10 anni dal naufragio CONCORDIA

Un pensiero a tutti quelli che non ci sono più…

A 10 anni dal tragico evento, volevamo anche noi Avvocati ricordare le persone, i protagonisti del processo e le sensazioni che abbiamo vissuto al fianco dei nostri clienti, portando in aula la toga ma anche la loro sofferenza, e lo facciamo attraverso la sensibilità delle nostre Colleghe Alessandra Guarini ed Annamaria Romeo e di Cesare Bulgheroni, perché oltre ai faldoni di carte processuali finite in archivio, resta molto altro ancora vivo in tutti noi.

LA NOTTE PIÙ BUIA
Io non c’ero eppure vivo come se su quella nave ci fossi stata. Ho impressi nella mente le risate, gli abiti eleganti, i calici di vino, le danze e quella felicità particolare che si prova quando si è in vacanza. I ricordi di chi era a bordo sono diventati miei. Ricordo i corridoi, i ponti, i ristoranti, il teatro, la discoteca, le piscine e pure il casinò. Lo sfarzo e la scintillante vita di bordo. Io non c’ero eppure ci sono stata a bordo della Concordia. Ci sono stata nella realtà solo dopo, quando tutto si è spento e il mare ha spazzato via ogni cosa con una forza inclemente e devastante. Ricordo gli ascensori inghiottiti dal mare, le vetrate rotte, il rumore minaccioso dei flutti che minacciosamente lambivano il ponte della plancia, l’unico emerso dopo il “raddrizzamento”. Ricordo di aver seguito le immagini del monumentale recupero del relitto, simbolo di riscatto dopo l’ignominia del peggior naufragio nella storia del mondo dopo il Titanic. Il comandante Schettino come Smith, accomunati sinistramente dall’abilità di scansare ogni avversità e tuttavia dall’essere stati beffati dal destino. Solo apparentemente simili, perché il comandante del Titanic navigava pericolosamente tra gli iceberg mentre Schettino no, lui solcava acque tranquille. Eppure quella sera Schettino scelse di abbandonare la rotta sicura e consueta per “omaggiare” se stesso. Già, proprio così voleva mostrare il suo inchino al Giglio ed esibire la sua bravura. Diversi profondamente nell’animo i due comandanti, solo Smith rimase vicino ai passeggeri e alla sua nave fino al sacrificio estremo. L’immagine del Comandante codardo fa subito il giro del mondo. Ricordo i titoli di alcuni giornali esteri: “chi poteva essere al comando della Concordia se non un italiano”. Eravamo tutti “Schettino” agli occhi del mondo. Ancora oggi nella mia mente si affollano, sovrapponendosi come in una danza macabra, le immagini luminose di quella nave mastodontica e quelle oscure della nave sventrata. Un caos disturbante di pensieri, che si riverbera nel fluire sconnesso di queste poche riflessioni a cuore aperto.
Ricordo il pianto e le risate, le famiglie felici e i corpi galleggianti di chi non è riuscito a sfuggire al labirinto dei corridoi bui e divorati dal mare. Ricordo ufficiali vigliacchi e membri dell’equipaggio valorosi. Uomini che si gettavano nelle lance di salvataggio per raggiungere la salvezza e sconosciuti che si consegnavano alla morte per lasciare posto sulle scialuppe a donne e bambini. Eroi sempiterni. Questo processo non è stato come tutti gli altri, non è stata una ricostruzione istrionica e senza emozione, come tante volte, anzi sempre, giudici avvocati sanno fare. Anche la mia vita é stata metaforicamente risucchiata insieme alle vite di chi non è sopravvissuto e a quelle di chi è sopravvissuto senza però più essere quello di prima. Perché da quella sera la vita è cambiata per tutti. Sono molti i ricordi delle ore passate in studio e in aula a cercare di ricostruire la ormai tristemente nota manovra dell’inchino e di capire la mostruosità di un evento così enorme da non sembrare vero. Giornate e nottate passate a leggere quelle infinite pagine di carte processuali. Ricordo di essermi studiata il funzionamento del generatore di emergenza che quella maledetta notte non entrò in funzione, permettendo così al buio di rendere tutto ancora più spaventoso. E così per capire, siamo saliti su quella nave “rotta”, questa fu l’espressione di mio figlio, che all’epoca aveva 4 anni, quando mi vide in un servizio televisivo: “Mamma ma sei salita sulla nave rotta? Sono venuti a salvarti i Carabinieri?”. I Carabinieri. Ricordo le telefonate disperate dei passeggeri ai Carabinieri e soprattutto quella di un padre che implorava che venissero a salvare le sue bambine. Mi è rimasto in mente l’odore acre di quell’ammasso di gelide lamiere. Ho immaginato come in un viaggio nel tempo la vita di bordo interrotta da quel terribile impatto. Ho rivissuto le grida, il panico, la lotta per la sopravvivenza, la bestialità di chi non ha esitato a gettare indietro donne e bambini per conquistarsi un posto sulla scialuppa. Ricordo di aver notato alcuni peluche abbandonati ricoperti di muffa e di aver pensato ai bambini che li avevano perduti per sempre e a cosa aveva potuto significare per loro rinunciare a quegli amici immaginari, compagni di giochi e guardiani che di notte tenevano lontani i mostri. Ma non quella maledetta sera del 13 gennaio 2012. Ho visto le valigie pronte che da quella nave non sono più scese, proprio come le persone. Non tutti ce l’hanno fatta e a loro va il mio pensiero più caro, a loro vanno le mie preghiere. Le immagini che tutto il mondo ha visto hanno segnato la nostra storia, come una macchia nera su un foglio bianco, indelebile. Il pensiero va pure a chi ha perso la vita durante il processo, a un collega bravissimo che arrivava col fascicolo nella borsa e con il sorriso, l’unica arma per contrastare il peso devastante di quella sofferenza troppo difficile da gestire anche per dei professionisti. La toga non protegge dal dolore. Parlo dell’avvocato Franco Zuccaro, abile e arguto avvocato di parte civile. Lui non ha visto la fine del processo o forse l’ha vista da un punto di vista migliore del nostro. I suoi interventi in aula erano sempre misurati, pertinenti. Lui era l’avvocato del WWF. Prendeva la parola per ultimo e con grande dignità dava il suo contributo alla ricerca della verità per la tutela dell’ambiente, la trentatreesima vittima di questa immane tragedia. Il processo è fatto di regole, di conclusioni logiche quasi mai di sentimento. Eppure in questo processo le emozioni stavano tra noi. Ho imparato a non averne paura. Quei sentimenti così invadenti e sconosciuti sono diventati una fonte di ispirazione, di energia, di forza interiore. Non ho “fatto il processo della Concordia”, piuttosto ho vissuto un’esperienza di vita. Tutto questo sotto gli occhi delle telecamere di tutto il mondo, che riprendevano ciò che accadeva in aula per farlo rimbalzare in ogni angolo del pianeta. Il naufragio della Concordia sta nella storia del mondo così come nella storia del mondo saranno per sempre le persone perdute.

