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Sull'omicidio di Giulio Regeni c'è (per fortuna) un giudice a Roma

I pm di Roma che indagano sul caso del giovane ricercatore di Fiumicello, stanno per notificare la chiusura dell’inchiesta ai cinque agenti della National Security egiziana. E intanto Conte...

Verità per Giulio Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Novembre 2020 - 11.41


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Caso Regeni. C’è un giudice a Roma. Forse c’è anche un premier. Di certo, non un ministro degli Esteri. anche un premier. Le indagini sull’uccisione di Giulio Regeni al Cairo, all’inizio del 2016, hanno imboccato una strada senza ritorno. I pm di Roma che indagano sul caso del giovane ricercatore di Fiumicello, ritrovato senza vita lungo l’autostrada del deserto tra la capitale egiziana e Alessandria, stanno per notificare la chiusura dell’inchiesta entro il 4 dicembre, termine previsto dalla legge, ai cinque agenti della National Security egiziana sospettati di essere i responsabili del sequestro e dell’omicidio del giovane italiano. Questo nonostante l’Egitto non abbia ancora comunicato, come più volte richiesto dalle rogatorie inviate da Roma, il domicilio degli indagati, mantenendo ben fermo quel muro di gomma con il quale più volte i procuratori si sono dovuti scontrare. Una protezione dei loro servizi segreti che adesso però dovrà fare i conti con una chiusura delle indagini da parte dei pm romani, ai quali il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha sempre mostrato, a parole, la massima disponibilità, dimostrando, nei fatti, l’esatto opposto.

E la telefonata di ieri tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il leader egiziano aveva proprio questo scopo, riferisce Repubblica: “Non c’è più tempo”, ora serve collaborazione, dovete comunicare i domicili degli indagati, avrebbe ripetuto il premier al presidente egiziano. Ma qui inizia la questione politica.

Dalla Farnesina, spiega Repubblica, fanno sapere che “la telefonata era avvenuta tra premier, senza aver avvisato i ministeri, e che la gestione è di Chigi“. L’imbarazzo è comune a molti esponenti della maggioranza. “Conte deve informare immediatamente i cittadini dei contenuti del colloquio con Sisi”, incalza la deputata Giusy Occhionero, mentre un ministro la pone sul versante strategico: “Ci stiamo assumendo una responsabilità troppo grande: non abbiamo richiamato l’ambasciatore per consultazioni fidandoci degli egiziani. Se ci sbattono la porta in faccia, come ci giustificheremo?”.

La morte di Giulio Regeni e l’ipotesi del complotto in Egitto

Secondo quanto emerge dalle indagini Giulio Regeni era “accusato” dal governo egiziano di essere una spia e di avere rapporti con il sindacato che si oppone all’attuale capo di stato, il generale al-Sisi. Il presidente in carica dell’Egitto è salito al potere con un colpo di stato militare attraverso il quale nel 2013 ha destituito il presidente eletto Mohamed Morsi ed ha contratto in maniera netta le libertà e i diritti civili.

Il ritrovamento del cadavere

Regeni dopo una settimana di indicibili torture, il 3 febbraio 2016, è stato trovato morto in un fosso a poca distanza dalla sede dei servizi segreti locali nei pressi del Cairo. Giulio Regeni aveva 28 anni al momento della sua assurda morte ed era un dottorando presso l’Università di CambridgeLa eco dell’omicidio è stata subito immensa, cosi come immensa è stata l’indignazione. Indignazione che ha portato la giustizia italiana ad aprire un’indagine con al centro l’azione dei servizi segreti dell’Egitto.

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Le reticenze egiziane

Ma la collaborazione alle indagini da parte del Paese guidato da Al-Sisi è sempre stata minima. La scarsa azione diplomatica del governo italiano nel periodo 2016-2018 frenato da debolezza politica e meschini calcoli economici ha fatto il resto, rallentando, non poco, il raggiungimento della verità.

La svolta

Ora la svolta. Il prossimo 4 dicembre saranno chiuse ufficialmente le indagini ma le prove del complotto degli 007 egiziani contro Giulio Regeni sono già inconfutabili. Il premier Conte ha cosi deciso di sbloccare lo stallo e ha comunicato al presidente Al-Sisil’avvio del processo invitandolo a collaborare perché “non c’è più tempo”. La pressione svolta da Palazzo Chigi, senza il diretto coinvolgimento della Farnesina, Di Maio non l’ha presa bene ma si piegherà all’azione del presidente del consiglio, è di quelle importanti.

Morte Regeni un giusto processo per il complotto teso in Egitto

Conte, infatti, secondo quanto riporta Repubblica è pronto a ritirare l’Ambasciatore se dall’Egitto non arriverà la dovuta collaborazione. La richiesta è chiara, consegnare alle autorità italiane i militari egiziani responsabili dell’omicidio di Giulio Regeni, per sottoporli a giusto processo. Il dado è tratto.

