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Gestione rifiuti a Napoli, undici arresti tra Venezia e Treviso

Undici arresti fra la Marca e il Veneziano per illeciti nella gestione dei rifiuti di Napoli, in particolare durante il periodo dell’emergenza. Alle 4.30 di martedì mattina è finito in manette Stefano Gavioli, 55 anni e ai domiciliari la sorella Chiara, 38 anni.

È terminata, così, con il blitz degli uomini di Polizia Tributaria della Finanza di Napoli e della Digos di Napoli, l’avventura imprenditoriale dei rampolli della famiglia Gavioli, mestrini ma residenti a Treviso e per anni alla guida della chimica veneziana. Tutti gli arresti. Ordinanze di custodia cautelare anche per quelli che gli investigatori ritengono i «loro uomini» in Enerambiente, la società presieduta da Stefano Gavioli (la sorella era nel cda) che smaltiva appunto i rifiuti a Napoli e che è al centro dell’inchiesta. Si tratta dell’avvocato dell’azienda Giancarlo Tonetto, 57 anni e dei i commercialisti Enrico Prandin, 50 anni (sindaco della società) e Paolo Bellamio, 58 anni, (coamministratore), tutti professionisti mestrini conosciutissimi in città. Misura anche per altri esponenti di Enerambiente: per la veneziana Stefania Vio, 38 anni, responsabile finanziaria, per Giorgio Zabeo, 63 anni, orignario di Mira, sindaco della società e per Loris Zerbin, 51 anni, originario di Camplongo Maggiore, direttore tecnico della stessa. Nei guai, infine, tre dipendenti della Banca di Credito Cooperativo del Veneziano, sede legale a Boion di Camplongo Maggiore: l’impiegata Manuela Furlan, 50 anni l’ex dirigente Mario Zavagno, 63 anni e l’ex direttore generale Alessandro Arzenton, 50 anni. Pesantissime le accuse di cui gli indagati devono rispondere a vario titolo: associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, ricorso abusivo al credito, corruzione, estorsione e riciclaggio. Il «metodo Gavioli», come lo definisce il gip, prevedeva il trasferimento delle passività di Enerambiente su «bad company» e gli asset attivi su altre società. In un caso, gli inquirenti hanno registrato il trasferimento di crediti su un azienda croata che faceva capo a Gavioli, realizzando così un'esportazione illecita di capitali all'estero. E le indagini non sono ancora terminate: la Procura di Napoli, titolare dell’inchiesta, ha trasmesso infatti alcuni faldoni a Catanzaro, Brindisi, Nola e Roma. Dietro gli arresti, 16 in tutt’Italia, c’è dunque la gestione dei rifiuti solidi a Napoli e in particolare i rapporti tra la società in house del Comune partenopeo, Asia spa e la Enerambiente spa dei Gavioli che dal 2005 al 2010 si era aggiudicata l’appalto per la raccolta in svariati quartieri della città (da 123 milioni di euro). L’inchiesta scatta nel settembre 2010 a seguito della devastazione dell’autoparco di Enerambiente. Che cosa si nasconde dietro il rogo dei camion di raccolta ? Subappalti irregolari. Le intercettazioni portano alla luce una serie di irregolarità nell’affidamento di subappalti da parte di Enerambiente a cooperative non autorizzate al servizio . Altre violazioni emergono nel 2011 con riferimento ad atti di corruzione nei confronti delle coop. Si arriva così al 22 febbraio scorso quando il tribunale di Napoli dichiara il fallimento di Enerambiente, con un buco di 55 milioni 228 mila euro. Bancarotta. Per gli inquirenti si tratta di bancarotta. Il patron di Enerambiente, Stefano Gavioli, avrebbe distratto dalla società la somma di circa 6 milioni di euro per destinarla ad altre aziende, per affrontare «dispendiose spese personali», per pagare corruzioni, per la stipula di mutui gravosi destinati a investimenti immobiliari, per elargire soldi a imprenditori e sindacalisti napoletani. Gavioli avrebbe inoltre portato all’estero una parte delle somme, mentre un’altra parte sarebbe stata usata per pagare i debiti verso la Banca del Veneziano frodando altri creditori. I tre funzionari dell’istituto di credito, a loro volta, sono finiti nell’indagine con l’accusa di aver concesso crediti facili, 15 milioni di euro tra il 2007 e il 2010, ad Enerambiente, nonostante lo stato di insolvenza fosse ormai chiaro. Estorsione. Ma non basta. La Procura di Napoli contesta anche l’estorsione. «È stato possibile accertare che nel pieno dell’emergenza rifiuti 2010», scrive il procuratore aggiunto di Napoli Giovanni Melillo, «Gavioli e alcuni suoi collaboratori (fra i quali Tonetto), hanno tentato di mettere all’angolo l’amministrazione napoletana attraverso il grave ricatto di lasciare la città affogare nei rifiuti strumentalizzando la situazione emergenziale e la protesta dei lavoratori del settore per costringerla a cedere a infondate e inusitate pretese economiche» quali l’acquisto dei mezzi a prezzi fuori mercato. Ancora: «Enerambiente era una spa dal destino segnato, costituita ad hoc». La difesa. Immediata la reazione della difesa. L’avvocato Fabio Crea, difensore di Chiara Gavioli ha annunciato il Riesame. E Francesco Murgia, ex legale di Stefano Gavioli ora rinchiuso in cella a Napoli, ha parlato di «capro espiatorio»

