RID Rivista Italiana Difesa Dicembre 2011 Vent’anni fa divampava la guerra in Jugoslavia – I combattimenti al confine italo-sloveno di Rozna Dolina (Casa Rossa) e Nova Vas.

Posted on January 7, 2012


Sezione STORICA

 

Gianluca Scagnetti

 

Vent’anni fa divampava la guerra in Jugoslavia

I combattimenti al confine italo-sloveno di Rozna Dolina e Nova Vas

   

 

La guerra d’indipendenza slovena dell’estate 1991, nota anche come “Guerra dei dieci gior­ni”, fu il primo atto di una tragedia che nell’im­mediato futuro avrebbe insanguinato i Balcani portando alla completa disgregazione della Re­pubblica federativa fondata da Josip Broz Tito. Oggi si possono svolgere delle riflessioni più lucide e precise riguardo alle dinamiche della guerra di secessione slovena. Quelle che allo­ra per noi giornalisti inviati erano cronache oggi possono essere rilette in una chiave diversa attraverso l’approccio storico, offrendo così ai lettori un ulteriore spunto di approfondimento.

 

La Slovenia verso la secessione

Nell’aprile 1990 a seguito delle prime elezioni libere svoltesi nella Repubblica Socialista fe­derata Jugoslava di Slovenia (Paese di circa 2.000.000 abitanti distribuiti su una superficie di 20.000 kmq), la coalizione DEMOS, cartello elettorale dei partiti di orientamento democra­tico, otteneva la maggioranza assoluta dei voti, eleggendo così al parlamento di Lubiana 127 rappresentanti su complessivi 240. Dalla con­sultazione elettorale usciva invece sconfitto lo schieramento che avrebbe voluto perpetuare l’esistenza del sistema federale jugoslavo. Nel

programma del nuovo esecutivo l’obiettivo pri­mario era la proclamazione dell’indipendenza da Belgrado facendo così divenire la Slovenia uno stato sovrano, sovranità che sarebbe sta­ta approvata il due luglio successivo mediante una dichiarazione del parlamento. Due mesi dopo il Presidente della Repubblica Milan Ku­can assumeva il diretto comando della Difesa Territoriale (Teritorialna Obramba, TO), una struttura militare che in passato era stata or­ganizzata a livello repubblicano nel più vasto ambito del cosiddetto sistema di difesa popo­lare totale della Federazione Jugoslava. La TO era stata istituita allo scopo di cooperare stret­tamente con l’Armata Federale Jugoslava (Jugoslavenska Narodna Armija, JNA), con la pro­tezione civile (Civilna Zastita) e con le altre or­ganizzazioni difensive organizzate nell’ambito delle municipalità e delle fabbriche. Il 23 dicem­bre 1990 gli Sloveni venivano nuovamente chiamati alle urne per esprimersi nel referen­dum sull’indipendenza e la sovranità del pro­prio Paese. Nella consultazione l’88,2% dei votanti (pari al 93,2% degli aventi diritto) opta­va per il distacco dalla Federazione Jugosla­va. Si trattava di un vero e proprio plebiscito che avrebbe preluso alla proclamazione ufficiale d’indipendenza giunta sei mesi dopo, il 25 giugno del 1991. Il giorno successivo a que­sta storica data sul territorio della neoindependente Slovenia ebbe luogo l’intervento militare della JNA e con esso divampò la breve “Guer­ra dei dieci giorni’, tragico epilogo dei catastro­fici conflitti che negli anni seguenti avrebbero insanguinato buona parte del resto della Jugoslavia. A Belgrado l’operazione militare condot­ta dai federali in Slovenia venne denominata in codice “Bedem 91” (“Trincea 91”).

 

 

La strategia jugoslava di difesa popolare totale

Per comprendere meglio come Lubiana giun­se a disporre di una struttura segreta alternati­va di comando per le proprie forze sarà utile ripercorrere brevemente le fasi dello sviluppo della difesa jugoslava, con un particolare riguar­do però alla piccola repubblica alpina del Tri­corno. La presunta efficacia della strategia di difesa popolare totale era forcata sullo stretto legame intercorrente tra la JNA e i vari popoli costituenti la Federazione Socialista Jugoslava. Si trattava di un impianto strategico già in­teressato da una radicale revisione a seguito dell’invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia nell’agosto 1968. evento che aveva evidenziato in modo evidente le potenziali minacce di penetrazione in Jugosla­via di grandi unità corazzate e aviotrasportate da oriente. Conseguentemente a Belgrado ven­ne definita una strategia difensiva del Paese Incentrata sul coordinamento delle operazioni di guerriglia e resistenza condotte da forma­zioni diverse da quelle della JNA, una guerri­glia che però avrebbe dovuto simultaneamen­te affiancarsi all’intervento delle unità conven­zionali jugoslave sotto la direzione di un unico vertice di comando. Il nuovo orientamento por­tava a una parziale revisione della legge di di­fesa varata soltanto tre anni prima nel 1965, che aveva previsto la mobilitazione di forze decentrate della guerriglia soltanto a seguito di un attacco militare proveniente dall’estero. I riflessi dei fatti di Praga avevano quindi posto in seria discussione l’efficacia delle dottrine di­fensive elaborate a Belgrado, dato che l’inter­vento del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia aveva dimostrato la scarsa efficacia di uno stru­mento eccessivamente sbilanciato in senso convenzionale. In sostanza la JNA non avreb­be minimamente retto all’urto delle soverchianti Armate sovietiche tenuto perfettamente nel conto che era Mosca a quel tempo il potenzia­le nemico  da cui Tito poteva temere un aggressione aggres­sione. Le Forze Armale sovietiche ( e quelle dei suoi alleati del Patto di Varsavia) erano infatti nelle condizioni di lanciare un massiccio attacco impiegando le divisioni motocorazzate schierate in Ungheria, a breve distanza dalla frontiera jugoslava, in coordinazione con le unità aviotrasportate dispiegabili in tempi estremamente rapidi.

Il nuovo concetto di difesa popolare totale del territorio jugoslavo prevedeva un coordinamento delle forze convenzionali tradizionali (la JNA) con forme di resistenza attuate nelle varie re­pubbliche federate, queste ultime concepite sul modello della lotta partigiana sperimentata con relativo successo da Tito nel corso della Se­conda Guerra Mondiale. I combattenti partigiani sarebbero stati inquadrati in unità etnicamente omogenee costituite in ogni singola repubblica e provincia autonoma attraverso la formazio­ne di unità territoriali, denominate inizialmente appunto Partizanske Enote (Unità partigiane). Veniva dunque attuato un decentramento delle funzioni difensive presso le repubbliche federate e lo sviluppo successivo sarebbe stato quello dell’istruzione delle cosiddette Difese territoriali, entità dirette attraverso proprie linee di comando distinte da quelle della JNA, ma allo stesso tempo a essa strettamente legate (e in buona parte dipendenti) nel più vasto ambito della struttura di difesa popolare totale. I nuovi concetti vennero fissati in una concreta cornice giuridica attraverso la nuova legge fe­derale sulla difesa del 27 febbraio 1969, nor­mativa che regolamentava la materia preve­dendo un esteso impiego delle attività di guer­riglia mediante lo strumento della costituenda Difesa territoriale. La differenza sostanziale da quanto precedentemente statuito dalla vecchia normativa emanata nel 1965 risiedeva nel fat­to che le forze resistenti avrebbero operato già da prima dell’inizio delle ostilità, mentre al con­trario nei passato avrebbero ricevuto l’ordine di attivazione soltanto dopo una invasione stra­niera del territorio nazionale. Con la formazio­ne di una possente struttura di guerriglia, ali­mentata dal mito della vittoriosa guerra parti­giana di Tito, Belgrado intendeva scoraggiare possibili attacchi nemici tentando di frustrare in loro le aspettative di un rapido successo con una deterrenza rappresentata all’esterno ai potenziali aggressori della Jugoslavia. La nuo­va struttura difensiva che veniva costituita si articolava sulle sei Repubbliche Federate Ju­goslave e le due province autonome serbe, en­tità territoriali all’interno delle quali le organiz­zazioni di difesa avrebbero dovuto disporre dei propri comandi, delle fonti di finanziamento e dove avrebbero dovuto strutturare l’organizza­zione. Restava però il fatto non indifferente che al vertice delle varie Difese territoriali repubblicane i comandanti venivano nominati a Belgra­do dal Comandante in Capo delle Forze Arma­te Federali (1).

 

In questo modo prendeva dunque corpo una nuova struttura difensiva che negli anni seguen­ti avrebbe attraversato la sua fase embrionale, evidenziando gravi carenze sui piani dell’inqua­dramento e della disciplina del personale im­piegato. Anche per queste ragioni nel 1975 il sistema nel suo complesso venne interessato da un ulteriore radicale processo di riorganiz­zazione, che tra i suoi effetti ebbe anche la ri­modulazione delle forze, trasformate da Partizanske Enote in Teritorijalna Bdbrana, in Slo­venia Teritorialna Obramba Republike Slovenije (TO), cioè in quella Difesa territoriale che sarebbe rimasta in vita fino al 1991. Nel 1982, dopo la morte di Tito, venne promulgata l’ennesima legge federale sulla difesa popolare totale, normativa che affidava alla Lega dei comunisti jugoslavi la responsabilità principale e diretta in materia di organizzazione e condu­zione della resistenza popolare in caso di at­tacco militare straniero al Paese.

