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TRANIWEB CRESCE E DIVENTA TRANIVIVA
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La storia di San Nicola

Dalle origini alla canonizzazione


La vita terrena di Nicola Pellegrino si svolse tutta nella seconda metà dell'XI secolo, cioè in quel periodo storico nel quale si verificò in Puglia il passaggio dalla dominazione greco-bizantina a quella normanna. Nicola Pellegrino nacque fra il 1075 ed il 1076 nei pressi del villaggio di Stiro (Grecia); questo villaggio divenne celebre soltanto intorno al mille, allorché il monastero ivi fondato da San Luca il Giovane si trasformò in grande centro di arte bizantina, ancora oggi tra i più prestigiosi della Grecia. I suoi genitori erano di umili origini. Avevano una campagna con degli animali, e da questi vivevano. Dopo di lui nacque un altro bambino, cui fu dato il nome di Giorgio. Dopo qualche anno, però, il padre moriva, e tutto il peso della conduzione della famiglia fu assunto dalla madre. La madre non aveva la possibilità di farli andare a scuola o di pagare un maestro che insegnasse loro a leggere e scrivere.

In tale situazione familiare, la madre fu costretta ad utilizzare anzitempo il lavoro dei figli. Così Nicola, quando ebbe appena raggiunto gli otto anni, fu mandato a pascolare il piccolo gregge di pecore. La vita del pastore è stata da sempre una vita che suggerisce la riflessione; Nicola cominciò, quindi, a meditare non teoricamente ma esistenzialmente, vale a dire sulla propria vita in rapporto a Dio. Una delle cose di cui aveva avuto sentore era il consiglio che i monaci davano a coloro che, senza saper leggere e scrivere, si erano dati alla vita religiosa.

Il consiglio consisteva nel recitare frequentemente la cosiddetta preghiera di Gesù, vale a dire: Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore. E questa giaculatoria, che la sua mente giovanile ridusse essenziale, cominciò a passare dalla mente alle labbra. Così, molti che lo incontravano o gli passavano accanto lo udivano esclamare Kyrie eleison, cioè Signore, abbi pietà. Nel riferire più tardi al monaco Bartolomeo questa sua prima esperienza, Nicola disse che ad esortarlo in tal senso era stato lo stesso Gesù Cristo, che gli era apparso visibilmente. La cosa però non piacque alla madre, che ovviamente, vedendo il sorriso della gente quando le parlavano del figlio, e certamente lei sapeva che alle spalle i commenti erano ancora più sarcastici, ne rimaneva confusa e umiliata.

Cominciò allora a dire al figlio di smetterla. Ma Nicola non la smetteva; anzi, non solo andando al pascolo, ma anche in mezzo alla gente ogni tanto se ne usciva con i suoi Kyrie eleison. Non ottenendo buoni risultati, la madre dalla vergogna di fronte a ciò che diceva la gente prese una decisione traumatica. Scacciò di casa il figlio di soli 12 anni. La certezza di star vivendo il giusto rapporto con Dio, quello cioè dell'umiltà e del continuo bisogno di misericordia, fece sì che lasciasse la casa senza troppi rimpianti e con la serenità del cuore. Prese quindi la via della montagna, ma non più per pascolare le pecore, bensì per ritirarsi e condurre una vita ascetica. E come molti asceti, anch'egli evitò di costruirsi una capanna o una cella, ma volle scegliersi come dimora una grotta, anzi la tana di un'orsa. Il biografo narra come l'orsa cercasse di azzannarlo e di come Nicola l'affrontasse mettendo avanti una croce di legno e dicendo: "Ti comando, nel nome di Gesù Cristo, di non osare più entrare in questa grotta". Di fronte al simbolo della croce ed al deciso comando, l'orsa obbedì, dileguandosi non solo da quel luogo, ma da tutta la regione.

Cominciava così la vita ascetica di Nicola che affrontava le difficoltà con il simbolo della croce e, come tutti i grandi asceti, si cibava di erbe selvatiche. Durante questa nuova vita eremitica, Nicola continuava a ripetere incessantemente Kyrie eleison, invocava cioè la misericordia del Signore.