La cricca usava i soldi estorti per corrompere i funzionari

La “cricca Gavioli” usava i soldi che estorceva alle coop a cui subappaltava la raccolta dei rifiuti, per corrompere i funzionari di Asia, la partecipata del Comune di Napoli che si occupa di rifiuti. E non si tratta di poco denaro. Stando a quanto ricostruito dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Napoli la “cricca” intascava dalle coop dai 18 ai 24mila euro il mese, metà se li metteva in tasca l’altra parte finiva in quelle dei funzionari e dirigenti di Asia. Un sistema collaudato durato dal 2005 al 2010, fino a quando cioè “Enerambiente spa”, ha dettato le regole della raccolta rifiuti nel capoluogo campano. Ora le indagini degli uomini del tenente colonnello Massimo Gallo puntano a identificare i destinatari delle mazzette. Questo sarà il nuovo “step” di un’indagine che ha messo in luce come a lucrare e a creare l’emergenza rifiuti a Napoli non c’era solo la camorra ma pure noti, e stimati fino a qualche tempo fa, imprenditori e professionisti del Nordest. Il nuovo filone dell’inchiesta ruota attorno all’avvocato Giovanni Faggiano, figura fondamentale per l’indagine. Infatti Faggiano, già arrestato in passato, ha spiegato bene il suo ruolo nella “cricca” evidenziando che Gavioli, lo usava come prestanome per guidare le società create allo scopo di lucrare in maniera illegale sul business dei rifiuti. Faggiano, allora ad di “Enerambiente spa”, da solo o assieme al suo braccio destro e capo cantiere in Campania Corrado Cigliano, passava a riscuotere denaro dalle coop. Dai 19 ai 24 mila euro al mese. Metà di questo denaro serviva a pagare i funzionari di Asia che appaltavano a “Enerambiente spa” la raccolta dei rifiuti in alcuni quartieri di Napoli e anche perché questi dipendenti della partecipata chiudessero gli occhi sul fatto che la società di Gavioli subappaltava il lavoro. Tra l’altro per servizi non contemplati. In certe circostanze i soldi per le mazzette venivano presi dai conti di “Enerambiente”. Cigliano è un altro personaggio di spicco nella vicenda. Oltre ad essere stato arrestato a Teramo con Faggiano in un’indagine simile che riguarda ancora Gavioli, lo scorso anno era finito in carcere per i danneggiamenti ai camion della stessa “Enerambiente”, avvenuti a Napoli nel 2010, in piena emergenza rifiuti. Con lui finirono in carcere il fratello Dario, consigliere provinciale e comunale di Napoli del Pdl, il padre Antonio e Gaetano Cipriano. Tornando a Faggiano, martedì quando è stato arrestato per bancarotta si è meravigliato di questo nuovo provvedimento asserendo di aver già ammesso le sue responsabilità. Non ha detto nulla invece sulla corruzione nonostante i sei mesi passati in carcere lo scorso anno. O meglio non ha spiegato chi veniva pagato e quanto veniva pagato. Chi su questo fronte sembra voglia collaborare e spiegare molte cose è la sua compagna Stefania Vio, la veneziana responsabile finanziaria di “Enerambiente”. In più occasioni ha mostrato la volontà di voler collaborare con gli inquirenti. Potrebbe essere lei a fornire i nomi di chi veniva pagato dentro Asia. O quantomeno confermare quanto fin qui raccolto dagli investigatori, soprattutto sui soldi prelevati direttamente dai conti di “Enerambiente” per le mazzette. Intanto ieri la Corte di Cassazione ha confermato il sequestro di beni nei confronti di Gavioli in quanto titolare della “Enertech”, società finita nell'inchiesta della Procura di Catanzaro su una presunta evasione fiscale e irregolarità nella gestione della discarica di Catanzaro. I beni sequestrati ammontano a 90 milioni di euro.

