Nella cartella ci sono centinaia di documenti, sono le tracce del tentativo sempre più imponente di pressione sull’Europa perché deregolamenti gli organismi geneticamente modificati (ogm). Nina Holland li condivide in anteprima con Domani, Der Spiegel e una selezione di giornalisti europei. «Dal 2015 faccio richiesta di accesso agli atti alle istituzioni Ue. Stavolta abbiamo chiesto le informazioni anche ai governi belga e olandese». Ogni sei mesi Holland chiede e monitora. I documenti archiviati risalgono fino al 2012. Ognuno dei file è un frammento di attività lobbistica. Ed «è evidente che qualcosa negli ultimi tempi è cambiato: non solo la frequenza delle pressioni, ma il tipo di tattiche usate».

Il dossier

I “Crispr Files” del Corporate Europe Observatory, l’osservatorio per il quale Holland lavora, rivelano le pressioni di Usa, Canada, e soggetti non governativi che vanno da Bill Gates alle multinazionali dell’agroindustria, per la deregulation degli ogm. I principali argomenti usati da chi invoca questa deregolamentazione sono che le tecniche di modifica genetica di ultima generazione (tra le quali l’editing del genoma noto come “Crispr”) sono diverse dai “vecchi ogm” e che aiuteranno l’ambiente. Il primo argomento è stato smontato dalla Corte di giustizia europea nel 2018; quanto al secondo, a contestarlo sono gli ambientalisti, da Greenpeace ai Verdi. Eppure, il Consiglio europeo è riuscito a ottenere che Bruxelles riconsideri la cosa; lo studio della Commissione è atteso per fine aprile. Ceo ha deciso di rivelare i file perché, mentre le pressioni lobbistiche aumentano, un attore rimane fuori dal dibattito: l’opinione pubblica.

Una direttiva europea da vent’anni tutela la salute e vigila sui «rischi dell’immissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati». L’ingresso di ogm, nell’ambiente e nel mercato, non prescinde dall’attenta valutazione del rischio: un ogm va autorizzato, tracciato, segnalato in etichetta. La prudenza europea, maggiore rispetto agli Usa, è ribadita in almeno 50 voti dell’Europarlamento. L’ultimo è dell’11 marzo: un no all’importazione di mais e cotone ogm. Nel 2018 la Corte di giustizia Ue ha tolto ogni dubbio: gli ogm di nuova generazione – il genome editing, “Crispr” – non possono sfuggire agli obblighi di valutazione del rischio e di trasparenza verso il consumatore.

Dai file si vede che a metà 2019 la presidenza di turno finlandese dell’Ue ha chiesto di rivedere le regole per «essere competitivi». Il Consiglio europeo ha ottenuto che la Commissione si mettesse al lavoro per valutare le nuove tecnologie di modifica genetica. Bruxelles ha poi avviato uno studio i cui risultati sono attesi per fine aprile. Ma già due anni fa, senza che lo studio fosse neppure avviato, un documento dell’allora commissario all’Agricoltura Phil Hogan – un testo preparatorio a un incontro con una lobby – dava per assodato che «la direzione generale Salute della Commissione ha già preparato il terreno per scavalcare l’attuale legislazione sugli ogm e produrne una nuova sul gene editing». Si scopre così, dai file, che nel 2019 il terreno per la deregulation era «già pronto». Eredità che Jean-Claude Juncker ha lasciato a Ursula von der Leyen. Lo scorso febbraio Bruxelles ha avviato la consultazione per elaborare lo studio; di 94 organizzazioni invitate, più del 70 per cento rappresentavano gli interessi dell’agroindustria, meno di 12 erano ong.

Chi spinge per deregolamentare? Nei documenti della Commissione si trova la «strategia internazionale» degli Stati Uniti per «rimuovere le ingiustificate barriere commerciali ed espandere il mercato per i prodotti di agricoltura biotech». Nel 2019 in un bilaterale «gli Usa hanno accolto con favore la posizione del commissario Andriukaitis» che aveva all’epoca la delega alla Salute e «ha invocato una nuova legislazione». Anche Canada e Argentina spingono.

Un dossier dei Verdi europei sul gene editing mostra che queste tecnologie sono in mano alle stesse multinazionali che già dominano il mercato agrochimico e ogm. Particolarmente attiva sui “Crispr” c’è Corteva, ma anche Bayer-Monsanto, Basf e Syngenta. Il rischio, per i Verdi, è che la concentrazione di mercato aumenti: un prodotto biotech è soggetto a brevetto e il controllo del ventaglio di tecnologie è in mano a poche corporation.

