24 Apr 2020

Fase 2: morti sommerse, “eccesso” di zelo?

Datavirus

 L’Oms denuncia: la metà dei decessi COVID-19 in Europa sono avvenuti in case di cura. “Una tragedia inimmaginabile”, sostiene l’organizzazione attraverso il direttore regionale Oms Europa. In parte anche una tragedia sommersa perché, come sappiamo dal caso italiano, è improbabile che a molte di queste persone sia stato fatto un tampone per accertarne la positività al nuovo coronavirus, ed è dunque altrettanto improbabile che siano conteggiate nelle statistiche ufficiali. Ma non ci sono solo le persone morte nelle case di riposo: ci sono anche tutte quelle morte nelle loro case, o persino in ospedale, per le quali non c’è stato tempo di fare il tampone.

La domanda sorge dunque spontanea: quante sono le morti “sommerse”? Saperlo è importante per prepararsi nella maniera migliore possibile alla Fase 2. Da un lato, serve a misurare quanti danni possa fare il virus quando riesce a diffondersi in luoghi popolati di persone anziane e vulnerabili, dentro o fuori le case di cura. Dall’altro, avere un’idea della dimensione effettiva dell’eccesso di mortalità associato all’epidemia di COVID-19 in ciascun paese è fondamentale per stimare la diffusione dell’infezione, a livello sia nazionale sia regionale. Dobbiamo infatti sempre ricordare che, in assenza di studi sierologici affidabili, uno dei pochi metodi attualmente disponibili per stimare la prevalenza dell’infezione è proprio quello di basarsi sul numero di decessi COVID-19 effettivamente avvenuti.

Abbiamo dunque deciso di raccogliere i numeri disponibili sull’eccesso di mortalità in sette Paesi europei (Francia, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera), per confrontarli poi con il numero ufficiale di decessi COVID-19 registrati nello stesso periodo. Ci attendiamo che tra le due misure ci sia una certa discrepanza, e che questa discrepanza ci restituisca la dimensione della reale entità dell’epidemia nei paesi considerati.

Prima di farlo, però, vanno fatte due premesse importanti. Primo: la finestra temporale delle nostre osservazioni varia da paese a paese, per due ragioni. Innanzitutto perché ciascun istituto statistico nazionale ha limiti nella capacità di raccogliere statistiche puntuali sulla mortalità, validarle e offrirne una prima stima in tempi così rapidi. Basti pensare che, prima della pandemia, dovevano passare almeno quattro mesi prima che gli istituti europei più attrezzati rilasciassero le statistiche riferite al mese in corso. Per intenderci: per il dato di marzo si sarebbe dovuta attendere la fine di luglio. Inoltre, a seconda del paese, il dato può essere divulgato a livello giornaliero (lo fanno Francia e Italia), settimanale (molti paesi) o già aggregato (è il caso della Spagna). Infine, l’epidemia di COVID-19 ha colpito i diversi paesi europei con tempistiche e velocità differenti. Non avrebbe dunque senso calcolare l’eccesso di mortalità partendo dai mesi, le settimane o i giorni precedenti al momento in cui l’epidemia ha cominciato ad accelerare.

La seconda premessa si riferisce alla puntualità delle comunicazioni del numero di deceduti da parte delle organizzazioni preposte a farlo in ogni paese (generalmente, le anagrafi comunali). La registrazione dei certificati di morte può avvenire con ritardi superiori alla settimana. È dunque inevitabile che il bilancio riportato qui di seguito sia provvisorio, e che vada aggiornato mano a mano che nuovi numeri diventano disponibili. In particolare, i dati più recenti (giorni o settimane) sono quelli che tendono a subire correzioni e integrazioni maggiori, e dunque ci si attende aumenteranno anche significativamente. Qui si è scelto di non tentare di correggere i dati più recenti (per esempio cercando di prevederne il valore “corretto”): per questo motivo, quelle presentate qui di seguito saranno stime che tenderanno a calcolare un eccesso di mortalità inferiore rispetto a quello che potremo constatare tra qualche settimana.

 

La figura qui sopra mostra i risultati della nostra analisi.[1] In blu, l’eccesso di mortalità fatto registrare quest’anno da ciascun paese, rispetto alla media degli anni 2015-2019. Come si può notare, tutti e sette i paesi hanno un eccesso di persone decedute rispetto agli anni precedenti, e per tutti e sette questo eccesso supera anche il numero di morti COVID-19 conteggiati nello stesso periodo. Ci aspettiamo che sia così: il dato in blu dovrebbe includere le persone incluse nel dato arancione, e la differenza dovrebbero essere le persone non conteggiate e morte nel corso dell’epidemia (non necessariamente tutte positive; alcune potrebbero essere morte a causa dell’eccessivo stress sanitario). La Spagna, per esempio, tra il 17 marzo e il 16 aprile ha fatto registrare un eccesso di mortalità di circa 27.000 persone, mentre il numero di malati COVID-19 deceduti è stato inferiore ai 21.000.

