Sezione STORICA
Gianluca Scagnetti
Vent’anni fa divampava la guerra in Jugoslavia
I combattimenti al confine italo-sloveno di Rozna Dolina e Nova Vas
La guerra d’indipendenza slovena dell’estate 1991, nota anche come “Guerra dei dieci giorni”, fu il primo atto di una tragedia che nell’immediato futuro avrebbe insanguinato i Balcani portando alla completa disgregazione della Repubblica federativa fondata da Josip Broz Tito. Oggi si possono svolgere delle riflessioni più lucide e precise riguardo alle dinamiche della guerra di secessione slovena. Quelle che allora per noi giornalisti inviati erano cronache oggi possono essere rilette in una chiave diversa attraverso l’approccio storico, offrendo così ai lettori un ulteriore spunto di approfondimento.
La Slovenia verso la secessione
Nell’aprile 1990 a seguito delle prime elezioni libere svoltesi nella Repubblica Socialista federata Jugoslava di Slovenia (Paese di circa 2.000.000 abitanti distribuiti su una superficie di 20.000 kmq), la coalizione DEMOS, cartello elettorale dei partiti di orientamento democratico, otteneva la maggioranza assoluta dei voti, eleggendo così al parlamento di Lubiana 127 rappresentanti su complessivi 240. Dalla consultazione elettorale usciva invece sconfitto lo schieramento che avrebbe voluto perpetuare l’esistenza del sistema federale jugoslavo. Nel
programma del nuovo esecutivo l’obiettivo primario era la proclamazione dell’indipendenza da Belgrado facendo così divenire la Slovenia uno stato sovrano, sovranità che sarebbe stata approvata il due luglio successivo mediante una dichiarazione del parlamento. Due mesi dopo il Presidente della Repubblica Milan Kucan assumeva il diretto comando della Difesa Territoriale (Teritorialna Obramba, TO), una struttura militare che in passato era stata organizzata a livello repubblicano nel più vasto ambito del cosiddetto sistema di difesa popolare totale della Federazione Jugoslava. La TO era stata istituita allo scopo di cooperare strettamente con l’Armata Federale Jugoslava (Jugoslavenska Narodna Armija, JNA), con la protezione civile (Civilna Zastita) e con le altre organizzazioni difensive organizzate nell’ambito delle municipalità e delle fabbriche. Il 23 dicembre 1990 gli Sloveni venivano nuovamente chiamati alle urne per esprimersi nel referendum sull’indipendenza e la sovranità del proprio Paese. Nella consultazione l’88,2% dei votanti (pari al 93,2% degli aventi diritto) optava per il distacco dalla Federazione Jugoslava. Si trattava di un vero e proprio plebiscito che avrebbe preluso alla proclamazione ufficiale d’indipendenza giunta sei mesi dopo, il 25 giugno del 1991. Il giorno successivo a questa storica data sul territorio della neoindependente Slovenia ebbe luogo l’intervento militare della JNA e con esso divampò la breve “Guerra dei dieci giorni’, tragico epilogo dei catastrofici conflitti che negli anni seguenti avrebbero insanguinato buona parte del resto della Jugoslavia. A Belgrado l’operazione militare condotta dai federali in Slovenia venne denominata in codice “Bedem 91” (“Trincea 91”).
La strategia jugoslava di difesa popolare totale
Per comprendere meglio come Lubiana giunse a disporre di una struttura segreta alternativa di comando per le proprie forze sarà utile ripercorrere brevemente le fasi dello sviluppo della difesa jugoslava, con un particolare riguardo però alla piccola repubblica alpina del Tricorno. La presunta efficacia della strategia di difesa popolare totale era forcata sullo stretto legame intercorrente tra la JNA e i vari popoli costituenti la Federazione Socialista Jugoslava. Si trattava di un impianto strategico già interessato da una radicale revisione a seguito dell’invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia nell’agosto 1968. evento che aveva evidenziato in modo evidente le potenziali minacce di penetrazione in Jugoslavia di grandi unità corazzate e aviotrasportate da oriente. Conseguentemente a Belgrado venne definita una strategia difensiva del Paese Incentrata sul coordinamento delle operazioni di guerriglia e resistenza condotte da formazioni diverse da quelle della JNA, una guerriglia che però avrebbe dovuto simultaneamente affiancarsi all’intervento delle unità convenzionali jugoslave sotto la direzione di un unico vertice di comando. Il nuovo orientamento portava a una parziale revisione della legge di difesa varata soltanto tre anni prima nel 1965, che aveva previsto la mobilitazione di forze decentrate della guerriglia soltanto a seguito di un attacco militare proveniente dall’estero. I riflessi dei fatti di Praga avevano quindi posto in seria discussione l’efficacia delle dottrine difensive elaborate a Belgrado, dato che l’intervento del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia aveva dimostrato la scarsa efficacia di uno strumento eccessivamente sbilanciato in senso convenzionale. In sostanza la JNA non avrebbe minimamente retto all’urto delle soverchianti Armate sovietiche tenuto perfettamente nel conto che era Mosca a quel tempo il potenziale nemico da cui Tito poteva temere un aggressione aggressione. Le Forze Armale sovietiche ( e quelle dei suoi alleati del Patto di Varsavia) erano infatti nelle condizioni di lanciare un massiccio attacco impiegando le divisioni motocorazzate schierate in Ungheria, a breve distanza dalla frontiera jugoslava, in coordinazione con le unità aviotrasportate dispiegabili in tempi estremamente rapidi.
Il nuovo concetto di difesa popolare totale del territorio jugoslavo prevedeva un coordinamento delle forze convenzionali tradizionali (la JNA) con forme di resistenza attuate nelle varie repubbliche federate, queste ultime concepite sul modello della lotta partigiana sperimentata con relativo successo da Tito nel corso della Seconda Guerra Mondiale. I combattenti partigiani sarebbero stati inquadrati in unità etnicamente omogenee costituite in ogni singola repubblica e provincia autonoma attraverso la formazione di unità territoriali, denominate inizialmente appunto Partizanske Enote (Unità partigiane). Veniva dunque attuato un decentramento delle funzioni difensive presso le repubbliche federate e lo sviluppo successivo sarebbe stato quello dell’istruzione delle cosiddette Difese territoriali, entità dirette attraverso proprie linee di comando distinte da quelle della JNA, ma allo stesso tempo a essa strettamente legate (e in buona parte dipendenti) nel più vasto ambito della struttura di difesa popolare totale. I nuovi concetti vennero fissati in una concreta cornice giuridica attraverso la nuova legge federale sulla difesa del 27 febbraio 1969, normativa che regolamentava la materia prevedendo un esteso impiego delle attività di guerriglia mediante lo strumento della costituenda Difesa territoriale. La differenza sostanziale da quanto precedentemente statuito dalla vecchia normativa emanata nel 1965 risiedeva nel fatto che le forze resistenti avrebbero operato già da prima dell’inizio delle ostilità, mentre al contrario nei passato avrebbero ricevuto l’ordine di attivazione soltanto dopo una invasione straniera del territorio nazionale. Con la formazione di una possente struttura di guerriglia, alimentata dal mito della vittoriosa guerra partigiana di Tito, Belgrado intendeva scoraggiare possibili attacchi nemici tentando di frustrare in loro le aspettative di un rapido successo con una deterrenza rappresentata all’esterno ai potenziali aggressori della Jugoslavia. La nuova struttura difensiva che veniva costituita si articolava sulle sei Repubbliche Federate Jugoslave e le due province autonome serbe, entità territoriali all’interno delle quali le organizzazioni di difesa avrebbero dovuto disporre dei propri comandi, delle fonti di finanziamento e dove avrebbero dovuto strutturare l’organizzazione. Restava però il fatto non indifferente che al vertice delle varie Difese territoriali repubblicane i comandanti venivano nominati a Belgrado dal Comandante in Capo delle Forze Armate Federali (1).
In questo modo prendeva dunque corpo una nuova struttura difensiva che negli anni seguenti avrebbe attraversato la sua fase embrionale, evidenziando gravi carenze sui piani dell’inquadramento e della disciplina del personale impiegato. Anche per queste ragioni nel 1975 il sistema nel suo complesso venne interessato da un ulteriore radicale processo di riorganizzazione, che tra i suoi effetti ebbe anche la rimodulazione delle forze, trasformate da Partizanske Enote in Teritorijalna Bdbrana, in Slovenia Teritorialna Obramba Republike Slovenije (TO), cioè in quella Difesa territoriale che sarebbe rimasta in vita fino al 1991. Nel 1982, dopo la morte di Tito, venne promulgata l’ennesima legge federale sulla difesa popolare totale, normativa che affidava alla Lega dei comunisti jugoslavi la responsabilità principale e diretta in materia di organizzazione e conduzione della resistenza popolare in caso di attacco militare straniero al Paese.