 

La Teritorialna Obramba e le altre componenti del sistema difensivo

 

La TO (Teritorijalna Odbrana in serbo-croato o Teritorialna Obramba in sloveno) per importan­za costituiva la seconda componente del si­stema di difesa popolare totale jugoslavo. Essa si articolava in varie unità e specializzazioni attraverso una propria linea di comando e di­verse componenti operative sul terreno sfrut­tando una ottimale integrazione del livello di vertice repubblicano con quelli municipali e delle strutture produttive (ad esempio gli stabi­limenti industriali di maggiore importanza pre­senti sul territorio). Il suo punto di forza era la spiccata capacità di intervento in aree e am­bienti di cui possedeva una perfetta conoscen­za. Nello specifico caso sloveno l’organizza­zione della TO seguiva delle sue proprie linee di sviluppo, in parte differenti da quelle delle organizzazioni similari delle altre repubbliche jugoslave. Tale particolarità affondava le sue radici nella ricerca di autonomia dall’Armata Federale che a un certo punto della sua esi­stenza ha caratterizzato la TO di Lubiana, che portava la TO a configurarsi come un “esercito sloveno” inserito all’interno del più vasto dispo­sitivo jugoslavo. Formalmente la sua linea di comando faceva capo al Presidente della Re­pubblica, ma la direzione concreta dell’orga­nizzazione era nelle mani dello Stato Maggio­re (Republiskji Stab Teritorialne obrambe), che si interfacciava con i comandi regionali dipen­denti (Pokrajinski Stab Teritorialne Obrambe) e con i comandi di zona delle municipalità (Ob-cjinski Stab Teritorialne Obrambe). Questi ulti­mi avevano competenza sull’intera area della municipalità, quindi oltre alla città intesa in sen­so stretto, anche al suo circondario, compren­sivo delle frazioni e delle zone suburbane. Un ulteriore particolarità della TO slovena deriva­va dal fatto che, a differenza dalle altre TO ju­goslave, essa dal 1975 veniva finanziata diret­tamente dal bilancio di Lubiana, dunque attra­verso fonti autonome. Il governo sloveno pagava buona parte della propria Difesa territo­riale e questo faceva la differenza, anche se ufficialmente l’organizzazione restava confor­me al dettato delle leggi federali. In concreto la diversità della TO derivava proprio del suo bi­lancio separato, che permetteva forme di approvvigionamento di sistemi d’arma e materia­li senza passare per la linea di rifornimento centralizzata controllata da Belgrado. Questo scopo veniva perseguito dalla TO sulla base degli apporti finanziari ricevuti da tutti I livelli territoriali della repubblica (centrale, regionali e municipali). Anche le attività addestrative seguivano in parte cicli autonomi differenziati da quelli effettuati in concorso con la JNA: istru­zione e addestramento del personale erano infatti competenza di ufficiali riservisti di nazio­nalità slovena in forza all’Armata Federale e, soprattutto, di ufficiali in organico alla TO. Va ricordato comunque che In Jugoslavia, prima di transitare nelle organizzazione difensive ter­ritoriali delle varie repubbliche, il personale (uf­ficiali, sottufficiali e truppa) era tenuto alla pre­stazione del servizio militare obbligatorio nella JNA. L’Armata Federale si occupava inoltre dell’addestramento dei riservisti in alcune strut­ture militari all’uopo deputate. Le attività adde­strative della TO slovena avevano luogo all’in­terno del territorio della propria repubblica, an­che se poteva capitare che gli ufficiali frequen­tassero corsi (ad esemplo I corsi comando) presso altre strutture militari federali. Tutte le rimanenti attività venivano autogestite dagli Sloveni e a questo scopo ogni pokrajina (re­gione) disponeva di sue strutture. In luoghi di­versi trovavano invece sede i centri di mobili­tazione delle forze, solitamente quattro o cin­que siti specifici per ogni singola brigata sul quali veniva mantenuta la segretezza e che rientravano nella pianificazione di queste uni­tà. In caso di mobilitazione generale seguita a un allarme fungevano da organi di concentra­zione del personale richiamato in servizio, ele­menti successivamente aggregati In base alle previste destinazioni e quindi polverizzati sul territorio sloveno in vista del loro impiego ope­rativo. In caso di conflitto i comandi provinciali e municipali avrebbero dovuto prendere la gui­da delle componenti operative locali (solitamen­te compagnie), mentre la dislocazione e l’Im­piego di unità di diversa conformazione e/o consistenza rispondeva al grado di Importan­za strategica rivestita dalle zone di operazioni o poteva essere prevista per adeguare In ma­niera ottimale la risposta alla specifica minac­cia. La TO era articolata In diverse componenti operative: Teritorialne Jedinice, unità territoriali di tipo convenzionale solitamente delle dimen­sioni di una brigata, composte da un numero variabile di battaglioni e affiancate da gruppi di artiglieria controcarro e antiaerea. Al momen­to dell’esplosione del conflitto del 1991 in Slo­venia risultavano operative circa quindici unità di questo tipo per una forza totale ammontante in via potenziale a oltre 70.000 uomini. Al pari delle brigate dell’Esercito Jugoslavo (Kop-nena Vojska,KV) anche quelle della TO dispo­nevano di un proprio comando e II loro ordine di battaglia “tipico” era II seguente: comando brigata (brigada) su una compagnia comando (ceta) e una compagnia sorveglianza e osser­vazione (nelle brigate della TO non era pre­sente il livello ordinativo reggimentale, puk); tre battaglioni di fanteria (odred); una compagnia controcarri, una antiaerea, una trasmissioni e una supporti logistici. Esistevano Inoltre delle formazioni minori, tra di esse c’erano i plotoni indipendenti (samostojini vhod); ledlverzantske jedinice che erano unità di diversione preposte ad azioni di sabotaggio, ricognizioni offensive e azioni diversive alle quali veniva affidato an­che Il compito della formazione di nuclei per la guerriglia e la controguerriglia nel caso di inva­sione del territorio nazionale; la jedinice radnih organizacija che era l’unità delle organizzazio­ni di lavoro, reparti costituiti a livello di compa­gnia o battaglione nell’ambito delle strutture produttive (stabilimenti industriali e cooperati­ve di produzione) con funzioni di protezione delle infrastrutture. Esse si integravano anche con le unità della TO; le omladlnske jedinice erano formazioni paramilitari giovanili che In­quadravano personale che non aveva ancora

svolto II servizio militare ma che aveva ricevu­to un addestramento basico all’impiego delle armi. Le ultime due componenti del sistema di difesa popolare totale erano la civilna zastita (protezione civile), formata da varie unità con specifiche specializzazioni presenti a livello capillare in tutte le strutture della società e, in­fine, la polizia (Milica), corpo normalmente pre­posto al mantenimento della sicurezza e del­l’ordine pubblico ma che in caso di mobilitazio­ne generale avrebbe concorso alla difesa mili­tare del territorio.

 

Collaborazione con le altre strutture di sicurezza jugoslave

 

In caso di conflitto la TO avrebbe assunto il controllo di tutte le altre componenti del siste­ma di sicurezza organizzato a livello repubbli­cano, operando sul territorio di concerto con la JNA. Al riguardo era previsto che in operazioni il comando delle forze venisse assunto dall’uf­ficiale di grado più elevato presente nello specifico settore del fronte: ad esempio, in un settore dove fossero stati presenti un battaglio­ne della KV e una brigata della TO il comando sarebbe spettato al generale sloveno e non al colonnello jugoslavo, qualunque fosse stata

l’arma o la specialità dell’unità militare federa­le. Della JNA faceva poi parte la Guardia di Frontiera, o Granicka Straza (GS) in serbo­croato e Obmejne Enote in sloveno, articola­zione dell’Esercito Federale avente specifici compiti di controllo della linea di frontiera e dei valichi di confine. Nel caso il Paese fosse stato interessato da un conflitto era però prevista la sua trasformazione in vero e proprio corpo com­battente e a questo scopo le varie compagnie di granièarij venivano formate come reparti di arma base o specialità (fanteria, unità di arre­sto alla frontiera, controcarri, antiaerea, ecce­tera). In caso di guerra esse avrebbero dovuto abbandonare le loro originarie competenze di­venendo parte dello schieramento difensivo jugoslavo. Nell’estate del 1991 le unità della GS presenti nelle zone della Severnoprimorska pokrajina che vennero coinvolte nei com­battimenti furono il 63s e il 62a Battaglione, il primo di stanza nell’area di Nova Gorica e il secondo in quella di Tolmino. Nelle piccole ca­serme e nelle ridotte situate a ridosso del con­fine operavano plotoni o compagnie rinforzate e normalmente un battaglione “tipo” della GS comprendeva circa dieci plotoni. La sede e il comando del 63a Battaglione (unità competen­te per territorio sull’obèina di Nova Gorica) era­no insediati nella caserma situata nel villaggio di Ajsevica. L’unità in questione controllava l’area che si estendeva dal Carso goriziano fino alla città di Nova Gorica, compresa la Valle di Vipacco (2). Già negli ultimi anni di vita del Ma­resciallo Tito le forze di polizia (Milica in slove­no o Milicija in serbo-croato), organizzate e in­quadrate dalle singole repubbliche, paralle­lamente alle loro tradizionali attività di istituto avevano anche ricevuto crescenti competen­ze nel settore del contrasto della guerriglia. La costituzione di reparti di pronto intervento, i cui organici venivano alimentati anche mediante il richiamo del personale precedentemente po­sto in riserva, rispondeva alle esigenze emer­se con il divampare delle crisi generate dalla contrapposizione di gruppi etnici e di potere in alcune regioni della Federativa, in particolare a partire dal 1989 soprattutto in Kosovo. Le unità di polizia con queste funzioni dispo­nevano di veicoli blindati di vario tipo (TAM BOV-M, BTR-50, BTR-60, BRDM-2 nonché VTT cingolati M-60) e di specifici mezzi anti­sommossa, inoltre la polizia aveva le sue linee di volo basate su elicotteri ALOUETTE, GA-ZELA e Agusta Bell 205 e 206. In Slovenia i reparti antisommossa della locale Milica, pur avendo dimensioni minori rispetto a quelli del­la TO, ricalcavano comunque la struttura di comando e l’articolazione delle forze sul terri­torio, sia a livello provinciale che municipale, di quest’ultima. La direzione della Milica (che era un corpo di polizia civile e non militare) fa­ceva capo al Ministero dell’Interno di Lubiana e in caso di guerra doveva concorrere alla di­fesa della Jugoslavia, ma in tempo di pace i miliènikij svolgevano le loro ordinarie attività di istituto. Oltre al normale autoparco di mezzi di servizio, i reparti antisommossa della Milica slo­vena disponevano anche di mezzi blindati TAM BOV-M recanti la classica livrea celeste, mez­zi dislocati nella capitale Lubiana. Per l’esple­tamento delle attività ordinarie la Milica utiliz­zava i normali automezzi di servizio (autovet­ture di vario tipo, fuoristrada, autocarri, ecce­tera). Come accennato in precedenza, nella capitale federale Belgrado esisteva una spe­ciale unità di polizia federale preposta alle ope­razioni speciali e alle attività antisommossa e di mantenimento dell’ordine pubblico. Questa unità della Milicija era dotata di nume­rosi mezzi blindati ruotati e cingolati, identifi­cabili dagli omologhi mezzi in servizio nelle milizie delle varie repubbliche per il loro parti­colare identificativo presente sulle fiancate: la scritta di colore bianco in lingua serbo-croata (in caratteri latini) “Milicija” sovrastata dallo stemma della Federazione Socialista Jugoslava. Alcuni reparti eliportati dell’unità speciale di polizia federale vennero impiegati In territo­rio sloveno nel corso del conflitto del 1991.

