4. Tutto ciò che abbiamo detto sull’uso delle immagini può venir applicato senza nessun problema alle scienze. Fisica, chimica, biologia, ingegneria, architettura ecc. sono materie di studio che richiedono una forte visualizzazione dei concetti. Memorizzare le immagini che si trovano nei libri e che sono a corollario, a spiegazione e illustrazione delle conoscenze da essi trasmesse non è qualcosa di secondario né, tanto meno, di superfluo. Cercare poi di visualizzare i concetti via via che si imparano è molto importante. Anzi dovrebbe essere la base dell’apprendimento. Si dovrebbe iniziare a impa- 4 Daniele Aluigi e Roberta Luzi, Tecniche di memoria, Roma, Dino Audino Editore, 2009, pp. 41-42; A.R. Lurija, Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla, Roma, Armando editore, 1979. 86 8. A PPLICAZIONE DELLE M NEM OTECNICHE PER IM M AGINI RICORDO E IM M AGINAZIONE 87 Ovviamente la storiella continuava fino ad aver compreso tutta la formula. Seresevskij era anche avvantaggiato dal fatto che in maniera del tutto naturale faceva ampio uso di sinestesie per cui i numeri per lui non erano meri “oggetti” astratti ma avevano una forma, un colore, una densità, un odore, uno spessore, una consistenza loro propria e specifica. In maniera non dissimile anche tutti gli altri mnemonisti consigliano di imparare la matematica. Riportiamo un altro esempio: Capit olo 9 M APPE M ENTALI E M APPE M NEM ONICHE L’espressione seguente si riferisce al “procedimento di iterazione per la radice quadrata” di Denman-Beavers. 5 Gianni Golfera, Pierangelo Garzia e Edoardo Rosati, Il grande libro della memoria, Milano, Sperling & Kupfer, 2010. Dei tre tipi principali di mappe per l’apprendimento – concettuali, solution maps e mentali – queste ultime sono quelle maggiormente efficaci ai fini mnemonici. Mentre le altre hanno come prioritaria, se non esclusiva finalità, quella di esporre e spiegare un argomento, le mappe mentali permettono una più efficace assimilazione della materia e una sua più agevole – successiva – rievocazione. L’inventore, Tony Buzan, sostiene che le mappe mentali sono efficaci perché le idee vengono rappresentate, a differenza che in un testo “normale”, con il linguaggio “naturale” della nostra mente, entrando così a far parte del nostro bagaglio di conoscenze in maniera diretta o, almeno, meno mediata. Esse hanno inoltre una evidente funzionalità sintetica, riuscendo a rappresentare in un solo schema pagine e pagine di testo scritto in forma narrativa, lasciando poi, certo, alla persona il compito di ricostruzione-ristrutturazione argomentativa dei concetti fondamentali. La costruzione delle mappe mentali è piuttosto semplice: conviene prendere un foglio (è possibile utilizzare il quasi “universale” formato A4), disporlo in orizzontale (al fine di sfruttare al meglio il nostro campo visivo che si estende più in orizzontale che non in verticale) e scrivere al centro il titolo o l’argomento principale che si intende sviluppare. Tale elemento costituisce anche il punto di partenza della nostra mappa, punto di partenza che deve essere sempre e soltanto uno. Da questo nodo centrale si sviluppano, strutturandoli gerarchicamente, tutti i concetti derivati. Ogni ramo e/o nodo deve essere costituito da una sola parola o, comunque, da proposizioni semplici, meglio ancora se costituite soltanto da un sostantivo, una preposizione e un aggettivo. Insomma conviene semplificare la parte “grammaticale” al massimo. 88 9. M APPE M ENTALI E M APPE M NEM ONICHE Davanti a un limone(lim) si sta esercitando il grande Yuri (Y) Keki, l’atleta si china a raccogliere un kiwi (k) e poi tende la mano (=) per porgerlo ad Anna (A) che sfoggia un cappellino poggiato a coprire solo metà (1/2) testa. Anna afferra il kiwi (K) e lo lancia sulla punta di una freccia ( ) contro un paio di occhiali ( ⬁) 5. Tenuto conto che comunque non si può prescindere dal fare gli esercizi nel modo consueto, si può comunque consigliare di trascrivere le formule, i teoremi ecc. su un foglio e ripercorrerli più volte come se fossero teatri, evocando simbolo per simbolo, numero per numero le immagini che ci siamo creati. I metodi “alla Seresevskij”, soprattutto la sinestesia applicata alla matematica, possono avere una loro utilità ma, lo ripeto, la memorizzazione in questo caso trascende la semantica