La Teritorialna Obramba e le altre componenti del sistema difensivo
La TO (Teritorijalna Odbrana in serbo-croato o Teritorialna Obramba in sloveno) per importanza costituiva la seconda componente del sistema di difesa popolare totale jugoslavo. Essa si articolava in varie unità e specializzazioni attraverso una propria linea di comando e diverse componenti operative sul terreno sfruttando una ottimale integrazione del livello di vertice repubblicano con quelli municipali e delle strutture produttive (ad esempio gli stabilimenti industriali di maggiore importanza presenti sul territorio). Il suo punto di forza era la spiccata capacità di intervento in aree e ambienti di cui possedeva una perfetta conoscenza. Nello specifico caso sloveno l’organizzazione della TO seguiva delle sue proprie linee di sviluppo, in parte differenti da quelle delle organizzazioni similari delle altre repubbliche jugoslave. Tale particolarità affondava le sue radici nella ricerca di autonomia dall’Armata Federale che a un certo punto della sua esistenza ha caratterizzato la TO di Lubiana, che portava la TO a configurarsi come un “esercito sloveno” inserito all’interno del più vasto dispositivo jugoslavo. Formalmente la sua linea di comando faceva capo al Presidente della Repubblica, ma la direzione concreta dell’organizzazione era nelle mani dello Stato Maggiore (Republiskji Stab Teritorialne obrambe), che si interfacciava con i comandi regionali dipendenti (Pokrajinski Stab Teritorialne Obrambe) e con i comandi di zona delle municipalità (Ob-cjinski Stab Teritorialne Obrambe). Questi ultimi avevano competenza sull’intera area della municipalità, quindi oltre alla città intesa in senso stretto, anche al suo circondario, comprensivo delle frazioni e delle zone suburbane. Un ulteriore particolarità della TO slovena derivava dal fatto che, a differenza dalle altre TO jugoslave, essa dal 1975 veniva finanziata direttamente dal bilancio di Lubiana, dunque attraverso fonti autonome. Il governo sloveno pagava buona parte della propria Difesa territoriale e questo faceva la differenza, anche se ufficialmente l’organizzazione restava conforme al dettato delle leggi federali. In concreto la diversità della TO derivava proprio del suo bilancio separato, che permetteva forme di approvvigionamento di sistemi d’arma e materiali senza passare per la linea di rifornimento centralizzata controllata da Belgrado. Questo scopo veniva perseguito dalla TO sulla base degli apporti finanziari ricevuti da tutti I livelli territoriali della repubblica (centrale, regionali e municipali). Anche le attività addestrative seguivano in parte cicli autonomi differenziati da quelli effettuati in concorso con la JNA: istruzione e addestramento del personale erano infatti competenza di ufficiali riservisti di nazionalità slovena in forza all’Armata Federale e, soprattutto, di ufficiali in organico alla TO. Va ricordato comunque che In Jugoslavia, prima di transitare nelle organizzazione difensive territoriali delle varie repubbliche, il personale (ufficiali, sottufficiali e truppa) era tenuto alla prestazione del servizio militare obbligatorio nella JNA. L’Armata Federale si occupava inoltre dell’addestramento dei riservisti in alcune strutture militari all’uopo deputate. Le attività addestrative della TO slovena avevano luogo all’interno del territorio della propria repubblica, anche se poteva capitare che gli ufficiali frequentassero corsi (ad esemplo I corsi comando) presso altre strutture militari federali. Tutte le rimanenti attività venivano autogestite dagli Sloveni e a questo scopo ogni pokrajina (regione) disponeva di sue strutture. In luoghi diversi trovavano invece sede i centri di mobilitazione delle forze, solitamente quattro o cinque siti specifici per ogni singola brigata sul quali veniva mantenuta la segretezza e che rientravano nella pianificazione di queste unità. In caso di mobilitazione generale seguita a un allarme fungevano da organi di concentrazione del personale richiamato in servizio, elementi successivamente aggregati In base alle previste destinazioni e quindi polverizzati sul territorio sloveno in vista del loro impiego operativo. In caso di conflitto i comandi provinciali e municipali avrebbero dovuto prendere la guida delle componenti operative locali (solitamente compagnie), mentre la dislocazione e l’Impiego di unità di diversa conformazione e/o consistenza rispondeva al grado di Importanza strategica rivestita dalle zone di operazioni o poteva essere prevista per adeguare In maniera ottimale la risposta alla specifica minaccia. La TO era articolata In diverse componenti operative: Teritorialne Jedinice, unità territoriali di tipo convenzionale solitamente delle dimensioni di una brigata, composte da un numero variabile di battaglioni e affiancate da gruppi di artiglieria controcarro e antiaerea. Al momento dell’esplosione del conflitto del 1991 in Slovenia risultavano operative circa quindici unità di questo tipo per una forza totale ammontante in via potenziale a oltre 70.000 uomini. Al pari delle brigate dell’Esercito Jugoslavo (Kop-nena Vojska,KV) anche quelle della TO disponevano di un proprio comando e II loro ordine di battaglia “tipico” era II seguente: comando brigata (brigada) su una compagnia comando (ceta) e una compagnia sorveglianza e osservazione (nelle brigate della TO non era presente il livello ordinativo reggimentale, puk); tre battaglioni di fanteria (odred); una compagnia controcarri, una antiaerea, una trasmissioni e una supporti logistici. Esistevano Inoltre delle formazioni minori, tra di esse c’erano i plotoni indipendenti (samostojini vhod); ledlverzantske jedinice che erano unità di diversione preposte ad azioni di sabotaggio, ricognizioni offensive e azioni diversive alle quali veniva affidato anche Il compito della formazione di nuclei per la guerriglia e la controguerriglia nel caso di invasione del territorio nazionale; la jedinice radnih organizacija che era l’unità delle organizzazioni di lavoro, reparti costituiti a livello di compagnia o battaglione nell’ambito delle strutture produttive (stabilimenti industriali e cooperative di produzione) con funzioni di protezione delle infrastrutture. Esse si integravano anche con le unità della TO; le omladlnske jedinice erano formazioni paramilitari giovanili che Inquadravano personale che non aveva ancora
svolto II servizio militare ma che aveva ricevuto un addestramento basico all’impiego delle armi. Le ultime due componenti del sistema di difesa popolare totale erano la civilna zastita (protezione civile), formata da varie unità con specifiche specializzazioni presenti a livello capillare in tutte le strutture della società e, infine, la polizia (Milica), corpo normalmente preposto al mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico ma che in caso di mobilitazione generale avrebbe concorso alla difesa militare del territorio.
Collaborazione con le altre strutture di sicurezza jugoslave
In caso di conflitto la TO avrebbe assunto il controllo di tutte le altre componenti del sistema di sicurezza organizzato a livello repubblicano, operando sul territorio di concerto con la JNA. Al riguardo era previsto che in operazioni il comando delle forze venisse assunto dall’ufficiale di grado più elevato presente nello specifico settore del fronte: ad esempio, in un settore dove fossero stati presenti un battaglione della KV e una brigata della TO il comando sarebbe spettato al generale sloveno e non al colonnello jugoslavo, qualunque fosse stata
l’arma o la specialità dell’unità militare federale. Della JNA faceva poi parte la Guardia di Frontiera, o Granicka Straza (GS) in serbocroato e Obmejne Enote in sloveno, articolazione dell’Esercito Federale avente specifici compiti di controllo della linea di frontiera e dei valichi di confine. Nel caso il Paese fosse stato interessato da un conflitto era però prevista la sua trasformazione in vero e proprio corpo combattente e a questo scopo le varie compagnie di granièarij venivano formate come reparti di arma base o specialità (fanteria, unità di arresto alla frontiera, controcarri, antiaerea, eccetera). In caso di guerra esse avrebbero dovuto abbandonare le loro originarie competenze divenendo parte dello schieramento difensivo jugoslavo. Nell’estate del 1991 le unità della GS presenti nelle zone della Severnoprimorska pokrajina che vennero coinvolte nei combattimenti furono il 63s e il 62a Battaglione, il primo di stanza nell’area di Nova Gorica e il secondo in quella di Tolmino. Nelle piccole caserme e nelle ridotte situate a ridosso del confine operavano plotoni o compagnie rinforzate e normalmente un battaglione “tipo” della GS comprendeva circa dieci plotoni. La sede e il comando del 63a Battaglione (unità competente per territorio sull’obèina di Nova Gorica) erano insediati nella caserma situata nel villaggio di Ajsevica. L’unità in questione controllava l’area che si estendeva dal Carso goriziano fino alla città di Nova Gorica, compresa la Valle di Vipacco (2). Già negli ultimi anni di vita del Maresciallo Tito le forze di polizia (Milica in sloveno o Milicija in serbo-croato), organizzate e inquadrate dalle singole repubbliche, parallelamente alle loro tradizionali attività di istituto avevano anche ricevuto crescenti competenze nel settore del contrasto della guerriglia. La costituzione di reparti di pronto intervento, i cui organici venivano alimentati anche mediante il richiamo del personale precedentemente posto in riserva, rispondeva alle esigenze emerse con il divampare delle crisi generate dalla contrapposizione di gruppi etnici e di potere in alcune regioni della Federativa, in particolare a partire dal 1989 soprattutto in Kosovo. Le unità di polizia con queste funzioni disponevano di veicoli blindati di vario tipo (TAM BOV-M, BTR-50, BTR-60, BRDM-2 nonché VTT cingolati M-60) e di specifici mezzi antisommossa, inoltre la polizia aveva le sue linee di volo basate su elicotteri ALOUETTE, GA-ZELA e Agusta Bell 205 e 206. In Slovenia i reparti antisommossa della locale Milica, pur avendo dimensioni minori rispetto a quelli della TO, ricalcavano comunque la struttura di comando e l’articolazione delle forze sul territorio, sia a livello provinciale che municipale, di quest’ultima. La direzione della Milica (che era un corpo di polizia civile e non militare) faceva capo al Ministero dell’Interno di Lubiana e in caso di guerra doveva concorrere alla difesa della Jugoslavia, ma in tempo di pace i miliènikij svolgevano le loro ordinarie attività di istituto. Oltre al normale autoparco di mezzi di servizio, i reparti antisommossa della Milica slovena disponevano anche di mezzi blindati TAM BOV-M recanti la classica livrea celeste, mezzi dislocati nella capitale Lubiana. Per l’espletamento delle attività ordinarie la Milica utilizzava i normali automezzi di servizio (autovetture di vario tipo, fuoristrada, autocarri, eccetera). Come accennato in precedenza, nella capitale federale Belgrado esisteva una speciale unità di polizia federale preposta alle operazioni speciali e alle attività antisommossa e di mantenimento dell’ordine pubblico. Questa unità della Milicija era dotata di numerosi mezzi blindati ruotati e cingolati, identificabili dagli omologhi mezzi in servizio nelle milizie delle varie repubbliche per il loro particolare identificativo presente sulle fiancate: la scritta di colore bianco in lingua serbo-croata (in caratteri latini) “Milicija” sovrastata dallo stemma della Federazione Socialista Jugoslava. Alcuni reparti eliportati dell’unità speciale di polizia federale vennero impiegati In territorio sloveno nel corso del conflitto del 1991.