 

Gli eventi precipitano: Lubiana implementa la Manevrska Struktura Narodne Zascite

 

Già dal 1976 nell’Obcinski Stab Terltorlalne Obrambe di Nova Gorica non risultavano più presenti ufficiali dell’Armata Federale Jugosla­va. La completa uscita della TO slovena dalla struttura di comando della JNA sarebbe stata poi decretata nel 1988 per ordine del governo di Lubiana e da questo momento gli Sloveni con la JNA mantennero Inalterati soltanto I rap­porti nel settore dell’addestramento. Si tratta­va del primo concreto passo verso la creazio­ne di una organizzazione militare esclusiva­mente nazionale. Con l’acutizzarsi della crisi tra Lubiana e il governo federale jugoslavo si registrarono I primi gravi riflessi sul piano mili­tare. Belgrado decise di disarmare la TO slo­vena servendosi di un pretesto: mediante la scusa della riorganizzazione del sistema di Immagazzinamento e distribuzione delle armi in dotazione alla difesa territoriale, la JNA ten­tò il trasferimento nei propri depositi della mag­gior parte dei materiali in carico alle forze di Lubiana che in quel momento si trovavano fuori dal diretto controllo di queste ultime. Infatti nu­merosi depositi di armi slovene si trovavano all’Interno delle caserme jugoslave e la conse­guenza fu che il 17 maggio 1990 la TO si trovò privata di quasi l’80% del suo armamento. L’obiettivo perseguito da Belgrado era di sot­trarre strumenti per combattere una futura guer­ra a un’organizzazione militare che ormai di­pendeva in tutto e per tutto da un governo se­cessionista. Naturalmente Lubiana chiese la restituzione delle sue armi e le dimissioni del comandante In carica della TO, ma, come era prevedibile, Belgrado oppose un netto rifiuto. Questo avvenimento di fondamentale Impor­tanza segnava l’inizio della fase di implemen­tazione della Manevrska Struktura Narodne Zascite slovena (MSNZ), quella struttura di manovra per la difesa nazionale In realtà già preesistente ma funzionante in assoluto segre­to. SI trattava di un’organizzazione concepita per lo svolgimento di attività di pianificazione e comando parallele a quelle svolte ufficialmen­te dalla TO, che risultava formalmente ancora agganciata alla JNA. Sarà proprio la MSNZ a consentire alla stessa TO di sopravvivere au­tonomamente come Forza Armata della Slo­venia. Nel settembre 1990 Lubiana su manda­to dell’Assemblea Parlamentare Slovena as­sunse Il pieno controllo della TO. demandando al proprio Ministero della Difesa tutti i compiti di pianificazione militare e nominando un nuo­vo comandante delle forze. Il passo successi­vo fu il blocco dell’invio di coscritti sloveni de­stinati alle unità dell’Armata Federale Jugosla­va stanziate al ci fuori del territorio della Slove­nia e della Croazia. Contestualmente venne decisa l’Importazione dall’estero di armi ed equi­paggiamenti per le truppe, acquisti che sareb­bero stati effettuati dopo II maggio 1990, con l’ingresso clandestino dei materiali attraverso le frontiere terrestri e quelle marittime della re­pubblica. Erano ridotti quantitativi di armi mo­derne volutamente esibite alla stampa allo sco­po di produrre nelle opinioni pubbliche interne e internazionali un impatto psicologico duran­te l’importante campagna propagandistica che avrebbe caratterizzato l’azione di Lubiana nel­l’intero corso del conflitto. Della struttura oc­culta della MSNZ facevano parte esclusivamen­te ufficiali di nazionalità slovena, spesso per­sonale in servizio alla TO che lavorava quoti­dianamente al fianco degli ufficiali della JNA all’Interno di strutture di comando comuni. Ele­menti che svolgevano regolarmente il loro ser­vizio continuando a mantenere i contatti con tutti i vari livelli militari e amministrativi, federali e repubblicani, ma che però operavano in se­greto anche all’Interno della MSNZ e quindi su due livelli, uno ufficiale e uno clandestino. Nel­lo specifico caso dell’Obclnski Stab Teritorlalne Obrambe di Nova Gorica, alla MSNZ erano stati assegnati otto elementi, ma di essi ne operarono in maniera continuativa soltanto due e questo in ragione del fatto che non risultava necessario il loro pieno coinvolgimento nella struttura occulta locale. Essi sarebbero stati Investiti di funzioni in esclusivo caso di neces­sità. Nell’ottobre 1990, data in cui terminarono le attività di pianificazione, la MSNZ inquadra­va complessivamente oltre 15.000 uomini. Al­l’inizio del 1991, quindi dopo il plebiscito sul­l’indipendenza del 23 dicembre 1990, la TO di fatto era divenuta la base del nuovo Esercito Nazionale Sloveno. Al rifiuto di Lubiana di di­sarmare il suo dispositivo militare Belgrado pose In stato di allerta le unità federali stanzia­te in territorio sloveno. Nel marzo seguente Lubiana bloccava completamente ogni invio di coscritti sloveni all’Armata Federale, facendo prestare loro un servizio obbligatorio della du­rata di sette mesi nelle unità della TO. Lo stes­so mese, nel corso dell’esercitazione militare “Premlk ’91” (attività che vide impegnato oltre Il 90% del personale In forza alla TO), attraver­so una serie di simulazioni, emersero con evidenza i potenziali effetti negativi del totale do­minio dello spazio aereo dell’Aeronautica Fe­derale e, Inoltre, i limiti operativi delle unità mi­nori della TO, adatte alla difesa a livello locale ma non a manovre ad ampio raggio. In prossi­mità della data stabilita per la dichiarazione ufficiale della propria indipendenza dalla Fe­derazione Jugoslava il governo di Lubiana ri­chiamò sul territorio della repubblica tutti i mili­tari di nazionalità slovena che in quel momen­to prestavano servizio nella JNA.

 

La mobilitazione generale in Slovenia

 

Lo Stato Maggiore della Difesa territoriale di Lubiana (Republlski Stab za Teritorialno Obrambo, RSTO) ordinò la mobilitazione ge­nerale il giorno 24 giugno 1991 attivando in primo luogo tutti i centri di comando, richiaman­do allo scopo in servizio 2.251 riservisti. Poi, alle ore venti dello stesso giorno, per proteg­gere il territorio sloveno dall’imminente aggres­sione militare della JNA, seguì anche quella delle unità operative, In questo secondo caso vennero richiamati in servizio 9.689 riservisti e di questi se ne presentarono 7.013, pari al 72% della forza. Verso i centri di formazione era in­vece previsto un afflusso di 729 uomini, di que­sti se ne presentarono 644, pari all’81% della forza assegnata. Il complesso delle attività ine­renti alla mobilitazione generale della TO do­vettero essere occultate all’Armata Federale, ma tale mantenimento della segretezza si ri­velò un fattore critico comportando una serie di problemi agli Sloveni. Il 26 giugno 1991 i comandi regionali della TO (PSTO) presenta­vano i seguenti organici: 2. PSTO Novo Mesto – in organico 2.760 elementi, effettivi 2.384 (86% della forza); 3. PSTO Kranj – In organico 946 elementi, effettivi 748 (79% della forza); 4. PSTO Postojna – In organico 1.328 elementi, effettivi 1.123 (85% della forza); 5. PSTO Ljubljana – in organico 4.306 ele­menti, effettivi 3.121 (72% della forza); 6. PSTO Nova Gorlca – in organico 466 elementi, effettivi 379 (81% della for­za); 7. PSTO Mari­bor – in organico 5.956 elementi, ef­fettivi 4.283 (72% della forza); 8. PSTO Celje -In organico 4.146 elementi, effettivi 3.462 (84% della forza); 30e Gruppo di Formazione – in or­ganico 207 elementi, effettivi 207 (100% della forza). Il totale completamento degli organici sarebbe stato raggiunto soltanto durante i pri­mi giorni di guerra, nel momento In cui furono Inquadrati nella TO 35.000 uomini. Immedia­tamente prima dell’attacco della JNA la TO schierava sul terreno: 85 gruppi di arresto, 95 gruppi controcarro, 59 sezioni di fanteria d’as­salto, 150 compagnie e 60 battaglioni; l’arma­mento In dotazione comprendeva 39.000 armi leggere con annesso munizionamento (17.000.000 di cartucce di vario calibro), 1.100 sistemi controcarro (inclusi 2.750 razzi a cari­ca cava), 200 armi di appoggio di vario tipo e 100 sistemi missilistici antiaerei spalleggiablli (MANPADS). Lubiana poteva Inoltre contare anche su una ridotta componente di forze spe­ciali, la 1. Specialna Brigada MORiS (Mlnistr-stvo za Obrambo Republlke Slovenije), I cui elementi erano riconoscibili dalle nuove unifor­mi mimetiche e dal basco di colore verde. Al­l’inizio del conflitto gli Sloveni non disponeva­no né di mezzi corazzati né di velivoli di alcun genere, soltanto In seguito, attraverso la cattura di prede belliche, avrebbero formato due compagnie carri, la Tankovska ceta 6. PSTO e la Tankovska ceta 7. PSTO (3). Immediatamente prima dell’inizio dei combat­timenti il RSTO venne ridetocato in una locali­tà segreta diversa dala capitale, consentendo così alla MSNZ di estromettere definitivamen­te dalla conduzione delle operazioni quegli ele­menti di vertice ritenuti non completamente affidabili in quanto sospettati di essere in parte ancora legati a Belgrado. All’inizio delle ostilità la TO non concentrò le proprie forze in un’area specifica della Repubblica, al contrario diffuse la sua presenza in modo capillare su tutto il territorio sloveno, non rendenco necessari tra­sferimenti di forze in supporto a unità impe­gnate su fronti diversi. Gli unici movimenti di truppe (che avvennero a livello di compagnia) si verificarono all’interno delle singole provin­ce zone di impiego ere avrebbero rafforzato la motivazione del personaje in quanto investito del compito di difendere il proprio luogo di ori­gine o di residenza. Gli automezzi a disposi­zione della TO, tutti posti al di fuori del control­lo della JNA. erano veicoli civili di vario tipo e modello di proprietà di soggetti privati, obbli­gati a porli a disposizione della struttura difen­siva nazionale in caso di mobilitazione gene­rale. Per l’effettuazione di trasporti clandestini la MSNZ preferiva però rivolgersi a piccoli pa­droncini, in quanto era noto che all’interno del­le cooperative socialiste di lavoro, aziende che disponevano di un numero ragguardevole di furgoni e autocarri, erano presenti e attivi gli informatori del SDB e del KOS (Kontraobavjestajna Sluzba, servizio di controspionaggio militare della JNA). Allo scopo di risarcire i pro­prietari degli autoveicoli requisiti da eventuali danni derivati loro nel corso delle operazioni era stato previsto un rimborso, inoltre gli stessi proprietari percepivano un indennizzo per l’uso del mezzo da parte della TO.