Avv. Alessandra Guarini


Quello al comandante Schettino è stato il processo del secolo
Ha portato sotto gli occhi di tutti le miserie umane come in una grande drammatica commedia.
Ed il teatro di Grosseto ne è stato il palcoscenico , prestandosi ad accogliere udienze fiume anche fino a notte fonda.
Abbiamo imparato a conoscerci e riconoscerci fra di noi, fra le fila di quelle poltrone, nei volti a tratti stanchi e tesi, ma mai scoraggiati. Noi avvocati da ogni parte di italia , ognuno con la sua storia e questa al servizio delle storie dei nostri clienti, che avevano raccontato a noi per primi cosa successe quella notte su quella nave
E di quei fardelli enormi ci siamo fatti carico, facendo scelte , pensando a strategie e trovando sinergie, sempre con determinazione
Mai con una causa civile si sarebbe potuto dare così spessore alle pene di un naufragio e di un mancato salvataggio; ed allora da subito la scelta di esserci in quel processo penale e di restarci fino in fondo , per ridare dignità ad un dolore che nessun risarcimento avrebbe mai potuto cancellare
Ricordo ancora la prima volta che noi del blog ci incontrammo nella sala riunioni dell hotel Airone , che sarebbe poi diventato il nostro “covo” ; fino ad allora eravamo soltanto indirizzi mail e poche righe di scambio , convenevoli .
Ma attorno a quel grande tavolo quella sera successe una specie di miracolo : solidarietà fra avvocati, che per la categoria è a dir poco fatto raro ed davvero eccezionale !
E la forza fu la condivisione, la capacità di lavorare insieme senza ipocrisie ed in pochi così rimasti , zoccolo duro fino al terzo grado di giudizio.
Non ci sarebbe forse stato un processo di questo spessore senza parti civili di tal fatta.
Perché abbiamo spinto sui pedali della verità storica prima ancora che su quelli della verità processuale, perché abbiamo dato voce a chi la Costa Crociere aveva cercato di toglierla quella voce, monetizzando vite e dolori, perché abbiamo chiesto, urlato, sussurrato, pianto ed anche vinto, in fondo.
Sì perché in verità in questo processo nessuno ha vinto davvero e tutti hanno perso qualcosa: i nostri assistiti , viaggiatori di un naufragio predestinato che ha lasciato al mare inestimabili preziosi ricordi, i corredi da sposa in viaggio di nozze o le promesse di una vacanza dalla vita , persa poi per sempre seppellita in un relitto demolito; il Comandante Schettino , che per metterci la faccia, sta scontando da solo una pena che avrebbe dovuto condividere con gli altri imputati, beneficiati di iniquo patteggiamento, che pure la Procura di Firenze oppose senza successo; la Costa crociere, che per lo sforzo di giustificare il suo operato ha dimenticato che da quella nave sono scesi bimbi allacciati alla cintola dei pantaloni dei genitori giù per la biscaggina senza giubbotti di salvataggio adatti a loro, ma noi glielo abbiamo fatto raccontare davanti al tribunale a quegli stessi genitori.
Questo abbiamo visto ed abbiamo provato a raccontare , mentre il mondo ci guardava, e cito parafrasando la felice sintesi di uno dei colleghi del blog.
Siamo rimasti in pochi , ma buoni , ancora in contatto ed ora come allora ci siamo detti ieri sera perché non dare dopo 10 anni la nostra voce ?
Ed eccola allora .

Avv. Annamaria Romeo


Quella maledetta notte sul Concordia.
Io non c’ero ma ormai è come se fossi stato lì anch’io con qualcuno a me caro quando ci fu il botto, le cose che cadevano dai tavoli, i camerieri che si guardavano impauriti e poi le luci della nave che si spegnevano tutte…
Con i colleghi conosciuti durante i lunghi giorni del processo al Teatro Moderno di Grosseto ho avuto modo di rivivere quei primi momenti di paura e incredulità attraverso i resoconti dei periti, i racconti dei testimoni, le lacrime di tanti passeggeri che sono sfilati su quel palcoscenico – si, proprio su un palcoscenico perché il processo si svolgeva in un teatro e chi veniva sentito da Giudici, PM e Avvocati doveva andare letteralmente in scena – e man mano che il racconto assumeva i toni della tragedia mi chiedevo, se fosse successo a me cosa avrei fatto?! Sarei stato capace di essere un eroe o sarei stato un vigliacco anch’io?!
Ecco, io ricordo quella maledetta sera come un test di umanità, l’umanità degli innocenti che erano a bordo del Concordia il 13 gennaio e l’umanità mia e quella delle comunità a cui appartengo.
Ho visto membri dell’equipaggio giovanissimi raccontare il loro ruolo nella tragedia e scoprire che erano Uomini, ho visto ufficiali che erano sul ponte di comando durante la manovra che non erano più uomini ma semplici impiegati di un’impresa commerciale qualunque.
Ho visto anche qualche impiegato di quella società rassegnato al suo ruolo di piccolo meccanismo in un ingranaggio molto più grande che si cura di macinare denaro ma non di fornire sicurezza a nessuno dei propri clienti.
Eh si, perché a me quello che rimane di quel processo è la forte sensazione che Schettino sia stato anche lui parte di quell’ingranaggio in cui nessuno si sentiva responsabile di nulla e che ciò che importava non era navigare in sicurezza ma far divertire i clienti passeggeri, che fosse con un bello spettacolo di magia, con una cena a lume di candela o con l’emozione di un inchino al chiar di luna al Giglio poco importava, l’importante era lo show… e quella sera a Schettino il suo show personale ha preso troppo la mano.
Chi come me ha vissuto tutto quel processo sa bene come la apparente bizzarria della manovra di quello che è poi divenuto il comodo capro espiatorio di una vicenda di ordinaria mostruosità sia stata semplicemente la sfortunata conseguenza di un modo sciagurato di gestire una società di navigazione che ha dimenticato come prima dei servizi alberghieri e delle emozioni a poco prezzo per i crocieristi deve venire la sicurezza della navigazione.
Tutto questo, che sarebbe stata la parte più rilevante del processo – quella che avrebbe potuto far venire a galla le dinamiche retrostanti la tragedia del 13 gennaio 2012 e le responsabilità non solo di chi aveva messo sul ponte di comando Schettino e quegli ufficiali inerti, e a terra aveva lasciato la gestione della crisi a chi non era in grado di affrontarla, ma anche le politiche di risparmio sul personale impiegato, quelle sulle classificazioni degli apparati e sulle verifiche di sicurezza – non è successo.
La Procura di Grosseto ha ritenuto di poter imputare tutta la vicenda a un solo uomo quando questa sarebbe stata l’occasione per poter fare un po’ di chiarezza nelle politiche aziendali di colossi come la Carnival Cruises… Schettino era davvero il colpevole perfetto per poter dimenticare tutto il resto considerata la scelleratezza della sua manovra ma quella manovra non può liquidarsi come la follia di un momento ma come conseguenza di un sistema.
D’altra parte la tragedia del Concordia se mai fosse stata esaminata in ogni suo aspetto – come, va sottolineato, con i miei Colleghi abbiamo cercato fino in fondo di ottenere presentando una querela firmata dai nostri clienti, passeggeri che si erano salvati dal naufragio, con cui chiedevamo che i vertici societari venissero a loro volta indagati e processati, querela archiviata senza nemmeno la possibilità di poterci opporre alla richiesta – correva il rischio di diventare davvero un caso giudiziario importante e con possibili ripercussioni anche internazionali ma questa non era evidentemente l’intenzione degli inquirenti che si sono limitati ad individuare le responsabilità più facili da dimostrare.
Con un ulteriore risultato. Il processo sul naufragio del Concordia, una volta tolte le noiose implicazioni riguardanti le cause, è diventato a sua volta un grande show mediatico così come l’evento lo fu e tutti, anche noi, ne fummo interpreti peraltro cercando di non perdere la nostra umanità benché lo show abbia le sue regole a cui ognuno di noi si è quindi dovuto adeguare.
Quello che rimane dunque, forse come per tutte le umane vicende, è che quella che avrebbe potuta essere l’occasione per fare una grande cosa – che nella specie sarebbe stata quella di capire come si sia arrivati al punto di preferire il profitto alla sicurezza da parte di chi la sicurezza dovrebbe offrire come presupposto ai propri servizi – è rimasta solo un’altra occasione perduta.
Alla memoria di quelle 32 persone che hanno pagato con la vita l’insipienza umana e la logica del profitto.