Gli eventi precipitano: Lubiana implementa la Manevrska Struktura Narodne Zascite
Già dal 1976 nell’Obcinski Stab Terltorlalne Obrambe di Nova Gorica non risultavano più presenti ufficiali dell’Armata Federale Jugoslava. La completa uscita della TO slovena dalla struttura di comando della JNA sarebbe stata poi decretata nel 1988 per ordine del governo di Lubiana e da questo momento gli Sloveni con la JNA mantennero Inalterati soltanto I rapporti nel settore dell’addestramento. Si trattava del primo concreto passo verso la creazione di una organizzazione militare esclusivamente nazionale. Con l’acutizzarsi della crisi tra Lubiana e il governo federale jugoslavo si registrarono I primi gravi riflessi sul piano militare. Belgrado decise di disarmare la TO slovena servendosi di un pretesto: mediante la scusa della riorganizzazione del sistema di Immagazzinamento e distribuzione delle armi in dotazione alla difesa territoriale, la JNA tentò il trasferimento nei propri depositi della maggior parte dei materiali in carico alle forze di Lubiana che in quel momento si trovavano fuori dal diretto controllo di queste ultime. Infatti numerosi depositi di armi slovene si trovavano all’Interno delle caserme jugoslave e la conseguenza fu che il 17 maggio 1990 la TO si trovò privata di quasi l’80% del suo armamento. L’obiettivo perseguito da Belgrado era di sottrarre strumenti per combattere una futura guerra a un’organizzazione militare che ormai dipendeva in tutto e per tutto da un governo secessionista. Naturalmente Lubiana chiese la restituzione delle sue armi e le dimissioni del comandante In carica della TO, ma, come era prevedibile, Belgrado oppose un netto rifiuto. Questo avvenimento di fondamentale Importanza segnava l’inizio della fase di implementazione della Manevrska Struktura Narodne Zascite slovena (MSNZ), quella struttura di manovra per la difesa nazionale In realtà già preesistente ma funzionante in assoluto segreto. SI trattava di un’organizzazione concepita per lo svolgimento di attività di pianificazione e comando parallele a quelle svolte ufficialmente dalla TO, che risultava formalmente ancora agganciata alla JNA. Sarà proprio la MSNZ a consentire alla stessa TO di sopravvivere autonomamente come Forza Armata della Slovenia. Nel settembre 1990 Lubiana su mandato dell’Assemblea Parlamentare Slovena assunse Il pieno controllo della TO. demandando al proprio Ministero della Difesa tutti i compiti di pianificazione militare e nominando un nuovo comandante delle forze. Il passo successivo fu il blocco dell’invio di coscritti sloveni destinati alle unità dell’Armata Federale Jugoslava stanziate al ci fuori del territorio della Slovenia e della Croazia. Contestualmente venne decisa l’Importazione dall’estero di armi ed equipaggiamenti per le truppe, acquisti che sarebbero stati effettuati dopo II maggio 1990, con l’ingresso clandestino dei materiali attraverso le frontiere terrestri e quelle marittime della repubblica. Erano ridotti quantitativi di armi moderne volutamente esibite alla stampa allo scopo di produrre nelle opinioni pubbliche interne e internazionali un impatto psicologico durante l’importante campagna propagandistica che avrebbe caratterizzato l’azione di Lubiana nell’intero corso del conflitto. Della struttura occulta della MSNZ facevano parte esclusivamente ufficiali di nazionalità slovena, spesso personale in servizio alla TO che lavorava quotidianamente al fianco degli ufficiali della JNA all’Interno di strutture di comando comuni. Elementi che svolgevano regolarmente il loro servizio continuando a mantenere i contatti con tutti i vari livelli militari e amministrativi, federali e repubblicani, ma che però operavano in segreto anche all’Interno della MSNZ e quindi su due livelli, uno ufficiale e uno clandestino. Nello specifico caso dell’Obclnski Stab Teritorlalne Obrambe di Nova Gorica, alla MSNZ erano stati assegnati otto elementi, ma di essi ne operarono in maniera continuativa soltanto due e questo in ragione del fatto che non risultava necessario il loro pieno coinvolgimento nella struttura occulta locale. Essi sarebbero stati Investiti di funzioni in esclusivo caso di necessità. Nell’ottobre 1990, data in cui terminarono le attività di pianificazione, la MSNZ inquadrava complessivamente oltre 15.000 uomini. All’inizio del 1991, quindi dopo il plebiscito sull’indipendenza del 23 dicembre 1990, la TO di fatto era divenuta la base del nuovo Esercito Nazionale Sloveno. Al rifiuto di Lubiana di disarmare il suo dispositivo militare Belgrado pose In stato di allerta le unità federali stanziate in territorio sloveno. Nel marzo seguente Lubiana bloccava completamente ogni invio di coscritti sloveni all’Armata Federale, facendo prestare loro un servizio obbligatorio della durata di sette mesi nelle unità della TO. Lo stesso mese, nel corso dell’esercitazione militare “Premlk ’91” (attività che vide impegnato oltre Il 90% del personale In forza alla TO), attraverso una serie di simulazioni, emersero con evidenza i potenziali effetti negativi del totale dominio dello spazio aereo dell’Aeronautica Federale e, Inoltre, i limiti operativi delle unità minori della TO, adatte alla difesa a livello locale ma non a manovre ad ampio raggio. In prossimità della data stabilita per la dichiarazione ufficiale della propria indipendenza dalla Federazione Jugoslava il governo di Lubiana richiamò sul territorio della repubblica tutti i militari di nazionalità slovena che in quel momento prestavano servizio nella JNA.
La mobilitazione generale in Slovenia
Lo Stato Maggiore della Difesa territoriale di Lubiana (Republlski Stab za Teritorialno Obrambo, RSTO) ordinò la mobilitazione generale il giorno 24 giugno 1991 attivando in primo luogo tutti i centri di comando, richiamando allo scopo in servizio 2.251 riservisti. Poi, alle ore venti dello stesso giorno, per proteggere il territorio sloveno dall’imminente aggressione militare della JNA, seguì anche quella delle unità operative, In questo secondo caso vennero richiamati in servizio 9.689 riservisti e di questi se ne presentarono 7.013, pari al 72% della forza. Verso i centri di formazione era invece previsto un afflusso di 729 uomini, di questi se ne presentarono 644, pari all’81% della forza assegnata. Il complesso delle attività inerenti alla mobilitazione generale della TO dovettero essere occultate all’Armata Federale, ma tale mantenimento della segretezza si rivelò un fattore critico comportando una serie di problemi agli Sloveni. Il 26 giugno 1991 i comandi regionali della TO (PSTO) presentavano i seguenti organici: 2. PSTO Novo Mesto – in organico 2.760 elementi, effettivi 2.384 (86% della forza); 3. PSTO Kranj – In organico 946 elementi, effettivi 748 (79% della forza); 4. PSTO Postojna – In organico 1.328 elementi, effettivi 1.123 (85% della forza); 5. PSTO Ljubljana – in organico 4.306 elementi, effettivi 3.121 (72% della forza); 6. PSTO Nova Gorlca – in organico 466 elementi, effettivi 379 (81% della forza); 7. PSTO Maribor – in organico 5.956 elementi, effettivi 4.283 (72% della forza); 8. PSTO Celje -In organico 4.146 elementi, effettivi 3.462 (84% della forza); 30e Gruppo di Formazione – in organico 207 elementi, effettivi 207 (100% della forza). Il totale completamento degli organici sarebbe stato raggiunto soltanto durante i primi giorni di guerra, nel momento In cui furono Inquadrati nella TO 35.000 uomini. Immediatamente prima dell’attacco della JNA la TO schierava sul terreno: 85 gruppi di arresto, 95 gruppi controcarro, 59 sezioni di fanteria d’assalto, 150 compagnie e 60 battaglioni; l’armamento In dotazione comprendeva 39.000 armi leggere con annesso munizionamento (17.000.000 di cartucce di vario calibro), 1.100 sistemi controcarro (inclusi 2.750 razzi a carica cava), 200 armi di appoggio di vario tipo e 100 sistemi missilistici antiaerei spalleggiablli (MANPADS). Lubiana poteva Inoltre contare anche su una ridotta componente di forze speciali, la 1. Specialna Brigada MORiS (Mlnistr-stvo za Obrambo Republlke Slovenije), I cui elementi erano riconoscibili dalle nuove uniformi mimetiche e dal basco di colore verde. All’inizio del conflitto gli Sloveni non disponevano né di mezzi corazzati né di velivoli di alcun genere, soltanto In seguito, attraverso la cattura di prede belliche, avrebbero formato due compagnie carri, la Tankovska ceta 6. PSTO e la Tankovska ceta 7. PSTO (3). Immediatamente prima dell’inizio dei combattimenti il RSTO venne ridetocato in una località segreta diversa dala capitale, consentendo così alla MSNZ di estromettere definitivamente dalla conduzione delle operazioni quegli elementi di vertice ritenuti non completamente affidabili in quanto sospettati di essere in parte ancora legati a Belgrado. All’inizio delle ostilità la TO non concentrò le proprie forze in un’area specifica della Repubblica, al contrario diffuse la sua presenza in modo capillare su tutto il territorio sloveno, non rendenco necessari trasferimenti di forze in supporto a unità impegnate su fronti diversi. Gli unici movimenti di truppe (che avvennero a livello di compagnia) si verificarono all’interno delle singole province zone di impiego ere avrebbero rafforzato la motivazione del personaje in quanto investito del compito di difendere il proprio luogo di origine o di residenza. Gli automezzi a disposizione della TO, tutti posti al di fuori del controllo della JNA. erano veicoli civili di vario tipo e modello di proprietà di soggetti privati, obbligati a porli a disposizione della struttura difensiva nazionale in caso di mobilitazione generale. Per l’effettuazione di trasporti clandestini la MSNZ preferiva però rivolgersi a piccoli padroncini, in quanto era noto che all’interno delle cooperative socialiste di lavoro, aziende che disponevano di un numero ragguardevole di furgoni e autocarri, erano presenti e attivi gli informatori del SDB e del KOS (Kontraobavjestajna Sluzba, servizio di controspionaggio militare della JNA). Allo scopo di risarcire i proprietari degli autoveicoli requisiti da eventuali danni derivati loro nel corso delle operazioni era stato previsto un rimborso, inoltre gli stessi proprietari percepivano un indennizzo per l’uso del mezzo da parte della TO.