e, anche se non la esclude, certo non la necessita. Questo, a mio modesto avviso, è il limite maggiore di queste tecniche: scindono l’aspetto meramente rievocativo dalla comprensione del significato di ciò che si vuol mandare a memoria, quindi, in definitiva, l’unico vero consiglio che mi sento di dare qui è quello di sforzarsi di comprendere ciò che si studia e, parimenti, di visualizzarlo. Come già detto, per materie come la fisica, la biologia e la chimica ciò può risultare agevole e immediato in quanto spesso nei libri vengono riportate immagini, schemi, disegni ecc. che facilitano il compito; ma si può fare anche con la matematica, in primis attraverso la geometria ma, in definitiva, in ogni suo aspetto. La regola è semplice e universale: cercare di visualizzare tutto. RICORDO E IM M AGINAZIONE 89 Stabiliamo poi un senso di percorrenza, da sinistra a destra, dall’alto verso il basso o dal centro verso la periferia (in assoluto il metodo più utilizzato). I concetti possono poi esser inclusi dentro etichette o sagome di varia forma (opzione adatta soltanto ai nodi centrali), oppure posti sopra le linee-vettore che collegano i vari nodi concettuali. La mappa assume così una struttura ramificata con un punto unico centrale e una pluralità di nodi finali. Le mappe mentali, a differenza di quelle concettuali, non devono avere sagome, etichette con forme geometriche rigide e “spigolose”; al contrario, tanto i “contenitori” dei nodi concettuali, quanto i rami-vettori devono avere un andamento ondulato e rotondeggiante perché, a livello cognitivo, sembra che così il tutto assuma un aspetto più vivo e organico. «Buzan sostiene che se utilizzassimo il righello, la mappa assumerebbe una forma rigida e geometrica togliendo vita alla nostra creatività. I rami più vicini al centro (detto nucleo) rappresenteranno i sottoargomenti del titolo centrale, e più ci si allontana dal nucleo centrale più si scende nei dettagli»1. Un altro consiglio che ci viene fornito è quello di orientare sempre i rami verso l’esterno evitando di fare “marcia indietro”. Dirigendo i vettori all’esterno eviteremo così di porre sullo stesso piano concettuale elementi che sono in realtà derivati o derivabili da altri. Sapendo che il concetto fondamentale si trova al centro e che, più ci si allontana dal centro, più i concetti assumono una funzione “derivata” dai precedenti eviteremo di confondere, anche a livello visivo, elementi che devono considerarsi d’importanza differente (procedere sempre da “concetti generali – rami principiali” – a “concetti particolari – rami esterni e secondari”). I rami-vettori possono, ed è auspicabile che abbiano, lunghezza e dimensioni differenti e ciò sia in base alla dimensione della parola che dobbiamo scriverci sopra, sia della centralità o, al contrario, marginalità del ramo rispetto al resto della mappa: i rami centrali – e quindi principali – devono necessariamente avere spessore superiore ai loro derivati per enfatizzarne l’importanza. Discorso simile va fatto per le parole che andremo a scrivere sopra le linee-vettore: maggiore sarà la loro dimensione, superiore “rango” dovrà loro venir attribuito. Ovviamente la parola (o la frase semplice) che andre- mo a scrivere sul ramo è quella che, meglio di altre, riesce a esprimere il concetto da memorizzare. La scelta di tali elementi lessicali dovrà però tenere conto anche della funzione logica che essi andranno a svolgere all’interno della mappa: in altre parole, dovranno essere soprattutto “parole gancio” in grado di suggerire, stimolare associazioni tra i concetti, ovvero tra i nodi concettuali che precedono e quelli che seguono. Le mappe mentali hanno un aspetto “aperto” che tende cioè a espandersi, dando così la possibilità di creare sempre nuovi e inediti collegamenti, ovvero ulteriori rami a nuovi nodi concettuali; ciò ovviamente è possibile se si rispetta la regola di procedere dal generale al particolare evitando salti in avanti o, al contrario, “passi indietro”. Questa è una regola generale e va molto al di là della semplice inferenza induttiva: rispettare l’ordine e, quando questo non ci sia, saperselo costruire è garanzia di forza del ricordo. Ogni cosa deve trovarsi in un posto soltanto – e, aggiungiamo, al posto giusto – ovvero non al posto di un’altra. 