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Costume tradizionale | Gruppi Folk | Vita nei Campi | l'aratro | il carro | La macchina per ferrare i buoi | La macina per il grano | il torchio (vinario) | Misure (liquidi e aridi) | Tipologia abitativa | Le Case | I Palazzotti | L'Arco e il Portale

 

Costumi di Serramanna

In occasione delle manifestazioni civili, ultimamente si sono recuperati gli  antichi costumi che si inquadrano nella tipologia etnografica dell’area campidanese.

(R) ELVIO INCANI - per ordinare altre copie citare il n° 137283   


Particolari del costume femminile:

 

Particolari del costume maschile:
 

 

Gruppi Folk  [torna al menù]

A Serramanna coesistevano addirittura due Gruppi Folk “Is Paesanus” e “Città di Serramanna”, fino al 1986, anno che ha sancito lo scioglimento dei due gruppi che si erano formati intorno al 1975.

 

Città di Serramanna

Is Paesanus

 

Nel 1999 viene fondata la Compagnia “Su stentu”  ad opera di un gruppo di amici amanti del teatro e del folklore Sardo. Nei primi due anni, si incontrano notevoli difficoltà dovute allo scarso interesse della popolazione nel riscoprire tali tradizioni, che mancavano ormai da vent’anni.
Negli anni seguenti l’insistente lavoro di persuasione fatto dai fondatori porta all’avvicinamento di alcuni componenti dei gruppi storici folk Serramannesi, e di tante altre persone che oggi formano il gruppo folk e la compagnia teatrale “Su Stentu” Serramanna.
In questi anni la compagnia teatrale è riuscita con grande entusiasmo e determinazione a sviluppare e portare in scena cinque commedie e sei farse dei migliori autori isolani con un gradimento sempre crescente da parte del pubblico.
Nell’anno 2006, con la partecipazione alla 19° Rassegna Regionale del Teatro Sardo svoltasi a Guspini, sono arrivati i riconoscimenti importanti da parte delle giurie competenti, che hanno visto premiato con la miglior Attrice e i migliori Costumi l’opera “Su spizzu de s’argia”.

 

Alla Cavalcata Sarda (2007)

 

Alla Sfilata di Sant'Isidoro - Serramanna (2008)

 

La vita nei campi  [torna al menù]

I contadini andavano al lavoro all’alba, prima che il sole fosse sorto del tutto. La prima operazione era tracciare i solchi, «su srucu», lasciando tra un solco e l’altro uno spazio di qualche metro detto «satua». Il contadino seminava stando alla destra del solco ed era questa una attività  per niente semplice: era quasi un arte in quanto occorreva camminare in un certo modo per coordinare il movimento del braccio che doveva prendere i chicchi da «sa spota» e spargerli con grande precisione e regolarità  in modo che tutti i chicchi germogliassero, in quanto non ci si poteva permettere sprechi di nessun genere.
I pasti erano 3:  «
sa murzada» verso le 9 e mezzo; «su prangiu» verso le 12 e mezzo; «sa menenda» verso le 16 del pomeriggio
Il contenuto non era molto vario: in «
sa betua», (lo zaino) c’era solo pane, che veniva mangiato con formaggio, ma molto più spesso con le verdure che crescevano nei campi: cicoria, pomodori, etc...
Da bere su «piricciolu» o acqua. Su piricciolu era un vinello leggero e di scarsa qualità  che veniva fatto con le vinacce, cioè con quanto restava dell’uva dopo averla pressata per fare il vino vero e proprio. Il suo contenitore era una zucca essiccata. Le zucche infatti erano molto usate per contenere il vino: venivano tagliate quando giungevano a maturazione ed essiccate all’ombra. Erano pronte quando scotendole si sentiva il rumore dei semi ormai secchi. Con uno spiedo arroventato si svuotavano e il foro veniva richiuso da un bastoncino di legno avvolto con un pezzetto di stoffa, per evitare di spaccare la zucca. L’ acqua invece era contenuta in «su frascu», un recipiente in terracotta che si portava a tracolla.