Cesare Bulgheroni


7 anni dal naufragio Concordia

Era più o meno ora di cena quando, il 13 genaio 2012, la Costa concordia si apprestava ad eseguire l’accostata all’isola del Giglio, un passaggio in “navigazione turistica” meglio conosciuto come “inchino”, all’epoca un termine noto solo ai marittimi e poi divenuto patrimonio gergale comune; alle ore 21:43 l’impatto con lo scoglio affiorante delle “Scole”. Inutile qui ed oggi ricordare i nomi ed il peso delle responsabilità accertate e quelle rimaste in penombra, quelle dichiarate e quelle non cercate.

Il giorno della memoria ha universalmente uno scopo diverso, ricordare un evento epocale, catastrofico e tristemente drammatico, allo scopo di commemorare le vittime, non dimenticare mai la drammatica vicenda vissuta da tante persone (in questo caso oltre 4mila a bordo) ed infine aumentare la prevenzione nella consapevolezza della evitabilità e ripetibilità di un evento simile. Il naufragio della Concordia in questo senso possiamo certamente dire che – nella sua dimensione epocale e processualmente eclatante – ha di sicuro cambiato qualcosa in positivo; al di là ed oltre dei risultati civli e penali, i passeggeri sanno per certo che quanto è accaduto loro, difficilmente potrà ripetersi in un prossimo futuro, avendo l’incidente contribuito ad introdurre nuove regole nautiche e limitazioni operative più rigide per impedire una così deliberata ed incauta gestione della sicurezza della navigazione ed una altrettanto approssimativa e criminale gestione delle emergenze.

Oggi, a distanza di 7 anni esatti, ricordiamo le persone che hanno perso la vita e quelle che sono sopravvissute al semi-ribaltamento della nave da crociera, miracolosamente andata ad incagliarsi su un basso fondale appena fuori il porto del Giglio, grazie solo al vento favorevole, evitando conseguenze e perdite di vite enormemente peggiori. Per 3 anni la Concordia è rimasta lì, a mo’ di monumento all’assurdità umana ed a fungere da funesto monito per le navi in transito.

La gigantesca nave è stata ormai rimossa e velocemente smantellata, ma la memoria no, quella non può e non va rimossa; a tutte le persone che erano a bordo ed a tutte le moltissime altre che in vario modo hanno partecipato a questa vicenda, va riconosciuta e dedicata questa ricorrenza: a chi non ha più voce ma anche a chi non può e non vuole dimenticare.

SESTO ANNIVERSARIO DAL NAUFRAGIO CONCORDIA – cosa resta oltre Schettino in carcere

schettino in carcere a rebibbiaVenerdì 13 gennaio 2012 alle ore 21:43 la nave da crociera Costa Concordia, al comando di Francesco Schettino, facendo una manovra di inchino all’Isola del Giglio andava a urtare gli scogli delle Scole procurandosi un squarcio sulla fiancata di acciaio del proprio scafo lungo 70 metri per 8 metri di altezza. Un evento epocale, certamente il maggiore e più eclatante disastro marittimo per una nave da passeggeri di questo secolo.

Il giudizio penale ha fatto parziale luce sulle responsabilità nel naufragio, e dopo uno svolgimento in tempi record dei due gradi di merito, la sentenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione il 12 maggio 2017, e lo stesso giorno Francesco Schettino si è costituito al carcere romano di Rebibbia per scontare la sua pena definitiva a 16 anni di reclusione .

Il sesto anniversario dal naufragio della Concordia sarà quindi il primo con il Comandante Francesco Schettino in carcere, e segna il punto di svolta anche per i passeggeri che, oltre all’eventuale risarcimento di ulteriori danni di natura economica, possono/devono considerare definitivamente chiuso il capitolo penale della vicenda che li ha coinvolti. Oggi, nonostante sappiamo bene che l’unica responsabilità non è, non può di certo essere, attribuibile ad un solo uomo, al solo Comandante – possiamo dire con certezza che nessun’altro, oltre Schettino, sconterà mai un solo giorno di reclusione per la morte di 32 persone, aver messo a rischio la vita di oltre 4.200 altre persone tra passeggeri ed equipaggio, ed aver provocato un disastro ambientale che lascerà i segni sul fondale del Giglio per decenni.

A distanza di sei anni, quindi, rimane innanzitutto fermo il portentoso risultato di aver – comunque – portato a termine in pochi anni (se pensiamo che sul disastro Moby Prince ancora non si è messa processualmente la parola fine) un non facile compito professionale, quello svolto dall’Autorità Giudiziaria che è stato esemplare quanto a rapidità ed efficienza e quello dei tanti avvocati delle parti lese, che hanno svolto con grande dignità e sacrificio dei loro altri impegni, in aula per tre anni di fila e fuori dai palazzi di Giustizia per garantire una più ampia comprensione dei fatti, oltre al lavoro sotto il profilo risarcitorio che ha comportato la condanna di Costa Crociere a pagare una provvisionale del danno tra i 45.000 ed i 65.000 euro a passeggero in attesa delle decisioni dei tribunali civili sul danno definitivo. Sei anni di tempo che ci restituiscono una verità processuale definitiva, quindi, non completamente soddisfacente, però intrisa di ulteriori fatti ed accertamenti importantissimi, magari non per la sentenza contro Schettino od altri soggetti che avremmo voluto vedere sul banco degli imputati o dietro le sbarre, ma che raccontano di una verità reale più estesa, e dalla quale si sono diramati altri filoni di indagine connessi alla navigazione marittima; ancora oggi altri magistrati si stanno confrontando e stanno facendo sempre più luce su un sistema di certificazione e di navigazione costiera e portuale tutt’altro che conforme alle normative di sicurezza internazionali recepite dal nostro paese.

Resta la famigerata telefonata di De Falco a Schettino, emblema del confronto tra due modi di essere italiani, due mondi che convivono nell’andare a mare, opposti, eppure sulla “stessa barca”.

ingresso_al_processo

la prima foto di una parte del pool in marcia verso il teatro Moderno

Resta immutato anche il legame umano creato tra clienti ed avvocati, ben oltre quello normale professionale e ben oltre la fine del processo, ed il rapporto di stima e amicizia nato tra noi avvocati che ancora collaboriamo e ci scriviamo di continuo nel ns gruppo whatsapp, resta il lavoro svolto in aula e nei nostri studi, ma anche a tavola nei ristoranti di Grosseto, una città gastronomicamente divisa in due tra tavoli e locali prenotati degli avvocati di Costa Crociere e quelli di noi difensori delle vittime, nelle riunioni e discussioni infinite nella hall del nostro quartier generale, l’hotel Airone, il cui personale per tre anni ci ha accolti  e fatti sentire a nostro agio in modo insuperabile, offrendo un valore aggiunto alle nostre faticose trasferte, restano le lunghe attese in aula, le battaglie sul danno punitivo e le discussioni animate davanti ai microfoni, gli scontri leali con i difensori dell’imputato e quelli senza riserve con l’Avvocato Marco De Luca, difensore della potentissima responsabile civile Costa Crociere, le strategie processuali, le ore di studio delle carte e dei verbali tra una udienza e l’altra e le interviste “su strada” a fine udienza – praticamente a reti unificate, e resta sopratutto la unicità del nostro pool “Giustizia per la Concordia“, un gruppo di avvocati che ha dimostrato di saper collaborare in modo straordinario ed innovativo, mantenendo obiettivi comuni ed indipendenenza delle scelte individuali, e resterà in questo senso il nostro blog, che è stata e continua ad essere fonte inesauribile e perenne di notizie sul naufragio della Concordia, sul processo, sulle verità parallele e su di una esperienza unica nel suo genere, processuale umana ed anche da un punto di vista di comunicazione mediatica e tecnologico.

