La storia di Hasib Omerovic, 37 anni, sordo dalla nascita (e dunque anche muto), precipitato giù dalla finestra di casa – un alloggio popolare nel quartiere romano di Primavalle – il 25 luglio scorso mentre era in corso nella sua abitazione un «controllo dei documenti» da parte della polizia di Stato, lascia senza risposta una lunga serie di interrogativi che diventano urgenti in virtù delle poche ma ben radicate certezze.

Prima certezza: un giovane, incensurato e, per quanto ne sappia a tutt’oggi la famiglia, neppure indagato per alcunché, da cinquanta giorni è in coma (ora farmacologico) ed è stato sottoposto ad operazioni chirurgiche al cranio, al volto e alle braccia (ma non alle gambe). Secondo: la certezza che in casa in quel momento ci fossero almeno quattro poliziotti, tra cui una donna, in borghese (qualcuno parla di otto agenti giunti sul posto, alcuni in divisa, e due auto di servizio), e la sorella minore di Hasib, Sonita, una ragazza affetta da grave disabilità psicofisica (ma non incapace di intendere e volere) che ha raccontato tutto quello che ha visto. E la sua non è la versione della polizia. Terzo dato certo: la foto di Hasib insanguinato sul selciato scattata da una vicina che non vuole comparire ma che ha testimoniato di aver visto dei poliziotti vicino al corpo inerme del giovane (che ha perso i sensi dopo essersi trascinato per qualche metro) subito dopo aver sentito il tonfo del corpo precipitato. Quarta certezza: il pm Stefano Luciani della procura di Roma ha aperto un’inchiesta per tentato omicidio in concorso, per ora contro ignoti, dando mandato alla Squadra mobile per le indagini. E da ieri c’è anche la certezza di un’interrogazione a risposta scritta (a camere sciolte non è permessa la forma “urgente”) presentata dal presidente di + Europa, Riccardo Magi, che chiede alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese di «avviare con la massima urgenza un’indagine interna per fare luce sugli obiettivi e sulle modalità dell’intervento della polizia di Stato» nella casa dove da tre anni abitava la famiglia Omerovic/Sejdovic con due ragazzi minorenni e altri due figli adulti disabili (una storia fino a quel momento di successo nel percorso di inclusione sociale delle persone di origine rom provenienti dai campi).

IERI IN CONFERENZA stampa alla Camera, affiancata dagli avvocati Susanna Zorzi e Arturo Salerni e dal portavoce dell’Associazione 21 Luglio Carlo Stasolla, la madre di Hasib, Fatima Sejdovic, ha chiesto soprattutto di conoscere la verità. «E poi anche giustizia, certo, – ha detto ringraziando, in un italiano stentato, quasi ancora incredula di ciò che sta accadendo alla sua famiglia – Non posso dimenticare come ho trovato mio figlio in ospedale, non potrò mai. Perciò voglio andare fino in fondo». Una conferenza stampa che ieri sera ha dato i suoi primi frutti, con il capo della polizia Lamberto Giannini che in una nota ha fatto sapere di seguire «in prima persona gli accertamenti che la Questura di Roma sta effettuando per far luce su quanto accaduto con la massima trasparenza garantendo una costante collaborazione alla Procura della Repubblica».

«Sulle prime, quando ci hanno raccontato questa storia sconvolgente, abbiamo stentato a credervi – racconta Carlo Stasolla – ci siamo convinti che fosse vera solo dopo vari sopralluoghi, dopo aver visto e confrontato foto e aver ascoltato testimoni, che però per paura non vogliono comparire». E non sono pochi, ma nel quartiere Primavalle sembra essere calato un velo di omertà.

INFATTI C’È UN ANTECEDENTE a quanto accaduto il 25 luglio nella casa di Primavalle tra le 10,30 del mattino (quando i genitori escono con i due figli minorenni lasciando Hasib a badare a sua sorella) e le 13, quando ricevono una telefonata da una vicina di casa, tale Francesca, che li avvisa di un «incidente» e li fa parlare con un poliziotto che accenna solo ad «un braccio rotto» del ragazzo e chiede loro di rientrare. Il giorno prima, secondo l’esposto presentato in procura dagli avvocati e la ricostruzione di Magi, «il proprietario di un bar della zona riferisce alla sorella E. che sulla pagina Fb di Primavalle stava girando un post nel quale si accusa Hasib di avere importunato delle ragazze del quartiere e lo si minaccia di mandarlo all’ospedale. Il testo è stato successivamente cancellato ma i familiari sono in possesso di uno screenshot allegato agli atti. A fianco alla foto del giovane il post recitava: “Fate attenzione a questa specie di essere perché importuna le ragazze, bisogna prendere provvedimenti”».

