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Giuseppe ConteUn uomo solo è al comando dell’Italia, e nessuno ha niente da ridire

Questo non è il momento delle polemiche, certo. Ma sarebbe rassicurante sapere quando lo sarà, prima di abituarci all’idea che discussioni e obiezioni siano solo un fastidio di cui si può fare a meno

Da alcune settimane, tecnicamente, un uomo solo è al comando dell’Italia, e nessuno sembra avere niente da ridire. Lo sappiamo, questo non è il momento delle polemiche. Ma sarebbe rassicurante sapere anche, possibilmente, quando quel momento verrà, prima di abituarci tutti all’idea che discussioni, obiezioni e ogni altra forma di espressione del dissenso siano solo «sterili polemiche», mentre sono l’esatto contrario. Il pluralismo è l’unica sostanza capace di fecondare davvero il terreno della democrazia liberale. Non sono infatti le polemiche a essere sterili, ma il conformismo; che si esprima con la sfacciataggine dell’unanimismo o nella pavidità del silenzio.

Sfortunatamente, il pluralismo è anche una delle risorse di cui l’Italia è storicamente più povera. Non per nulla, una delle migliori definizioni di populismo – risorsa di cui al contrario siamo da sempre ricchissimi – è quella che ne sottolinea il carattere radicalmente anti-pluralista. Per i populisti, quale che sia il concreto problema in discussione, ci sono sempre e solo due posizioni in campo: quella giusta, di chi pensa solo al bene del popolo (i populisti stessi, ovviamente), e quella sbagliata, che non è figlia di un altro punto di vista, ma solo di oscuri e inconfessabili interessi. L’idea che dietro le diverse posizioni politiche ci siano anche diversi interessi, tutti ugualmente legittimi, è infatti estranea al discorso populista (sfortunatamente, questa idea è anche il fondamento di ogni possibile forma di democrazia).

L’aspetto più insidioso dell’attuale situazione è che i populisti ragionano sempre come se fossero davanti a un’epidemia incontrollabile, e si trattasse soltanto di agire nel modo più rapido e più drastico possibile, troncando sul nascere ogni discussione. Anche il loro repentino passaggio dal fanatismo no-vax alla retorica diametralmente opposta – quella secondo cui ogni decisione del governo è insindacabile proprio perché coperta dall’insuperabile comitato tecnico-scientifico e dal chiarissimo professor Brusaferro – è una giravolta che può divertire gli avversari, ed è sicuramente un enorme passo avanti nel merito, ma non intacca il meccanismo fondamentale: da un lato ci sono i depositari della verità, dall’altro i nemici del popolo, fine del dibattito (del resto, se le cose stessero così, cosa ci sarebbe mai da dibattere?).

Sarà stato l’entusiasmo per il modello cinese, il clima da unità nazionale, le tante autorevoli pressioni o la paura di passare per sabotatori, è però significativo che per avere una ricostruzione critica dell’operato del governo in queste settimane – non fondata sul pregiudizio politico, ma su fatti, atti e dichiarazioni ufficiali – i fedeli lettori dei maggiori quotidiani del paese abbiano dovuto affidarsi ai giornalisti del New York Times (i quali, evidentemente consapevoli di offrire un servizio essenziale di cui attualmente in Italia abbiamo scarsissima disponibilità, sul loro sito ce lo hanno pure gentilmente tradotto in italiano). Se non lo avete già fatto, leggetelo. Qui ne riprendo un solo passaggio: «Venerdì, gli stretti collaboratori di Conte hanno concesso un’intervista al premier a condizione che potesse rispondere alle domande per iscritto. Una volta inviate le domande, tra cui ve ne erano alcune in merito alle prime dichiarazioni del Primo Ministro, si sono rifiutati di rispondere».

In compenso, il giorno dopo Giuseppe Conte annunciava l’ennesima stretta alle misure anti-contagio, di nuovo a tarda sera e prima che il testo definitivo fosse approntato, con una diretta Facebook (riporto qui la precisazione di Palazzo Chigi sul fatto che tutte le tv hanno potuto trasmettere comunque il segnale autonomamente, perché aggiunge quel pizzico di grottesco che in questo genere di articoli sta sempre bene). Ancora una volta, la più radicale limitazione delle nostre libertà costituzionali è stata affidata a un decreto della presidenza del Consiglio, che in quanto tale non passa né dal Quirinale né dal Parlamento. Solo da Facebook. Decreto di cui hanno continuato a girare bozze non definitive per quasi tutta la giornata di ieri, aggiungendo quindi ulteriore confusione al caos delle ordinanze regionali in competizione o in contrasto tra loro e con le iniziative governative, e degli ulteriori provvedimenti restrittivi assunti attraverso inedite ordinanze del ministero dell’Interno e della Sanità.

Ciliegina sulla torta, i più bei nomi del giornalismo italiano, ma anche politici e autorità di ogni ordine e grado, silenti o addirittura plaudenti su ciascuno dei passaggi summenzionati, alimentano da giorni una campagna contro il Parlamento, equiparando la proposta di utilizzare il voto elettronico a una sorta di tradimento, come se il problema fossero i parlamentari che «non vogliono lavorare». Quando si tratta di prendersela con il Parlamento e i partiti, evidentemente, è sempre il momento delle polemiche. Ma il problema è esattamente l’opposto (come ho già spiegato qui), perché l’esito di questa campagna sarà che presto il Parlamento dovrà essere considerato semplicemente inagibile. E questo sì, in giornate simili, è un lusso che non ci possiamo permettere.

Per ovvie e sacrosante ragioni di tutela della privacy, non sappiamo esattamente quanti parlamentari siano contagiati o in quarantena, sebbene il tema della tracciabilità e del cosiddetto modello coreano, che pure da giorni si dice il governo stia «studiando», imporrebbe di aprire una discussione anche su questo (già, ma dove? Sarà oggetto di una prossima diretta Facebook?). In ogni caso, quello che sappiamo con certezza assoluta, perché lo hanno detto loro pubblicamente, è che tra i contagiati ci sono già un esponente di Fratelli d’Italia, uno del Movimento 5 stelle e tre del Partito democratico. Cosa succederebbe dunque se uno di loro decidesse di partecipare ugualmente ai lavori dell’aula, violando la quarantena? È immaginabile che la polizia, sulla base di un decreto del presidente del Consiglio, impedisca a uno o più parlamentari di entrare in aula? Fermo restando che, data anche la disposizione dei seggi, basterebbe un singolo parlamentare contagiato per trasformare l’intera aula in un focolaio e ridurre a letto, nella migliore delle ipotesi, decine di suoi colleghi. A quel punto la stessa maggioranza parlamentare sarebbe l’effetto della pura lotteria del contagio.

In questo modo, alla sostanziale emarginazione delle Camere attraverso un uso a dir poco disinvolto del potere esecutivo, accompagnato come sempre nella storia italiana da una campagna di delegittimazione del parlamento in cui primeggiano intellettuali e opinionisti di gran nome, si aggiungerebbe la sua effettiva chiusura, chissà per quanto tempo, per ragioni sanitarie. Probabilmente con un altro dpcm, magari anche questo preannunciato su Facebook (sempre con piena facoltà di tutte le televisioni di trasmetterlo autonomamente, si capisce).