Fino ai primi anni del '900, a Serramanna, c‘erano pochi ricchissimi proprietari terrieri, che possedevano 100, 200 ettari di terra, quelli meno ricchi ne avevano 100, 150, la maggioranza non aveva terra e dipendeva dai ricchi proprietari. Naturalmente era un essere  dipendenti  diverso da quanto intendiamo noi oggi.
Il datore di lavoro infatti non era un semplice superiore, ma «
su meri» ossia il padrone. Tanto è  vero che l’augurio che tutti si facevano, pensando a un futuro con maggior rispetto per la dignità  di ognuno, era: “venga il giorno in cui nessuno potrà più dire di essere il mio padrone”.
Le categorie di lavoratori alle dipendenze dei proprietari erano diverse, fra queste ricordiamo:
su patriagioba, su mesupatriagioba, su boiarxiu, e su piccioccheddu’e carru. Il primo prendeva parte di quanto rendeva la semina, il secondo anche, ma in percentuale minore; gli ultimi due, colui che pascolava i buoi e colui che guidava il carro, solo pochi soldi. Tutti stavano alle dipendenze per un intero anno solare, dato che non esistevano giorni di libertà  di nessun tipo, tranne le domeniche.
La separazione tra ricchi e poveri era netta anche nella vita sociale: alle feste, per esempio, ognuno frequentava solo amici della stessa classe sociale; fra i giovani era molto netta la distinzione tra studenti, privilegiati che potevano permettersi di non lavorare, e lavoratori.
Diventare anziani rappresentava per molti, i più  poveri soprattutto, diventare privi di mezzi di sostentamento. Si lavorava, a prescindere dall’età , finché  si poteva, poi, se non si avevano figli o risparmi (il che era alquanto difficile) si chiedeva l’elemosina. I vecchi, soprattutto donne, il sabato andavano a chiedere ai compaesani più  fortunati il cibo con cui sopravvivere. C’era l’usanza, per ogni messa da morto che si celebrava, di regalare ai poveri un
civraxiu, cioè  una pagnotta, e in queste occasioni la chiesa si riempiva di poveri.
Poi, nel 1936, cominciarono le pensioni e, sia pur lentamente, anche le condizioni degli anziani migliorarono.


L'aratro  [torna al menù]

Era questo lo strumento fondamentale del contadino, quello con il quale tanto faticava. Fino a qualche decennio fa era costruito interamente in legno, tranne il vomere, la parte la parte che infilandosi sotto la terra la doveva smuovere, che era di ferro. Il contadino lo guidava e orientava dalla parte posteriore, mentre anteriormente veniva trainato dal cavallo o dal giogo dei buoi.

Il contadino orientava l'aratro tenendo «sa manunza de sa steffa», intorno a cui erano fissati «is ordiagus», ossia le redini per guidare l’animale. La parte che si infilava nel terreno era costituita da due parti distinte: «s'antabi», piede in legno e «s'orbada», il vomere vero e proprio. Sempre in ferro era «su tascoi», la cavità  con cui terminava il vomere e che serviva per evitare l’attrito tra questo e s’antabi, nonché  per reggere «su nerbiu», che costituisce il fulcro dell’aratro e che terminava con «su temperadroxiu», che serviva a regolare la profondità  del vomere. Da s’antabi partiva «sa canna de sa curi», tronco centrale che collegava l’aratro ai buoi. Il giogo vero e proprio era detto «su iabi», anch’esso era in legno ed aveva nella parte centrale il punto di attacco per sa curi, che veniva fissata tramite stringhe di cuoio chiamate «aionis»; Sempre in su iabi, lateralmente, in corrispondenza di ciascun bue, c’erano «is cravillas», ovvero chiodini in ferro a cui si legavano «is lorus» in cuoio che partivano dalle corna dei buoi. Durante il lavoro il contadino aveva in mano «sa petia spinada», un bastone in legno che ad una estremità  aveva un pungiglione in ferro che serviva per stimolare gli animali e dall’altra una sorta di paletta con la quale ogni tanto puliva il vomere.


