Quando, negli anni Ottanta, preparai l’esame di diritto pubblico sulle dispense del prof. Alessandro Pace, Problematica delle libertà costituzionali, non avrei mai creduto di poter essere personalmente testimone di quella che mi pareva un’ipotesi di studio puramente astratta: la sospensione delle libertà costituzionali.

È ciò che stiamo vivendo in questi giorni, chiusi in casa dalle disposizioni dei diversi Dpcm (che dal punto di vista formale non costituirebbero fonti del diritto ma semplici atti amministrativi, come i Dm, probabilmente adottati in quanto meglio si adatterebbero alla predisposizione di un regolamento sanitario). Così, come se nulla fosse, in un lasso di tempo incredibilmente breve ci troviamo limitati in diritti che la nostra Costituzione sancisce, consacra e dichiara inviolabili, irrinunciabili e indisponibili, stabilendo a quali condizioni, e da parte di quali autorità, essi possano subire eventuali limitazioni, garantendo che possano essere adottate solo se motivate da casi di eccezionale gravità (e quello attuale indiscutibilmente lo è).

Parliamo dei diritti di libertà, contenuti nella nostra Carta nel Titolo I della Parte I – rapporti civili: dall’art.13, sulla libertà personale, inteso qui in particolare come libertà da qualunque tipo di costrizione che possa ostacolare movimenti e azioni, all’art. 16, secondo cui “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”, con il secondo comma che aggiunge la libertà di muoversi da e verso l’estero (con e senza Schengen, tutto è saltato con la pandemia); già qui, però si parla delle “limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.

C’è poi la libertà di riunione dell’art.17 per cui, in luogo aperto al pubblico (cinema, teatro, stadio), non sarebbe neanche richiesto preavviso, ma le autorità possono vietarle “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”, com’è chiaramente il nostro caso. Ma noi oggi siamo ben oltre, con il divieto espresso di “andare a trovare un amico” anche a casa sua, e persino di andare da un proprio familiare (si cerca di limitare i contagi, naturalmente). Si può uscire di casa solo per necessità, è ben chiaro.

Sul diritto di associazione dell’art. 18 glissiamo senza indugi, mentre due parole vanno dette sul “diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata” per cui l’unico limite previsto dall’art. 19 sarebbe “purché non si tratti di riti contrari al buon costume”, qualunque cosa questo possa ormai significare. Il problema non si pone, visto che la Chiesa cattolica ha adottato autonomamente e in buon anticipo variazioni nella liturgia e nelle cerimonie per mettere in sicurezza tanto i fedeli quanto gli ecclesiastici. C’è lo streaming a sopperire a tutto ma non sarà la stessa cosa, se pensiamo alle celebrazioni in vista della prossima Pasqua. E il papa gira da solo per le strade di Roma.

D’altronde è stato sospeso persino il pellegrinaggio alla Mecca, laddove un microscopico procariota è riuscito a ottenere ciò che probabilmente nessuna catastrofe bellica avrebbe potuto fare. Qualche dubbio potrebbe sorgere sul punto in cui l’art.19 parla di libertà per qualsiasi religione di esercitare il culto e fare “propaganda in privato o in pubblico”: è apparso come battuta in qualche meme che ha girato nel web, sulla forte spinta al proselitismo su cui si basano normalmente certe confessioni.

La libertà di opinione e manifestazione del pensiero dell’art.21 sono sperabilmente intatte, mentre per quanto riguarda i diritti di agire in giudizio e difesa e altri relativi alla funzione giurisdizionale, si tratta semplicemente di sospensione con rinvio di tutti i procedimenti. Si spera che non si metta in dubbio il blocco della prescrizione, almeno stavolta.

Un cenno, per il ruolo che ricopro, devo farlo su tutte quelle attività che nelle carceri, in osservanza del terzo comma dell’art.27, vanno a costituire il trattamento finalizzato alla rieducazione del condannato: tutte necessariamente sospese, così come i colloqui con i familiari, con le prevedibili conseguenze cui abbiamo dovuto assistere.

Al di là dei rapporti civili, nell’attuale fase di emergenza sono compressi altri diritti imprescindibili e irrinunciabili che la nostra Costituzione pone a fondamento dell’intera struttura sociale, politica e istituzionale, sottraendoli persino alla possibilità di revisione da parte del Parlamento: penso ad esempio al diritto di voto, con il rinvio del referendum confermativo della riforma sul numero dei parlamentari (poco male, a mio parere, visto che si trattava di una consultazione inutilmente costosa, dall’esito scontato, promossa da Matteo Salvini e altri solo per giochetti di tattica politica).

Siamo al cospetto di una crisi che mette in discussione tutto ciò su cui si sono basate le nostre vite fino all’altro ieri, dagli aspetti ludico-sportivi (non solo lo stop al calcio, che non sarebbe niente male, ma F1, classiche del ciclismo e ranking Atp di tennis sono sospesi e si teme persino per le Olimpiadi) e culturali (annullato il Festival di Cannes e concerti), fino a un crollo dal punto di vista economico-finanziario di cui ancora non possiamo immaginare gli scenari e gli esiti. Quel che è certo, ci sarà una ridefinizione degli equilibri geopolitici mondiali.

Per gli aspetti giuridici, assistiamo a governatori e sindaci che, in base a non si capisce bene quale autorità, possono minacciare il più rigoroso coprifuoco mai immaginato. Ma il discorso qui vira dalla legalità verso la legittimità di simili misure, che trovano consenso unanime per l’eccezionalità del pericolo per salute e incolumità pubblica che la collettività avverte, con una sorprendente adattabilità e persino la diffusione di atteggiamenti “più realisti del re”, come testimonia il tragicomico fenomeno di chi indossa la mascherina pur stando da solo in macchina.

Meriterebbe una trattazione a parte il discorso sull’accettazione diffusa, quindi profonda interiorizzazione e dunque inimmaginabile e sorprendente efficacia delle norme da parte di una popolazione tradizionalmente anarcoide e refrattaria al senso civico come quella italiana. Siamo, come tante altre volte nella storia, in prima linea nella sperimentazione in atto e secondo me ce la stiamo cavando bene.

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