Nuove tattiche

Risulta che la fondazione Gates abbia finanziato con un milione e mezzo di euro una task force che fa attività lobbistica per la deregulation. All’interno della cornice del think tank Re-Imagine Europa, questa Task force on sustainable agriculture and innovation è presieduta da un ex commissario Ue, Carlos Moedas. Quando, con Juncker presidente, aveva la delega alla Ricerca, già esprimeva posizioni pro ogm.

Perché Gates investe nell’attività di influenza pro ogm in Europa? Nicoletta Dentico, autrice di Ricchi e buoni?, parla dell’attivismo di Gates in Africa sugli ogm: «Agra, creata dalle fondazioni Gates e Rockefeller, investe con zelo in progetti ogm. Nel 2011, 20 milioni per Golden Rice. In veste di benefattore, Gates mira a ridefinire il dibattito sugli ogm e organizza l’egemonia in campo agricolo». Agra dal 2019 ha una joint venture con Microsoft per l’agricoltura di precisione. C’è una filosofia comune che lega il Gates di ieri e oggi: prima che Linus Torvalds concepisse Linux e il software libero, Microsoft era il software proprietario, che dettava le condizioni (anche economiche) tramite la sua licenza. Un funzionamento simile ai brevetti degli ogm.

L’istituto di biotecnologia fiammingo (Vib) è assai attivo sul fronte ogm, lavora con Bayer, e ha sperimentato sul campo il mais ogm in Belgio, in segreto ma autorizzato dal governo, che è – con l’Olanda – tra i paesi che più spingono per “Crispr”. «Abbiamo già il sostegno scientifico», dice una mail sul gene editing spedita dal ministero della Salute belga a Vib. Lo scambio è fitto, Vib punta a convincere quel governo e altri a deregolare. Crea una piattaforma, Eu-Sage, che riceve fondi da Gates e che dopo la sentenza del 2018 difende la deregulation dei nuovi ogm a nome «di più di 120 istituti di ricerca». La European plant science organisation (Epso) pure spinge in tal senso a nome di «200 istituti». A volte sono singoli che usano il logo della loro istituzione. Tra i file c’è una lettera del rettore dell’Université libre de Bruxelles: lamenta «l’uso illegale e fuorviante del logo di Ulb» in un documento pro deregulation.

La cosa ancora più fuorviante, per gli ambientalisti, è che le lobby usano come argomento il clima perché sanno che von der Leyen punta sul Green Deal: entro il 2030, un quarto delle coltivazioni dovrà essere biologico e l’uso dei pesticidi dimezzato. E allora adattano gli argomenti allo zeitgeist, lo spirito del tempo. «Adattare l’agricoltura al cambiamento climatico è imperativo» si legge in un documento per la deregulation inviato da Epso all’Ue. Gli ambientalisti sono in allerta. Martin Hausling, europarlamentare verde, dice che «se deregolamentiamo queste tecnologie, non sono più tracciabili, possono contaminare i campi vicini, e così si uccide il biologico». In questo settore l’Italia è leader europea. «Sarebbe folle deregolamentare le nuove tecnologie. Sempre di ogm si tratta, come dice la Corte» dice Federica Ferrario di Greenpeace. «La biodiversità che abbiamo in natura è la maggiore garanzia sul fronte ambientale: è così che l’ecosistema si adatta meglio ai cambiamenti climatici». I nuovi ogm presentano «i rischi dei vecchi: non possiamo controllarne gli effetti». In Usa nel 2019 la Fda ha analizzato i vitelli progettati senza corna per rendere più intensivi gli allevamenti: l’effetto non previsto era la resistenza agli antibiotici. In Italia decine di associazioni, tra cui Greenpeace, Wwf, Legambiente, Slow Food, Federbio, Aiad, hanno dovuto unirsi in “Italia libera da ogm - vecchi e nuovi”. Anche da noi c’è stato un tentativo di deregolamentare. «C’erano riferimenti nei decreti Bellanova» dice Ferrario. «Dopo un Natale di lotte, sono stati tolti». Tutto finito? No. A marzo Stefano Patuanelli, ottenuto da Draghi il portafoglio all’Agricoltura, ha detto: «Una ricerca forte è garanzia di sviluppo ora che il genoma editing vede attori con potenzialità di investimenti miliardari».

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