Armata federale jugoslava: forze di terra presenti in Slovenia
Il controllo militare del territorio della Repubblica socialista federata di Slovenia era competenza della 55 Regione militare dell’Esercito Jugoslavo (52 Vojaskega Obmocija), con comando a Zagabria (Croazia), che articolava le sue forze attraverso i seguenti korpus (unità paragonabili grossomeoo a un Corpo d’Armata): 10a Korpus con comando a Zagabria (Croazia); 135 Korpus con cornando a Rijeka (Croazia); 142 Korpus cor co-a-oo a Lubiana; 312 Korpus con cornanoo a Maribor: 3? Korpus con comando a Varazdin (Croazia). Sotto il diretto controlo deHa 5* Regione militare in Slovenia ricadevano le seguenti unità: una brigata di artiglieria mista al 60-75% dell’organico previsto stanziata a Slovenska Bistrica; un reggimento al 10-30% dell’organico a Èrnomelj: una squadriglia elicotteri da ricognizione e collegamento con base nell’aeroporto di Ljublja-na/Brnik: ura ccroagnia per la sorveglianza
elettronica a Lubiana; una base logistica al 1030% dell’organico a Lubiana; un battaglione del genio pontieri al 10-30% dell’organico a Novo Mesto. Dal 142 Korpus con comando a Lubiana dipendevano: un battaglione di collegamento stanziato a Lubiana; un battaglione della Vojska Policija (polizia militare) a Lubiana; la 253a Brigata motorizzata al 60-75% dell’organico, con comando a Postojna e due battaglioni dislocati ad Ajdovscina e Pivka; la 1a Brigata corazzata al 60-75% dell’organico a Vrhnika; una brigata motorizzata al 10-0% dell’organico a Lubiana, la 345a Brigata di fanteria da montagna al 30-60% dell’organico con comando a Kranj e due battaglioni dislocati a Tolmino e Bohinjsko Belo (Krajna, Croazia); un reggimento di artiglieria misto al 30-60% dell’organico a Rtonica: un reggimento controcarri al 10-30% dell’organico a Postojna; un reggimento della diesa antiaerea leggero al 3060% dell’organico a Lubiana: Diverzantski odred a Lubiana; un plotone per la sorveglianza elettronica a Lubiana; una batteria controcarri d’assalto al 10-30 % dell’organico a Jesenice; operavano inoltre le seguenti unità della Granicka Straza: 62Q Battaglione stanziato a Tolmino, 63a Battaglione a Nova Gorica, 64e Battaglione a Sezana e 61 – Battaglione a Ra-dovljica, con i loro numerosi distaccamenti dislocati lungo tutta la linea di frontiera. Dal 31 -Korpus con comando a Maribor dipendevano: un battaglione di collegamento, un battaglione della Vojska Policija e le Diverzantski Odred stanziati a Maribor; una brigata motorizzata al 60-75% dell’organico a Maribor; una brigata motorizzata al 10-30 % dell’organico a Celje; una brigata motorizzata al 10-30 % dell’organico a Novo Mesto; un reggimento di artiglieria misto al 10-30 % dell’organico a Maribor; un reggimento controcarri al 10-30 % dell’organico a Ptuj; un reggimento di difesa contraerea leggera a Ptuj; un battaglione del genio al 1030 % dell’organico a Celje; una batteria controcarri d’assalto al 10-30 % dell’organico nelle due caserme di Celje e Slovenska Blstrlca; operavano inoltre I distaccamenti della Granicka Straza di Dravograd, Marlbor e llirska Bistrica (Croazia) ; dal 31 – Korpus dipendeva inoltre una brigata motorizzata al 60-75% dell’organico stanziata in Croazia nella sua sede di llirska Bistrica. In quel periodo la presenza globale di militari dell’Armata Federale in Slovenia era quantificata In 15-20.000 uomini, mentre la composizione etnica delle unità risultava varia ma con una minima percentuale di coscritti sloveni. Nel corso delle operazioni effettuate durante la guerra trovarono Impiego tutte le unità dipendenti dalla 5a Regione militare. Nella Slovenia occidentale era schierato il 14e Korpus di Lubiana, la cui punta di lancia era costituita dalla \ – Brigata corazzata di Vrhnika, unità articolata su due battaglioni corazzati (su carri M-84 e veicoli da combattimento per la fanteria BVP M-80A), un battaglione carri montato su T-55 e un battaglione meccanizzato dotato di veicoli da combattimento per la fanteria M-80A. I mezzi di questa brigata erano dislocati principalmente nei pressi di Brnik e a Vrhnika. La seconda unità per Importanza del 145 Korpus era la 228. Proletarska Motorlzirana Brigada (Brigata motorizzata) di Postojna, articolata sul battaglione motorizzato di Ajdovscina e sul complesso controcarri divisionale di Vipava, che in operazioni era destinato a incorporare anche il battaglione carri stanziato a Pivka. Questa era l’unità della KV operante nella Phmorska, la regione confinante direttamente con II Friuli Venezia Giulia. Durante il loro Intervento le forze jugoslave già presenti In Slovenia ricevettero il sostegno di altre unità stanziate nella vicina Croazia, tra queste va ricordata la 269a Planinska Brigada (fanteria da montagna) stanziata In Krajna, che ricevette l’ordine di trasferimento per il suo battaglione di Bohisko Belo ai valichi di confine settentrionali (Karavanke, Ljubelj e Jezersko). Compiti di minore rilievo vennero assolti dal 2895 Battaglione di polizia militare e dal 142 Diverzan-tskl Ored, entrambi operativi nell’area di Lubiana. Nella Stajerska era schierato il 31s Korpus, del quale faceva parte II battaglione corazzato appartenente alla 195a Proletarska Mo-torizirana Brigada, unità scontratasi con la TO nel pressi del valico di confine con l’Austria di Sentilj. Il 13s Korpus di Rljeka schierato in territorio sloveno aveva un unico battaglione (corazzato), unità inclusa nella 13a Proletarska Motorlzirana Brigada di llirska Bistrica. Infine il 10s Korpus di Zagabria inviò in Slovenia un battaglione carri della 4a Brigata corazzata di Ja-strebarsko. La componente d’urto espressa dalla Kopnena Vojska nel settore orientale della Stajerska venne rinforzata mediante l’Invio In zona di operazioni di un battaglione corazzato della 328 Brigata corazzata di Varazdin, mentre la 63a Brigata paracadutisti di Nis (Serbia) fornì una compagnia d’assalto che venne aviotrasportata In Slovenia per difendere le basi aeree di Cerklje e Krka.
Armata Federale Jugoslava: forze aeree presenti in Slovenia
Dalla 5a Regione militare dipendeva la squadriglia elicotteri per la ricognizione e i collegamenti di Ljublljana/Brnik, unità trasferita poi nelle basi aeree di Cerklje, Krka e Ples, in seguito agli sviluppi degli eventi bellici in ragione della loro migliore difendibilità nel confronti degli attacchi della TO rispetto all’aeroporto della capitale. La protezione aerea era di competenza del 52 Korpus RV i PVO (Ratno Vazduho-plostvo i Protiv Vazdusna Obrana), aviazione e difesa aerea federale, con comando a Zagabria e alle dipendenze della brigata aerea schierata In territorio sloveno. Il 5S Korpus RV I PVO controllava la regione aerea settentrionale presidiandone lo spazio aereo, i principali centri urbani e i poli industriali. In Jugoslavia era attiva una rete radar impiegante apparati in grado di operare entro un raggio di 300-500 chilometri; dai siti sloveni e croati si riusciva dunque a rilevare il movimento di aeromobili nei cieli delle vicine Austria e Italia. Tale rete era costituita da una quindicina di apparti di produzione sovietica, sistemi acquistati da Belgrado nel 1964 dopo il parziale rlawicinamento di Tito a Mosca. Insieme ai radar la RV i PVO ricevette anche dei sistemi missilistici contraerei superficie-aria, tra i quali figuravano anche gli S-75M VOLCHOV (NATO SA-2 GUIDELINE) nonché una trentina di velivoli da combattimento. In Slovenia operava un Battaglione di controllo e difesa aerea con comando e centrale operativa a Vrhnika, mentre le sue stazioni radar collegate insistevano sul siti di Ljubljanski Vhr nad Vrhnika, Koprivnik (Carso) e Gornja Radgona (4). Sempre a Vhmika era schierato un battaglione missilistico antiaereo che aveva del distaccamenti a Lubiana e a Logatec. infine una divisione missilistica antiaerea aveva il comando nella località di Kerestinec na Krku e suoi distaccamenti a Cerklje e Krka. In territorio sloveno la base aerea di maggiore importanza, sia per dimensioni che per tipologia di velivoli schierati, era quella di Cerklje (Dolenjska), ma naturalmente esistevano numerose altre basi di rischiaramento e una fondamentale importanza assumevano gli aeroporti di Ljubljana/ Brnik e Maribor. Nel corso del conflitto in Slovenia ricevettero l’ordine di tenersi pronte ad intervenire le seguenti unità: 82- Brigata aerea di Cerklje e Krka. 185= Reggimento cacciabombardieri di Pola. 105£ Reggimento cacciabombardieri di Zara. 1175 Reggimento caccia di Bihaae e Reggimento trasporti di Ples. Dalla base di Zagabria operarono i reparti da trasporto con aerei ed elicotteri. Alla guerra presero inoltre parte altre formazioni militari che fornirono protezione a strutture e magazzini.