In tutto, nei sette paesi considerati sono morte 86.510 persone in più rispetto alla media dei cinque anni precedenti, mentre le morti di persone positive al nuovo coronavirus registrate dagli enti statali preposti di ciascun paese sono state 58.314. Insomma, mancherebbero all’appello oltre 28.196 persone decedute in uno dei sette paesi europei nel corso dell’epidemia, e che negli anni scorsi non sarebbero probabilmente venute a mancare in questo periodo. In media, dunque, in questi sette paesi europei non sarebbe stato contato 1 morto ogni 3.

 

Naturalmente, mettere a confronto numeri assoluti può restituire una visione distorta della sottostima della mortalità in ciascun paese, sia a causa del diverso numero di persone che vi abita, sia per il diverso stadio che ha raggiunto l’epidemia. Il grafico qui sopra propone dunque un confronto che normalizza a uno i decessi COVID-19 ufficiali in ciascun paese, confrontandolo con l’eccesso di mortalità. In questo caso la situazione appare molto più omogenea. Francia, Italia, Spagna, Svezia e Svizzera hanno tutte una sottostima dei morti nel corso dell’epidemia molto simile. Per ogni quattro morti conteggiati, uno tende a sfuggire all’osservazione. La situazione in Regno Unito e Paesi Bassi appare invece nettamente più seria: in entrambi i paesi, per ogni morto COVID-19 conteggiato c’è almeno un’altra persona morta nel corso dell’epidemia che sfugge ai conteggi (nei Paesi Bassi, persino di più).

Da questi dati possiamo trarre alcune conclusioni. Innanzitutto non è vero, come è stato detto a più riprese nelle ultime settimane, che l’Italia sarebbe tra i paesi che sottostimano maggiormente l’entità dell’epidemia in Europa. Anzi, l’Italia appare del tutto in linea a quattro altri paesi europei, mentre le due vere eccezioni, in negativo, sarebbero Regno Unito e Paesi Bassi. In secondo luogo, quell’eccesso di mortalità può aiutare a stimare meglio le reali dimensioni dell’epidemia in ciascun paese, che saranno di circa il 30% più ampie di quanto non avremmo potuto stimare utilizzando esclusivamente il numero di decessi COVID-19 ufficiale.[2] Infine, se l’obiettivo vuole essere quello di facilitare il monitoraggio dell’epidemia nel corso della “Fase 2”, una sottostima di almeno il 30% – e che in un paio di casi sfiora o supera il 100% – è ancora troppo alta: le autorità sanitarie di ciascun paese dovrebbero mettere a punto sistemi di tracciamento e raccolta dati in tempo quasi reale che consentano di avere una fotografia migliore dello stato dell’avanzata epidemica. Solo così sarà possibile evitare il comparire, di soppiatto, di nuove Codogno, Heinsberg e Ischgl.

 

[1] I periodi presi a riferimento e le fonti sono: (1) Francia: INSEE, 9 marzo – 6 aprile 2020; (2) Italia: ISTAT, 1 marzo – 4 aprile; (3) Spagna: ISCII, 17 marzo – 16 aprile; (4) Svezia: FSO, 22 marzo – 12 aprile; (5) Svizzera: SCB, 20 marzo – 10 aprile; (6) Regno Unito: ONS + NRS + NISRA, 20 marzo – 10 aprile.

[2] Andrebbe considerato, tuttavia, che questa correzione potrebbe essere apportata solo supponendo che l’intero eccesso di mortalità sia da attribuire a persone decedute dopo essere state infettate da SARS-CoV-2. Va invece ipotizzato che almeno una parte di tale eccesso sia attribuibile allo stress sanitario sperimentato da ciascun paese, che non ha permesso ad alcune persone non infette di essere ammesse in tempo in ospedale e/o di ricevere cure adeguate nel corso di un’emergenza o per patologie pregresse. Esistono metodi per tentare di separare l’eccesso di mortalità nelle sue due componenti, COVID e non-COVID, ma non lo si utilizza perché non è questo l’obiettivo dell’articolo.

 

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