NEL MONASTERO DI SAN LUCA DI STIRO - Mentre egli muoveva i primi passi in questa nuova spiritualità, la madre non si era rassegnata. Non che avesse cambiato idea sul comportamento del figlio, anzi si era addirittura convinta che fosse posseduto dal demonio. Combattuta fra l'amore materno e la "pazzia" demoniaca del figlio, decise di impegnare un po' del suo denaro nel ricercare e farsi ricondurre il figlio a casa. Una volta riuscita nell'intento, pensò che la cosa migliore fosse quella di affidare il figlio ai monaci del monastero di San Luca il Giovane. Fu in questo monastero che nel 1087 entrava il dodicenne Nicola. Il testo dell'Anonimo Bartolomeo parla di tutta una serie di persecuzioni cui il povero Nicola fu sottoposto. Ad esempio, i monaci cominciarono con alcuni riti celebrati in chiesa, e vedendoli senza risultati, cacciarono Nicola dalla chiesa. Questi, con i lividi delle battiture ancora freschi, invece di allontanarsi, si mise alle porte ad esclamare a gran voce Kyrie eleison. Sicuri forse di poterlo frenare, i monaci lo chiusero in una torre. Quando pensavano di aver risolto il problema, ecco che Nicola si ripresentò in chiesa a pronunciare il suo inestancabile Kyrie eleison. La grande pietra, che vi avevano fatto rotolare per bloccare l'uscita, era stata infatti rimossa, secondo il biografo da un rimbombo di tuono che aveva accompagnato il suo Kyrie eleison.

Lo legarono allora con una catena, chiudendolo in una cella; ma, ancora una volta, eccolo ricomparire con la catena sciolta nel refettorio, dove i monaci mangiavano. Questa volta i monaci, stando sempre al racconto di Bartolomeo, decisero di eliminarlo, gettandolo in mare. Gli legarono così le mani e i piedi e condottolo al largo su una barca, lo gettarono nelle acque profonde. Ma, ecco che un delfino gli sciolse i nodi che lo tenevano legato e lo trasportò sino a terra. Ironia della sorte, per un forte vento che si era intanto sollevato, furono i monaci a trovarsi in pericolo di vita. Nicola consigliò loro di gridare Kyrie eleison, ed a quel grido tutti si trovarono in salvo. La chiave interpretativa di tutta la drammatica permanenza di Nicola nel monastero di Osis Lukas può essere riassunta in questo modo. Quando essi lo scacciano dalla chiesa, egli vi ritorna; quando lo scacciano dal monastero, egli vi rientra sui raggi del sole. Più lo maltrattano, più egli torna da loro; ma nel momento in cui, stanchi di lottare o convinti della sua santità, decidono di comportarsi gentilmente con lui e di lasciarlo vivere secondo le sue modalità, allora è lui a non sentirsi a suo agio e preferisce tornare dalla madre. In ogni caso, Nicola non restò a lungo in casa, un bel giorno prese la via della montagna. Cominciava così una nuova vita eremitica, nella quale la meditazione verteva sulla realtà della croce.