L’azione del controspionaggio jugoslavo
Al pari del SDB. dalla seconda metà degli anni Sessanta, ai primi segnali di una ricerca di autonomia e indipendenza manifestati dalla dirigenza politica di Lubiana, anche il KOS aveva intensificato la sua azione di controllo in Slovenia e nei primi anni Ottanta, con l’esplosione delle proteste giovanili e studentesche dirette contro lo sganciamento dell’Armata Federale dal controllo della società civile, accentuò il lavoro di capillare raccolta di informazioni. In quegli anni cruciali per la Jugoslavia le attenzioni del servizio vennero concentrate (forse in modo eccesivo) sul dissenso politico interno ed esterno alle Forze Armate, trascurando in parte il contestuale processo di organizzazione in atto di una forza combattente autonoma da parte slovena. Il KOS raggiunse quindi discrete capacità nell’infiltrazione delle strutture militari clandestine di Lubiana e. paradossalmente, a volte era la stessa MSNZ a penetrare entrambi i servizi di informazione federali. Nonostante la precedente epurazione degli ufficiali di nazionalità slovena dai livelli apicali dei servizi segreti (sostituiti soprattutto con personale di etnia croata e serba), alcuni elementi della TO che lavoravano segretamente nei comandi regionali e municipali della MSNZ nel corso dell’espletamento delle loro normali attività di ufficio venivano a contatto con il KOS e l’SDB. Essi ufficialmente continuarono a restare in collegamento con la Sicurezza jugoslava facendo però il doppio gioco in favore della MSNZ, che in questo modo riusciva a carpire importanti informazioni utili, probabilmente giungendo nel 1991 a conoscere buona parte della rete dei servizi di Belgrado attiva in Slovenia. Da parte slovena si tende a sottolineare un eccesso di autostima e di presunzione di capacità del controspionaggio militare jugoslavo, atteggiamento che avrebbe indotto a commettere gravi errori. Alla metà degli anni Settanta, in un periodo di coesione politica a livello federale, nell’ambito della pianificazione e della verifica dello strumento difensivo jugoslavo compiute mediante esercitazioni militari congiunte, le difese territoriali delle varie Repubbliche erano in grado di disporre di informazioni classificate (ad esempio quelle relative ai potenziali nemici frontalieri come Ungheria. Austria. Italia) attingendo dai servizi segreti federali, ma anche allora nei comandi della TO si riteneva che tali informazioni non fossero completamente attendibili. Inoltre, anche in tempi non sospetti, le relazioni tra TO e KOS erano contraddistinte aa attriti e reticenze, mentre il servizio federale appariva come una sorta di ‘stato nello stato . Il controspionaggio militare jugoslavo opponeva spesso resistenze alla richiesta di diffusione di informazioni su organici, armamento e specifiche capacità delle unità della KV che avrebbero dovuto operare al fianco della TO slovena. In ogni caso Lubiana avrebbe ritenuto che il KOS non fosse stato a completa conoscenza delle dimensioni e della struttura della sua TO, anche per la ragione che la Slovenia aveva posto in riserva il 90% del personale in forza, cosa che rendeva maggiormente difficoltosa la raccolta di informazioni da parte federale. Un’altra grande difficoltà incontrata dal KOS durante il conflitto del 1991 fu il monitoraggio delle comunicazioni del nemico, perché nel corso delle operazioni gli Sloveni stabilirono e mantennero i propri collegamenti servendosi di telefoni della rete pubblica (apparecchi via cavo, dato che nel 1991 non erano ancora diffusi i telefoni cellulari). Una particolarità di questo conflitto è stata Infatti quella dello svolgimento di quasi tutti i combattimenti in luoghi situati in prossimità di telefoni fissi in grado di porre in contatto tra loro i comandi della TO con le unità schierate sul terreno. Quindi mai in luoghi eccessivamente isolati e comunque sempre in ambienti perfettamente conosciuti dalle unità impiegate in azione. Per il KOS sarebbe risultato praticamente impossibile porre simultaneamente sotto controllo tutte le utenze telefoniche della Repubblica Slovena, inoltre il controspionaggio militare jugoslavo non era a conoscenza delle precise dislocazioni del nemico, mentre la TO di volta in volta poteva disporre sia di apparecchi telefonici in abitazioni private, sia di quelli pubblici installati nelle cabine, all’interno delle stazioni di servizio, nei caffè e in altri luoghi. Ovviamente le comunicazioni degli Sloveni avvenivano mediante l’utilizzo di codici segreti.
“Bedem ’91”
Al momento della dichiarazione unilaterale di indipendenza di Lubiana del 26 giugno la TO era schierata a difesa del principali punti strategici della Slovenia. Particolare attenzione fu riversata sui ventisette valichi di confine con l’estero, luoghi dove era previsto l’arrivo delle unità Inviate da Belgrado per presidiare le frontiere con Austria, Italia e Ungheria. Il blocco da parte della TO delle caserme federali e la contestuale interruzione dei principali assi di comunicazione In Slovenia, compresi quelli fondamentali che collegavano la capitale al suo aeroporto Internazionale, furono causa di gravi ostacoli che ridussero (e in alcuni casi impedirono completamente) la mobilità delle unità jugoslave. All’evidente inefficienza del sistema di alimentazione logistico della JNA (prodotto di storiche carenze che si manifestavano anche attraverso la scarsa aderenza con le unità operative impegnate sul terreno che di conseguenza non ricevevano adeguati rifornimenti), si aggiunsero gli effetti del potere contraereo di Lubiana. Infatti l’abbattimento di alcuni elicotteri dell’Armata Federale mediante l’Impiego di MANPADS ridusse ancora di più le residue capacità delle forze di Belgrado di sopperire alle carenze nella logistica attraverso l’impiego della propria aeronautica. Così la TO riu-
scì a interrompere la linea di alimentazione nemica, bloccando con le barricate e le imboscate lungo le strade l’afflusso di rincalzi alla KV messisi in marcia dalle loro caserme in Croazia. Contestualmente, l’assedio posto alle caserme della JNA sottrasse a essa ulteriori forze altrimenti disponibili per un impiego sul campo. Questo complesso di fattori produsse II conseguente risultato di far perdere il controllo di numerosi valichi di confine alle unità federali che erano state precedentemente inviate a presidiarli, unità polverizzate su tutto II territorio sloveno ben presto trovatesi isolate. L’Armata Federale Jugoslava manifestò una modesta efficienza e risultò impreparata a una guerra di occupazione; pur possedendo le capacità di piegare la resistenza nemica, essa però evitò di impegnarsi a fondo nel teatro operativo sloveno. Una Ipotesi che giustifichi tale scelta potrebbe ricondursi ai reali orientamenti (non dichiarati) dei vertici politici e militari di Belgrado, che erano con ogni probabilità già Indirizzati verso le previste (e maggiormente impegnative) future crisi di Croazia e Bosnia Erzegovina. Sulla base di questa Ipotesi la Slovenia veniva ormai considerata come irrimediabilmente perduta, dunque sarebbe stato inutile accanirsi In quel conflitto con attacchi Indiscriminati che avrebbero provocato pesanti effetti collaterali ed eccessivi danni alle infrastrutture della piccola repubblica. E questa potrebbe essere stata la ragione alla base dell’impiego selettivo della forza da parte della JNA. A Belgrado, avuta consapevolezza dei limiti dell’impiego dello strumento bellico nella risoluzione della crisi, si sarebbe compresa la necessità di un compromesso con la secessionista Lubiana, questo al fine di spostare più a sud in tutta tranquillità uomini e mezzi bloccati in territorio sloveno, in vista dell’atteso scontro con la Croazia di Franjo Tudman.
Severnoprimorska pokrajina TO
Il 26 giugno 1991 lo Stato Maggiore jugoslavo diramava alle unità che erano impegnate nell’esercitazione “Bedem ’91” l’ordine di inizio delle operazioni. In conseguenza di tale ordine anche la Brigata motocorazzata di Pivka mosse dalle sue basi stanziali allo scopo di congiungersi entro sera alla 253a Proletarska Motorizlrana Brlgada di Ajdovsclna e Vipava, con l’obiettivo previsto per II giorno seguente di raggiungere e presidiare i valichi di confine con l’Italia di Nova Gorica. I plani prevedevano l’assunzione del controllo delle aree di Rozna Dolina (posto di confine sul versante jugoslavo opposto a quello della Casa Rossa di Gorizia) e di Vrtojba (versante jugoslavo opposto a quello di Sant’Andrea/Standrez, sempre nel capoluogo Isontino). Una volta giunti a Nova Gorica le unità della KV insediarono il loro comando nella località di Ajscevica. Il 26 giugno Lubiana non aveva ancora diramato alla TO l’ordine di inizio delle ostilità, disposizione che i reparti sloveni avrebbero ricevuto soltanto alle ore dieci del giorno successivo e questo consentiva dunque alle formazioni motocorazzate della JNA di superare senza problemi le postazioni della TO. in quel momento non ancora rese palesi, raggiungendo così i confini. Prima che la MSNZ ordinasse l’ingaggio delle unità federali, la TO si limitò a effettuare una sorveglianza discreta delle rotabili interessate dagli spostamenti delle colonne nemiche. L’Armata Federale conseguiva temporaneamente i suoi obiettivi, in ragione dell’assenza di contrasti armati da parte slovena in quella prima fase del conflitto. Soltanto la popolazione civile oppose una simbolica resistenza inscenando alcune proteste al passaggio delle colonne della JNA in movimento, contro le quali vennero lanciate delle pietre. Nel frattempo a livello regionale si costituiva la struttura integrata di coordinamento delle forze comprendente TO, Milica e altre organizzazioni paramilitari e civili della Severnoprimorska. Nell’ambito di essa sarebbe stata elaborata nel dettaglio la pianificazione operativa. Il 28 giugno questa struttura di comando diramava l’ordine del passaggio all’azione e allo scopo venivano segretamente convocati i vertici locali della TO. In un primo momento venne caldeggiata l’idea di attaccare una piccola caserma della JNA situata nel Trnovski Gozd (Selva di Tmovo). installazione ospitante un centro d’ascolto elettronico del KOS dove prestavano servizio una decina rj elementi del controspionaggio militare. Data la natura della base e l’entità del personale presente al suo interno, si sarebbe trattato di un obiettivo di facile acquisizione ma scarsamente pagante nei termini dell’impatto psicologico e mediatico successivamente riflessosi sull’opinione pubblica jugoslava e i vertici militari di Belgrado.