Il legame tra «scoasse» e «munnezza»

«È un legame solido quello che unisce la Campania e il Veneto e che il nuovo arresto per la gestione dei rifiuti a Napoli, del veneziano Stefano Gavioli - e di altri 12 tra soci, dipendenti della sua azienda, la Enerambiente, e di tre funzionari di banca – ha riportato sulle prime pagine dei giornali. Un legame», scrive l’Osservatorio Legalità e ambiente di Venezia, «all'insegna della gestione dei rifiuti e quindi intriso di soldi e di rapporti di potere Negli anni '90 il legame si è cementato grazie allo smaltimento criminale di rifiuti tossici e nocivi nell'agro casertano e che le inchieste Re Mida – condotta dalla procura napoletana – e Nuova Esa – condotta dalla procura veneziana - hanno descritto fino nei dettagli. Allora era in auge la rotta nord–sud dei rifiuti, con la camorra a garantire la fase finale del traffico e una variegata costellazione di imprenditori e faccendieri veneti a fare da collettori dei rifiuti. Il sistema Gavioli», scrive ancora l’Osservatorio, «ovvero l'uso disinvolto degli assetti societari per distrarre risorse e debiti e l'utilizzo di comportamenti corruttivi ed estorsivi, rappresenterebbe la fase evoluta della gestione criminale dei rifiuti che connette il Veneto con la Campania (le scoasse con la munnezza): Non più il traffico di rifiuti tossici malamente schermati, manomessi, ma a un sistema più opaco. Solo», insiste l’Osservatorio, «un certosino lavoro investigativo riesce a disvelare il collegamento con il mondo della criminalità di imprese che, a prima vista, si presentano come ordinari e legittimi operatori del settore, come scrive il magistrato napoletano Annamaria Ribeira nel Rapporto Ecomafie 2011