Possiamo certamente affermare di essere stati i primi in Italia (perfino con qualche goffo tentativo di imitazione e plagio…) ad aprire un blog processuale, rimbalzandolo su Facebook twitter e sul web, nel senso di aver scritto un vero e proprio “diario” del procedimento penale in diretta, aggiornando ad ogni udienza o novità lo stato della vicenda sul naufragio Concordia, in presa diretta durante lo svolgimento del processo stesso,  senza filtri e senza intermediari, fornendo a chiuque la possibilità di conoscere i fatti ed i verbali, spesso potersi scaricare copia delle carte processuali, divenendo un punto di riferimento addirittura per i giornalisti, fornendo attraverso il blog notizie non solo ai nostri clienti ma in generale a migliaia di contatti mensili, e ricevendo in tale modo un incredibile flusso di informazioni a doppio senso, dall’aula all’esterno e dall’esterno verso l’aula del processo. Continua a leggere

Danni Punitivi – benvenuti in Italia, finalmente!

DANNI-PUNITIVI-WELCOME-IN-ITALYLa Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 16601 del 05.07.2017) ha definitivamente sdoganato l’applicabilità anche nel nostro ordinamento dell’istituto giuridico d’origine anglosassone dei cosiddetti “Danni Punitivi” (Punitive damages, o exemplary damages).

La decisione, riconoscendo pieno diritto di cittadinanza ai maxi-risarcimenti anche nel sistema giudiziario italiano, risolve una questione, ritenuta di massima di particolare importanza, attraverso il visto apposto dalle Sezioni Unite alla possibile delibazione di una sentenza straniera che contenga un risarcimento dei danni in forma (anche) punitiva, dopo decenni di fermo rifiuto della Suprema Corte a dare accesso nel nostro paese a questa categoria di ristoro ultra-compensativo dei danni, e rappresenta un radicale cambio di prospettiva in materia di responsabilità civile ed un decisivo e lungamente invocato passo avanti nella cultura giuridica del nostro paese e nella tutela dei cittadini.

Ma cosa sono i danni punitivi, e perché una parte della dottrina e degli avvocati italiani ne sentiva così tanto la mancanza?

Nel nostro ordinamento (civil law) chiunque subisca un danno illecito ha diritto ad essere risarcito, in termini compensativi, cioè nel limite del pregiudizio che ha subito (o meglio, di quello che riesce a dimostrare al giudice), e non oltre; in altre parole si viene ristorati economicamente del male o della perdita subita, ma non ci si può “guadagnare sopra”. Sono così nate le cosiddette “tabelle” risarcitorie, attraverso le quali si è cercato di dare un valore pecuniario uniforme al danno biologico, esistenziale, da morte etc. Ogni ulteriore finalità attribuita, invece, in altri paesi, al risarcimento civilistico è stata fermamente considerata incompatibile con il principio di separazione tra diritto civile e diritto penale, tradizionalmente vincolando il quantum risarcitorio al pregiudizio sofferto e dimostrato, senza possibilità di alcun riconoscimento economico di carattere sanzionatorio. In questo sistema di liquidazione del danno civile, è del tutto irrilevante la gravità del comportamento del danneggiante, che viene considerata solo nella irrogazione di una condanna più o meno alta, qualora si sia violata una norma penale.

Per dirlo con le parole della Cassazione, fino a ieri, «nel vigente ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso né il medesimo ordinamento consente l’arricchimento se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro» (Sent. n. 1183/2007 e n. 1781 del 2012).

Negli ordinamenti di common law, al contrario, in presenza di dolo o colpa grave da parte dell’autore dell’illecito, è riconosciuto al danneggiato un risarcimento economico ulteriore rispetto a quello necessario a compensare strettamente il danno subito (compensatory damages), allo scopo di:

✤ punire l’autore dell’illecito in proporzione alla gravità del suo comportamento (funzione punitiva);

✤ fungere da efficace deterrente nei confronti di altri potenziali trasgressori e/o dello stesso autore dell’illecito, che potrebbe reiterarlo (funzione esemplare);

✤ premiare la vittima per l’impegno profuso nell’affermare il suo diritto giacché, in questo modo, ha contribuito anche al rafforzamento dell’ordine legale (funzione rimunerante);

Ristorando la vittima in misura “tabellare” per il pregiudizio subito con funzione compensativa, tipica della sanzione per illecito civile, si affianca quindi una funzione punitiva, tipica della sanzione penale.

Il meccanismo attraverso il quale è applicato il danno punitivo è generalmente quello moltiplicatorio: tanto più grave è la condotta di chi ha provocato il danno, e quanto più pesante sarà la condanna economica inflitta dal giudice al danneggiante.

Ebbene la nuova pronuncia da parte della nostra Suprema Corte (adottata a Sezioni Unite ed avvalendosi del disposto dell’art. 363 comma 3, c.p.c., proprio perché destinata a risolvere in modo definitivo uno storico contrasto giuridico di massima importanza) prende atto di una progressiva ma inesorabile evoluzione del nostro sistema legislativo interno, come sostenuto anche da molta parte della dottrina, e ridefinisce la nozione di ordine pubblico, verso una maggiore permeabilità nei confronti della legge straniera, del diritto internazionale e soprattutto comunitario, alla ricerca di punto di equilibrio tra il tradizionale controllo sull’ingresso di norme o sentenze straniere che potrebbero minare la coerenza interna dell’ordinamento giuridico e una funzione promozionale dei valori tutelati dal diritto internazionale.

La conclusione è che non è oltremodo possibile negare l’esistenza di numerose norme civili italiane aventi una funzione spiccatamente sanzionatoria e si afferma quindi, per la prima volta ma al massimo livello ed a chiare lettere, che, nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile.

Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi.

Non può sfuggire che con tale riconoscimento si stabilisce un principio che va ben oltre il caso di applicazione della sentenza straniera nel nostro paese, estendendosi il principio di diritto ed interpretativo all’intero ordinamento, e svincolando definitivamente la possibilità di utilizzare un meccanismo moltiplicatorio al risarcimento tabellare, collegando la misura della liquidazione non solo al danno subito, ma (anche) alla gravità del comportamento del danneggiante, qualora ci si trovi in presenza di un evidente squilibrio di forze tra le parti coinvolte nel risarcimento, come in effetti molti giudici di merito hanno già fatto in diverse sentenze nazionali.

Ma quali sono le ragioni per le quali dovremmo accogliere a piene mani nel nostro paese l’istituto anglosassone dei danni punitivi, considerato dai molti detrattori una rischiosa frattura del sistema risarcitorio, fonte di speculazioni abnormi, aumento della litigiosità e di risarcimenti iperbolici che potrebbero mettere in ginocchio aziende e un intero sistema produttivo. Sono solo famelici avvocati e danneggiati in cerca di fortuna a invocarne l’applicazione in Italia? oppure, come sostenuto da altrettanto autorevoli voci, i risarcimenti punitivi (od esemplari, come preferiamo indicarli) sono un fondamentale correttivo nei casi di mass tort (ossia un macro-evento catastrofico che provochi molte vittime, ovvero una serie di micro-eventi ripetitivi che crei una molteplicità di danni indifferenziati agli utenti) e della evidente mancanza di tutela degli consumatori in presenza di una insanabile disparità e/o abuso di posizione dominante tra danneggiato (vittime) e danneggiante (multinazionali)?