1 Figura 11. Esempio di mappa mentale (parziale) dell’arte della memoria. Daniele Aluigi e Roberta Luzi, Tecniche di memoria cit., p. 67. 90 RICORDO E IM M AGINAZIONE 9. M APPE M ENTALI E M APPE M NEM ONICHE 91 Le mappe permettono inoltre di fare un uso non convenzionale dei colori e delle forme nonché, ovviamente, di immagini dal valore simbolico ecc., conferendo a ogni determinato elemento una ben precisa funzione logica, associativa o mnemonica. Le mappe non devono esser perfette dal punto di vista estetico: per quanto si possa essere dei pessimi disegnatori è importante soltanto che i disegni, le linee ecc. scritte sul foglio siano evocative per noi e soltanto per noi. Le mappe, cioè, devono rispecchiare soltanto il nostro modo di pensare che, in quanto tale, è specifico e diverso da quello degli altri. Infine si possono costruire mappe miste, ovvero mappe che contengono elementi tanto di quelle concettuali quanto di quelle mentali e che, così facendo, vanno ad assomigliare alle solution maps pur mantenendo la funzionalità delle mappe mentali che, dal punto di vista cognitivo – e quindi mnemonico – sono le più importanti. La mia scelta è andata a quest’ultima opzione: in fondo al capitolo si trova infatti una mappa mista che espone i contenuti di questo manuale. Resta da dire ancora come utilizzare queste mappe in fase di apprendimento strutturato: quando si affronta lo studio di una materia o di un testo nuovo le mappe possono venir utilizzate proficuamente soltanto se seguono “l’andamento” della nostra consapevolezza. Se, ad esempio, devo affrontare un libro che tratta un argomento per me nuovo, durante la prima lettura (che dovrà essere soltanto ricognitiva) farò un primo schizzo della mappa. Con la seconda lettura, quella di approfondimento, interverrò invece sulla mappa integrandola e, là dove necessario, modificandola per adattarla alla conoscenza del soggetto che vado via via ampliando. Durante il ripasso e comunque in ogni altra fase di studio che segua la seconda lettura approfondita andrò a lavorare sulla mia mappa cercando di perfezionarla in parallelo all’affinarsi delle mie conoscenze sull’argomento studiato. Dopo questa breve descrizione delle mappe vorrei prendermi la libertà di esprimere alcune osservazioni critiche. Le mappe mentali sono figlie del nostro tempo. Rappresentazioni grafiche del pensiero sono sempre state prodotte dagli uomini fin dall’antichità con criteri anche molto più efficaci dei contemporanei; non a caso si è riportato in questo testo (figura 10) il diagramma dell’albero che si trova nell’Arbor scientiae di Raimondo Lullo. Le mappe odierne si prestano indubbiamente bene a fare lezioni in aula, a presentazioni durante seminari, convention, convegni, corsi di aggiornamento ecc. –, hanno quindi un valore illustrativo, servono cioè a esporre la materia al discente; molto meno alla comprensione e ancora di meno alla ritenzione delle nozioni apprese. Questo è il punto: le mappe mentali hanno una funzione mnemonica molto minore di quella che si è pubblicizzata negli ultimi anni. Al di là di quello che dicono i suoi sostenitori, una mappa mentale si adatta solo in parte alla “mente”, al presupposto e mai provato “pensiero naturale”. Le mappe mentali non sono altro che “stilizzazioni” di qualcosa che ha ben altre proporzioni e forme; sono quindi astrazioni e soffrono di tutti i difetti (dal punto di vista delle mnemotecniche) delle altre “estrapolazioni”, a meno che – ma non è questo il caso – le astrazioni che le sottendono vengano fatte con criteri e strumenti validi per la memorizzazione. Vorrei infine porre l’attenzione su un’immagine importantissima per la storia delle mnemotecniche: “La grammatica come immagine di memoria” presente nel trattato Congestorium artificiose memorie di J.R. Romberch (figura 12). L’immagine ritrae una donna non troppo attraente: si tratta infatti della “vecchia” grammatica, la prima delle arti liberali “accessoriata” dai suoi classici attributi, la scala e il temperino. Si possono notare delle iscrizioni sul suo petto – che andremo ora a spiegare – e delle immagini che sono derivate dagli alfabeti visivi precedentemente mostrati (le figure 5 e 6 nel nostro manuale) e che devono venir interpretate in combinazione tra loro. Romberch «spiega che in questo modo sta fissando nella memoria la risposta al quesito se la