QUANDO, VERSO LE 13:20 del 25 luglio, i genitori di Hasib rincasano, trovano solo un paio di poliziotti in borghese che li avvisano del ricovero del figlio in ospedale «per un braccio rotto» senza aggiungere altro. «In realtà Hasib era ricoverato al Gemelli in rianimazione con prognosi riservata», spiegano in conferenza stampa. «Sul tavolo ci sono i documenti di Hasib aperti, la porta della camera del giovane è divelta, in terra c’è il manico di una scopa spezzato a metà, ci sono tracce di sangue su una felpa e sulle lenzuola del letto del giovane, la tubatura esterna del termosifone sradicata dal muro e la tapparella della finestra bloccata da tempo era stata forzata e fissata in alto». Sonita, la sorella disabile, racconta ai genitori e all’amministratore di sostegno: «Ho sentito suonare e ho aperto la porta… una donna con degli uomini vestiti normalmente sono entrati in casa, la donna ha chiuso la serranda della finestra del salone… hanno chiesto i documenti di Hasib, hanno fatto le foto… lo hanno picchiato con il bastone, Hasib è caduto e hanno iniziato a dargli i calci…è scappato in camera e si è chiuso… loro hanno rotto la porta… gli hanno dato pugni e calci, lo hanno preso dai piedi e lo hanno buttato giù», si legge nell’interrogazione di Magi. Da tenere presente – sempre secondo il resoconto degli avvocati – che l’appartamento è collocato al piano terra di uno stabile, da un lato, e ha un affaccio posteriore corrispondente ad un terzo piano, «otto metri da terra», ed è da lì che è precipitato Hasib. Ma, a giudicare dalle ferite, sembrerebbe essere caduto non sulle gambe, come qualcuno che fa un balzo di proposito, quanto piuttosto impattando con la parte superiore del corpo.

COSA INTENDE SONITA con «hanno fatto le foto»? Fatima e suo marito lo capiranno quando si recheranno al commissariato di Primavalle dove «informalmente, senza riceverli, sull’uscio, due poliziotti – riferisce l’avvocata Zorzi – ammettono di essere andati quella mattina per un controllo di documenti. E, per dimostrare ai genitori che Hasib era rimasto tranquillo fino al momento di lanciarsi (secondo loro) dalla finestra, mostrano le foto che avevano scattato al 37enne e a Sonita, seduti sul divano di casa».

Il tempo passa e solo il 12 agosto il pm Luciani dispone il sequestro del bastone di scopa spezzato. Nel frattempo la famiglia Omerovic/Sejdovic si è dovuta trasferire lontano da Primavalle – e anche dall’ospedale Gemelli – perché ha paura. Improvvisamente quel quartiere non è più casa loro. Carlo Stasolla lancia anche un appello al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, affinché trovi una nuova casa per la famiglia di Hasib.

A TUTT’OGGI Fatima Sejdovic e suo marito non hanno ricevuto alcuna notifica, nessuna comunicazione ufficiale, nessuna convocazione, nessun verbale. Senza altri testimoni oculari oltre Sonita, rimangono solo tanti interrogativi: perché la polizia è entrata in casa invece di fermarsi sulla porta per controllare i documenti? Aveva un mandato di perquisizione? Perché i poliziotti hanno scattato foto ai due giovani disabili? Perché è stata sfondata la porta della camera di Hasib? Quale necessità o urgenza c’era di fermare il ragazzo che quella mattina non era neppure ancora uscito di casa? Cosa è stato trovato in casa che giustifichi tali comportamenti? Con gli agenti, c’era qualcuno che fosse in grado di comunicare con Hasib che parla solo il linguaggio dei segni?

Sono domande che esigono risposte, ora, subito. Prima che il vento elettorale porti via definitivamente i diritti di Hasib e della sua famiglia.