Quello dell’indebito arricchimento da parte dei cittadini e dei consumatori è un falso problema, un timore decisamente infondato, assolutamente immotivato nelle fattispecie di mass tort, in quanto in tali circostanze il confronto non è tra due parti private, tra due individui di pari grado e dimensione economica, due o più persone, o soggetti alla pari: la applicabilità dei risarcimenti punitivi è destinata infatti ad emendare la possibilità che un ente od una azienda possano conoscere l’esistenza di un rischio, di un difetto in un prodotto, della mancanza di sicurezza per gli utenti, e conseguentemente sia consapevole della concreta possibilità di generare un danno continuando la propria attività, e tuttavia, potendo fare a tavolino il calcolo “tabellare” dei danni potenziali ed “attesi”, preferisca non adottare un correttivo, privilegiando l’interesse al guadagno (o risparmio) di milioni di euro, attuando per anni una politica del risparmio, scegliendo la massimizzazione dei ricavi, il disinteresse alla prevenzione, la gestione omertosa degli incidenti, dello spettacolo che deve continuare, sempre e comunque, a prescindere dalla sicurezza dei cittadini, i quali si ritrovano quindi ad essere vittime inerti di grosse aziende e multinazionali.

Per capire l’origine e la ragione sociale alla base dell’assoluta validità del sistema dei danni punitivi è esemplare il famosissimo caso giudiziario statunitense Stella Liebeck vs. McDonald’s Restaurants (1994); una donna di 79 anni versandosi addosso una tazza di caffè di McDonald aveva subito ustioni di secondo e terzo grado sulle cosce, glutei, inguine e genitali, tanto gravi da necessitare innesti cutanei. La Liebeck ha citato in giudizio McDonald’s per essere risarcita dei danni soprattutto in termini compensativi, ma, durante il processo, i documenti interni della multinazionale rivelarono che la società aveva ricevuto centinaia di reclami da parte di clienti che lamentavano che il caffè di McDonald’s causasse gravi ustioni, ma questa non aveva mai ridotto l’alta temperatura dell’acqua sostenendo che invece la maggior parte della gente amava il caffe di McDonald proprio perché era super-caldo.

Questo convinse la giuria che i vertici della McDonald’s sapessero che il loro prodotto era potenzialmente pericoloso ma che la società non aveva fatto nulla per correggere il problema, semplicemente perché gli conveniva economicamente risarcire (in termini tabellari) qualche ustionato, continuando a vendere milioni di tazze di caffè in tutto il mondo. Il Tribunale ha liquidato quindi $ 200.000 in danni compensativi (ridotti a $ 160.000, per 20% della colpa attribuita alla Liebeck), e 2,7 milioni di dollari in danni punitivi, che era al momento la somma pari a due giorni di ricavi di vendita di caffè McDonald’s (successivamente ridotti a $ 480.000).

Il caso è stato aspramente criticato per l’elevata quantità di danni che la giuria ha assegnato alla vittima, e la stessa Corte di Cassazione, con la pronuncia qui in commento, ha posto un decisivo freno al riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere, dovendo rispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità̀ delle ipotesi di condanna, la prevedibilità̀ della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità̀ con l’ordine pubblico.

Anche questa riserva da parte dei nostri giudici, però, è da considerarsi di fatto superata in quanto da tempo la Corte Suprema degli Stati Uniti è intervenuta per porre freno all’entità dei danni punitivi, stabilendo che devono essere comunque proporzionati alla gravità del comportamento del danneggiante, e non superiori a dieci volte l’entità del danno effettivo (sentenza del 7-4-2003 nella causa State Farm Mutual Automobile Insurance Co. Vs. Inez Preece Campbell). L’incompatibilità dovrà allora essere rilevata non in automatico, ma “solo quando la liquidazione sia giudicata effettivamente abnorme”, ossia all’esito di una valutazione operata in concreto dal Giudice della delibazione.

Quello cui in finale aspira il modern trend di apertura ai danni punitivi, non è il riconoscimento di risarcimenti speculativi a favore di un singolo, ma semmai il ripristino di un equilibrio tra chi ha guadagnato a discapito di un rischio conosciuto e la vittima ignara del danno “atteso; impedire che alla fine del processo il risultato ottenuto non finisca li e svolga invece una azione esemplare e di deterrenza anche nei confronti delle altre aziende, che una persona che ottenga giustizia rafforzi l’intero sistema, ed una cosa del genere non accada mai più, instaurando un meccanismo economico d’incentivo alla prevenzione.

Il soggetto danneggiante a quel punto interverrà prontamente per ridurre/eliminare il rischio, semplicemente perché non sarà più economicamente vantaggioso rimanere esposti a risarcimenti punitivi ulteriori e sempre più inflittivi. Le regole della responsabilità civilistica sono efficienti, cioè, quando inducono gli agenti a livelli di attenzione ottimali, tali da bilanciare i costi d’investimento sulla prevenzione minimizzando i costi sociali dei danni “attesi”.

Alcuni commentatori si sono affrettati a precisare che l’apertura decisa della Cassazione ai danni punitivi nordamericani non significherebbe affatto che da questo momento anche nelle cause nazionali i giudici italiani saranno autorizzati a liquidare un incremento delle somme dovute a titolo di risarcimento punitivo. La sentenza infatti circoscrive gli effetti di una «curvatura deterrente/sanzionatoria» comunque individuabile nella giurisprudenza, anche costituzionale. Per un’applicazione su larga scala servirebbe un intervento normativo, visto che «ogni imposizione personale esige una “intermediazione legislativa”», per effetto del principio costituzionale sancito dall’articolo 23 della Carta Costituzionale, che istituisce una riserva di legge sulla previsione di nuove prestazioni patrimoniali e impedisce un «incontrollato soggettivismo giudiziario».

Da parte nostra, invece, riteniamo che il ragionamento logico e giuridico che ha portato alla definitiva apertura della breccia in tema di risarcimenti punitivi, prima ancora individuato dalla Prima sezione della Cassazione nell’ordinanza di rimando alle SS.UU., ripercorra – e lo diciamo con uno spicco di orgoglio – l’identico percorso normativo illustrato nei nostri atti giudiziari, un po’ in tutti i settori del diritto penale e civile, individuando la molteplice presenza di numerose ed esplicite norme a carattere punitivo, deterrente ed esemplare:

     ✤      lite temeraria ex art. 96 terzo comma c.p.c.

     ✤       art. 709 ter c.p.c. in diritto di famiglia (cd. danno endofamiliare)

     ✤      violazione della proprietà intellettuale, legge sulla stampa, responsabilità medica (decreto Balduzzi e nuova legge)

    ✤      depenalizzazione ed introduzione della nuova figura di sanzione pecuniaria civile per l’abrogazione di tradizionali norme incriminatrici presenti nel codice penale: – le falsità in scrittura privata (artt. 485 e 486 c.p.); l’ingiuria (art. 594 c.p.); la sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.); l’appropriazione di cose smarrite (art. 647 c.p.).

Tale rimodellamento della funzione risarcitoria – apertamente riconosciuto dalla Cassazione – consente di sostenere definitivamente che il danno punitivo non viola l’ordine pubblico, stante anche l’ampliamento progressivo di quest’ultima nozione, e che, oltre ad essere riconoscibili le sentenze straniere che irrogano risarcimenti a titolo sanzionatorio, esiste la possibilità per il giudice italiano di parametrare il titolo risarcitorio alla gravità delle condotte poste in essere da chi quel danno lo ha reso possibile, con i propri comportamenti omissivi e/o commissivi.