 

Armata federale jugoslava: forze di terra presenti in Slovenia

 

Il controllo militare del territorio della Repubbli­ca socialista federata di Slovenia era compe­tenza della 55 Regione militare dell’Esercito Jugoslavo (52 Vojaskega Obmocija), con co­mando a Zagabria (Croazia), che articolava le sue forze attraverso i seguenti korpus (unità paragonabili grossomeoo a un Corpo d’Arma­ta): 10a Korpus con comando a Zagabria (Cro­azia); 135 Korpus con cornando a Rijeka (Cro­azia); 142 Korpus cor co-a-oo a Lubiana; 312 Korpus con cornanoo a Maribor: 3? Korpus con comando a Varazdin (Croazia). Sotto il di­retto controlo deHa 5* Regione militare in Slo­venia ricadevano le seguenti unità: una briga­ta di artiglieria mista al 60-75% dell’organico previsto stanziata a Slovenska Bistrica; un reg­gimento al 10-30% dell’organico a Èrnomelj: una squadriglia elicotteri da ricognizione e col­legamento con base nell’aeroporto di Ljublja-na/Brnik: ura ccroagnia per la sorveglianza

elettronica a Lubiana; una base logistica al 10­30% dell’organico a Lubiana; un battaglione del genio pontieri al 10-30% dell’organico a Novo Mesto. Dal 142 Korpus con comando a Lubiana dipendevano: un battaglione di colle­gamento stanziato a Lubiana; un battaglione della Vojska Policija (polizia militare) a Lubia­na; la 253a Brigata motorizzata al 60-75% del­l’organico, con comando a Postojna e due bat­taglioni dislocati ad Ajdovscina e Pivka; la 1a Brigata corazzata al 60-75% dell’organico a Vrhnika; una brigata motorizzata al 10-0% del­l’organico a Lubiana, la 345a Brigata di fanteria da montagna al 30-60% dell’organico con comando a Kranj e due battaglioni dislocati a Tolmino e Bohinjsko Belo (Krajna, Croazia); un reggimento di artiglieria misto al 30-60% del­l’organico a Rtonica: un reggimento controcar­ri al 10-30% dell’organico a Postojna; un reg­gimento della diesa antiaerea leggero al 30­60% dell’organico a Lubiana: Diverzantski odred a Lubiana; un plotone per la sorveglianza elettronica a Lubiana; una batteria contro­carri d’assalto al 10-30 % dell’organico a Jesenice; operavano inoltre le seguenti unità della Granicka Straza: 62Q Battaglione stanziato a Tolmino, 63a Battaglione a Nova Gorica, 64e Battaglione a Sezana e 61 – Battaglione a Ra-dovljica, con i loro numerosi distaccamenti di­slocati lungo tutta la linea di frontiera. Dal 31 -Korpus con comando a Maribor dipendevano: un battaglione di collegamento, un battaglione della Vojska Policija e le Diverzantski Odred stanziati a Maribor; una brigata motorizzata al 60-75% dell’organico a Maribor; una brigata motorizzata al 10-30 % dell’organico a Celje; una brigata motorizzata al 10-30 % dell’orga­nico a Novo Mesto; un reggimento di artiglieria misto al 10-30 % dell’organico a Maribor; un reggimento controcarri al 10-30 % dell’organi­co a Ptuj; un reggimento di difesa contraerea leggera a Ptuj; un battaglione del genio al 10­30 % dell’organico a Celje; una batteria con­trocarri d’assalto al 10-30 % dell’organico nelle due caserme di Celje e Slovenska Blstrlca; operavano inoltre I distaccamenti della Granicka Straza di Dravograd, Marlbor e llirska Bistrica (Croazia) ; dal 31 – Korpus dipendeva inol­tre una brigata motorizzata al 60-75% dell’or­ganico stanziata in Croazia nella sua sede di llirska Bistrica. In quel periodo la presenza glo­bale di militari dell’Armata Federale in Slove­nia era quantificata In 15-20.000 uomini, men­tre la composizione etnica delle unità risultava varia ma con una minima percentuale di co­scritti sloveni. Nel corso delle operazioni effet­tuate durante la guerra trovarono Impiego tut­te le unità dipendenti dalla 5a Regione militare. Nella Slovenia occidentale era schierato il 14e Korpus di Lubiana, la cui punta di lancia era costituita dalla \ – Brigata corazzata di Vrhnika, unità articolata su due battaglioni corazzati (su carri M-84 e veicoli da combattimento per la fanteria BVP M-80A), un battaglione carri mon­tato su T-55 e un battaglione meccanizzato do­tato di veicoli da combattimento per la fanteria M-80A. I mezzi di questa brigata erano dislocati principalmente nei pressi di Brnik e a Vrh­nika. La seconda unità per Importanza del 145 Korpus era la 228. Proletarska Motorlzirana Bri­gada (Brigata motorizzata) di Postojna, artico­lata sul battaglione motorizzato di Ajdovscina e sul complesso controcarri divisionale di Vipava, che in operazioni era destinato a incor­porare anche il battaglione carri stanziato a Pivka. Questa era l’unità della KV operante nella Phmorska, la regione confinante diretta­mente con II Friuli Venezia Giulia. Durante il loro Intervento le forze jugoslave già presenti In Slovenia ricevettero il sostegno di altre unità stanziate nella vicina Croazia, tra queste va ri­cordata la 269a Planinska Brigada (fanteria da montagna) stanziata In Krajna, che ricevette l’ordine di trasferimento per il suo battaglione di Bohisko Belo ai valichi di confine settentrio­nali (Karavanke, Ljubelj e Jezersko). Compiti di minore rilievo vennero assolti dal 2895 Bat­taglione di polizia militare e dal 142 Diverzan-tskl Ored, entrambi operativi nell’area di Lu­biana. Nella Stajerska era schierato il 31s Korpus, del quale faceva parte II battaglione co­razzato appartenente alla 195a Proletarska Mo-torizirana Brigada, unità scontratasi con la TO nel pressi del valico di confine con l’Austria di Sentilj. Il 13s Korpus di Rljeka schierato in ter­ritorio sloveno aveva un unico battaglione (co­razzato), unità inclusa nella 13a Proletarska Mo­torlzirana Brigada di llirska Bistrica. Infine il 10s Korpus di Zagabria inviò in Slovenia un batta­glione carri della 4a Brigata corazzata di Ja-strebarsko. La componente d’urto espressa dalla Kopnena Vojska nel settore orientale del­la Stajerska venne rinforzata mediante l’Invio In zona di operazioni di un battaglione coraz­zato della 328 Brigata corazzata di Varazdin, mentre la 63a Brigata paracadutisti di Nis (Ser­bia) fornì una compagnia d’assalto che venne aviotrasportata In Slovenia per difendere le basi aeree di Cerklje e Krka.

 

Armata Federale Jugoslava: forze aeree presenti in Slovenia

 

Dalla 5a Regione militare dipendeva la squa­driglia elicotteri per la ricognizione e i collega­menti di Ljublljana/Brnik, unità trasferita poi nelle basi aeree di Cerklje, Krka e Ples, in se­guito agli sviluppi degli eventi bellici in ragione della loro migliore difendibilità nel confronti degli attacchi della TO rispetto all’aeroporto della capitale. La protezione aerea era di compe­tenza del 52 Korpus RV i PVO (Ratno Vazduho-plostvo i Protiv Vazdusna Obrana), aviazione e difesa aerea federale, con comando a Zaga­bria e alle dipendenze della brigata aerea schie­rata In territorio sloveno. Il 5S Korpus RV I PVO controllava la regione aerea settentrionale pre­sidiandone lo spazio aereo, i principali centri urbani e i poli industriali. In Jugoslavia era atti­va una rete radar impiegante apparati in grado di operare entro un raggio di 300-500 chilome­tri; dai siti sloveni e croati si riusciva dunque a rilevare il movimento di aeromobili nei cieli del­le vicine Austria e Italia. Tale rete era costituita da una quindicina di apparti di produzione so­vietica, sistemi acquistati da Belgrado nel 1964 dopo il parziale rlawicinamento di Tito a Mo­sca. Insieme ai radar la RV i PVO ricevette anche dei sistemi missilistici contraerei super­ficie-aria, tra i quali figuravano anche gli S-75M VOLCHOV (NATO SA-2 GUIDELINE) nonché una trentina di velivoli da combattimento. In Slovenia operava un Battaglione di controllo e difesa aerea con comando e centrale operati­va a Vrhnika, mentre le sue stazioni radar col­legate insistevano sul siti di Ljubljanski Vhr nad Vrhnika, Koprivnik (Carso) e Gornja Radgona (4). Sempre a Vhmika era schierato un battaglione missilistico antiaereo che aveva del distaccamenti a Lubiana e a Logatec. infine una divi­sione missilistica antiaerea aveva il comando nella località di Kerestinec na Krku e suoi di­staccamenti a Cerklje e Krka. In territorio slo­veno la base aerea di maggiore importanza, sia per dimensioni che per tipologia di velivoli schierati, era quella di Cerklje (Dolenjska), ma naturalmente esistevano numerose altre basi di rischiaramento e una fondamentale impor­tanza assumevano gli aeroporti di Ljubljana/ Brnik e Maribor. Nel corso del conflitto in Slo­venia ricevettero l’ordine di tenersi pronte ad intervenire le seguenti unità: 82- Brigata aerea di Cerklje e Krka. 185= Reggimento cacciabom­bardieri di Pola. 105£ Reggimento cacciabom­bardieri di Zara. 1175 Reggimento caccia di Bihaae e Reggimento trasporti di Ples. Dalla base di Zagabria operarono i reparti da traspor­to con aerei ed elicotteri. Alla guerra presero inoltre parte altre formazioni militari che forni­rono protezione a strutture e magazzini.