L'aratro trainato dal giogo dei buoi

Lo strumento di base per il lavoro nei campi era naturalmente l’aratro, che poteva essere trainato dal cavallo o dai buoi. Quando, è trainato da buoi, essi sono in coppia tenuti insieme da «su iabi» (il giogo) a cui era collegata «sa curi», la parte finale dell’aratro che passa tra i buoi e che è legata al giogo vero e proprio con corregge di cuoio dette «aionis». In su iabi c’erano «is cravillas», chiodini in ferro a cui venivano legate, sempre con strisce di cuoio, chiamate «is lorus», le corna dei buoi. «is guttaradas» erano collari di cuoio dai quali pendevano «is campaneddas» in bronzo, in caso di festività  da is gutturadas pendevano anche fiocchetti decorativi, variamente colorati. Il contadino guidava i buoi attraverso funi dette «is ordiagus».


L'aratro trainato dal cavallo

Totalmente diverso l’attacco dell’aratro nel caso che a trainare fosse il cavallo: in questo caso da «sa curi» partiva una forcella che abbracciava il cavallo, che veniva fissata al sottopancia e nel collo dell’animale con cinghie di cuoio. Anche in questo caso il contadino guidava il cavallo con «is guidas», tirando le quali costringeva l’animale a cambiare direzione.


Il carro con le ruote piene (a arrodasa preasa)  [torna al menù]

 

Questo è il carro più  antico, in quanto diffuso prima del 1910. Le ruote sono formate da tre assi in legno unite da «is traversas de ferru». Al centro la ruota è sostenuta da «sa crai de s'ascia» intorno a questa «sa bussala» per muovere la ruota. Le ruote sono circondate da «su lamoi», una striscia di ferro che serviva a limitare il consumo della ruota in legno. Il corpo del carro è formato da due assi in legno detta «sa scaba», che sostiene il fondo del carro; il corpo vero e proprio è formato da «is cubas» (assi disposte orizzontalmente). Dalla parte anteriore de sa scaba emerge «sa frocidda», a forma di fionda, che serviva a contenere un carico maggiore. Sa scaba terminava con «su iabi», il giogo a cui venivano fissati i buoi. Tutt’intorno al carro, «is ordiagus», le redini che dai buoi, passando attraverso «is occhiellus po is ordiagus», consentivano di impartire gli ordini agli animali. Questo carro aveva, nella parte posteriore, un ingegnoso meccanismo che gli consentiva, una volta fermo, di non muoversi più : è il sistema detto «sa meccanica», un  asticella di legno con funzioni di freno a mano; nella parte anteriore de sa scaba pendeva «sa patenti», un sostegno per tenere il carro in equilibrio, quando era privo di buoi, e che durante il viaggio veniva tenuta sollevata da «su puntu de sa patenti».


Il carro con la ruota a dieci raggi

E’ il secondo carro che è  nato (dopo quello a ruote piene) e la ruota ha dieci raggi. Le sponde sono costituite da «is cubas» e da «is fustis de anella» (tra la scaba e is cubas). Anche questo carro ha sa patenti per equilibrare il carro in sosta e da sa scaba pende «su ganciu» al quale viene appesa sa patenti quando il carro è in movimento. Nuovo è il modo di unire sa scaba a su iabi: infatti il cuoio e stato sostituito dal ferro: in ferro sono «is femmineddas» e «s’aioni» che tiene sa scaba alla fine della quale si trova «sa braba de s’aioni» che serve per fermare e per tirare. Al di fuori de is cubas, nella parte posteriore ci sono due assi di legno sulle quali quando il carro è pieno possono sedersi i passeggeri; la prima, quella vicino al corpo del carro, viene chiamata «punti e segus» la seconda «maistu e segus». La differenza sostanziale con il carro precedente è data dalla ruota che in questo caso è costituita da una parte centrale detta «su buttu», in legno da cui partono i raggi da «is aneddas de su buttu», a «sa crai» dalla forma triangolare e infine, per proteggere la ruota dall’usura «su lamoi» in ferro come nel carro precedente. Tra le due ruote s’ascia, diventata anch’essa in ferro e non più protetta da «sa cascia de s’ascia».