E questo in quanto anche al nostro sistema risarcitorio “classico” non è affatto sconosciuta la personalizzazione del danno, ed al magistrato non è in alcun modo precluso di affrontare la quantificazione del danno non patrimoniale secondo questa impostazione, ossia in termini ultra-compensativi, considerandosi che il medesimo si trova a liquidare il danno procedendo ad una valutazione equitativa, la quale implica un apprezzamento di tutte le circostanze del caso (artt. 1226 e 2056 c.c.). In definitiva, come riconosciuto dalla dottrina più illuminata e dalla giurisprudenza più recente, è del tutto inconfutabile come il Giudice, nel determinare l’importo risarcitorio dovuto alla parte lesa, sia nella condizione di poter considerare la gravità della condotta illecita tenuta dal soggetto danneggiante a vantaggio o nell’interesse dell’ente/azienda, e parametrare a questo, in termini equitativi e di personalizzazione del danno, il risarcimento da irrogare a carico del responsabile civile (danno morale aggravato dalla condotta). In tal senso (art. 3 della Costituzione, ed in piena conformità con il rinvio, da parte dell’art. 2059 c.c., all’art. 185 c.p.) nella liquidazione equitativa del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, deve tenersi conto della gravità dell’illecito penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso specifico.

Quindi starà a chi giudica, l’obbligo di sganciarsi dagli automatismi, dalle tabelle, dalle calcolatrici, facendo piuttosto ricorso al metro dell’equità commisurando le liquidazioni in relazione alla gravità di tutte le condotte, dirette e di contorno, adottare decisioni, ove necessario innovative, in casi in cui, come nella fattispecie di mass tort, la liquidazione tabellare e l’onere della prova sul dato compensativo mostra tutti i suoi limiti, sussistendo invece tutte le condizioni per affermare un diritto, come sopra emarginato, tanto rivoluzionario quanto corrispondente ad un trend progressivamente avviatosi in Italia e in termini più estesi nella cultura giuridica e di tutela del singolo nella intera Comunità Europea, dando un significato vero ed universale ai risarcimenti punitivi e/o esemplari.

Sul punto il nostro manipolo di audaci è in prima linea da anni ed abbiamo invocato in tanti processi la applicazione di queste forme risarcitorie ultracompensative, abbiamo già avuto modo di criticare tante sentenze di merito, definendo alcuni giudici una sorta di “ragionieri del diritto“, per la dimostrata mancanza di coraggio nella possibilità di scardinare un concetto ormai inadeguato e superato del diritto risarcitorio nazionale. Alla luce però della questione appena risolta dalle Sezioni Unite con l’affermazione del principio secondo il quale sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, le Corti di merito non potranno affrontare con altrettanta chiusura mentale il tema dei danni punitivi, e dovranno quantomeno dare una risposta alle perplessità sollevate dalla Cassazione sull’assenza di un divieto esplicito all’applicazione di un tale meccanismo per il risarcimento sanzionatorio e di prevenzione anche nel nostro paese, a fronte del quale, in presenza di gravi e conclamate responsabilità – gravità della condotta del responsabile e sua plurioffensività soggettiva (più danneggiati) e oggettiva (più beni giuridici lesi), natura del diritto leso del danneggiato, natura ed entità dell’eventuale profitto conseguito o atteso dal danneggiante, condizione economica del responsabile, rilevanza economica o sociale dell’attività esercitata dal responsabile, precedenti condanne, in sede civile o penale, a carico del responsabile per condotte analoghe a quelle per cui si procedenon si vede come i giudici italiani potranno sfuggire all’obbligo di adeguamento del risarcimento al caso specifico ed alla gravità delle condotte, attraverso la liquidazione di un danno punitivo, esemplare o aggravato dalla condotta che dir si voglia.

Un bravo a noi pochi ma buoni che ci abbiamo lungamente e fermamente creduto, ed attendiamo con fiducia quindi che, con la sigla a SS.UU. da parte della Cassazione, i risarcimenti punitivi trovino piena cittadinanza anche nelle sentenze di merito dei nostri Tribunali nazionali.

Avv. Massimiliano Gabrielli

SENTENZA DEFINITIVA – SCHETTINO IN CARCERE

12 maggio 2017 – la Corte di Cassazione conferma: dopo una camera di consiglio di oltre 4 ore, i giudici di Piazza Cavour rientrano in aula e mettono il punto definitivo alla vicenda processuale che ci ha impegnato negli ultimi 5 anni. Diventa così definitiva la condanna a 16 anni di carcere per Francesco Schettino, che attendeva in incognito la decisione a Roma, per evitare di finire in uno dei sovraffollati carceri napoletani, pronto a costituirsi a Rebibbia dove ha già trascorso la sua prima notte in cella, la prima di una lunga serie, non meno di 8-10 anni. Si chiude un cerchio, ed in noi si è in queste ore stabilizzato un senso di alleggerimento, conseguente all’approdo su un risultato oggettivamente importante, nell’aver portato a termine il nostro compito professionale, ed aver soprattutto visto scongiurato il pericolo di un annullamento della sentenza da parte della Cassazione con rinvio ad altra sezione di appello, come d’altronde avevano richiesto non solo i difensori dell’imputato, i quali nella loro arringa avevano puntato all’azzeramento del processo d’appello per irregolarità nella formazione del collegio ed avevano sostenuto ancora una volta la tesi del “complotto e sabotaggio” da parte degli ufficiali della Concordia in danno del Comandante, ma come era stato invocato anche dalla stessa Procura Generale, che puntava ad un aggravamento della pena. Un ipotetico nuovo grado di giudizio penale che i nostri clienti, le vittime, avrebbero vissuto con estrema fatica e sofferenza. I passeggeri sono stanchi e ci chiedevano di chiudere definitivamente questa penosa pagina della vicenda processuale e della loro storia personale. Tirare una linea ed andare oltre. Nessun particolare sentimento di vendetta o di acerrimo giustizialismo contro l’uomo Schettino, ma sicuramente il desiderio di sentir pronunciare la parola fine, almeno al processo penale, e così è stato.

Ancora una volta, eravamo noi del pool di “Giustizia per la Concordia”, in blocco ed uniti, e pochi altri, gli unici legali delle parti civili ad esser presenti nella lunghissima giornata all’interno dell’aula magna della IV sezione penale della cassazione, e nell’altrettanto lunga attesa pomeridiana, passata in una afosa giornata a passeggiare di fronte al Palazzaccio, pronti a tornare in aula su allerta della cancelliera sui nostri telefonini, per ascoltare la lettura del dispositivo della sentenza, avvenuta solo verso le 19,50. Rigettando tutti i ricorsi, la Cassazione ha confermato la decisione di appello e consegnato alla giustizia il principale responsabile del tragico disastro marittimo avvenuto la sera del 13 gennaio 2012, poco prima delle 22, davanti all’isola del Giglio a causa di una negligente ed improvvida manovra di accostamento ad alta velocità, squarciando il fianco della nave da crociera Concordia sugli scogli affioranti delle Scole. A bordo erano in 4.229, tra croceristi ed equipaggio, morirono 32 persone, decine i feriti. I segni del ricordo indelebile, ancora vivo, di quei momenti in attesa dello sbarco nel buio e freddo al largo del Giglio sono stati raccontati dai nostri clienti in tutta la loro drammaticità.

