POLITICA
27/05/2018 23:28 CEST | Aggiornato 28/05/2018 12:25 CEST

L'ora più buia di Mattarella: la scelta obbligata di difendere l'interesse nazionale dopo il no dei partiti alla soluzione Giorgetti per l'Economia

Scelto Cottarelli per il governo senza maggioranza che accompagnerà il paese al voto

Antonio Masiello via Getty Images

Il tono è tono sobrio, le parole senza aggettivi. Dieci minuti. È uno dei discorsi più drammatici della storia della Repubblica, nella crisi più lunga che l'Italia abbia mai conosciuto. Sergio Mattarella difende la Costituzione e l'interesse nazionale. Spiega come, in questi 85 giorni, ha favorito il confronto, agevolando ogni soluzione, aspettando esigenze e necessità dei partiti, reiterate richieste di tempo, anche per lo svolgimento del loro dibattito interno, per i gabezo, per le consultazioni online, per tutto. Ha superato, quando si è prospettata la concreta eventualità di un governo di cambiamento formato sulla maggioranza Cinque Stelle-Lega, anche le perplessità di una guida non politica.

C'è però un limite, invalicabile, superato il quale verrebbe lesa la dignità delle istituzioni democratiche, e con esse il loro ruolo e la loro stessa esistenza. Che l'imposizione di un nome, sotto la minaccia di un ritorno al voto, come se il presidente della Repubblica dovesse ubbidire, rinunciando alle sue prerogative, di fronte ad ordini padronali. È un limite invalicabile: "Il presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia che non può subire imposizioni. Ho accettato tutte le proposte tranne quella del ministro dell'Economia. Dai partiti ho registrato indisponibilità a ogni soluzione". Perché il Quirinale "non può sostenere la proposta di un ministro sostenitore della fuoriuscita dall'euro". Che allarma i mercati, investitori e risparmiatori italiani e esteri che hanno investito nei titoli di Stato e nelle nostre aziende.

Altro che impeachment: alla Consulta, probabilmente, darebbero una medaglia a Sergio Mattarella. Perché la Costituzione parla chiaro, all'articolo 92: il presidente della Repubblica nomina i ministri su indicazione del presidente incaricato. È una scelta che, comunque, deve essere condivisa, non la ratifica di una imposizione. Oscar Luigi Scalfaro non nominò l'avvocato di Berlusconi alla Giustizia, per un evidente conflitto di interessi. Napolitano, tanto per citare un altro caso, non nominò alla Giustizia Nicola Gratteri, un magistrato, perché vi ravvisava una inopportunità nell'equilibrio tra i poteri. Nessuno gridò al golpe, minacciando la messa in stato d'accusa del capo dello Stato, perché non c'è alcun tradimento della Costituzione ma solo l'esercizio delle proprie prerogative. Le stesse che Mattarella rivendica su Paolo Savona, il teorico del "piano B" per l'uscita dall'euro. Un piano – e non è un dettaglio – mai presentato agli elettori. Ma mai negato. Mai. Neanche nel comunicato del Professor Savona, scritto – all'apparenza – per "rassicurare" il Quirinale. All'apparenza, perché la frase cruciale non c'è. In nessun passaggio viene esclusa l'uscita dall'euro e negato il famoso "piano B". Anzi, il comunicato mantiene integralmente l'intera impostazione del "piano B". Questa: per la stabilità serve la crescita, per la crescita occorre fare debito, il che porta a un piano di riforme in deficit, a costo di far volare lo spread, fino a un momento in cui si pone la questione del "piano B", di uscita dall'euro, come scritto nel documento elaborato dal professor Savona e analizzato dall'HuffPost.

C'è un'istantanea di giornata che spiega tutto. Ed è quando Salvini prima e Di Maio dopo salgono al Colle per un colloquio informale. A loro viene posta una domanda: "Perché non indicate un altro nome, ad esempio Giorgetti?". È il vicesegretario della Lega, non un pretoriano della Merkel. I due, rimbalzandosi reciprocamente le responsabilità, spiegano in modo confuso che "non lo reggiamo", scaricando sull'altro la propria responsabilità. La verità è che Giorgetti non è un teorico di nessun "piano B" mai sottoposto all'attenzione degli elettori. E chissà se, dietro l'aria sollevata con cui Salvini è uscito dal Colle, c'è la soddisfazione di colui che, in definitiva, non ha mai rinunciato alla prospettiva di tornare al voto. E adesso può farlo con una Santa Barbara piena di esplosivi contro il capo dello Stato, reo di non aver consentito la nascita di un governo voluto dagli italiani, eccetera eccetera.

Ora, il governo del presidente, tentativo morto sul nascere, con l'incarico che sarà affidato a Carlo Cottarelli. Un governo che nasce con l'obiettivo di portare il paese alle urne dopo l'estate. Sbaglia però chi pensa, tra i fautori della nuova ordalia elettorale, che tutto sia semplice e scontato. È vero, il governo di Cottarelli non nascerà. Ma siamo sicuri che questa vicenda, il discrimine su una questione di fondo come la difesa della dignità delle istituzioni, non sta producendo qualcosa tra i partiti? Già nel centrodestra si vede come questa fase di tensione tra Berlusconi e Salvini rende complicato far tornare l'orologio indietro a prima delle elezioni. E poi i Cinque Stelle, con Di Maio comunque sconfitto dopo aver puntato tutto sulla nascita del governo e su un profilo di credibilità, moderazione, affidabilità europea, già costretto a inseguire, con la richiesta di messa in stato d'accusa del capo dello Stato, l'ala più barricadera del movimento. E poi tra Salvini e Di Maio, con l'idillio che si rompe sull'impeachment. E poi vedremo chi e come proporrà agli italiani come "piano A" quell'uscita dall'euro che si voleva realizzare in modo mascherato, con la nomina di uno dei suoi teorici. Si vedrà, nei prossimi mesi, il peso della scelta di oggi. E comunque il percorso garantito sarà democratico. Non frutto di una violazione costituzionale.