I Sardi? Ladri e delinquenti. Ed anche “negri”

1 Marzo 2017

Francesco Casula

Un filo nero lega una serie di insulti, improperi e contumelie, espressi storicamente contro i sardi: da Cicerone a Roberto Saieva, l’attuale Procuratore generale di Cagliari.

Cicerone è l’avvocato di certo Scauro, un propretore romano accusato di malversazione nella sua amministrazione della Sardegna, con l’esazione di una decima “illegale”: oltre a una decima normale e a una seconda straordinaria ma ugualmente legale, Scauro infatti ne impose una terza a suo esclusivo beneficio. Un vero e proprio tangentaro ante litteram.

Nell’orazione a Pro M. Aemilio Scauro, l’oratore romano, per screditare i 120 sardi andati a Roma per testimoniare contro il suo “assistito”, non esita a dipingerli come ladroni con la mastruca (mastrucati latrunculi), inaffidabili e disonesti: la loro inaffidabilità viene da lontano, dalle loro stesse radici che sono rappresentate dai fenici e dai cartaginesi. Di qui l’accusa più grave e insultante: “dal momento che nulla di puro c’è stato in questa gente nemmeno all’o­rigine, quanto dobbiamo pensare che si sia inacetita per tanti travasi?

Proprio per questo motivo l’appellativo “razzistico” afer (africano, oggi diremmo negro) è più volte usato come equivalente di sardus e l’espressione Africa ipsa parens illa Sardiniae viene adottata dall’oratore romano per affermare che dai Fenici sono discesi i Sardi, formati da elementi africani misti, “razza” che non aveva niente di puro e dopo tante ibridazioni e contaminazioni si era ulteriormente “guastata”, rendendo i sardi ancor più selvaggi e ostili verso Roma.

Dante, bontà sua si limita a chiamarci “scimmie”: ma solo sul versante linguistico. Nel De vulgari eloquentia (cap. 9° l Libro 1°), ragionando dei vari dialetti d’Italia scrive:”

Anche i Sardi, che non sono Latini, ma che sembra si possano ai Latini associare, cacciamo (dal novero degli eredi di diritto dei Latini), perché sembrano proprio gli unici a non disporre di un proprio volgare imitando la grammatica latina come le scimmie imitano gli uomini”!

Qualche secolo dopo, si fa un vero e proprio salto: un viceré di Vittorio Amedeo II, l’abate Alessandro Doria del Maro (1724-26) pone per così dire, le premesse ideologiche e giustificazioniste della repressione violenta e sanguinaria da parte dei Savoia, con vere e prorie campagne militari contro il banditismo,  scrivendo che “la causa [del].male (ovvero del banditimo, nda) è da ricercarsi nella natura stessa dei popoli sardi poveri, nemici della fatica, feroci e dediti al vizio” .

Sui Sardi “viziosi” e “barbari”  ritorna Gustave Jourdan, un giornalista e uomo d’affari francese (Parigi 1820-1866 che arriva in Sardegna nel 1860, rimanendoci solo un anno: la sua attività infatti fallisce e se ne tornò in Francia dove nel 1861 pubblica un liberculo di 32 pagine, l’Ile de Sardaign, livoroso e acrimonioso, in cui fa ricadere il suo fallimento ai Sardi. Infatti, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, vomita contro i Sardi una serie di insulti e parla della Sardegna come terra rimasta ribelle alla legge del progresso, terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi: una Sardegna insomma come un focolare spento, carica di barbarie.

Jourdan riesce perfino a falsificare la realtà dei Nuraghi scrivendo che  si tratta di rovine, peraltro insignificanti perché resti incontrati vicino al mare in tre o quattro punti (sic!).

Questi Noraghi – scrive il francese – misteriosi e giganteschi, se so­no una prova delle dominazioni subite, non sono però né così numerosi né così importanti da attestare una civiltà decadente.

Non è da meno Honoré de Balzac, il grande romanziere francese  che visiterà la Sardegna nel 1838 e vi soggiornerà per circa tre settimane. Il suo progetto è quello di riattivare le locali miniere d’argento, attraverso lo sfruttamento di giacimenti di scorie abbandonate nell’Isola, presso l’Argentiera nella Nurra e nella zona di Domusnovas. Falliti i due tentativi, in una lettera alla sua donna, la contessa polacca Ewelina Hanska, scriverà: “L’Africa comincia qui:ho intravisto una popolazione in cenci, tutta nuda, abbronzata come gli etiopi,…ho visto cose tali come si raccontano degli Uroni e della Polinesia. Un intero regno desertico, veri selvaggi, nessuna coltivazione, savane di palme selvatiche, cisti, dovunque le capre che brucano tutti i germogli e impediscono alla vegetazione di crescere oltre la cintura”.

Arriviamo poi alla fine dell’Ottocento, con “La scuola antropologica moderna” (sic!) degli Orano (Psicologia della Sardegna, 1892), secondo cui tutto il Nuorese è il paese classico del delittopoiché è la razza che ripullula di una cancrena marcia, purulenta…ed è un vivaio di assassini, di belve.

Niceforo (in La Sardegna delinquente, 1897) e Lombroso vanno oltre lo stesso Orano:non solo il Nuorese ma l’intera Sardegna e il Meridione, appartengono a una razza delinquenziale,biologicamente  inferiore.

Ma non è finita: negli anni 1960/70, su una rivista patinata e popolare, certo Augusto Guerriero, più noto come Ricciardetto scriverà che i Barbaricini occorreva “trattarli” con gas asfissianti o per lo meno paralizzanti.

Per arrivare ai nostri giorni con il Procuratore generale di Cagliari, Roberto Saieva, che all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016  ha sostenuto: “Altro fenomeno criminale che nel territorio del Distretto appare di rilevanti proporzioni è quello delle rapine ai danni di portavalori, organizzate normalmente con grande dispiegamento di uomini e mezzi. Diffusi sono comunque analoghi delitti ai danni di sportelli postali e di istituti bancari. E’ agevole la considerazione che nella esecuzione di questi delitti si sia principalmente trasfuso l’istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina) che stava alla base dei sequestri di persona a scopo di estorsione, crimine che sembrerebbe ormai scomparso”. Testuale!

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