Coronavirus. Ricciardi: “la messa non si può fare in nessuna parte d’Italia”. Il Vicariato conferma. Cei: “collaborazione piena e fiduciosa con le istituzioni”

Il cardinale di Firenze Giuseppe Betori e il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, tra i primi hanno preso l’iniziativa di rivolgersi ai sacerdoti delle loro diocesi per raccomandare di sospendere in qeuesti giorni la celebrazione delle messe come disposto dal decreto approvato questa notte dal Governo, che nella parte generale, cioè quella non dedicata alle zone di contenimento, afferma: “sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. Ma dichiara che i luoghi di culto possono restare aperti se si rispetta la distanza di sicurezza tra le persone.

Tale formulazione ad alcuni è parsa ambigua, anche perchè da chi vive la vita cristiana la messa non è considerata “una cerimonia”.

Nel pomeriggio, su Rai Uno, il professor Walter Ricciardi, rappresentante italiano dell’OMS e consigliere ministeriale ha però chiarito: “non si possono fare le cerimonie religiose di alcun tipo. Questo non vuol dire che le chiese non possano essere aperte. Oggi la messa non si può fare in nessuna parte d’Italia”. “A Roma sono sospese le messe con i fedeli da oggi fino al 3 aprile”, ha detto all’ANSA il portavoce del Vicariato don Walter Insero.

E’ possibile che la Cei emani una nota per chiarire la sua posizione, che evidentemente, anche se con dolore, non potrà essere diversa da quella del governo, in questa terribile circostanza. Come si evince anche dall’omelia tenuta dal segretario generale Stefano Russo alla messa domenicale di Rai Uno, oggi in onda dai SS Quttro Coronati. “La nostra collaborazione con le disposizioni che via via sono date dalle Istituzioni al Paese è piena e fiduciosa”, ha spiegato il presule.

E commentando l’invito di Gesù sul Monte Tabor, “Alzatevi e non temete”, il segretraio della Cei ha aggiunto: “Come non pensare a un invito che ci interpella in queste giornate difficili. Il Signore parla a tutti noi, anche oggi; ci parla nell’afflizione del momento presente; ci invita a quel “senso di responsabilità” che nasce dall’affidamento alla sua misericordia; ci sprona a ritrovare fiducia, concordia, condivisione, unità d’intenti. Il nostro pensiero va, allora, a quanti sono colpiti dal coronavirus e ai loro familiari; agli anziani, esposti più di altri alla solitudine; ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari, al loro prezioso ed edificante servizio; a quanti sono giustamente preoccupati per le pesanti conseguenze di questa crisi sul piano lavorativo ed economico; a chi ha responsabilità scientifiche e politiche di tutela della salute pubblica. E, ancora, alle famiglie e ai bambini che, nella loro fragilità, non devono subire le nostre paure. Il nostro sguardo va anche a tutti i disperati della terra costretti ad abbandonare la propria terra a causa dell’assurda violenza di cui spesso l’uomo è capace”.

Secondo monsignor Russo, “l’invito di Gesù è impegno concreto a far sì che il tessuto delle nostre comunità non sia sfilacciato dallo sconforto. La luce della Trasfigurazione è impegno e testimonianza operosa. Tutto viene vivificato da un’esistenza rinnovata. Siamo in cammino verso la Pasqua e la Parola di oggi apre il cuore della Chiesa a un cammino di fede, a una speranza certa e a una carità operosa. La visione del volto trasfigurato cede all’ascolto del volto. La parola di Dio accolta opera in ognuno di noi una trasfigurazione, e nell’ascolto diventiamo come Lui, anche noi imbevuti di cielo. L’amore perfetto conseguenza dell’ascolto della parola, vince il timore. Il cammino continua, sostenuto dalla speranza che il Signore ha messo nel nostro cuore”.