Il carro con la ruota a dodici raggi

Con il tempo nacque l’esigenza di un carro più grande: la parte utile per il trasporto prende in questo caso il nome di «sa carruba», ed è composta da 19 pezzi: 5 «frociddas» davanti, così dette perché terminano a forcella; 4 «frociddas» dietro; 8 «fustis» centrali; 2 «fustis de anella» messi trasversalmente tra una frocidda e i fustis; 2 «carena de sa carruba» (assi orizzontali);
E’ un carro più  capiente dei precedenti e per potersi muovere più  velocemente viene fornito anche di due ruote più grandi: infatti ora la ruota ha 12 raggi; nella struttura è uguale alla precedente. Con carri di questo tipo si e  lavorato fino agli anni ‘60, quando anche da noi l’agricoltura si è modernizzata. Quando si dovevano trasportare prodotti come piselli o pomodori il carro veniva chiuso da una stuoia, fabbricata in casa con «sa scerda». Durante le sagre paesane o i lunghi trasporti, dal paese alla città, per esempio, il carro veniva coperto da «sa loscia», una rigida ma flessibile stuoia di canne intrecciate che poggiava su due archetti posti anteriormente e posteriormente. Durante le feste sa loscia veniva coperta con tappeti tessuti al telaio e decorazioni di rami, frutta e fiori. Tutti coloro che possedevano terre avevano uno o due carri, con i rispettivi gioghi di buoi; solo i più poveri possedevano solo l’asino che utilizzavano per la mola. Qualcuno viveva trasportando legna dai monti con il carretto trinato dal «puddeccu» o «burriccu», l’asino appunto.


Il carro da cavallo (su carratoi de su cuaddu)

Anche questo carro ha grandi ruote con dodici raggi. Diversa rispetto ai precedenti, la parte anteriore che consente l’attacco del cavallo, che può essere singolo, ma anche una pariglia (una coppia) o una quadriglia (due coppie). Il cavallo sta tra «is tangas» e viene imbrigliato alla «sangasua» attraverso «is tirus» (catene in ferro che partono da «sa gaffa de is tirus» che si trova nella prima parte de «is tangas»); is tangas  terminano con «sa gaffa po arremucu», che serve per portare 2 cavalli in avanti e uno al centro. Anche questo carro ha «su ballanzinu» che equivale a sa patenti dei carri precedenti, con una novità: ne possiede uno davanti e uno dietro. Il carro vero e proprio inizia con «sa taula de ananti» sulla quale siede l’uomo che guida che in questo caso sta  a sinistra, mentre quando si guida, un carro a buoi si sta a destra: non c’è una particolare ragione, diciamo che è una tradizione. Sa taula de ananti  è sostenuta da «su puntu de ananti». «Su cascioi» è completamente chiuso, in quanto questo carro veniva usato per il trasporto dei cereali, legumi, sabbia, ecc, ecc. Le tavole, «is costanas», che costituiscono su cascioi sono tenute da stecche verticali dette «is montantis», quattro a destra e quattro a sinistra.
Al di sopra de is costanas, parallelamente a esse, corrono «
is passamanus», con l’evidente funzione di consentire ai passeggeri di tenersi in equilibrio. Nei montantis anteriori sono infissi quattro «gancius» che consentono di legare «is fustis» che tengono il carico. Anche is montantis  posteriori hanno due ganci per uno, ai quali si fissa la fune che regge «sa taba de asegus», che veniva chiusa una volta effettuato il carico. Oltre la sponda posteriore il carro prosegue con sa taba de asegus che non è presente in tutti gli esemplari, sulla quale, quando il carro era pieno trovavano posto i braccianti. Anche in questo carro esiste l’ingegnoso freno «sa meccanica».


Il carrozzino (su carrozzinu)

Diverso, rispetto ai precedenti, l’uso del carretto ora in esame. Era trainato da un cavallo e non era utilizzato nei lavori dei campi, ma come mezzo di trasporto per le passeggiate in paese o per brevi spostamenti. Era insomma l’automobile del tempo e con tutta probabilità solo delle classi sociali più abbienti. Il cavallo veniva fissato a «is stangas», il corpo del carro vero e proprio era composto da «sa cascia» all’interno della quale c’era un sedile dove prendevano posto i passeggeri che dovevano viaggiare in modo sufficientemente comodo potendosi appoggiare allo schienale, anch’esso imbottito come il sedile. Per riparare da inevitabili schizzi di terra e fango, le ruote a dodici raggi erano sovrastate da una larga striscia di legno che terminava in basso con una base in ferro sulla quale si poggiavano i piedi per salire. Dato il suo uso, questo carro è decisamente meno ingombrante e più  leggero dei precedenti, poiché doveva rispondere più  a esigenze di velocità che non di capacità di contenimento. Era il carro de is meris , i proprietari terrieri che lo usavano per andare a controllare i lavori nei campi, per le sagre e le feste. Erano un lusso anche perché , mentre per i carri da lavoro trinati dai buoi c’erano gli artigiani che li costruivano anche a Serramanna, questi calessi venivano ordinati ad artigiani di altre località.