grammatica sia una scienza comune o una scienza particolare; la risposta implicita il ricorso ai termini predicatio, applicatio, continentia. La parola predicatio viene memorizzata con l’uccello che comincia con una “p” (una pica o gazza), che la Grammatica stringe nella sua mano, e con gli oggetti ad essa associati secondo l’alfabeto per oggetti. Applicatio è ricordata con l’aquila che poggia sul suo braccio e con gli oggetti ad essa collegati. Continentia è ricordata con l’iscrizione sul petto di Grammatica; fatta con l’alfabeto per oggetti (vedere gli oggetti che rappresentano C, O, N, T)»2. Rispetto a una nostra contemporanea mappa mentale, quindi, l’immagine di Romberch si pone su un piano di complessità ed elaborazione concettuale sicuramente superiore e si presta alla memorizzazione in maniera molto più concreta. Infatti l’aver stabilito, e quindi memorizzato, un alfabeto visivo, averlo 92 9. M APPE M ENTALI E M APPE M NEM ONICHE RICORDO E IM M AGINAZIONE 2 Frances A. Yates, L’arte della memoria cit., p. 111. 93 Figura 12. La Grammatica – illustrazione si trova in Johann Host von Romberch, Congestorium artificiosae memoriae, Venezia, M elchiorre Sessa, 1533. Questa immagine è, in quanto raffigurazione, un’immagine di memoria statica, ma presenta caratteristiche e complessità tali per cui potrebbe venir annoverata anche tra le imagines agentes. A un primo sguardo sembra un moderno rebus e – effettivamente – è così perché contiene uno o più messaggi “ nascosti” riferibili in buona parte agli alfabeti visivi citati nei capitoli precedenti. La potremmo considerare anche come una imagines agentes non in quanto raffigurazione su carta ma quale nostra immagine mentale, dato che compie una pluralità di gesti. Infine e, forse a maggior ragione, potremmo definirla un’immagine statica la cui complessità, soprattutto concettuale, l’avvicina a una imagines agentes. 94 RICORDO E IM M AGINAZIONE utilizzato all’interno dell’immagine e, infine, aver integrato tutti gli elementi visivi in un contesto superiore e più ampio comprendente simbologie universalmente note, ha sicuramente una presa mnestica superiore a qualsivoglia mappa mentale. «Per quanto priva di attrattive estetiche, la Grammatica di Romberch è importante per lo studioso di memoria artificiale. Essa dimostra il punto che personificazioni quali le figure familiari delle arti liberali, quando sono riflesse nella memoria, diventano “immagini di memoria”; e che su tali figure nella memoria si possono porre iscrizioni per memorizzare materiale relativo al soggetto della personificazione. Il principio esemplificato con la Grammatica di Romberch si potrebbe applicare a tutte le altre personificazioni (ad esempio quelle delle virtù e dei vizi) quando sono usate come immagini di memoria»3. La personificazione apportata dalle moderne mappe mentali è di matrice molto più “corrotta”, banale, che non le personificazioni dell’arte della memoria classica. Le simbologie e le immagini utilizzate nelle mappe mentali, infine, richiedono sempre uno sforzo d’astrazione perché non aderenti, come invece si vorrebbe dare a intendere, all’immaginazione umana. Le mappe mentali, in maniera non dissimile ma molto più delle mnemotecniche contemporanee, vanno nella direzione della formalizzazione e della banalizzazione là dove l’arte della memoria classica pretendeva fantasia e approfondimento delle conoscenze da apprendere. Queste però sono soltanto opinioni di un nostalgico; comunque sia, concludendo e riassumendo, possiamo affermare che la migliore mnemotecnica è l’immaginazione. Le mnemotecniche non consentono di eludere lo studio e l’impegno nell’apprendimento, in quanto esse stesse richiedono studio e impegno per venir apprese, né potranno mai sostituire la riflessione e l’attenta ripetizione di ciò che si intende ricordare. Non sono, altrimenti detto, uno stratagemma per sostituire lo studio o l’impegno sul lavoro, sono semmai uno strumento di supporto a queste e altre attività. Per averne giovamento quindi sarà sufficiente anche soltanto abituarsi a immaginare ciò che leggiamo, ciò che sentiamo e a vivere emotivamente i pensieri, così essi si depositeranno naturalmente sul fondo del lago della nostra coscienza e alla bisogna riemergeranno dalle acque dell’oblio. 3 Ivi, p. 112. 9. M APPE M ENTALI E M APPE M NEM ONICHE 95