I matti
Nel nostro istituto si iscrivono studenti provenienti da tutta la valle valdese, che si estende dalla cintura ovest del capoluogo fino alle pendici dei comuni montani. Sono numerosissimi, tutti diversi, e noi insegnanti di sostegno lavoriamo ogni giorno per rispondere ai bisogni di ciascuno. Un occhio di riguardo va a coloro che portano con sé una disabilità. E’ il lavoro più bello del mondo, anche se è molto sfidante e raramente compreso. Delle brave assistenti ci aiutano ad ogni passo, collaborando fianco a fianco in tutti i progetti, le attività laboratoriali, le uscite didattiche. Nulla sarebbe possibile senza il loro lavoro. Ma la rete di connessioni e sinergie è più ampia di così: l’inclusione si estende oltre i confini delle mura scolastiche, e diventa potente solo quando interseca quello della Croce Rossa e della Croce Verde ad esempio, dell’ANPAS, delle associazioni di volontariato, ma anche delle educatrici e degli educatori di comunità, delle terapeute del sistema pubblico e privato, della neuropsichiatria infantile dell’ASL, del Centro di Salute Mentale, e di molti altri enti. Il centro nevralgico sono i nostri ragazzi. Ciascuno di loro per noi è speciale, ma qualcuno, ogni tanto, nel corso della carriera di un insegnante, lo è di più. Vuoi perché è più fragile, vuoi perché ha una storia più difficile alle spalle. In quei casi gli sforzi quadruplicano, le persone intorno a quello studente e quella famiglia si stringono e nascono progetti più complessi e articolati. Lo scopo ultimo è soccorrere la fragilità, sostenere, aprire uno spiraglio di possibilità, dare futuro. Madri che non riescono a fare la spesa, vedove, padri che lottano per la ricerca di un impiego, o di una nuova casa. Questa valle è ricca e benestante, eppure c’è tanto bisogno. Grazie a questo lavoro l’ho capito. Gli sforzi e il lavoro congiunto del dipartimento di sostegno del mio Istituto operano tutti in questa precisa direzione: lottare, lottare ancora e vincere la partita della discriminazione sociale. Tre anni fa abbiamo lanciato un progetto di assistenza a trecentosessanta gradi rivolto a una famiglia particolare e ai bisogni speciali della figlia maggiore, iscritta al primo anno in una classe del liceo economico-sociale. Sei insegnanti di sostegno, due assistenti all’integrazione, l’intero Consorzio locale dei servizi sociali, la neuropsichiatria dell’ospedale e tanti altri attori volontari si sono messi in moto per accompagnare il percorso scolastico di quella studentessa. In tre anni abbiamo realizzato laboratori teatrali, attività di art-therapy, uscite alla fattoria didattica, percorsi di stimolazione sensoriale, incontri con specialisti della musica, del canto, della recitazione. L’intero dipartimento di sostegno ha coinvolto tutti gli altri studenti con disabilità, e di riflesso le relative classi di compagni, con l’obiettivo generale di sensibilizzare sul tema - controverso - della discriminazione e dell’isolamento sociale dovuto alla disabilità. Purtroppo la disabilità è spesso invisibile, non vince mai. Per molti, i nostri ragazzi sono ancora “i matti”, le stanzette in cui ci asserragliamo sono ghetti, che i nostri progetti non meritano un finanziamento dal FIS. Spesso mi hanno domandato se ho paura, visto che ogni tanto prendo botte, graffi e sputi in faccia da questi ragazzi ultimi, dimenticati, un po’ spacciati. Sono finito due volte al pronto soccorso. Però tutte le volte rispondo che no, non ho paura dei miei ragazzi, al massimo della gente fa domande così.
19/02/2024