La freddezza del despota

Che al-Sisi possa accedere alla richiesta di Conte è fantapolitica. A conferma c’è anche la sparagnina nota con cui la presidenza egiziana ha dato notizia della telefonata di ieri. Il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi ha ricevuto stamani (ieri) una telefonata dal premier italiano Giuseppe Conte, in cui sono stati esaminati “gli ultimi sviluppi della cooperazione congiunta tra le autorità giudiziarie in merito alle indagini in corso sul caso dello studente italiano Giulio Regeni” ucciso al Cairo all’inizio del 2016. A riferirlo è una nota del portavoce della presidenza egiziana, sottolineando che “al-Sisi ha elogiato le ottime relazioni tra i due paesi nei vari campi, politico, militare ed economico, così come la cooperazione per affrontare molte sfide nella regione del Mediterraneo orientale, in particolare la lotta all’ideologia estremista ed il terrorismo”. Al-Sisi, prosegue la nota, ha inoltre ribadito “l’importanza che l’Egitto attribuisce allo sviluppo della cooperazione tra Egitto e Italia in diversi ambiti, ed al coordinamento e consultazione in merito a varie questioni regionali”.

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Più che un comunicato sembra un pizzino. Minaccioso. Non una parola sulla richiesta italiana, ma un elegio delle “ottime relazioni” tra i due paesi in campo economico, militare e per la stabilizzazione del Mediterraneo. Traduzione: vi abbiamo comprato due fregate, le vostre aziende, pubbliche e private continuano a fare affari su affari con noi, in Libia ci chiedete un aiuto per farvi restare in partita e magari anche ottenere, dopo oltre due mesi, il rilascio dei 18 pescatori italiani nelle mani del protetto di al-Sisi in Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, e voi ora volete pure giustizia per quel povero giovane! Ma quando mai. 

Promemoria per gli “smemorati” di governo

Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a decine di migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Un conteggio ufficiale non è stato fatto, ma attivisti per i diritti umani egiziani, con la garanzia dell’anonimato per non fare una brutta fine, hanno detto a Globalist che un conteggio in difetto, porta a non meno di 43.000 desaparecidos. Per comprendere l’enormità di questo crimine, va ricordato che, tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, sono scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali – 9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep) – su 40.000 vittime totali. 

Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agency.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).   Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.

Il principe degli “smemorati” alberga alla Farnesina. Luigi Di Maio, improponibile ministro degli Esteri,  per al-Sisi ha un debole. Tanto da affermare: “Al Sisi ha detto ‘Giulio Regeni è uno di noi’. Credo che visite come queste possano contribuire ad accelerare l’accertamento della verità”. Il Cairo, 29 agosto 2018. Di Maio era in missione ufficiale in qualità di ministro dello Sviluppo economico, Lavoro e politiche sociali, nonché vice presidente del Consiglio, nel Conte I. L’Egitto, ha sottolineato in quell’occasione Di Maio: “È un Paese che ci è sempre stato amico. Ho avuto la confermato che loro ci vedono come uno dei Paesi più amici”. Le relazioni tra i due Paesi, secondo il ministro, “possono essere un’occasione ulteriore per stabilizzare la situazione in Libia”. Profezia, quest’ultima, rivelatasi una fake. Al-Sisi, sostenitore di Haftar, non ci si fila proprio. 

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 Una svolta giudiziaria, ma la Farnesina…

Siamo di fronte ad una importante accelerazione della Procura di Roma – dice a Globalist Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, da sempre in prima linea nella battaglia per fare piena luce su mandanti ed esecutori dell’omicidio Regeni – che decide comunque di andare a processo e questo ha generato nella presidenza del Consiglio una reazione commisurata alla svolta che ha dato la Procura di Roma. In un contesto nel quale in Egitto la situazione dei diritti umani si sta deteriorando senza precedenti, perché non era mai accaduto che nel giro di cinque giorni 3 dirigenti di una delle più importanti Ong egiziane – Iniziativa egiziana per i diritti della persona (Eipr) – venissero arrestati con l’accusa di terrorismo.  Sul caso Regeni assistiamo ad una svolta potenzialmente importante. Trovo singolare che in una vicenda di politica bilaterale estera, la Farnesina si tiri fuori. E questo fa pensare che nel Governo italiano ci sia chi abbia più a cuore le relazioni economiche che i diritti umani, però mi pare di poter dire che da qui a quindici giorni la speranza è che accadano fatti nuovi. E’ una situazione – insiste Noury – in cui in quindici giorni può succedere qualcosa sul piano della collaborazione, forzata a questo punto delle autorità egiziane nei confronti di quelle italiane per la vicenda giudiziaria che riguarda l’omicidio di Giulio Regeni; può accadere qualcosa nelle prossime ore perché c’è l’ennesima udienza per Patrick Zaki; può accadere qualcosa se la pressione delle diplomazie europee sull’Egitto cresce per far sì che i 3 dirigenti dell’Eipr vengano scarcerati. Insomma, è un periodo di attesa ma mi sembra di poter dire che rispetto ai mesi scorsi questa fessura di quindici giorni potrebbe essere piena di fatti. Almeno questa è la speranza”.

 

 

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