La macchina per ferrare i buoi  [torna al menù]

Strumento alquanto ingombrante utilizzato per mettere i ferri agli zoccoli del bue; lo possedevano tutti i fabbri ma anche i grandi proprietari terrieri che chiamavano, quando era necessario, su ferreri  (il fabbro) a casa propria. Si trattava di un impalcatura che teneva e sollevava il bue durante la delicata operazione di ferratura, in quanto il bue non si poteva tener fermo con strumenti semplici come avveniva per il cavallo, al quale era sufficiente mettere una fune che passava tra il naso e le labbra legata a un bastoncino, girando il quale si stringeva il naso, e quindi si immobilizzava il cavallo. Nel caso del bue invece l’operazione era più  complessa: l’animale veniva introdotto dentro la macchina e bloccato da due larghe strisce di cuoio che gli abbracciavano il tronco. Le due strisce erano collegate a «is cadenas» fissate a «su torniccheddu» che era un asse di legno che si faceva girare tirando «su balanchinu» il quale poggiava su due buchi: con una o più  mosse la catena si avvolgeva intorno a su torniccheddu sollevando il bue, che così era immobilizzato.


La macina per il grano  [torna al menù]

   

Indispensabile strumento per macinare il grano, era presente in quasi tutte le case con il suo inseparabile collaboratore, l'asino. E’ composto sostanzialmente da quattro parti: 1) «su laccu» in pietra che raccoglie il grano macinato, dotato di una apertura, «su sportellu» che veniva aperto ogni qual volta era necessario svuotare su laccu dal grano ormai macinato; 2) «sa mola» collegata attraverso «su iabi de su burriccu» all’asino che aveva il compito di farla girare ininterrottamente; 3) «su coru de sa mola» che stava fermo dentro sa mola; 4) «su maiò», imbuto in legno attraverso il quale il grano veniva introdotto in sa mola. Il funzionamento era quindi semplice, il grano pressato tra su coru e sa mola veniva frantumato. Non e  difficile ancora oggi vedere nei nostri giardini alcune parti di questo strumento adibite ad aiuole o fioriere.


Torchio vinario (sa prenza)  [torna al menù]

Nella nostra economia ha sempre avuto una grande importanza la coltura della vite. Coloro che avevano vaste vigne facevano il vino e lo vendevano al pubblico, ma quasi tutte le famiglie producevano in proprio il vino per il consumo personale. In moltissime case quindi, lo strumento necessario per spremere l’uva e ottenere il mosto era una presenza familiare, chiamato «sa prenza». Esso era costituito da «sa gabbia» nella quale venivano messi i grappoli e da sa prenza vera e propria che schiacciava l’uva, azionata da «sa via de sa prenza». Il liquido che veniva ottenuto si raccoglieva in «su bancu de sa prenza»e gocciolava in «sa cubidia» posta sotto sa prenza. Tutto era in legno tranne le viti che assemblavano le parti de sa gabbia. La grandezza poteva variare, a seconda delle esigenze: da 1,70 a 1,20 metri di altezza. Il mosto che si raccoglieva nella cubidia veniva via via travasato negli appositi contenitori.