 

L’azione del controspionaggio jugoslavo

 

Al pari del SDB. dalla seconda metà degli anni Sessanta, ai primi segnali di una ricerca di au­tonomia e indipendenza manifestati dalla diri­genza politica di Lubiana, anche il KOS aveva intensificato la sua azione di controllo in Slo­venia e nei primi anni Ottanta, con l’esplosione delle proteste giovanili e studentesche dirette contro lo sganciamento dell’Armata Federale dal controllo della società civile, accentuò il la­voro di capillare raccolta di informazioni. In quegli anni cruciali per la Jugoslavia le atten­zioni del servizio vennero concentrate (forse in modo eccesivo) sul dissenso politico interno ed esterno alle Forze Armate, trascurando in parte il contestuale processo di organizzazio­ne in atto di una forza combattente autonoma da parte slovena. Il KOS raggiunse quindi di­screte capacità nell’infiltrazione delle strutture militari clandestine di Lubiana e. paradossal­mente, a volte era la stessa MSNZ a penetrare entrambi i servizi di informazione federali. No­nostante la precedente epurazione degli uffi­ciali di nazionalità slovena dai livelli apicali dei servizi segreti (sostituiti soprattutto con perso­nale di etnia croata e serba), alcuni elementi della TO che lavoravano segretamente nei co­mandi regionali e municipali della MSNZ nel corso dell’espletamento delle loro normali atti­vità di ufficio venivano a contatto con il KOS e l’SDB. Essi ufficialmente continuarono a resta­re in collegamento con la Sicurezza jugoslava facendo però il doppio gioco in favore della MSNZ, che in questo modo riusciva a carpire importanti informazioni utili, probabilmente giungendo nel 1991 a conoscere buona parte della rete dei servizi di Belgrado attiva in Slo­venia. Da parte slovena si tende a sottolineare un eccesso di autostima e di presunzione di capacità del controspionaggio militare jugosla­vo, atteggiamento che avrebbe indotto a com­mettere gravi errori. Alla metà degli anni Set­tanta, in un periodo di coesione politica a livello federale, nell’ambito della pianificazione e della verifica dello stru­mento difensivo jugo­slavo compiute me­diante esercitazioni mi­litari congiunte, le dife­se territoriali delle va­rie Repubbliche erano in grado di disporre di informazioni classifica­te (ad esempio quelle relative ai potenziali nemici frontalieri come Ungheria. Austria. Italia) attingendo dai servizi segreti federali, ma anche allora nei comandi della TO si riteneva che tali informazioni non fossero completamente attendibili. Inoltre, an­che in tempi non sospetti, le relazioni tra TO e KOS erano contraddistinte aa attriti e reticen­ze, mentre il servizio federale appariva come una sorta di ‘stato nello stato . Il controspio­naggio militare jugoslavo opponeva spesso re­sistenze alla richiesta di diffusione di informazioni su organici, armamento e specifiche ca­pacità delle unità della KV che avrebbero do­vuto operare al fianco della TO slovena. In ogni caso Lubiana avrebbe ritenuto che il KOS non fosse stato a completa conoscenza delle di­mensioni e della struttura della sua TO, anche per la ragione che la Slovenia aveva posto in riserva il 90% del personale in forza, cosa che rendeva maggiormente difficoltosa la raccolta di informazioni da parte federale. Un’altra grande difficoltà incontrata dal KOS durante il con­flitto del 1991 fu il monitoraggio delle comuni­cazioni del nemico, perché nel corso delle ope­razioni gli Sloveni stabilirono e mantennero i propri collegamenti servendosi di telefoni della rete pubblica (apparecchi via cavo, dato che nel 1991 non erano ancora diffusi i telefoni cel­lulari). Una particolarità di questo conflitto è stata Infatti quella dello svolgimento di quasi tutti i combattimenti in luoghi situati in prossi­mità di telefoni fissi in grado di porre in contat­to tra loro i comandi della TO con le unità schie­rate sul terreno. Quindi mai in luoghi eccessi­vamente isolati e comunque sempre in ambienti perfettamente conosciuti dalle unità impiegate in azione. Per il KOS sarebbe risultato pratica­mente impossibile porre simultaneamente sot­to controllo tutte le utenze telefoniche della Repubblica Slovena, inoltre il controspionag­gio militare jugoslavo non era a conoscenza delle precise dislocazioni del nemico, mentre la TO di volta in volta poteva disporre sia di apparecchi telefonici in abitazioni private, sia di quelli pubblici installati nelle cabine, all’inter­no delle stazioni di servizio, nei caffè e in altri luoghi. Ovviamente le comunicazioni degli Slo­veni avvenivano mediante l’utilizzo di codici segreti.

 

“Bedem ’91”

 

Al momento della dichiarazione unilaterale di indipendenza di Lubiana del 26 giugno la TO era schierata a difesa del principali punti stra­tegici della Slovenia. Particolare attenzione fu riversata sui ventisette valichi di confine con l’estero, luoghi dove era previsto l’arrivo delle unità Inviate da Belgrado per presidiare le fron­tiere con Austria, Italia e Ungheria. Il blocco da parte della TO delle caserme federali e la contestuale interruzione dei principali assi di co­municazione In Slovenia, compresi quelli fon­damentali che collegavano la capitale al suo aeroporto Internazionale, furono causa di gra­vi ostacoli che ridussero (e in alcuni casi impe­dirono completamente) la mobilità delle unità jugoslave. All’evidente inefficienza del sistema di alimentazione logistico della JNA (prodotto di storiche carenze che si manifestavano an­che attraverso la scarsa aderenza con le unità operative impegnate sul terreno che di conse­guenza non ricevevano adeguati rifornimenti), si aggiunsero gli effetti del potere contraereo di Lubiana. Infatti l’abbattimento di alcuni eli­cotteri dell’Armata Federale mediante l’Impie­go di MANPADS ridusse ancora di più le resi­due capacità delle forze di Belgrado di soppe­rire alle carenze nella logistica attraverso l’im­piego della propria aeronautica. Così la TO riu-

scì a interrompere la linea di alimentazione ne­mica, bloccando con le barricate e le imbosca­te lungo le strade l’afflusso di rincalzi alla KV messisi in marcia dalle loro caserme in Croa­zia. Contestualmente, l’assedio posto alle ca­serme della JNA sottrasse a essa ulteriori for­ze altrimenti disponibili per un impiego sul cam­po. Questo complesso di fattori produsse II conseguente risultato di far perdere il controllo di numerosi valichi di confine alle unità federali che erano state precedentemente inviate a pre­sidiarli, unità polverizzate su tutto II territorio sloveno ben presto trovatesi isolate. L’Armata Federale Jugoslava manifestò una modesta ef­ficienza e risultò impreparata a una guerra di occupazione; pur possedendo le capacità di piegare la resistenza nemica, essa però evitò di impegnarsi a fondo nel teatro operativo slo­veno. Una Ipotesi che giustifichi tale scelta po­trebbe ricondursi ai reali orientamenti (non di­chiarati) dei vertici politici e militari di Belgra­do, che erano con ogni probabilità già Indiriz­zati verso le previste (e maggiormente impe­gnative) future crisi di Croazia e Bosnia Erze­govina. Sulla base di questa Ipotesi la Slove­nia veniva ormai considerata come irrimedia­bilmente perduta, dunque sarebbe stato inuti­le accanirsi In quel conflitto con attacchi Indi­scriminati che avrebbero provocato pesanti effetti collaterali ed eccessivi danni alle infra­strutture della piccola repubblica. E questa potrebbe essere stata la ragione alla base dell’impiego selettivo della forza da parte della JNA. A Belgrado, avuta consapevolezza dei limiti dell’impiego dello strumento bellico nella risoluzione della crisi, si sarebbe compre­sa la necessità di un compromesso con la se­cessionista Lubiana, questo al fine di spostare più a sud in tutta tranquillità uomini e mezzi bloccati in territorio sloveno, in vista dell’atteso scontro con la Croazia di Franjo Tudman.