Per questa ragione e anche per assecondare i desiderata politici di Lubiana che chiedevano un’azione di forte impatto simbolico, nella struttura integrata di coordinamento di Nova Gori-ca venne abbandonata l’ipotesi iniziale (ritenuta di scarso peso) e si concentrarono le attenzioni su obiettivi maggiormente paganti come i concentramenti di forze federali ai confini. La strategia era evidente: per loro stessa natura i valichi di confine si trovavano a immediato ridosso di Paesi esteri e inoltre costituivano il punto di passaggio obbligato per chi attraversava la frontiera (turisti in fuga, lavoratori transfrontalieri, soggetti che si erano recati in Jugoslavia per fare acquisti di benzina o sigarette, eccetera), ma soprattutto, data la presenza di militari e mezzi corazzati federali, avevano attratto la stampa internazionale. Per Lubiana rappresentavano quindi una potenziale formidabile cassa di risonanza utile ad amplificare il proprio grido di libertà di fronte alla dura repressione di Belgrado, mostrando al contempo la violazione di fondamentali libertà da parte dell’esecutivo federale jugoslavo. Un’azione militare condotta a Rozna Dolina avrebbe assunto una enorme importanza, infatti l’accesso all’Italia dalla Casa Rossa di Gorizia era noto a tutti i cittadini jugoslavi perché era sempre
stato una delle principali porte di ingresso al Paese occidentale confinante per tutti quelli che si recavano a fare acquisti negli esercizi commerciali del Friuli. In seno alla struttura integrata di coordinamento di Nova Gorica vennero sollevati dei dubbi sulle reali possibilità di successo di azioni del genere, al punto che alcuni ufficiali della TO giunsero a definirle come suicide, ma alla fine prevalse la linea orientata a un attacco fulmineo e devastante ai danni della 253a Brigata motorizzata federale, unità che a Rozna Dolina aveva schierato due compagnie di fanteria appoggiate da un plotone carri.
Attacco al presidio della Kopnena Vojska a Rozna Dolina
Dell’esecuzione del blitz di Rozna Dolina vennero incaricati otto elementi della TO, un gruppo di fuoco preventivamente selezionato in gran segreto dal Maggiore Srecko Lisiak, ufficiale che ne avrebbe guidato in seguito le azioni sul campo. Una volta definita l’azione da compiere si passava alla fase di pianificazione degli attacchi, definendone le procedure operative. Prima di aprire il fuoco contro i militari dell’Armata Federale il commando sloveno guidato dal Maggiore Lisiak avrebbe dovuto intimare loro la resa con un megafono. Nel frattempo una compagnia di milicnikij (poliziotti) in assetto di guerra avrebbe avuto l’incarico di appoggiare il commando della TO cinturando l’area di operazioni per prevenire un eventuale afflusso di rinforzi inviati in sostegno ai militari jugoslavi sotto attacco.
I poliziotti avrebbero anche dovuto evitare l’intervento del locale nucleo di granicarij, le circa venti guardie di confine della casermetta situata non lontano dal posto di confine. Altri elementi della Milica, questi ultimi però vestiti in abiti borghesi, immediatamente prima dell’attacco avrebbero poi avuto il compito di allontanare dalla zona di operazioni tutti i civili in quel momento presenti. Ma, come verrà compiutamente descritto nel prosieguo, la partecipazione della Milica slovena non venne limitato a questi compiti. In prossimità dell’attacco vennero infine poste in preallarme tutte le strutture sanitarie locali. Nel tardo pomeriggio del 28 giugno il commando iniziava la sua breve marcia di avvicinamento all’obiettivo muovendo da Nova Gorica a bordo di un furgone civile e raggiungendo pochi minuti dopo la località di Kostanjevlca. Lì tutti e nove gli elementi si occultavano temporaneamente all’interno di una fattoria sita in prossimità del monastero, luogo dove venne atteso l’arrivo della squadra degli otto milicnikij incaricati della cinturazione d’area, che erano armati di fucili automatici d’assalto Zastava M-70 AB2 e delle loro ordinanze da fianco.
In realtà all’interno della struttura segreta di coordinamento si aveva la quasi certezza che le guardie di frontiera jugoslave non sarebbero intervenute nel combattimenti e questa previsione in seguito non si rivelò errata, infatti nel timore di subire un attacco dagli Sloveni i granicarij si asserragliarono all’interno della loro casermetta minandone addirittura gli accessi (5). Da Kostanjevica il commando proseguiva a piedi in direzione di Rozna Dolina. Uno degli otto elementi del gruppo di fuoco era armato di fucile di precisione M-67 in calibro 7,9 mm, gli altri sette erano dotati di fucili mitragliatori UL-TIMAX in calibro 5,56 mm prodotti a Singapore, armi acquistate da Lubiana alcuni mesi prima e successivamente introdotte clandestinamente in Slovenia. Tutti i membri del commando disponevano inoltre di pistole automatiche Ingram in calibro 9 mm e di granate, mentre soltanto il comandante aveva un fucile automatico Zastava M-70 AB2. Quattro territoriali erano stati preposti all’Ingaggio di mezzi corazzati nemici e allo scopo dotati di lanciarazzi ARMBRUST. Questo sistema d’arma prodotto in Germania era particolarmente adatto al tipo di azione della TO, in quanto progettato sulla base di requisiti specifici relativi ad un minimo effetto vampa al momento dell’espulsione del razzo dal tubo di lancio. Inoltre la sua ridotta segnatura acustica e la minimizzazione dei residui della combustione causati dallo sparo lo rendevano particolarmente idoneo all’Impiego da ambienti chiusi, dunque ottimizzato per i combattimenti urbani. Il commando raggiunse l’obiettivo avvicinandovisi in assetto tattico e arrestandosi quindi sulla linea costituita dalla prima fila di edifici in costruzione situata ai piedi della collina di Rafut, proprio alle spalle del Bistrò Rozna Dolina, Il bar ristorante del valico di confine e in quel punto prese posizione per l’attacco. Gli uomini si disposero su tre linee di tiro a diverse quote: la prima, più avanzata, vedeva occultati dietro un cespuglio il comandante Lisiak e un elemento armato di ARMBRUST; immediatamente dietro, riparati dietro un muretto del cortile di una palazzina la cui edificazione del piano terra era stata ultimata, erano piazzati lo sniper col fucile di precisione e altri territoriali armati di fucili d’assalto e di un lanciarazzi controcarro; la terza linea, formata da due elementi armati di ARMBRUST, era In posizione protetta dietro un muro di cemento di un cantiere adiacente al primo edificio, all’angolo della strada che proveniva dalla collina. Nella zona era totale l’assenza di postazioni di sorveglianza degli Jugoslavi, che evidentemente in quel frangente non si attendevano attacchi.
Questo fatto venne poi confermato dalle incertezze manifestate durante le prime reazioni all’intimazione della resa comunicata dal comandante della TO. A questo punto tutto si consumò velocemente. Udita la voce del Maggiore Lisiak amplificata dal megafono i militari della JNA tentarono in fretta e disordinatamente di assumere le posizioni di combattimento, volgendosi nella presunta direzione di provenienza della minaccia senza però riuscire a localizzare con precisione il nemico. I piloti del T-55 accesero i motori dei loro carri mentre i comandanti degli equipaggi brandeggiavano le torrette puntando le bocche da fuoco In varie direzioni. Contestualmente, mentre alcuni autoveicoli civili si allontanavano rapidamente dalla zona, tutti I cittadini sloveni, I pochi stranieri presenti e i giornalisti fuggivano In direzione della stazione di servizio Petrol cercando riparo al suo Interno, aiutati dagli agenti in borghese della Milica che esortavano la gente ad allontanarsi indirizzandola verso zone sicure o ripari occasionali più vicini. Al riguardo va sottolineato il fatto che le ordinarie attività civili, comprese quelle commerciali, non erano state interrotte a causa della presenza dei carri armati federali, quindi tutti I negozi e gli uffici situati nel piazzale di Rozna Dolina (bistrò, pompe di benzina, agenzia viaggi
e cambiavalute) erano ancora aperti. Alle ore 18.21 la TO apriva il fuoco con gli ARMBRUST. Il primo razzo lanciato colpiva il carro più vicino alle posizioni del commando perforandone la corazza In uno dei suoi punti più vulnerabili, lo scafo all’altezza del cingolo. Il secondo ARMBRUST colpiva invece il vomere di un bulldozer della KV, mezzo utilizzato durante il movimento della colonna federale per sgomberare le strade percorse da eventuali barricate allestite dai civili per protesta.