Gavioli parla per sette ore e respinge tutte le accuse

Nella sua ormai lunga vita da indagato - da Catanzaro a Napoli - Stefano Gavioli per la prima volta ha parlato. Lo ha fatto per sette lunghe ore, ieri, nel corso dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice per le indagini preliminari di Napoli Isabella Iaselli, che l’ha mandato a Poggioreale su richiesta della Procura. È il cambio di strategia del suo nuovo legale, l’avvocato Gian Pietro Biancolella. Due le accuse principali mosse all’imprenditore trevigiano, che ha Venezia ha lasciato il suo «marchio» da Tencara alla Sirma. Bancarotta fraudolenta per aver sfruttato le proprie società come un bancomat privato, svuotandole, facendole fallire, per poi dirottare le ricche attività della gestione rifiuti su nuove società. Ed estorsione nei confronti del Comune di Napoli, perché nei mesi drammatici della città paralizzata dai rifiuti, avrebbe forzato la municipalizzata Asia a comprare l’intero suo parco mezzi a un prezzo esorbitante di 4,5 milioni di euro, pena la paralisi della città. «Abbiamo contestato le accuse, rispondendo su tutto», dice Biancolella. Bancarotta fraudolenta. Si scaricano i debiti con l’erario su una società, la si svuota e la si fa fallire, si spostano le attività su un’altra e via così. «Stefano Gavioli ha diretto la regia di un sistema ripetuto nel tempo secondo le medesime regole», chiarisce la gip Iasella nell’ordinanza di custodia cautelare, «la Silia spa fortemente indebitata verso l’erario viene svuotata delle sue attività, posta in liquidazione, trasferita la sede in altre città (Roma)». Dichiarata fallita nel 2011, al suo posto sono nate intanto altre due società: «Enerambiente acquisisce rapporti attivi, poi incorpora società del gruppo Gavioli e diviene a sua volta fortemente in debito nei confronti dell’erario; viene posta in liquidazione, la sede societaria trasferita a Napoli, svuotata del suo attivo dopo che nel 2010 viene costituita Enertech che riceve da Enerambiente a titolo di capitale sociale le attività aziendali economicamente più valide e di maggiore spessore». I debiti erariali di altre società come la Meridionale discariche srl e la Sirma Servizi (con la quale Gavioli aveva lasciato a casa 400 operai) vengono scaricate su Enerambiente, le sue attività passate a Enertech e per la prima arriva il fallimento. Finché non sono intervenuti gli investigatori a fermarlo. In una telefonata intercettata alla moglie, l’ex amministratore di Enerambiente Giovanni Faggiano(denunciato da Gavioli) dice alla moglie: «...io dicevo:Stefano, non ce la faccio più a darti 9 milioni di euro, allora lui inizia a dire non conviene....perché lui tiene debiti pazzeschi a livello personale, quindi lui voleva Enarambiente come cassaforte, capito? l’ha svuotata e poi l’ha buttata a mare». Sin qui l’accusa. La difesa è a tutto campo. «Abbiamo chiarito quest’aspetto», spiega l’avvocato Biancolella, «le scissioni di società non avevano finalità fraudolente, perché erano sempre società di Gavioli. L’accusa funziona se faccio uno spin off, faccio cassa, poi lo svuoto, passo tutta a una testa di legno e vado via con i soldi. Ma qui il “buono”, l’attività era sempre di Gavioli, prima e dopo: ha sempre risposto con il suo patrimonio personale». L’estorsione. Nel 2010, dopo 5 anni di contratto a Enermabiente per la raccolta rifiuti a Napoli, la municipalizzata Asia decide di distruibuire l’appalto in lotti tra Dockslkanterna, Lavajet ed Enermabiente, poi esclusa del tutto dopo l’interdittiva antimafia della Prefettura di Venezia. Le due società chiedono però un mese per organizzarsi. Napoli è sommersa di rifiuti. Asia chiede a Gavioli una proroga di servizio. E lui rilancia: alla trattativa si presenta con l’avvocato Tonetto (anche lui arrestato) e pone come condizione l’acquisto di tutti i suoi 120 mezzi.Asia chiede una perizia. Tonetto sbotta: «Non ci provate nemmeno altrimenti ce ne andiamo». 4 milioni e mezzo il prezzo “pattuito”. Gavioli dice di aver già venduto tutto all’imprenditore Adolf Luts. In una telefonata con l’amico tedesco rilancia: «Facciamo questa commedia, ho bisogno di dire che tu hai comprato i miei camion per vendere più caro, capisci?», «senza i miei camion la città è finita, ma io voglio più soldi...». Spinge anche sulla crisi che attanaglia la città: «Il modo migliore è non pagare gli stipendi così gli operai si innervosiscono», dice alla socia Pina Totaro. Alla fine vendita e proroga vanno in porto. «Ha fatto una sceneggiata, ma si trattava di una semplice trattativa tra privati e Gavioli ha solo cercato di contrattare il massimo: se vuoi i miei camion, li vendo al meglio», replica l’avvocato Biancolella, «ci sarebbe stata estorsione - ovvero una coartazione di volontà - se Gavioli avesse avuto l’obbligo di concedere una proroga, ma non era così. È il Comune di Napoli che è stato così inefficiente da non prepararsi in tempo per il cambio di appalto. Per poter lavorare un mese, pagare stipendi, acquistare carburante, Gavioli doveva essere certo di essere pagato. Niente imponeva al Comune di acquistare i mezzi: il sindaco è un pubblico ufficiale, ha l’obbligo giuridico di denuncia se si fosse sentito estorto: ma non l’ha fatto».

Il Mattino di Padova – 20-21 giugno 2012