IL VIAGGIO AD OTRANTO - Un pensiero cominciò a farsi strada nella sua mente: abbandonare la sua terra ed intraprendere un pellegrinaggio a Roma. Il giovane Nicola lasciò la sua terra e si diresse a Lepanto ove incontrò il monaco Bartolomeo, anch'egli dedito alle peregrinazioni. Presero la stessa nave che era diretta ad Otranto. Nicola non perdette occasione di esercitare la sua predicazione, esclamando Kyrie eleison ed invitando alla penitenza. Inizialmente i naviganti commiserarono il giovanetto, ma poi perdettero la pazienza, e finirono, come già i monaci di Stiro, col pensare di liberarsene buttandolo a mare. L'agiografo dice che fu effettivamente gettato nelle acque del mare, ma che miracolosamente si salvò, giungendo ad Otranto prima degli altri. Egli non perdette tempo e, raccolti attorno a sé un gran numero di bambini, andava in giro gridando Kyrie eleison. Ma l'impressione favorevole e la simpatia con cui era stato accolto ad Otranto non erano destinate a durare a lungo. Nicola non poteva vivere nella tranquillità e sentiva il bisogno di scuotere le coscienze, magari scandalizzando. Fu così che, una volta, prendendo anch'egli parte ad una processione della Madonna e recitando le litanie, si trovò a passare vicino ad un anziano signore. Intuendo che non era cristiano, egli si fermò e facendogli un riverente inchino, gli disse: "Salve, mio fratello e signore; tu ed io siamo plasmati dallo stesso Creatore", e accompagnò le ultime parole con un abbraccio. Tutti sapevano però che quello era un ebreo. Per cui, ad evitare uno scandalo, alcuni pensarono bene di fargli fare una dichiarazione pubblica che ristabilisse i diritti della verità. Presero perciò la grande icona che stavano portando in processione e la posero dinanzi a lui, dicendo: "Padre, venera la nostra Signora e Madre di Dio". Ma egli si rifiutò, né volle cambiare idea a causa delle loro minacce. Quelli però erano decisi a non perdonare quell'offesa alla Madonna dinanzi ad un ebreo, per cui lo caricarono di bastonate. Quando essi ebbero finito, Nicola sollevò gli occhi al cielo e gridò: "Gloria a te, o Signora; gloria a te, Padrona e regina del mondo, poiché per il tuo nome degno di ogni lode e per la tua gloria oggi la mia anima è stata glorificata". È questo uno degli episodi più caratteristici dei pazzi di Cristo. Nicola non loda la Madonna mentre tutti la lodano, ma soltanto dopo che ha ricevuto le bastonate che tengono a bada il suo orgoglio; e per ricevere le bastonate il mezzo migliore è di scandalizzare.

IL VIAGGIO A LECCE - Nicola lasciò Otranto, dirigendosi verso Lecce. Prima di giungere in quest'ultima città si fermò in altre due località, e precisamente a Sugiana, non lontana da Otranto, e nel monastero di San Lorenzo. Nella prima, ove si fermò per molti giorni, andò a pregare in una chiesa di San Nicola di Myra. Nella seconda liberò un indemoniato, seguendo una modalità che tornerà anche in altri casi, toccando cioè il malato con una croce che portava sempre con sé. L'arrivo a Lecce, come già ad Otranto, avvenne sotto i migliori auspici. Anche qui, già prima di entrare nelle mura, riuscì a raccogliere attorno a sé molti fanciulli; con essi entrò nella chiesa di San Zaccaria, gridando Kyrie eleison. Nicola non poteva vivere nell'ammirazione, per cui pensò bene di escogitare qualcosa che gli procurasse un po' di mortificazione. Un mattino, alle prime luci dell'alba, andò sotto l'episcopio e cominciò a gridare Kyrie eleison. Come era da prevedersi, il vescovo Teodoro, svegliato di soprassalto fu colto dall'ira e diede ordine di punire il disturbatore della quiete pubblica; così Nicola fu preso e frustato. Per un motivo analogo due fratelli lo legarono e lo chiusero nella loro camera da letto. Ma, come in Grecia, le funi furono sciolte ed egli uscì dalla casa recitando la sua solita preghiera. Altri fatti seguono a ritmo costante, tutti tesi a magnificare i grandi poteri del giovane. Secondo l'agiografo, nella chiesa di San Demetrio Martire si verificò l'episodio della tentazione femminile. La donna indossati dei vestiti maschili, restò con Nicola a pregare in quella chiesa. Intorno alla mezzanotte, volendo assopirsi, Nicola mise fra lui e la donna la sua croce. La donna, che stava aspettando quell'occasione, nel momento in cui cercò di avvicinarsi, vide una colonna di fuoco che, scendendo dal cielo, andava a lambire la testa di Nicola. Allora rientrò in sé e si trattenne da qualunque tentazione; quando uscì dalla chiesa, narrò a tutti ciò che aveva visto.

IL VIAGGIO A TARANTO - Quasi ricordandosi di essere un pellegrino, Nicola si decise di lasciare Lecce, e dopo un giorno di cammino raggiunse prima Veglie e quindi Taranto. L'esperienza tarantina fu però breve e drammatica, e diversa da quella di Lecce, ove la provocazione era venuta soltanto dopo aver attirato l'ammirazione. Nicola vi giunse all'alba, gridando come al solito il suo Kyrie eleison. A quel rumoroso arrivo, l'arcivescovo si svegliò di soprassalto e ne restò turbato. La reazione fu comunque esagerata; infatti, diede ordine di frustarlo a sangue. A Taranto, come altrove, Nicola incontrò ammirazione e stima, ma anche la recisa ed eccessiva opposizione dell'arcivescovo.