Dopo il monumentale processo penale di primo grado svoltosi a Grosseto, nel quale per oltre due anni di fila siamo stati impegnati in aula con estenuante intensità, e non solo come spettatori ma soprattutto quali veri protagonisti processuali per le parti civili, interpretando senza dubbio il ruolo dei legali più rappresentativi dei passeggeri e delle vittime, il 31 maggio 2016 la Corte d’Appello di Firenze aveva già confermato la condanna a 16 anni per Schettino. La Procura generale di Firenze aveva poi presentato ricorso in Cassazione, chiedendo di annullare la sentenza di appello, perché la pena comminata a Schettino era giudicata troppo lieve, invocando una condanna a 27 anni, la stessa richiesta formulata in primo grado dalla Procura di Grosseto, e aveva chiesto alla Suprema Corte di procedere a un nuovo processo per ricalcolare la pena in rialzo. Ovviamente anche i difensori dell’imputato avevano impugnato per Cassazione la decisione, proponendo una articolata serie di motivi, tutti puntualmente ed integralmente rigettati. La difesa degli imputati aveva chiesto anche di visionare in aula un video confezionato lo scorso marzo da Schettino, che aveva postato su YouTube, in cui si auto-difendeva, soprattutto sull’abbandono della nave, il reato più infamante contestato al comandante della Concordia. La richiesta è stata immediatamente opposta da noi parti civili, in ragione del fatto che si utilizzavano immagini e materiale non integralmente facente parte del fascicolo dibattimentale, che si trattava di questioni prettamente di merito e non di legittimità e che in tal modo si consentiva a Schettino di rendere indirettamente dichiarazioni libere ai giudici, cosa che avrebbe potuto ben fare se avesse scelto di presenziare in aula, ma non potendolo certo fare attraverso un suo video; il Collegio della IV sezione di Cassazione, ha in effetti rigettato tale richiesta e disposto procedersi oltre nella discussione finale, pronunciando a fine giornata la sentenza definitiva ed irrevocabile di condanna.

Ci sarebbe piaciuto veder finire in cella assieme al comandante della Concordia anche qualche altro personaggio di Costa Crociere – altrettanto responsabile e non solo da un punto di vista morale – ricordando le pene lievi concesse con il patteggiamento a tutti gli ufficiali di plancia e soprattutto al responsabile a terra dell’unità di crisi Ferrarini, oltre ai vertici societari della compagnia di navigazione, cioè coloro che hanno consentito la pratica degli inchini ed hanno messo Schettino al comando di una ciurma di gente impreparata a gestire l’emergenza, ma questa è stata sin da inizio la impostazione voluta dalla Procura di Grosseto in questo processo Schettino-centrico, al fine di arrivare ad una sentenza rapida e sicura, come oggettivamente è avvenuto. Sentenza di primo grado confermata in pieno e decisione irrevocabile e definitiva in 5 anni. Un vero record per la giustizia italiana.

Restano le questioni civilistiche, per alcuni dei nostri clienti che devono ancora incassare parte delle provvisionali liquidate in appello e che potranno ora promuovere le azioni civili per le liquidazioni definitive, e per molti altri passeggeri, soprattutto quelli rimasti tagliati fuori dal processo penale per aver seguito la rovinosa “via americana” della class action, che erano in attesa della definizione del giudizio penale per avviare le proprie richieste di risarcimento presso i Tribunali civili nazionali, e restano aperti molti altri aspetti della vicenda che continuano e continueranno ad occuparci per molto altro tempo. Il processo “Concordia” ha segnato una traccia ed aperto scenari prima scnosciuti ed inavvicinabili, e da qui parte il filo conduttore di ciò che sta avvenendo in altri processi e nelle indagini penali nei più importanti disastri marittimi e del mondo dei trasporti nel nostro paese: l’incendio del “Norman Atlantic” tra Italia e Grecia, l’incidente del “Jolly Nero” con il crollo della torre piloti nel porto di Genova, il disastro ferroviario “Andria-Corato”, le indagini sui rapporti promiscui tra Rina e Capitaneria di Porto, compagnie di navigazione e certificazioni facili etc. etc.

Ma il processo penale “Concordia” finisce qui. Giustizia è fatta.

13 gennaio 2017 – cinque anni dal naufragio Concordia

Appello concordia SchettinoIn memoria del naufragio della Concordia 13 gennaio 2012; sono passati cinque anni da allora, aspettando la sentenza definitiva dalla Corte di Cassazione.

Il 13 gennaio del 2012 alle 21:46 circa la nave Costa Concordia comandata da Francesco Schettino durante una sciagurata manovra di accostamento all’Isola del Giglio – c.d. inchino – fatta per omaggiare il maitre Tievoli originario dell’isola, urtava uno scoglio alle Scole provocando uno squarcio sotto la linea di galleggiamento del transatlantico di addirittura 70 metri.

A distanza di cinque anni e con due intense fasi processuali alle spalle non è stata detta una parola definitiva riguardo alle responsabilità che portarono a quel naufragio; un tempo relativamente molto breve per un processo penale di questa portata nel nostro paese, ma certamente lungo per chi attende giustizia. Quello che il Tribunale di Grosseto prima e la Corte d’Appello di Firenze poi ci hanno detto è che esisterebbe solo un colpevole per quel disastro, il Comandante Schettino, condannato alla pena di ben 16 anni di reclusione. Una pena adeguata alla gravità dei fatti, anche se noi crediamo che anche altre persone avrebbero dovuto essere sul banco degli imputati nel processo per il naufragio della Concordia. Non è stato un caso quello per cui imputati siano stati solamente gli ufficiali di bordo ed invece dei vertici nessuno della compagnia di navigazione sia stato chiamato a rispondere dei fatti alla base della tragedia.

Noi continuiamo a combattere con la passione che ci ha contraddistinto fin qui, perché la Giustizia abbia il suo corso e perché tutti gli individuabili responsabili del naufragio di quella notte all’Isola del Giglio siano perseguiti per legge ed eventualmente condannati. Le provvisionali riconosciute in primo e secondo grado hanno dato ragione ai passeggeri ed alle vittime, arrivando a quintuplicare ed anche oltre, i risarcimenti che Costa crociere aveva offerto ai naufraghi, e continuiamo nella nostra battaglia anche in Cassazione.

In memoria delle troppe persone, 32, che hanno perduto la vita e dei moltissimi altri sopravvissuti che ancora oggi portano i segni indelebili di quei terribili momenti, vissuti per salvaguardare interessi economici che troppo spesso pesano più della sicurezza dei passeggeri.

Gli Avvocati del pool Giustizia per la Concordia

Convegno sul danno Punitivo. Pesaro 18.11.2016

Grande successo di presenze al convegno sui danni punitivi svoltosi a Pesaro, ospiti della Camera Civile presso la prestigiosa sede dell’excelsior e la direzione ed organizzazione dell’Avvocato Edoardo Mensitieri. Oltre 200 avvocati hanno ascoltato con estremo interesse i relatori provenienti da diverse parti d’Italia, illustrare le caratteristiche di questa particolare pretesa risarcitoria di origine anglosassone e grandemente applicata negli Stati Uniti con pronunce multimilionarie a funzione sanzionatoria e di prevenzione sul verificarsi di ulteriori eventi simili. Una sorta di maxi-risarcimento aggiuntivo, riconosciuto ai danneggiati quando si dimostra che la azienda o il soggetto in posizione dominante, nonostante la consapevolezza del rischio per gli utenti o per i propri dipendenti, non ha adottato quelle misure correttive per prevenire il verificarsi dell’evento dannoso. Fino a questo momento si è sempre negato l’ingresso di questo istituto giuridico, ritenendolo contrario all’ordinamento interno italiano, nel quale è possibile ottenere solo un risarcimento con funzione compensativa, cioè nel limite del pregiudizio subito e non oltre. L’occasione alla base del convegno è la recente ordinanza 16 maggio 2016 n.9978 di rimessioni alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione della questione di ammissibilità dei danni punitivi nel nostro paese, in considerazione dell’apertura, sia da parte della dottrina che, progressivamente ed in modo sempre più esplicito, della giurisprudenza di merito e l’introduzione di figure risarcitorie a contenuto punitivo in numerose norme legislative interne.