Il vomere aveva offerto a quattro militari jugoslavi una temporanea precaria protezione, ma l’esplosione del razzo a carica cava provocava egualmente la morte di uno di essi e il ferimento degli altri tre. I tiratori di ARMBRUST ricevevano la necessaria copertura dal resto dei componenti del commando, che aprivano il fuoco con le loro armi leggere contro i militari federali. Nel frattempo, mentre il primo carro colpito era ormai in fiamme, l’esplosione della riservetta delle munizioni situata al suo interno trasmetteva il fuoco anche all’altro T-55 fermo nelle sue immediate adiacenze, che a sua volta iniziava lentamente a bruciare. Nonostante che a seguito dei primi lanci di razzi avessero preso posizione all’interno del bo-schetto dietro il bistro, i federali continuavano a non riuscire a individuare con precisione le posizioni della maggior parte degli attaccanti sloveni, scorgendo esdusivamerrte i due ele-menti della postazione dello sniper. L’unica risposta concreta degli Jugoslavi venne dalle armi leggere, in quanto i carri erano praticamente “ciechi”. Soltanto il T-55 che all’inizio dell’attacco si era spostato di alcune decine di metri per posizionarsi di fronte alla stazione di servizio Petrol, iniziava ad aprire il fuoco all’impazzata con la propria mitragliatrice di bordo nella direzione opposta al valico di confine, dunque contro il luogo dove a quel tempo si trovava l’edificio della Primex, una società cooperativa di import-export attiva al tempo della Jugoslavia. L’equipaggio di questo carro completamente colto di sorpresa dell’azione della TO, non disponendo di un campo di tiro utile alla sue spalle (cioè nella zona retrostante maggiormente interessata dai combattimenti sparava numerosi colpi in calibro 12.7 mm meramente in via preventiva ma senza mirare contro alcun obiettivo reale, questo nel timore della possibile presenza di un altro gruppo di fuoco sloveno. Il combattimento ebbe una durata complessiva di circa dieci minuti e produsse risultati catastrofici per i reparti dell’Armata Federale coinvolti.
I militari della 253s Brigata motorizzata dopo il breve attacco iniziarono ad arrendersi ai territoriali consegnando loro le armi. Alcuni ufficiali dell’Esercito italiano che in quel momento prestavano servizio presso il punto di osservazione avanzato situato all’interno del castello veneziano di Gorizia hanno in seguito riferito che nel corso di questa fase dell’azione alcuni elementi della Milica slovena appostati sui tetti di alcuni edifici circostanti il posto di confine, poliziotti in regolare uniforme d’ordinanza ma privi di copricapo o di elmetto, aprirono il fuoco con i fucili d’assalto (presumibilmente gli Zastava M-70 AB2) contro gli equipaggi dei carri federali mentre questi abbandonavano i loro mezzi.
Al termine dello scontro soltanto tre territoriali scesero nel piazzale del valico di confine per disarmare e concentrare i prigionieri nemici, gli altri sei rimasero occultati e in copertura. La resa fu praticamente spontanea, l’azione si era consumata in tempi brevissimi e non aveva consentito agli uomini dell’Armata Federale, in massima parte militari di leva, di realizzare cosa stesse realmente accadendo anche perché rimasti subito privi del loro comandante, un capitano di etnia croata che non si aspettava un attacco del genere, ferito a un braccio e sotto shock. Per la JNA il bilancio fu pesante: 3 militari caduti, 16 feriti e 98 catturati dagli Sloveni; 2 carri T-55 distrutti, 3 carri T-55, un carro gittaponte BTS-1 (T-55A-T), numerosi automezzi e armi di vario genere e tipo caduti in mani nemiche. Nel corso dell’azione di Rozna Dolina il commando della TO aveva sparato due razzi controcarro e circa 700 colpi di armi leggere di vario tipo.
Resa del dispositivo federale al valico di Vrtojba
Contrariamente a quanto affermato in quei convulsi giorni di crisi dalla stampa, il grosso delle forze della JNA schierate nella Severnoprimorska non era concentrato nella Selva di Trnovo, ma bensì al valico confinario di Vrtojba, dove si trovavano 138 militari della fanteria e sette carri T-55. L’azione di Vrtojba venne caratterizzata da una minore drammaticità e soprattutto dall’assenza di vittime. Il 29 giugno, giorno successivo a quello delazione di Rozna Dolina, la Milica slovena venne incaricata della conduzione delle trattative per l’ottenimento della resa dell’unità federale posta a presidio dell’importante posto di confine. Gli ufficiali della KV più alti in grado vennero invitati dai milicnikij a prendere posto in alcune autovetture della polizia che recavano i colori d’istituto (celeste e bianco), questo per consentirgli di prendere direttamente visione degli avvenimenti verificatisi il giorno prima a poche centinaia di metri di distanza. La motivazione dello spostamento sotto scorta a bordo dei veicoli della Milica veniva ufficialmente motivata dalla necessità di preservare l’incolumità fisica degli ufficiali jugoslavi, che sarebbe stata posta a repentaglio qualora essi avessero deciso di spostarsi autonomamente dati gli elevati rischi di aggressione da parte della popolazione slovena. Il fine degli Sloveni era chiaro: convincere jugoslavi che non sarebbe stato conveniente impegnare le loro forze in un combattimento con la TO. Terminato il sopralluogo e le trattative, il mattino seguente gli ufficiali dell’ Armata Federale vennero ricondotti al valico di Vrtojba. Essi non avevano ancora preso una deciione sul da farsi, ma d’altro canto nella caotica situazione ingeneratasi in seno all’unità rimasta isolata al confine con l’Italia esplosero dei duri contrasti tra gli ufficiali, dato che alcuni asserivano che non si sarebbero dovute violare le consegne con la resa al nemico. Un fatto fece però mutare questo iniziale atteggiamento: nel pomeriggio squadre della TO giunsero a Vrtojba e presero posizione in vista del combattimento con i militari federali e questo convinse il capitano che comandava la compagnia corazzata a porre fine all’azione della propria unità, ordinando la resa ed evitando così l’attacco sloveno. Per effetto di essa la TO venne in possesso di ulteriori quantitativi di materiali d’armamento e di munizioni, tra cui sette carri T-55.
Attacco alla ridotta della Granicka Straza di Nova Vas
L’ultima azione militare degna di nota che ebbe luogo nell’estate 1991 a ridosso del confine italiano fu l’attacco del primo luglio alla ridotta della GS di Nova Vas, una località del Carso situata nei pressi del villaggio di Opatje Selo, sul versante sloveno del Lago di Doberdò. In questo caso l’attacco venne condotto da un complesso di dimensioni maggiori rispetto a quello protagonista del blitz di Rozna Dolina, infatti a Nova Vas operarono sessantatre uomini della TO (i nove del commando del Maggiore Lisiak più cinquantaquattro elementi della Diverzantske Jedlnice) e un piccolo nucleo della Mitica. L’obiettivo era costituito da una ridotta ospitante una sezione di granicarij, dispositivo confinario che in caso conflitto con l’Italia era predisposto per la trasformazione in compagnia controcarri. La sezione GS era infatti armata di lanciarazzi e cannoni senza rinculo modello B-10 in calibro 82 mm, artiglierie queste ultime che, se incavalcate su affusto, sono In grado di essere utilizzate anche da fanterie appiedate. I granicarij erano al comando di un sottotenente kosovaro di etnia albanese, militare che aveva ricevuto la promozione al grado più basso della scala ufficiali proprio nel giorni Immediatamente precedenti la degenerazione politica della crisi slovena, dunque, almeno apparentemente, un soggetto animato da elevata motivazione. Il sottotenente della GS a scopi precauzionali aveva fatto fortificare la ridotta dove si trovava Insieme al suol sottoposti. La dinamica dello scontro fu la seguente: circondato Il villaggio di Nova Vas e rastrellatolo casa per casa allo scopo di avere la certezza che al suo interno non vi fossero appostati del gra-niciarlj, gli uomini della TO si avvicinarono alla ridotta federale assumendo le posizioni di combattimento. La fase successiva fu l’intimazione della resa alle guardie di confine effettuata dagli agenti della Mllica mediante l’uso del megafono di bordo del loro fuoristrada di servizio, una Campagnola Zastava (copia della FIAT 1107 AD 4X4/AR-76). Si voleva avviare una trattativa che conducesse a una soluzione simile a quella ottenuta il giorno precedente al valico di Vrtojba, ma in questo caso il tentativo fu inutile perché, a loro volta, anche i granièarij assunsero le posizioni di combattimento. Fonti della TO asseriscono che la replica del sottotenente delle guardie di confine all’intimazione di resa ricevuta poco prima fu la minaccia di aprire il fuoco con i cannoni senza rinculo contro le case del villaggio. Secondo le citate fonti slovene le sue precise parole sarebbero state le seguenti: “Abbiamo molte armi che ci consentono di fare numerose vittime tra i civili”. L’ufficiale avrebbe dato quindi l’ordine all’artigliere puntatore di prendere posizione al pezzo, commettendo però l’errore di avvicinarsi lui per primo all’arma, provocando così la reazione armata da parte slovena. L’azione di fuoco ebbe una durata di cinque minuti e il bilancio fu la morte l’ufficiale dei granicarij, il leggero ferimento di quattro guardie di frontiera e la cattura delle rimanenti ventidue. Quello di Nova Vas è registrato come l’ultimo episodio di guerra verificatosi nella Severnoprimorska pokrajina.