 

Severnoprimorska pokrajina TO

 

Il 26 giugno 1991 lo Stato Maggiore jugoslavo diramava alle unità che erano impegnate nel­l’esercitazione “Bedem ’91” l’ordine di inizio delle operazioni. In conseguenza di tale ordine anche la Brigata motocorazzata di Pivka mos­se dalle sue basi stanziali allo scopo di con­giungersi entro sera alla 253a Proletarska Motorizlrana Brlgada di Ajdovsclna e Vipava, con l’obiettivo previsto per II giorno seguente di rag­giungere e presidiare i valichi di confine con l’Italia di Nova Gorica. I plani prevedevano l’as­sunzione del controllo delle aree di Rozna Do­lina (posto di confine sul versante jugoslavo opposto a quello della Casa Rossa di Gorizia) e di Vrtojba (versante jugoslavo opposto a quel­lo di Sant’Andrea/Standrez, sempre nel capo­luogo Isontino). Una volta giunti a Nova Gorica le unità della KV insediarono il loro comando nella località di Ajscevica. Il 26 giugno Lubiana non aveva ancora diramato alla TO l’ordine di inizio delle ostilità, disposizione che i reparti sloveni avrebbero ricevuto soltanto alle ore dieci del giorno successivo e questo consentiva dunque alle formazioni motocorazzate della JNA di superare senza problemi le postazioni della TO. in quel momento non ancora rese palesi, raggiungendo così i confini. Prima che la MSNZ ordinasse l’ingaggio delle unità fede­rali, la TO si limitò a effettuare una sorveglian­za discreta delle rotabili interessate dagli spo­stamenti delle colonne nemiche. L’Armata Fe­derale conseguiva temporaneamente i suoi obiettivi, in ragione dell’assenza di contrasti armati da parte slovena in quella prima fase del conflitto. Soltanto la popolazione civile op­pose una simbolica resistenza inscenando al­cune proteste al passaggio delle colonne della JNA in movimento, contro le quali vennero lan­ciate delle pietre. Nel frattempo a livello regio­nale si costituiva la struttura integrata di coor­dinamento delle forze comprendente TO, Milica e altre organizzazioni paramilitari e civili della Severnoprimorska. Nell’ambito di essa sa­rebbe stata elaborata nel dettaglio la pianifica­zione operativa. Il 28 giugno questa struttura di comando diramava l’ordine del passaggio all’azione e allo scopo venivano segretamente convocati i vertici locali della TO. In un primo momento venne caldeggiata l’idea di attacca­re una piccola caserma della JNA situata nel Trnovski Gozd (Selva di Tmovo). installazione ospitante un centro d’ascolto elettronico del KOS dove prestavano servizio una decina rj elementi del controspionaggio militare. Data la natura della base e l’entità del personale pre­sente al suo interno, si sarebbe trattato di un obiettivo di facile acquisizione ma scarsamen­te pagante nei termini dell’impatto psicologico e mediatico successivamente riflessosi sull’opi­nione pubblica jugoslava e i vertici militari di Belgrado.

Per questa ragione e anche per assecondare i desiderata politici di Lubiana che chiedevano un’azione di forte impatto simbolico, nella strut­tura integrata di coordinamento di Nova Gori-ca venne abbandonata l’ipotesi iniziale (ritenuta di scarso peso) e si concentrarono le attenzio­ni su obiettivi maggiormente paganti come i concentramenti di forze federali ai confini. La strategia era evidente: per loro stessa natura i valichi di confine si trovavano a immediato ri­dosso di Paesi esteri e inoltre costituivano il punto di passaggio obbligato per chi attraver­sava la frontiera (turisti in fuga, lavoratori tran­sfrontalieri, soggetti che si erano recati in Ju­goslavia per fare acquisti di benzina o sigaret­te, eccetera), ma soprattutto, data la presenza di militari e mezzi corazzati federali, avevano attratto la stampa internazionale. Per Lubiana rappresentavano quindi una potenziale formi­dabile cassa di risonanza utile ad amplificare il proprio grido di libertà di fronte alla dura re­pressione di Belgrado, mostrando al contem­po la violazione di fondamentali libertà da par­te dell’esecutivo federale jugoslavo. Un’azio­ne militare condotta a Rozna Dolina avrebbe assunto una enorme importanza, infatti l’acces­so all’Italia dalla Casa Rossa di Gorizia era noto a tutti i cittadini jugoslavi perché era sempre

stato una delle principali porte di ingresso al Paese occidentale confinante per tutti quelli che si recavano a fare acquisti negli esercizi com­merciali del Friuli. In seno alla struttura inte­grata di coordinamento di Nova Gorica venne­ro sollevati dei dubbi sulle reali possibilità di successo di azioni del genere, al punto che al­cuni ufficiali della TO giunsero a definirle come suicide, ma alla fine prevalse la linea orientata a un attacco fulmineo e devastante ai danni della 253a Brigata motorizzata federale, unità che a Rozna Dolina aveva schierato due com­pagnie di fanteria appoggiate da un plotone carri.

 

Attacco al presidio della Kopnena Vojska a Rozna Dolina

 

Dell’esecuzione del blitz di Rozna Dolina ven­nero incaricati otto elementi della TO, un grup­po di fuoco preventivamente selezionato in gran segreto dal Maggiore Srecko Lisiak, ufficiale che ne avrebbe guidato in seguito le azioni sul campo. Una volta definita l’azione da compiere si passava alla fase di pianificazione degli attacchi, definendone le procedure operative. Prima di aprire il fuoco contro i militari dell’Ar­mata Federale il commando sloveno guidato dal Maggiore Lisiak avrebbe dovuto intimare loro la resa con un megafono. Nel frattempo una compagnia di milicnikij (poliziotti) in asset­to di guerra avrebbe avuto l’incarico di appog­giare il commando della TO cinturando l’area di operazioni per prevenire un eventuale afflus­so di rinforzi inviati in sostegno ai militari jugo­slavi sotto attacco.

I poliziotti avrebbero anche dovuto evitare l’in­tervento del locale nucleo di granicarij, le circa venti guardie di confine della casermetta situata non lontano dal posto di confine. Altri elementi della Milica, questi ultimi però vestiti in abiti borghesi, immediatamente prima dell’attacco avrebbero poi avuto il compito di allontanare dalla zona di operazioni tutti i civili in quel mo­mento presenti. Ma, come verrà compiutamen­te descritto nel prosieguo, la partecipazione della Milica slovena non venne limitato a que­sti compiti. In prossimità dell’attacco vennero infine poste in preallarme tutte le strutture sanitarie locali. Nel tardo pomeriggio del 28 giu­gno il commando iniziava la sua breve marcia di avvicinamento all’obiettivo muovendo da Nova Gorica a bordo di un furgone civile e rag­giungendo pochi minuti dopo la località di Kostanjevlca. Lì tutti e nove gli elementi si occul­tavano temporaneamente all’interno di una fat­toria sita in prossimità del monastero, luogo dove venne atteso l’arrivo della squadra degli otto milicnikij incaricati della cinturazione d’area, che erano armati di fucili automatici d’assalto Zastava M-70 AB2 e delle loro ordinanze da fianco.

In realtà all’interno della struttura segreta di co­ordinamento si aveva la quasi certezza che le guardie di frontiera jugoslave non sarebbero intervenute nel combattimenti e questa previ­sione in seguito non si rivelò errata, infatti nel timore di subire un attacco dagli Sloveni i granicarij si asserragliarono all’interno della loro casermetta minandone addirittura gli accessi (5). Da Kostanjevica il commando proseguiva a piedi in direzione di Rozna Dolina. Uno degli otto elementi del gruppo di fuoco era armato di fucile di precisione M-67 in calibro 7,9 mm, gli altri sette erano dotati di fucili mitragliatori UL-TIMAX in calibro 5,56 mm prodotti a Singapo­re, armi acquistate da Lubiana alcuni mesi pri­ma e successivamente introdotte clandestina­mente in Slovenia. Tutti i membri del commando disponevano inoltre di pistole automatiche Ingram in calibro 9 mm e di granate, mentre soltanto il comandante aveva un fucile auto­matico Zastava M-70 AB2. Quattro territoria­li erano stati preposti all’Ingaggio di mezzi corazzati nemici e allo scopo dotati di lancia­razzi ARMBRUST. Questo sistema d’arma pro­dotto in Germania era particolarmente adatto al tipo di azione della TO, in quanto progettato sulla base di requisiti specifici relativi ad un mi­nimo effetto vampa al momento dell’espulsio­ne del razzo dal tubo di lancio. Inoltre la sua ridotta segnatura acustica e la minimizzazione dei residui della combustione causati dallo spa­ro lo rendevano particolarmente idoneo all’Im­piego da ambienti chiusi, dunque ottimizzato per i combattimenti urbani. Il commando rag­giunse l’obiettivo avvicinandovisi in assetto tat­tico e arrestandosi quindi sulla linea costituita dalla prima fila di edifici in costruzione situata ai piedi della collina di Rafut, proprio alle spalle del Bistrò Rozna Dolina, Il bar ristorante del valico di confine e in quel punto prese posizio­ne per l’attacco. Gli uomini si disposero su tre linee di tiro a diverse quote: la prima, più avan­zata, vedeva occultati dietro un cespuglio il co­mandante Lisiak e un elemento armato di ARM­BRUST; immediatamente dietro, riparati dietro un muretto del cortile di una palazzina la cui edificazione del piano terra era stata ultimata, erano piazzati lo sniper col fucile di precisione e altri territoriali armati di fucili d’assalto e di un lanciarazzi controcarro; la terza linea, formata da due elementi armati di ARMBRUST, era In posizione protetta dietro un muro di cemento di un cantiere adiacente al primo edificio, al­l’angolo della strada che proveniva dalla colli­na. Nella zona era totale l’assenza di postazio­ni di sorveglianza degli Jugoslavi, che eviden­temente in quel frangente non si attendevano attacchi.

Questo fatto venne poi confermato dalle incer­tezze manifestate durante le prime reazioni all’intimazione della resa comunicata dal co­mandante della TO. A questo punto tutto si consumò velocemente. Udita la voce del Mag­giore Lisiak amplificata dal megafono i militari della JNA tentarono in fretta e disordinatamente di assumere le posizioni di combattimento, vol­gendosi nella presunta direzione di provenien­za della minaccia senza però riuscire a localiz­zare con precisione il nemico. I piloti del T-55 accesero i motori dei loro carri mentre i coman­danti degli equipaggi brandeggiavano le torrette puntando le bocche da fuoco In varie direzioni. Contestualmente, mentre alcuni autoveicoli ci­vili si allontanavano rapidamente dalla zona, tutti I cittadini sloveni, I pochi stranieri presenti e i giornalisti fuggivano In direzione della sta­zione di servizio Petrol cercando riparo al suo Interno, aiutati dagli agenti in borghese della Milica che esortavano la gente ad allontanarsi indirizzandola verso zone sicure o ripari occa­sionali più vicini. Al riguardo va sottolineato il fatto che le ordinarie attività civili, comprese quelle commerciali, non erano state interrotte a causa della presenza dei carri armati federa­li, quindi tutti I negozi e gli uffici situati nel piaz­zale di Rozna Dolina (bistrò, pompe di benzi­na, agenzia viaggi
e cambiavalute) erano an­cora aperti. Alle ore 18.21 la TO apriva il fuoco con gli ARMBRUST. Il primo razzo lanciato col­piva il carro più vicino alle posizioni del com­mando perforandone la corazza In uno dei suoi punti più vulnerabili, lo scafo all’altezza del cin­golo. Il secondo ARMBRUST colpiva invece il vomere di un bulldozer della KV, mezzo utiliz­zato durante il movimento della colonna fede­rale per sgomberare le strade percorse da eventuali barricate allestite dai civili per prote­sta.