A TRANI: GLI ULTIMI GIORNI DELLA SUA VITA - Secondo l'agiografo, Nicola giunse a trani il 20 maggio 1094. Entrò nella città portando una croce e cantando lodi in greco, ma soprattutto recitando il suo Kyrie eleison incessantemente. Ben presto, anche per la curiosità che egli suscitava, fu avvicinato da folte schiere di fanciulli, che egli fu molto attento a tenere legati a sé donando loro della frutta che gli era stata data o aveva preso nella campagna. Si guardava bene dallo spendere per sé il denaro che gli veniva dato in elemosina, ma lo usava per fare i suoi doni ai ragazzi. Il suo modo di agire, ovviamente, se da alcuni era considerato con tenerezza e comprensione, da altri era ritenuto frutto di un uomo poco sano di mente, e talvolta addirittura opera di un pazzo. L'arcivescovo Bisanzio chiese informazioni su di lui, ma riuscirono a dirgli ben poco; per cui, preferì ascoltarlo di persona. Lo mandò a chiamare, ed una volta che fu alla sua presenza, lo interrogò sul motivo del suo strano comportamento. Nicola allora si rifece direttamente a quel brano evangelico nel quale Gesù dice che chi vuole andare dietro a lui deve prendere la sua croce e seguirlo. A tale fondamentale concetto della croce egli collegava poi quello della conversione e del divenire come bambini per entrare nel regno dei cieli. Meditando su queste parole del Cristo egli aveva ritenuto opportuno non vergognarsi di portare materialmente la croce, né di comportarsi come un bambino, né di evitare gli scherni. È questo l'unico momento in cui risulta chiaramente la sua volontà di agire secondo la tradizione dei pazzi per Cristo, i quali raramente rivelavano che la loro pazzia era finta. Né Nicola, come si è visto, cercò mai di attirare ammirazione sulla sua persona. In questo caso, invece, egli cedeva ed apriva il suo animo, facendo a meno di provocare con qualche gesto o parola inconsulta (magari col suo Kyrie eleison). Forse a scioglierlo fu quel modo accogliente e benevolo dell'arcivescovo. Quando il giovane greco terminò il suo discorso, lasciando all'arcivescovo il giudicare sull'opportunità del suo modo d'agire, aggiungendo che in caso contrario avrebbe lasciato la città, Bisanzio ne fu edificato. Anzi, si dichiarò convinto che egli agiva dietro ispirazione divina, e pertanto non solo desiderava che restasse a Trani almeno sino alla festività dei santi Pietro e Paolo, ma che in qualsiasi momento si fosse presentato, avrebbe trovato del cibo. Non volendo tradire del tutto la sua immagine, Nicola lasciò in asso l'arcivescovo, mentre stava ancora parlando, e tornò dai suoi fanciulli. Bella è a questo punto l'insistenza dell'agiografo sul fatto che Nicola era felice di rivedere i bambini. Tutto ciò durò tre giorni, dal 20 al 22 maggio.

