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Conte e Di Maio in Libia: liberi i pescatori italiani

Il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri hanno incontrato Haftar a Bengasi. Si conclude così la prigionia iniziata lo scorso settembre. Ma il viaggio di ritorno potrebbe ritardare per problemi al motore di uno dei due pescherecci siciliani. I familiari: "Per noi oggi è già Natale"
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IL SINDACO di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci, li festeggerà con i fuochi d’artificio: “Li aspettiamo domenica, faremo una grande grande festa per accogliere i nostri pescatori liberati. Da oggi si apre una nuova era. Chiediamo al governo di avviare una nuova politica per tutelare i nostri marittimi nel Mediterraneo”.

I 18 pescatori sequestrati il 1° settembre al largo di Bengasi rientreranno con i loro pescherecci in Italia. Per ottenere la loro liberazione, dopo più di 100 giorni di detenzione, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio sono stati costretti a volare fino a Bengasi, per incontrare il maresciallo Khalifa Haftar, il capo militare che controlla l’Est della Libia.

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Prima di decidere questo passo, un gesto politicamente impegnativo nei confronti di un capomilizia, il primo ministro e il responsabile della Farnesina si sono confrontati a lungo con il direttore dell’Aise, il servizio di sicurezza per l’estero. Il generale Gianni Caravelli da anni è in contatto con Haftar. La richiesta del libico era di questo viaggio “politico” a Bengasi, un ennesimo riconoscimento di ruolo per il capo milizia che da anni sta provando a pendere il controllo di tutta la Libia. Conte e Di Maio hanno accettato di farsi ricevere dal maresciallo a Bengasi, e dopo l’incontro è arrivato il via libera ai pescatori. 

Secondo l’agenzia di stampa Nova, il viaggio di ritorno dei pescherecci con gli equipaggi potrebbe essere ritardato per problemi al motore di una delle due imbarcazioni. L'impianto del Medinea non si è acceso dopo mesi di inattività. I pescatori stanno comunque preparando la traversata per la Sicilia che dovrebbe durare dalle 40 alle 48 ore, a seconda delle condizioni meteo nel Mediterraneo, attualmente sfavorevoli, ma in miglioramento.

“Per noi oggi è già Natale. Finalmente potremo riabbracciarli”, ha detto Giusy Asaro questa mattina: “Li sentiremo al telefono, quando torneranno faremo una grande festa”.

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Era il primo settembre, quando i diciotto marittimi (otto italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi) erano stati bloccati dalla guardia costiera di Haftar al largo di Bengasi I marittimi erano a bordo di due pescherecci di Mazara del Vallo, "Antartide" e "Medinea", costretti a entrare in porto dai libici, che avevano sequestrato prima un membro dell’equipaggio per ciascuna imbarcazione, costringendo gli altri a seguirli in porto con le imbarcazioni.

Per giorni l’accusa avanzata dall’autorità parallela di Bengasi (il governo ufficiale libico è a Tripoli) era di avere violato le acque territoriali, pescando all'interno di quella che ritengono essere un'area di loro pertinenza, in base a una convenzione che prevede l'estensione della Zee (zona economica esclusiva) da 12 a 74 miglia.

Qualche giorno dopo le milizie di Haftar avevano anche inscenato un sequestro di droga a bordo di uno dei pescherecci, con tanto di pacchi misteriosi fotografati su una banchina davanti a una delle navi. L’accusa di droga è però caduta molto presto, o perlomeno non è stata utilizzata. I libici chiedevano anche la liberazione di 4 giovani libici che nel 2015 avevano fatto una traversata verso la Sicilia ed avevano svolto a bordo un ruolo di scafisti. Nel naufragio dell’imbarcazione su cui viaggiavano i 4 erano morti più di 40 migranti. Per settimana Haftar aveva avanzato la richiesta di avere indietro i 4 scafisti per la liberazione dei pescatori. Non è chiaro come sia stata chiusa questa parte della trattativa.