Il vomere aveva offerto a quattro militari jugo­slavi una temporanea precaria protezione, ma l’esplosione del razzo a carica cava provocava egualmente la morte di uno di essi e il ferimen­to degli altri tre. I tiratori di ARMBRUST riceve­vano la necessaria copertura dal resto dei com­ponenti del commando, che aprivano il fuoco con le loro armi leggere contro i militari federali. Nel frattempo, mentre il primo carro colpito era ormai in fiamme, l’esplosione della riservetta delle munizioni situata al suo interno trasmet­teva il fuoco anche all’altro T-55 fermo nelle sue immediate adiacenze, che a sua volta ini­ziava lentamente a bruciare. Nonostante che a seguito dei primi lanci di razzi avessero preso posizione all’interno del bo-schetto dietro il bistro, i federali continuavano a non riuscire a individuare con precisione le posizioni della maggior parte degli attaccanti sloveni, scorgendo esdusivamerrte i due ele-menti della postazione dello sniper. L’unica risposta concreta degli Jugoslavi ven­ne dalle armi leggere, in quanto i carri erano praticamente “ciechi”. Soltanto il T-55 che al­l’inizio dell’attacco si era spostato di alcune decine di metri per posizionarsi di fronte alla stazione di servizio Petrol, iniziava ad aprire il fuoco all’impazzata con la propria mitragliatri­ce di bordo nella direzione opposta al valico di confine, dunque contro il luogo dove a quel tempo si trovava l’edificio della Primex, una società cooperativa di import-export attiva al tempo della Jugoslavia. L’equipaggio di questo carro completamente colto di sorpresa dell’azione della TO, non disponendo di un campo di tiro utile alla sue spalle (cioè nella zona retrostante maggiormente interessata dai combattimenti sparava nume­rosi colpi in calibro 12.7 mm meramente in via preventiva ma senza mirare contro alcun obiet­tivo reale, questo nel timore della possibile pre­senza di un altro gruppo di fuoco sloveno. Il combattimento ebbe una durata complessiva di circa dieci minuti e produsse risultati cata­strofici per i reparti dell’Armata Federale coin­volti.

I militari della 253s Brigata motorizzata dopo il breve attacco iniziarono ad arrendersi ai terri­toriali consegnando loro le armi. Alcuni ufficiali dell’Esercito italiano che in quel momento prestavano servizio presso il punto di osservazione avanzato situato all’interno del castello veneziano di Gorizia hanno in seguito riferito che nel corso di questa fase dell’azione alcuni elementi della Milica slovena appostati sui tetti di alcuni edifici circostanti il posto di confine, poliziotti in regolare uniforme d’ordi­nanza ma privi di copricapo o di elmetto, apri­rono il fuoco con i fucili d’assalto (presumibil­mente gli Zastava M-70 AB2) contro gli equi­paggi dei carri federali mentre questi abban­donavano i loro mezzi.

Al termine dello scontro soltanto tre territoriali scesero nel piazzale del valico di confine per disarmare e concentrare i prigionieri nemici, gli altri sei rimasero occultati e in copertura. La resa fu praticamente spontanea, l’azione si era consumata in tempi brevissimi e non ave­va consentito agli uomini dell’Armata Federa­le, in massima parte militari di leva, di realizza­re cosa stesse realmente accadendo anche perché rimasti subito privi del loro comandan­te, un capitano di etnia croata che non si aspet­tava un attacco del genere, ferito a un braccio e sotto shock. Per la JNA il bilancio fu pesante: 3 militari caduti, 16 feriti e 98 catturati dagli Slo­veni; 2 carri T-55 distrutti, 3 carri T-55, un carro gittaponte BTS-1 (T-55A-T), numerosi auto­mezzi e armi di vario genere e tipo caduti in mani nemiche. Nel corso dell’azione di Rozna Dolina il commando della TO aveva sparato due razzi controcarro e circa 700 colpi di armi leggere di vario tipo.

 

Resa del dispositivo federale al valico di Vrtojba

 

Contrariamente   a quanto affermato in quei convulsi giorni di crisi dalla stampa, il grosso delle forze del­la JNA schierate nella Severnoprimorska non era concentrato nella Selva di Trnovo, ma bensì al valico confinario di Vrtojba, dove si trovava­no 138 militari della fanteria e sette carri T-55. L’azione di Vrtojba venne caratterizzata da una minore drammaticità e soprattutto dall’assen­za di vittime. Il 29 giugno, giorno successivo a quello delazione di Rozna Dolina, la Milica slo­vena venne incaricata della conduzione delle trattative per l’ottenimento della resa dell’unità federale posta a presidio dell’importante posto di confine. Gli ufficiali della KV più alti in grado vennero invitati dai milicnikij a prendere posto in alcune autovetture della polizia che recava­no i colori d’istituto (celeste e bianco), questo per consentirgli di prendere direttamente visio­ne degli avvenimenti verificatisi il giorno prima a poche centinaia di metri di distanza. La motivazione dello spostamento sotto scor­ta a bordo dei veicoli della Milica veniva uffi­cialmente motivata dalla necessità di preser­vare l’incolumità fisica degli ufficiali jugoslavi, che sarebbe stata posta a repentaglio qualora essi avessero deciso di spostarsi autonoma­mente dati gli elevati rischi di aggressione da parte della popolazione slovena. Il fine degli Sloveni era chiaro: convincere jugoslavi che non sarebbe stato conveniente im­pegnare le loro forze in un combattimento con la TO. Terminato il sopralluogo e le trattative, il mattino seguente gli ufficiali dell’ Armata Federale vennero ricondotti al valico di Vrtojba. Essi non avevano ancora preso una deciione sul da farsi, ma d’altro canto nella caotica si­tuazione ingeneratasi in seno all’unità rimasta isolata al confine con l’Italia esplosero dei duri contrasti tra gli ufficiali, dato che alcuni asseri­vano che non si sarebbero dovute violare le consegne con la resa al nemico. Un fatto fece però mutare questo iniziale at­teggiamento: nel pomeriggio squadre della TO giunsero a Vrtojba e presero posizione in vista del combattimento con i militari federali e que­sto convinse il capitano che comandava la com­pagnia corazzata a porre fine all’azione della propria unità, ordinando la resa ed evitando così l’attacco sloveno. Per effetto di essa la TO venne in possesso di ulteriori quantitativi di materiali d’armamento e di munizioni, tra cui sette carri T-55.

 

 

Attacco alla ridotta della Granicka Straza di Nova Vas

 

L’ultima azione militare degna di nota che ebbe luogo nell’estate 1991 a ridosso del confine ita­liano fu l’attacco del primo luglio alla ridotta della GS di Nova Vas, una località del Carso situata nei pressi del villaggio di Opatje Selo, sul ver­sante sloveno del Lago di Doberdò. In questo caso l’attacco venne condotto da un comples­so di dimensioni maggiori rispetto a quello pro­tagonista del blitz di Rozna Dolina, infatti a Nova Vas operarono sessantatre uomini della TO (i nove del commando del Maggiore Lisiak più cinquantaquattro elementi della Diverzantske Jedlnice) e un piccolo nucleo della Mitica. L’obiettivo era costituito da una ridotta ospitante una sezione di granicarij, dispositivo confinario che in caso conflitto con l’Italia era predi­sposto per la trasformazione in compagnia controcarri. La sezione GS era infatti armata di lanciarazzi e cannoni senza rinculo modello B-10 in calibro 82 mm, artiglierie queste ultime che, se incavalcate su affusto, sono In grado di essere utilizzate anche da fanterie appieda­te. I granicarij erano al comando di un sottote­nente kosovaro di etnia albanese, militare che aveva ricevuto la promozione al grado più bas­so della scala ufficiali proprio nel giorni Imme­diatamente precedenti la degenerazione poli­tica della crisi slovena, dunque, almeno appa­rentemente, un soggetto animato da elevata motivazione. Il sottotenente della GS a scopi precauzionali aveva fatto fortificare la ridotta dove si trovava Insieme al suol sottoposti. La dinamica dello scontro fu la seguente: circon­dato Il villaggio di Nova Vas e rastrellatolo casa per casa allo scopo di avere la certezza che al suo interno non vi fossero appostati del gra-niciarlj, gli uomini della TO si avvicinarono alla ridotta federale assumendo le posizioni di com­battimento. La fase successiva fu l’intimazio­ne della resa alle guardie di confine effettuata dagli agenti della Mllica mediante l’uso del me­gafono di bordo del loro fuoristrada di servizio, una Campagnola Zastava (copia della FIAT 1107 AD 4X4/AR-76). Si voleva avviare una trattativa che conducesse a una soluzione simile a quella ottenuta il giorno precedente al valico di Vrtojba, ma in questo caso il tentativo fu inutile perché, a loro volta, anche i granièarij assunsero le posizioni di combattimento. Fonti della TO asseriscono che la replica del sotto­tenente delle guardie di confine all’intimazione di resa ricevuta poco prima fu la minaccia di aprire il fuoco con i cannoni senza rinculo con­tro le case del villaggio. Secondo le citate fonti slovene le sue precise parole sarebbero state le seguenti: “Abbiamo molte armi che ci con­sentono di fare numerose vittime tra i civili”. L’ufficiale avrebbe dato quindi l’ordine all’arti­gliere puntatore di prendere posizione al pez­zo, commettendo però l’errore di avvicinarsi lui per primo all’arma, provocando così la reazio­ne armata da parte slovena. L’azione di fuoco ebbe una durata di cinque minuti e il bilancio fu la morte l’ufficiale dei granicarij, il leggero ferimento di quattro guardie di frontiera e la cat­tura delle rimanenti ventidue. Quello di Nova Vas è registrato come l’ultimo episodio di guerra verificatosi nella Severnoprimorska pokrajina.