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Misure Liquidi

 

Misure Aridi

Tipologia abitativa   [torna al menù]

La pietra, il mattone generalmente crudo, il legno sono i materiali costruttivi che l'ambiente della zona forniva alla costruzione dell'habitat rurale di Serramanna e di tutta la provincia di Cagliari.
La tipologia abitativa di Serramanna era caratterizzata da case basse, piano terra e solaio, dove si conservavano il grano e i cereali, "sa lolla"  che dava nel cortile dove si affacciavano le stalle, il fienile e il magazzino per riporre gli attrezzi agricoli.
In riferimento alle tecniche costruttive adottate per quel che riguarda le parti murarie portanti, si nota un diffuso impiego del fango utilizzato in manufatti detti «ladiri». Il mattone di «ladiri», si otteneva facendo asciugare al sole delle forme di fango (generalmente di circa 10x20x40 cm) impastato con paglia trita e ghiaia, preventivamente lavorato con i piedi all'interno di una fossa chiamata "sciofa" e lasciato poi alcuni giorni a macerare. L'esposizione al sole durava circa tre settimane, durante le quali i mattoni venivano variamente posizionati per una migliore essiccazione.
La costruzione del muro era eseguita con l'utilizzo di altro fango come materiale cementante ed anche l'intonacatura avveniva compattando paglia e fango sino ad ottenere uno strato uniforme steso sulle pareti; a questo punto per evitare la dilavatura, era necessaria una intonacatura finale sottilissima, di calce e sabbia, che aveva bisogno di un rinnovamento periodico.
La tramezzatura interna era, in alcuni casi realizzata con un pannello costituito da canne assemblate, ricoperto da un intonaco di fango e tinteggiato con latte di calce. 

Tipologia abitativa del Campidano di Cagliari.

Le case   [torna al menù]

La casa serramannese, tipica dell'edilizia rurale tradizionale, si apre all'esterno con un ampio portale sormontato da un arco, attraverso il quale si accede al cortile completamente circondato da muri.

 


Sui lati del muro di cinta sono presenti diversi locali, quali le stalle, il pagliaio e il magazzino; la loro funzione è sempre la stessa anche se sono  cambiati gli ospiti: i trattori al posto dei buoi, i concimi al posto della paglia. Nel cortile non manca mai il forno, la macina per il grano e il pozzo. Una porticina conduce al secondo cortile dove c'è un piccolo orto.
Nel cortile, un tempo acciottolato, si trova la casa vera e propria, frequentemente ad un piano ma anche a due, sulla cui facciata fa bella mostra «sa lolla» (foto), un ambiente che serviva per ricevere gli ospiti, eseguire qualche lavoro domestico e come luogo di passaggio per gli altri locali: è formata da un tetto a spioventi, sostenuto da pilastri in legno o mattoni;
All'interno la cucina con il caminetto e le stanze da letto, di solito 3: la matrimoniale, una per i figli maschi, una per le femmine. Il tetto è costituito da tegole legate con la malta all'incannucciata. Il deposito dei cereali e delle fave stava al secondo piano, in «su solaju».

 


Nelle abitazioni più modeste i pavimenti erano in terra battuta con uno strato superficiale di fango misto con paglia; in quelle dei "ricchi" il piano terra aveva le piastrelle e il secondo era a tavolato.

 

  
Il cortile Sa lolla Magazzino con attrezzi

I palazzotti   [torna al menù]

Al centro del paese si possono osservare alcuni palazzi di tipo residenziale appartenenti a privati o con funzioni pubbliche, di antica data; si tratta di costruzioni tradizionali, ma con dimensioni diverse rispetto alle "case di serie".

Sono gli edifici «a palattu» , a due piani, spesso con balconi e decorazioni intorno alle finestre e ai cornicioni. Il modello è stato importato dalla città, secondo i gusti di fine '800, e poi adattato alle esigenze dei ricchi proprietari terrieri che li facevano costruire.

Non di rado, infatti, anche in queste abitazioni si accede attraverso l'arco al cortile interno, dove in genere si ritrovano gli elementi tipici della casa campidanese come sa lolla e i magazzini.

La costruzione è di solito in mattoni di fango, e la parte esterna risulta particolarmente curata: sempre intonacata, con le finestre che danno sulla strada principale decorate con fregi e stucchi e con balconi in farro battuto. Alcuni edifici appartenenti a questa categoria sono attualmente adibiti a locali pubblici, negozi, banche, biblioteche.


L'arco e il portale   [torna al menù]


L'elemento più prestigioso della casa "serramannese", semplice ed imponente allo stesso tempo, è l'arco che ne è spesso l'unico elemento decorativo osservabile dall'esterno.