Approntamenti difensivi in Italia
Naturalmente gli eventi bellici verificatisi in Jugoslavia interessarono direttamente il sistema difensivo italiano e, dato il particolare settore di confine, principalmente le componenti terrestre e aerea. Le attività di controllo e acquisizione delle informazioni vennero espletate sotto la diretta responsabilità dei prefetti, come quando si verificano i casi di pubbliche calamità. L’Esercito Italiano venne posto in stato di preallarme, con la conseguente Intensificazione dei pattugliamenti lungo la frontiera con la Jugoslavia che venivano effettuati attraverso l’impiego di elicotteri da ricognizione e squadre di fanteria motorizzata. La guerra nella vicina Slovenia era esplosa quando In Italia la Difesa attraversava una fase (peraltro malinterrotta) di tagli al bilancio e mentre, contestualmente all’esplosione degli scontri a ridosso del confine nord-orientale, l’Esercito attuava il programma di rischieramento al sud di alcune Grandi Unità precedentemente stanziate sulla soglia di Gorizia. Si trattava dell’inizio di una trasformazione dello strumento difensivo terrestre che in quello specifico frangente rifletteva i suol effetti soprattutto sull’area di competenza del V Corpo d’Armata, con una conseguente sottrazione di forze operative che in precedenza si sarebbero rese altrimenti disponibili per fronteggiare l’emergenza provocata dalla crisi slovena. Nell’estate del 1991 l’Esercito non fece ricorso allo spostamento dei battaglioni carri presenti nelle altre province del Friuli Venezia Giulia; ufficialmente si voleva evitare di assumere atteggiamenti che Belgrado avrebbe potuto interpretare o addirittura strumentalizzare come provocatori e aggressivi, facendo appello alla coesione nazionale utilizzando l’equivoco della mobilitazione italiana alle frontiere). A quel tempo il Ve Corpo d’Armata per il pattugliamento della frontiera impiegava I reparti forniti dalle Grandi Unità stanziate nelle province del Friuli Venezia Giulia direttamente confinanti con la Jugoslavia, quindi, partendo dalla zona di Trieste e procedendo verso nord fino a Tarvisio, le Brigate meccanizzate VITTORIO VENETO (zona di Trieste/Villa Opicina e del Carso in genere), GORIZIA (con comando nell’omonimo capoluogo Isontino), MANTOVA (zone di Udine e Cividale) e, nel settore montano delle Prealpi Giulie e delle Alpi Giulie settentrionali, dai tre battaglioni della Brigata alpina JULIA di Venzone, Chiusaforte e Tarvisio. In realtà in quel preciso momento la Brigata meccanizzata VITTORIO VENETO di Trieste e, in posizione arretrata nella provincia di Pordenone, la Brigata corazzata MANIN di Aviano, si trovavano però ridotte a “unità quadro”, mentre la Brigata meccanizzata GARIBALDI di Pordenone era da poco stata trasferita nelle sue sedi in Campania, mentre restava operativa la Brigata corazzata MAMELI di Tauriano di Spilimbergo (PN). Per il pattugliamento a presidio della frontiera nord-orientale si rendevano complessivamente disponibili soltanto le compagnie di nove battaglioni meccanizzati o bersaglieri formate da personale appartenente agli scaglioni di leva che avevano completato l’addestramento di primo e secondo ciclo, alle quali andavano aggiunte le citate compagnie alpine. Naturalmente a Gorizia, proprio in una zona della città situata tra i valichi di confine della Casa Rossa e di Sant’Andrea, aveva la sua sede anche il 13e Battaglione carabinieri FRIULI VENEZIA GIULIA (6). I pattugliamenti alla frontiera con la Jugoslavia non rappresentavano certo una novità, essi avevano Infatti caratterizzato l’attività delle Grandi Unità schierate i quell’area. In quella specifica fase storica, nel periodo di crisi politica che precedette l’esplosione del conflitto militare, l’Esercito Italiano effettuava esclusivamente pattugliamenti di ricognizione e osservazione e quindi non di combattimento, finalizzati alla rilevazione e alla successiva segnalazione ai comandi competenti di eventuali Infiltrazioni di militari della JNA o di profughi all’interno del territorio nazionale. Tali pattuglie motorizzate operavano per tutte le ventiquattro ore a bordo di veicoli fuoristrada AR-76 lungo Itinerari diurni e notturni prestabiliti senza mai spingersi fino al limite della linea di confine, utilizzando anche i posti di osservazione e ascolto (anche elettronico) posti a ridosso della frontiera. Nel settore di specifico interesse trattato In questo articolo, cioè l’area di Gorizia, il personale delle pattuglie veniva fornito dal Battaglione meccanizzato NEMBO e dal 41 – Battaglione di fanteria MODENA. Con l’inizio dei combattimenti in Slovenia queste stesse pattuglie vennero fatte arretrare a una certa distanza dalla frontiera al di fuori della portata delle armi dei belligeranti, con lo scopo di evitarne un coinvolgimento, sia pure accidentale, negli scontri a fuoco. Il 28 giugno 1991 a Gorizia non era stata approntata alcuna visibile difesa nei confronti nell’eventualità dell’allargamento del conflitto anche alla città, soltanto dopo l’attacco sloveno alla JNA le forze dell’ordine italiane in servizio ai posti di confine (Carabinieri, agenti della Polizia di Stato e della Guardia d Finanza) evacuarono loro stessi la zona e successivamente, in concorso con il Corpo del vigili urbani del Comune di Gorizia, la interdirono al transito della popolazione civile. In seguito, nella notte, nell’ampio e deserto piazzale della Casa Rossa e al valico di sant’Andrea giunsero dalla caserma di Gradisca d’Isonzo delle squadre del 41° Battaglione di fanteria MODENA armate d missili controcarro MILAN, che avevano ricevute l’ordine di approntare In alcuni punti nevralgia di Gorizia delle postazioni difensive “discrete’ protette da sacchetti di sabbia per contrastare eventuali sconfinamenti di carri armati jugoslavi in territorio italiano. Tali postazioni controcarro vennero mantenute per qualche settimana fino al momento in cui vi fu certezza dell’esaurimento della crisi nella vicina Slovenia. Nei giorni seguenti il Governo italiano decise anche di dispiegare nelle aree a ridosso della frontiera, principalmente lungo gli assi viari, con la Jugoslavia delle aliquote corazzate formate da carri LEOPARD 1 e VTT M-113. oltre a una serie di postazioni difensive fisse. Si trattava della cosiddetta Operazione TESTUGGINE, che sarebbe stata protratta per alcune settimane.
La cessazione delle ostilità
Il giorno 7 luglio 1991. anche a seguito dell’intervento della comunità internazionale, le pari belligeranti e i rappresentanti della Comunità Economica Europea firmarono la cosidetta Dichiarazione di Brioni. Atto ufficiale che stabiliva la cessazione delle ostilità e una moratoria di tre mesi dell’indipendenza di Lubiana. Il 13 ottobre terminava anche la missione degli osservatori della CEE, mente iniziava il ritiro dal territorio della Repubblica di Slovenia delle Unità dell’ Armata Federale, ritiro completato il giorno 25 dello stesso mese con l’imbarco dell’ultima aliquota di militari jugoslavi dal porto di Capodistria.
(1) Con la scomparsa di Tito (1980) la competenza relativa alle nomine transitò al Presidium della Federazione Socialista Jugoslava, organo che per legge avrebbe dovuto consultare preventivamente le varie Repubbliche. Dai livelli apicali delle strutture di comando delle Difese territoriali, fino ai gradi di capitano e tenente (quindi ai comandanti di compagnia), risultava obbligatoria riscrizione alla Lega dei comunisti jugoslavi (il partito al potere nel Paese), mentre al disotto non lo era. Questo naturalmente non significava che tutti i componenti dei comandi provinciali della TO fossero comunisti, in ogni caso lo era sicuramente il comandante.
(2) La Granicka Straza era la componente della JNA che rivestiva minori dimensioni. Il suo organico ammontava a circa 15.000 elementi e in massima parte era dislocato lungo la estesa frontiera della Repubblica Federativa Socialista Jugoslava. Il corpo disponeva anche di una componente navale riunita in una brigata e il naviglio fornitogli in dotazione era costituito da una ventina di motovedette delle classi MIRNA e BREZICE, mentre alcuni elicotteri GAZELA ne costituivano la componente aerea.
(3) Ancora oggi il personale della 15a Letalska Brigada della Slovenska Vojska (l’Esercito della Slovenia Indipendente) celebra la festa della propria unità il giorno 28 giugno, data della ricorrenza della cattura del primo (e unico) velivolo all’Armata federale jugoslava nel corso della guerra del 1991. In quella occasione la TO entrò in possesso di un elicottero GAZELA (copia jugoslava dell’Aérospatiale GAZELLE francese). In realtà più che di una cattura al nemico si dovrebbe parlare di un’abile sottrazione, infatti gli Sloveni entrarono in possesso dell’aeromobile grazie alla furbizia del pilota Joze Kalan e del tecnico motorista Bogo Sustar, che occultarono rapidamente il mezzo in loro possesso nella foresta di Golte, centro sciistico presso Celje. Il GAZELA venne successivamente immatricolato con l’identificativo TO 001 e quindi impiegato in missioni di ricognizione e collegamento.
(4) In seguito la stazione radar di Ljubljanski Vrh nad Vrhnika, situata nei pressi della capitale slovena, ospiterà nel suo grande radome un apparato AN/TPS-70 prodotto dalla statunitense Westinghouse.
(5) Si tratta del servizio di sicurezza interno che nel 1966 aveva sostituito la preesistente UDBA.
(6) Nel quadro dell’approntamento di difese al confine nord-orientale conseguente alla crisi slovena. l’Aeronautica militare italiana rischierò sul sedime dell’aeroporto civile di Ronchi dei Legionari (GO) due caccia F-104 S. Nello stesso periodo si verificò almeno un caso di sconfinamento da parte jugoslava, quando due MiG-21 provenienti dai cieli sloveni penetrarono lo spazio aereo nazionale e sorvolarono brevemente la città di Gorizia.
Posted on January 7, 2012