 

Approntamenti difensivi in Italia

 

Naturalmente gli eventi bellici verificatisi in Ju­goslavia interessarono direttamente il sistema difensivo italiano e, dato il particolare settore di confine, principalmente le componenti terre­stre e aerea. Le attività di controllo e acquisi­zione delle informazio­ni vennero espletate sotto la diretta respon­sabilità dei prefetti, come quando si verifi­cano i casi di pubbliche calamità. L’Esercito Ita­liano venne posto in stato di preallarme, con la conseguente Intensi­ficazione dei pattuglia­menti lungo la frontiera con la Jugoslavia che venivano effettuati attra­verso l’impiego di elicotteri da ricognizione e squadre di fanteria motorizzata. La guerra nel­la vicina Slovenia era esplosa quando In Italia la Difesa attraversava una fase (peraltro malinterrotta) di tagli al bilancio e mentre, conte­stualmente all’esplosione degli scontri a ridos­so del confine nord-orientale, l’Esercito attua­va il programma di rischieramento al sud di al­cune Grandi Unità precedentemente stanziate sulla soglia di Gorizia. Si trattava dell’inizio di una trasformazione dello strumento difensivo terrestre che in quello specifico frangente ri­fletteva i suol effetti soprattutto sull’area di com­petenza del V Corpo d’Armata, con una con­seguente sottrazione di forze operative che in precedenza si sarebbero rese altrimenti dispo­nibili per fronteggiare l’emergenza provocata dalla crisi slovena. Nell’estate del 1991 l’Eser­cito non fece ricorso allo spostamento dei bat­taglioni carri presenti nelle altre province del Friuli Venezia Giulia; ufficialmente si voleva evi­tare di assumere atteggiamenti che Belgrado avrebbe potuto interpretare o addirittura stru­mentalizzare come provocatori e aggressivi, fa­cendo appello alla coesione nazionale utiliz­zando l’equivoco della mobilitazione italiana alle frontiere). A quel tempo il Ve Corpo d’Armata per il pattugliamento della frontiera impiegava I reparti forniti dalle Grandi Unità stanziate nel­le province del Friuli Venezia Giulia direttamen­te confinanti con la Jugoslavia, quindi, parten­do dalla zona di Trieste e procedendo verso nord fino a Tarvisio, le Brigate meccanizzate VITTORIO VENETO (zona di Trieste/Villa Opicina e del Carso in genere), GORIZIA (con co­mando nell’omonimo capoluogo Isontino), MANTOVA (zone di Udine e Cividale) e, nel settore montano delle Prealpi Giulie e delle Alpi Giulie settentrionali, dai tre battaglioni della Bri­gata alpina JULIA di Venzone, Chiusaforte e Tarvisio. In realtà in quel preciso momento la Brigata meccanizzata VITTORIO VENETO di Trieste e, in posizione arretrata nella provincia di Pordenone, la Brigata corazzata MANIN di Aviano, si trovavano però ridotte a “unità qua­dro”, mentre la Brigata meccanizzata GARI­BALDI di Pordenone era da poco stata trasfe­rita nelle sue sedi in Campania, mentre resta­va operativa la Brigata corazzata MAMELI di Tauriano di Spilimbergo (PN). Per il pattuglia­mento a presidio della frontiera nord-orientale si rendevano complessivamente disponibili soltanto le compagnie di nove battaglioni mec­canizzati o bersaglieri formate da personale ap­partenente agli scaglioni di leva che avevano completato l’addestramento di primo e secon­do ciclo, alle quali andavano aggiunte le citate compagnie alpine. Naturalmente a Gorizia, pro­prio in una zona della città situata tra i valichi di confine della Casa Rossa e di Sant’Andrea, aveva la sua sede anche il 13e Battaglione ca­rabinieri FRIULI VENEZIA GIULIA (6). I pattu­gliamenti alla frontiera con la Jugoslavia non rappresentavano certo una novità, essi aveva­no Infatti caratterizzato l’attività delle Grandi Unità schierate i quell’area. In quella specifica fase storica, nel periodo di crisi politica che pre­cedette l’esplosione del conflitto militare, l’Eser­cito Italiano effettuava esclusivamente pattu­gliamenti di ricognizione e osservazione e quin­di non di combattimento, finalizzati alla rileva­zione e alla successiva segnalazione ai coman­di competenti di eventuali Infiltrazioni di militari della JNA o di profughi all’interno del territorio nazionale. Tali pattuglie motorizzate operava­no per tutte le ventiquattro ore a bordo di vei­coli fuoristrada AR-76 lungo Itinerari diurni e notturni prestabiliti senza mai spingersi fino al limite della linea di confine, utilizzando anche i posti di osservazione e ascolto (anche elettro­nico) posti a ridosso della frontiera. Nel settore di specifico interesse trattato In questo artico­lo, cioè l’area di Gorizia, il personale delle pat­tuglie veniva fornito dal Battaglione meccaniz­zato NEMBO e dal 41 – Battaglione di fanteria MODENA. Con l’inizio dei combattimenti in Slo­venia queste stesse pattuglie vennero fatte ar­retrare a una certa distanza dalla frontiera al di fuori della portata delle armi dei belligeranti, con lo scopo di evitarne un coinvolgimento, sia pure accidentale, negli scontri a fuoco. Il 28 giugno 1991 a Gorizia non era stata appronta­ta alcuna visibile difesa nei confronti nell’eventualità dell’allargamento del conflitto anche alla città, soltanto dopo l’attacco sloveno alla JNA le forze dell’ordine italiane in servizio ai posti di confine (Carabinieri, agenti della Polizia di Stato e della Guardia d Finanza) evacuarono loro stessi la zona e successivamente, in concorso con il Corpo del vigili urbani del Comune di Gorizia, la interdirono al transito della popolazione civile. In seguito, nella notte, nell’ampio e deserto piazzale della Casa Rossa e al valico di sant’Andrea giunsero dalla caserma di Gradisca d’Isonzo delle squadre del 41° Battaglione di fanteria MODENA armate d mis­sili controcarro MILAN, che avevano ricevute l’ordine di approntare In alcuni punti nevralgia di Gorizia delle postazioni difensive “discrete’ protette da sacchetti di sabbia per contrastare eventuali sconfinamenti di carri armati jugoslavi in territorio italiano. Tali postazioni controcarro vennero mantenute per qualche settimana fino al momento in cui vi fu certezza dell’esaurimen­to della crisi nella vicina Slovenia. Nei giorni seguenti il Governo italiano decise anche di dispiegare nelle aree a ridosso della frontiera, principalmente lungo gli assi viari, con la Jugo­slavia delle aliquote corazzate formate da car­ri LEOPARD 1 e VTT M-113. oltre a una serie di postazioni difensive fisse. Si trattava della cosiddetta Operazione TESTUGGINE, che sa­rebbe stata protratta per alcune settimane.

 

La cessazione delle ostilità

 

Il giorno 7 luglio 1991. anche a seguito dell’intervento della comunità internazionale, le pari belligeranti e i rappresentanti della Comunità Economica Europea firmarono la cosidetta  Dichiarazione di Brioni. Atto ufficiale che stabi­liva la cessazione delle ostilità e una moratoria di tre mesi dell’indipendenza di Lubiana. Il 13 ottobre terminava anche la missione degli osservatori della CEE, mente iniziava il ritiro dal territorio della Repubblica di Slovenia delle Unità dell’ Armata Federale, ritiro completato il giorno 25 dello stesso mese con l’imbarco dell’ultima aliquota di militari jugoslavi dal porto di Capodistria.

 

 

 

(1) Con la scomparsa di Tito (1980) la competenza re­lativa alle nomine transitò al Presidium della Federa­zione Socialista Jugoslava, organo che per legge avreb­be dovuto consultare preventivamente le varie Repub­bliche. Dai livelli apicali delle strutture di comando delle Difese territoriali, fino ai gradi di capitano e tenente (quin­di ai comandanti di compagnia), risultava obbligatoria riscrizione alla Lega dei comunisti jugoslavi (il partito al potere nel Paese), mentre al disotto non lo era. Questo naturalmente non significava che tutti i componenti dei comandi provinciali della TO fossero comunisti, in ogni caso lo era sicuramente il comandante.

 

(2) La Granicka Straza era la componente della JNA che rivestiva minori dimensioni. Il suo organico ammon­tava a circa 15.000 elementi e in massima parte era dislocato lungo la estesa frontiera della Repubblica Federativa Socialista Jugoslava. Il corpo disponeva an­che di una componente navale riunita in una brigata e il naviglio fornitogli in dotazione era costituito da una ven­tina di motovedette delle classi MIRNA e BREZICE, mentre alcuni elicotteri GAZELA ne costituivano la com­ponente aerea.

(3) Ancora oggi il personale della 15a Letalska Brigada della Slovenska Vojska (l’Esercito della Slovenia Indi­pendente) celebra la festa della propria unità il giorno 28 giugno, data della ricorrenza della cattura del primo (e unico) velivolo all’Armata federale jugoslava nel cor­so della guerra del 1991. In quella occasione la TO entrò in possesso di un elicottero GAZELA (copia jugoslava dell’Aérospatiale GAZELLE francese). In realtà più che di una cattura al nemico si dovrebbe parlare di un’abile sottrazione, infatti gli Sloveni entrarono in possesso dell’aeromobile grazie alla furbizia del pilota Joze Kalan e del tecnico motorista Bogo Sustar, che occultaro­no rapidamente il mezzo in loro possesso nella foresta di Golte, centro sciistico presso Celje. Il GAZELA ven­ne successivamente immatricolato con l’identificativo TO 001 e quindi impiegato in missioni di ricognizione e collegamento.

(4) In seguito la stazione radar di Ljubljanski Vrh nad Vrhnika, situata nei pressi della capitale slovena, ospi­terà nel suo grande radome un apparato AN/TPS-70 prodotto dalla statunitense Westinghouse.

(5) Si tratta del servizio di sicurezza interno che nel 1966 aveva sostituito la preesistente UDBA.

(6) Nel quadro dell’approntamento di difese al confine nord-orientale conseguente alla crisi slovena. l’Aero­nautica militare italiana rischierò sul sedime dell’aero­porto civile di Ronchi dei Legionari (GO) due caccia F-104 S. Nello stesso periodo si verificò almeno un caso di sconfinamento da parte jugoslava, quando due MiG-21 provenienti dai cieli sloveni penetrarono lo spazio aereo nazionale e sorvolarono brevemente la città di Gorizia.