Il 23 però cadde ammalato, e fu costretto a letto nella casa di tale Sabino che l'aveva ospitato. Si può ben immaginare quanta gente andasse a rendergli visita. Ma non erano i visitatori a consolare lui, ma lui a consolare tutti quei tranesi che si accostavano al suo letto; per tutti aveva una parola di conforto. E fu tra questi dolci discorsi ai fanciulli ed esortazioni a uomini e donne, che il 2 giugno, che era un venerdì, rese l'anima a Dio. Tutti vollero partecipare alle sue esequie, anche se era un povero forestiero che sino ad allora non aveva compiuto alcun fatto prodigioso. Il suo corpo fu trasportato con tutti gli onori alla chiesa di Santa Maria, ma la folla era tanta che molti non riuscirono ad entrarvi. L'arcivescovo non volle essere da meno e diede disposizione che attorno al feretro fosse recitato l'ufficio divino. Si verificarono in quell'occasione dei fatti prodigiosi, dei quali almeno al primo fu presente lo stesso agiografo. Si tratta della guarigione della fanciulla tranese Mundella, che tre anni prima aveva perduto la vita: "Appena si gettò su quel corpo venerabile alla nostra presenza, ecco che riacquistò la vista e potè vedere la luce del giorno". Al calare della sera, venne anche l'arcivescovo Bisanzio, uomo insigne per nobiltà e cultura, e col suo clero trasferì il corpo del santo pellegrino in un angolo della chiesa di Santa Maria. Avendo tessuto l'elogio della sua santa vita e rilevata la fortuna per Trani di aver acquisito un corpo così prezioso, mentre il canto dell'ufficio divino si stendeva sotto le volte della chiesa, il corpo aveva una degna sepoltura in un luogo recondito. E fu forse in questo contesto, o pochi giorni dopo, che si verificavano altre due guarigioni. La fama di questi prodigi cominciò così a varcare i confini del territorio tranese, e molti malati provenienti da terre lontane cominciarono a giungere in speranzoso pellegrinaggio a Trani.

LA CANONIZZAZIONE - La circostanza in cui avvenne la morte e la sepoltura di Nicola, un giovane strano e forestiero, presenta tutte le caratteristiche di una santità apprezzata per sé stessa. A quei tempi non esisteva il "processo canonico" della santa sede, ma gli eroi della fede venivano santificati dal popolo e confermati dai vescovi locali. Era sufficiente che il clero ed il popolo tranese fossero d'accordo affinché l'arcivescovo di Trani inserisse Nicola Pellegrino nel catalogo dei santi della chiesa locale. Tuttavia, l'intento dell'arcivescovo e del suo popolo non era tanto quello di "chiedere" la canonizzazione del loro santo, quanto quello di far conoscere universalmente il santo dei tranesi. A tale scopo, l'arcivescovo Bisanzio colse l'occasione del concilio di Bari (ottobre 1098) per incontrare papa Urbano II. Il papa dovette dargli il consiglio di stendere un testo dal quale si evincesse la vita virtuosa del giovane. Quando il concilio si tenne a Roma, il venerando arcivescovo Bisanzio prese la parola e lesse i punti salienti di quel testo. Ma sulla vicenda è bene riportare la fonte principale, che è proprio la bolla pontificia che ancora si conserva nell'archivio diocesano di Trani: Urbano vescovo, servo dei servi di Dio, al clero ed all'ordine, ai nobili ed al popolo di Trani, salute ed apostolica benedizione. Mentre, per grazia di Dio, recentemente tenevamo un concilio con grande partecipazione di vescovi e di abati, il nostro venerabile fratello Bisanzio, arcivescovo della vostra città, ha letto dinanzi a tutta l'assemblea uno scritto su alcuni miracoli del venerabile Nicola, che voi chiamate Pellegrino, e lì stesso ha chiesto che per la nostra autorità lo stesso uomo di Dio fosse annoverato nel catalogo dei Santi. Noi, dunque, abbiamo affidato la suddetta causa allo stesso nostro fratello nell'episcopato. Non avendo alcun dubbio sulla sua probità e sulla sua scienza, abbiamo deliberato che ciò che gli fosse parso opportuno, per illuminazione divina, egli potesse stabilirlo dopo una più matura riflessione, a lode e gloria di colui che con gratuita misericordia è solito glorificare mirabilmente i suoi servi.

Il papa non canonizzava personalmente il santo greco, ma dava la sua approvazione affinché l'arcivescovo di Trani, se l'avesse ritenuto opportuno, lo inserisse nel catalogo dei santi. Rientrato nella sua sede di Trani, l'arcivescovo Bisanzio diede subito inizio alla chiesa in onore di Nicola Pellegrino. E volle essere lui stesso a porre la prima pietra. Nel corso della prima metà del XII secolo crebbe a Trani fra la popolazione la venerazione del santo e, sia pure con molte incertezze e interruzioni, proseguì la costruzione della cattedrale avviata da Bisanzio.Di conseguenza, anche la reposizione del corpo del santo nella nuova cattedrale dovette attendere vari decenni.

San Nicola Pellegrino - Vita, Critica Storica e Messaggio Spirituale
Gerardo Cioffari – 1994


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