La costruzione dell'ingresso della casa doveva tenere conto della fondamentale esigenza, di consentire l'accesso al carro trainato dai buoi.

Osservando gli archi, si nota che non tutti hanno la stessa forma, che sono costruiti con materiali diversi, e che talvolta sono decorati e muniti di accessori.

I materiali usati erano tre: mattoni cotti (foto 1), mattoni crudi o di fango (foto 2), pietra (foto 3). 

La loro scelta era condizionata, senza dubbio, dalle possibilità economiche dei proprietari.

Gli archi in mattoni di fango ("ladiri") sono semplici e privi di decorazioni, quelli in mattoni cotti sono più armonici, con la chiave di volta in evidenza, mentre gli archi di pietra, quasi sempre in trachite grigia, hanno veri e propri bassorilievi sulla chiave di volta.

Talvolta capita di trovare anche archi che associano tipi di materiali diversi, infatti non è raro vedere la pietra insieme ai mattoni cotti (foto 4).

1. Arco in mattoni cotti. 3. Arco in pietra.
2. Arco in mattoni crudi. 4. Arco in mattoni cotti e pietra.

Anche la loro forma appare diversificata: più numerosi gli archi a tutto sesto (foto 5), ma presenti anche quelli policentrici a sesto ribassato (foto 7).

Vi sono anche quelli nella forma più semplice ad arco "quadrato" (foto 6), con un architrave in legno, consistente in un robusto tronco di ginepro, che poggia sui mattoni. E' frequente, inoltre, la forma poligonale (foto 8).

Qualunque fosse la forma prescelta, la larghezza dell'ingresso era sempre intorno ai due metri e mezzo; nonostante ciò, talvolta il carro, essendo le strade strette, aveva difficoltà di manovra e per evitare di rovinare l'arco, si cercava di proteggerlo ponendo ai lati due tronchi di cono in pietra (paracarri).

 

6. Arco "quadrato". 7. Arco a sesto ribassato.
5. Arco a tutto sesto. 8. Arco poligonale.
       
 


L'elemento principale dell'arco, nonché la sua parte più attraente, è senza dubbio la chiave di volta, in genere scolpita sulla pietra.

 

 

Le decorazioni più comuni sono la data di costruzione, le iniziali del padrone di casa, gli strumenti inerenti le attività artigiane che avevano sede nell'abitazione, una foglia di accanto, un particolare di animale (foto ai lati).

Alcune non rientrano nelle categorie citate, ma sono altrettanto belle e sempre opera di abili scalpellini, presumibilmente di Serrenti dove c'era anche una cava di trachite.

Anche la disposizione del portale rispetto all'abitazione e alla strada ha una spiegazione: quando ad esempio la strada era particolarmente stretta, il portale doveva essere arretrato affinché fosse possibile una manovra più semplice.

Altro caso diffuso sono i cosiddetti "portali gemelli"; essi sono frutto di una casa spartita tra due eredi: un portale viene aggiunto a quello preesistente per consentire un accesso indipendente in entrambi le parti. 

Un caso particolare, invece, sono i portali "a corona"; anche qui la disposizione è frutto della separazione di una proprietà: un arco dà alla strada, introduce nel piccolo cortile a forma quadrata ne quale si aprono, su ognuno dei  tre lati, altrettanti archi che costituiscono l'ingresso a tre case indipendenti. 

Altro caso è il portale che coincide con il fronte della strada, il cui cortile inizialmente stretto, si allarga ad imbuto verso l'interno e col passare del tempo o a causa di ulteriori suddivisioni può originare un vicolo chiuso, e l'arco rimane senza portone.

 

Portali "gemelli"

Portali "a corona"

Arco senza portone

 

 

 

Serramanna insolita

Fatti, curiosità e ricerche, (ilmiolibro.it), 2010

di Paolo Casti

EAN 2-1200055-54099

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Serramanna insolita Volume 2

Fatti, curiosità e ricerche, (ilmiolibro.it), 2010

di Paolo Casti

EAN 2-1200059-23635

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Serramanna insolita DELUXE

Fatti, curiosità e ricerche, (ilmiolibro.it), 2011

di Paolo Casti

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