22 Nov 2023

Guerra Israele-Hamas: 8 mappe per capire l’escalation

La dimensione geografica è una componente importante per comprendere e analizzare gli ultimi sviluppi della guerra in Medio Oriente.

L’escalation in Medio Oriente, iniziata il 7 ottobre scorso con l’attacco di Hamas a Israele e proseguita nelle settimane successive con l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, affonda le radici in uno specifico contesto storico e politico, ma anche geografico. L’operazione di Hamas nei territori israeliani ha provocato la morte di più 1.200 persone, molte delle quali civili, mentre nella Striscia di Gaza – secondo il ministero della Sanità locale – il bilancio delle vittime ha superato quota 14mila. Al netto dei bilanci, delle dichiarazioni politiche, della propaganda e delle analisi a posteriori, è sempre utile collocare gli eventi in una spazialità geografica definita. Con questo obiettivo abbiamo selezionato 8 mappe, in modo da contestualizzare al meglio le notizie e gli sviluppi della guerra in corso.

Il 27 ottobre, a venti giorni esatti dall’attacco di Hamas – considerato un’organizzazione terroristica da Stati Uniti e Unione Europea – le Forze di difesa Israeliane (IDF) hanno intensificato la loro campagna di bombardamenti sulla Striscia di Gaza, per poi avviare un’incursione di terra su larga scala nell’enclave costiera palestinese. Colonne dell’esercito israeliano – comprese unità di fanteria, carri armati e del genio militare – sono penetrate nella Striscia da nord e da ovest, isolando nei giorni successivi Gaza City e il nord dell’enclave dalla zona meridionale. Nei giorni precedenti il ministro della Difesa israeliano aveva annunciato il “blocco totale” della Striscia, vietando oltre all’elettricità anche l’ingresso di cibo e carburante e chiedendo ai civili di evacuare tutta la zona settentrionale dell’enclave costiera spostandosi verso sud.

La Striscia, divisa convenzionalmente a metà dal Wadi Gaza, è una piccola regione costiera che ospita oltre 2 milioni di palestinesi, un dato che la rende una delle aree più densamente popolate al mondo. Situata tra Israele ed Egitto, lungo il Mar Mediterraneo, si estende su una superficie di circa 360 chilometri quadrati ed è parte integrante dei Territori palestinesi. La popolazione della Striscia di Gaza è particolarmente giovane, con stime dell’UNICEF che indicano la presenza di circa un milione di minori. Inoltre, secondo l’UNRWA, più di 1,4 milioni dei residenti sono rifugiati palestinesi. Hamas governa di fatto quest’area dal 2007, dopo aver sconfitto il partito rivale Al-Fatah alle elezioni dell’anno precedente e nella sanguinosa lotta intestina che ne seguì.

La Cisgiordania, invece, è una regione situata nella zona occidentale del fiume Giordano, a est di Israele, ed è abitata da quasi 3 milioni di palestinesi. Dopo la Prima guerra mondiale, la zona venne posta sotto il controllo britannico come parte del Mandato in Palestina. Nel 1947, l’ONU propose un piano di spartizione che avrebbe dato vita a due Stati, uno ebraico e uno palestinese, con la maggior parte dell’attuale Cisgiordania destinata a diventare parte della nuova Palestina. Tuttavia, il piano di spartizione non venne accettato dagli arabi e dopo le guerre arabo-israeliane, nel 1993, gli Accordi di Oslo aprirono la strada a una parziale autonomia palestinese in alcune zone della Cisgiordania, suddividendola in aree A (sotto controllo della neonata Autorità nazionale palestinese), B (con controllo congiunto) e C (sotto il controllo israeliano).

L’ultima escalation tra Hamas e Israele non riguarda solo la Striscia di Gaza, nè tantomeno i soli Territori palestinesi. Il conflitto, infatti, ha anche una dimensione regionale. Il conflitto, infatti, ha interrotto un processo di normalizzazione tra Tel Aviv e diversi paesi arabi, che a partire dal 2020 avevano iniziato a instaurare relazioni diplomatiche, economiche e commerciali con Israele, rimasto isolato sin dalla sua fondazione nel 1948. Con gli Accordi di Abramo – fortemente patrocinati dagli Stati Uniti – Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Sudan e Marocco hanno normalizzato i loro rapporti con Israele. Anche l’Arabia Saudita sembrava vicina a una decisione in tal senso, ma l’attacco del 7 ottobre ha messo in crisi, o perlomeno rallentato, il processo di normalizzazione.

Un’altra dinamica regionale del conflitto riguarda la possibilità che la guerra si allarghi. L’area del Medio Oriente, infatti, presenta vari “punti di attrito” tra Israele e Iran, storicamente avversari regionali, in particolare per quanto riguarda i movimenti politici e milizie filo-Teheran in Libano, Siria, Iraq e Yemen. Questi attori, tra cui spicca il partito milizia libanese Hezbollah, formano quello che spesso viene definito “asse della resistenza”, che ha nell’Iran il suo punto di riferimento. Sin dalle prime ore del conflitto, come ha chiarito anche il leader del partito libanese Hassan Nasrallah, le forze di questa compagine si sono mobilitate in solidarietà con i palestinesi contro Israele. Ciononostante, per il momento, gli scontri con Israele e con le forze statunitensi dispiegate in Medio Oriente si sono limitati a “scambi di fuoco” circoscritti, senza aprire dei veri e propri fronti di guerra ulteriori.

Al di là delle relazioni ufficiali intessute da alcuni Stati arabi con Israele, il sostegno alla causa palestinese continua a galvanizzare l’opinione pubblica araba e del mondo arabo-islamico. Nei paesi che hanno stabilito relazioni diplomatiche con lo Israele (tra cui l’Egitto nel 1979, la Giordania nel 1994) la maggioranza delle popolazioni non ha condiviso le ragioni politiche ed economiche del riavvicinamento. Per questo già all’indomani dell’inizio del nuovo conflitto centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza sventolando bandiere palestinesi e intonando slogan anti-israeliani, in una mobilitazione inedita che per numeri e intensità.

A livello internazionale, la guerra ha diviso profondamente la scena diplomatica. Il 27 ottobre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a favore di una proposta di tregua nella Striscia di Gaza. La mozione, presentata da una cordata di stati arabi e in particolare dalla Giordania, ha ottenuto 120 voti favorevoli, 14 contrari, e 45 astensioni. Tra i “no” spiccano quello scontato di Israele e anche quello degli Stati Uniti. Il testo è stato appoggiato da Russia, Cina, Brasile e da gran parte dei paesi a maggioranza musulmana. Particolarmente ampio è il fronte degli astenuti, che insieme a paesi come Canada, Australia e India, vede la presenza di molti stati europei come Germania, Regno Unito e Italia. Se dopo l’attacco del 7 ottobre Israele aveva ottenuto ampio sostegno e vicinanza politica a livello internazionale, la dura risposta armata nella Striscia di Gaza – il cui obiettivo dichiarato è quello di sradicare Hamas – ha inevitabilmente suscitato perplessità, se non aperte condanne, da parte di un numero crescente di paesi.

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