Mezzogiorno, 16 dicembre 2019 - 20:21

Napoli, il record del centro storico Unesco e il “rischio” gentrificazione

Le sfide della gestione di un unicum mondiale ma in pezzi. Il presidente degli architetti: la società civile ne contrasti il degrado | Atlante Digitale e Letteratura 4.0: il web utile a crescere

di Claudio Calveri e Diego Nuzzo*

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Il centro storico di Napoli è il più esteso sito UNESCO d’Europa, con i suoi 720 ettari di estensione. La sua particolarità non si ferma qui, considerando che è anche uno dei siti più popolati e “vivi”, essendo abitato da studenti e famiglie, e animato da un tessuto di esercizi commerciali non “di catena” ma rappresentativi in larga parte della tradizione del territorio. Ancora, in termini quantitativi, Napoli spicca al 5° posto nella classifica delle 10 città italiane con la maggior quantità dei siti culturali nella graduatoria stilata dal portale internazionale di viaggi Holidu, con 283 siti culturali “censiti” (78 teatri e sale d’opera, 59 musei, 33 gallerie d’arte, 113 biblioteche).

La capacità di impatto del patrimonio partenopeo

Se aggiungiamo a questi dati che secondo una rilevazione Eurostat il centro storico di Napoli è il sito UNESCO che ha generato più visualizzazioni su Wikipedia in lingua italiana dopo quello di Roma e prima di quelli di Venezia e Parigi (al 2015), e che l’Italia è il primo paese al mondo per “influenza culturale”, secondo una classifica internazionale, l’equazione tradizionale “cultura uguale petrolio” erompe quasi automatica, ad alimentare una retorica semplicistica che trascura molti dei temi più complessi da affrontare.

Se il patrimonio culturale è indiscutibilmente la più preziosa delle risorse, la sua gestione comporta anche problemi di conservazione e di valorizzazione, per evitare che le aree storiche delle città diventino semplicemente un “parco a tema”, con tutti gli inconvenienti che la cosa produce alle comunità dei residenti.

Il “rischio” della bellezza: la gentrificazione

La parola chiave è “gentrificazione”, ossia la trasformazione di interi quartieri popolari in zone abitative appetibili a seguito dello spostamento di élite senza potere come musicisti, artisti, attivisti e ogni forma di minoranza etnica e di genere, per la disponibilità di abitazioni a buon mercato ma anche per una maggior tolleranza presente in quei luoghi: una volta à la page però essi diventano meta di professionisti prima e - il rischio è storicamente concreto - della speculazione edilizia poi. Il fenomeno ha più facce: da un lato la speranza che in frammenti di città un tempo negletti possano svilupparsi servizi pubblici e investimenti privati in grado di migliorare la qualità della vita di tutti gli abitanti; dall’altro l’incognita che flussi turistici incontrollati, in zone un tempo considerate a rischio, possano costituire motivo di espulsione delle giovani coppie, degli studenti e degli abitanti in genere che non possono più permettersi affitti crescenti. Pericolo questo che fa paventare un aumento delle disuguaglianze e scarsa ricaduta economica diffusa nel quartiere stesso.

(ph LM\RCS)
(ph LM\RCS)

Nella zona di SoHo, a New York, fu l’avvento delle gallerie d’arte e degli atelier a cambiare radicalmente un quartiere di piccole fabbriche, di officine e di garage mentre furono le librerie e i negozi di abiti usati che si insediarono a Notting Hill a Londra, a renderlo cool.

La gentrificazione compiuta

Il centro storico di Napoli, invece, sta vivendo una trasformazione radicale dovuta esclusivamente a un turismo a buon mercato e di bocca buona: i bassi, ma anche attività consolidate come piccoli negozi di quartiere, vengono velocemente trasformati in case vacanza, in luoghi che continuano a essere privi di servizi essenziali e dove proliferano attività di ristorazione improvvisate e stand di souvenir asiatici. Difficile gestire la trasformazione di un tale patrimonio senza un’azione combinata e contemporanea di pubblica amministrazione e di quella che un tempo veniva chiamata, non senza un pizzico di sospetto, la società civile. Ma ecco l’analisi di Leonardo Di Mauro, presidente dell’Ordine degli Architetti di Napoli e provincia.

Punti di vista\ Di Mauro*: «Arrestare il degrado»

«Proprio la società civile se vi comprendiamo l’Università, le istituzioni e le associazioni culturali è molto impegnata nel tentativo di arrestare il degrado della città storica. Anche perché una parte degli abitanti (visto che vale ancora l’immagine ottocentesca dei due popoli che convivono nella stessa città) è estranea alla vita culturale e un’altra sembra mitridatizzata di fronte alla trasformazione antropologica e fisica di Napoli. Se un turista, non “mordi e fuggi”, volesse visitarla usando la Guida rossa del TCI s’imbatterebbe nelle chiese chiuse o depredate e in un “pittoresco” d’invenzione che nessun rapporto ha con le tradizionali attività commerciali. Ben venga l’invenzione di nuove attrattive come quelle che conducono i turisti nel sottosuolo, ma non a scapito dei peculiari valori storico artistici che sono in gran parte preclusi. Chi poi contrasta il degrado “visivo” dell’ambiente che non è solo dato dall’assenza di nettezza urbana, ma dall’arredo urbano, dalla distruzione degli alberi, tagliati alla base o mal potati, e dei giardini (dal chiostro di Santa Chiara alla Floridiana), dalla libertà di intonacare con le tinte più diverse gli stucchi delle facciate e i marmi e il piperno, a sua volta reso più nero dalla “tintura”? Alla società civile già ricordata compete ora non solo il compito di vigilare, ma anche quello di iniziare una opera di rieducazione che però come scriveva il marchese de Sade al termine del suo viaggio a Napoli “non è opera di un giorno, né di un regno”» (*Presidente Ordine degli Architetti di Napoli ).

(*Digital Strategist DeRev; Architetto e Art Director Wunderkammer; coordinamento editoriale Luca Marconi)

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