Gli avvocati Annamaria Romeo di Latina, Michelina Suriano di Bologna, Massimiliano Gabrielli di Roma e Cesare Bulgheroni di Milano hanno parlato dell’art. 96 cpc, del danno endofamiliare ex art. 709 ter, delle concrete portate applicative del danno punitivo nelle cause penali e civili a tutela delle parti lese, e dei processi Tyssen e Costa Concordia. La dichiarata ambizione del convegno è quella di diffondere la cultura di questa figura risarcitoria tra gli Avvocati italiani, da cogliere come opportunità, oltre che per ottenere una più adeguata soddisfazione economica a favore dei propri clienti, quale strumento sociale per la prevenzione del rischio in settori come i grandi trasporti, industria, ambiente, ma da pretendere anche in casistiche di danni non di massa o seriali ma altrettanto diffusi, come nei casi di malasanità. In attesa della pronuncia da parte delle Sezioni Unite, i relatori ritengono fondamentale la circolazione del concetto del danno punitivo tra gli Avvocati per introdurlo diffusamente nelle aule dei Tribunali, e spingere i Giudici ad avere un atteggiamento sempre più possibilista, come suggerito dalla stessa 1a sezione della Cassazione.

Quattro anni di lotta – commento alla sentenza di appello Concordia

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L’aula di udienza a Firenze

Non è notizia di oggi quella che riguarda la sentenza di appello sul naufragio della concordia, che ha confermato la condanna a 16 anni a carico di Schettino.

Abbiamo atteso un po’ di tempo prima di scrivere le nostre note per cercare di realizzare meglio il senso di quella che è stata una vittoria di dimensioni davvero enormi, ottenuta nei confronti di una multinazionale potentissima, la Costa Crociere S.p.A. che ha alle sue spalle la Carnival Cruises, cioè nei confronti di una delle società più importanti e più potenti economicamente al mondo, che nemmeno il governo degli Stati Uniti è mai riuscito ad almeno sottoporre al proprio regime fiscale.

Insomma la notizia è che un gruppo di tignosi avvocati italiani – che si è messo insieme per lavorare al meglio in questo processo – è riuscito davvero a ottenere quello che né il governo degli Stati Uniti né la Procura della Repubblica di Grosseto hanno mai ottenuto e nemmeno cercato di ottenere.

I fatti sono conosciuti: la notte del 13 gennaio 2012 il comandante della Concordia Francesco Schettino la portava a sbattere sugli scogli delle Scole all’isola del Giglio con una manovra di inchino a dir poco suicida.

Da lì ha inizio il naufragio più grande della storia mercantile internazionale: una nave passeggeri di 350 m di lunghezza e di 11 ponti fuori dalla linea d’acqua con a bordo oltre 4.300 persone si squarcia per 70 metri sotto la linea di navigazione e, grazie al vento che sospinge indietro, si appoggia sugli scogli miracolosamente non affondando.

In seguito all’urto con gli scogli ed alla gestione a dir poco demenziale da una parte e delinquenziale dall’altra dell’emergenza così insorta, ben 32 persone perdono la vita mentre altre 4300 rischiano a loro volta di morire ma miracolosamente invece si salvano.

Ne nasce un processo monstre in cui alla fine delle indagini preliminari la Procura di Grosseto ritiene di poter chiedere di rinviare a giudizio il solo comandante Schettino e cinque altre persone in totale tra ufficiali di bordo e uomini della compagnia di navigazione (della Costa veramente il solo Ferrarini facente parte dell’unità di crisi a terra ma nessuno del Consiglio di Amministrazione).

 Nessuno della compagine societaria viene sottoposto al processo per una scelta della Procura di Grosseto che ancora non riusciamo davvero a spiegarci, considerate le plurime responsabilità penali emerse a carico della compagnia nel corso delle investigazioni e ancora di più nel corso del dibattimento stesso.

 Le parti lese in questa vicenda, i passeggeri che hanno perso la vita e quelli che fortunatamente sono sopravvissuti, non vengono mai presi in considerazione da nessuno dell’organo inquirente: alcuni di noi, va rilevato, hanno assistito ad una scena praticamente kafkiana. Alla nostra osservazione come difensori delle parti lese che lamentavano il fatto che la Procura di Grosseto avesse dato il proprio consenso a patteggiamenti scandalosi per gli imputati senza curarsi dei risarcimenti alle vittime del naufragio, il procuratore capo di Grosseto osservava che ci sono i processi civili per i risarcimenti!

Mai abbiamo visto in realtà un atteggiamento di questo genere da parte di una Procura della Repubblica che normalmente tutela proprio le vittime dei reati pretendendo che gli imputati le risarciscano prima di prestare il consenso ai patteggiamenti…Ma questo è stato solo l’inizio della storia di questo processo che all’epoca vedeva schierati da una parte i passeggeri e dall’altra la Compagnia di Navigazione Costa Crociere che riteneva di avere già risarcito correttamente la maggioranza dei naufraghi offrendo loro una cifra a forfait di 11.000 Euro, prendere o lasciare.

Alcuni dei passeggeri, proprio i nostri assistiti, ritenevano di avere diritto ad essere risarciti con cifre molto più alte, ma sopratutto pretendevano Giustizia e verità, perchè avevano vissuto un’esperienza orrenda che li aveva segnati pesantemente.

Ma niente di tutto questo veniva preso in considerazione né da Costa Crociere né dalla Procura di Grosseto che, appunto, dava consensi a patteggiamenti tanto scandalosi che la stessa Procura Generale di Firenze che li avrebbe dovuti avvallare li impugnava invece davanti alla Corte di Cassazione.

Anche questo chiaro segnale pareva non bastare a Grosseto perchè pure il Tribunale durante il dibattimento a carico di Schettino di fatto osteggiava il lavoro delle parti civili che non si rassegnavano ad essere spettatori inermi ma che volevano capire perchè fosse avvenuto quel naufragio e se le responsabilità si dovessero fermare al solo imputato presente o se invece dovessero allargate alla società armatrice.

Il dibattimento a Grosseto peraltro si svolgeva solamente per la scelta – da alcuni giudicata folle, da altri onorevole – di Schettino di chiedere di essere sottoposto al pubblico dibattimento per poter spiegare le sue ragioni.

Dal dibattimento – durato ben 70 udienze spalmate in un periodo di tempo pari ad un anno e mezzo in cui le vite professionali di questi pochi appassionati avvocati venivano di fatto stravolte per poter seguire veramente quello che succedeva – emergevano evidentissime responsabilità pure di Costa Crociere: si citano brevemente al riguardo le anomalie del DGE, diesel generatore di emergenza, che non funzionando per un difetto di progettazione durante la fase dell’emergenza ha comportato di fatto che quantomeno una parte delle vittime del naufragio perdesse la vita poiché non senza il DGE non fu possibile sganciare almeno un’altra delle scialuppe di salvataggio e una sola scialuppa di salvataggio in più sganciata avrebbe comportato che 150 passeggeri avrebbero potuto trovare posto su quella scialuppa, e i morti furono 32!

Non solo. La mancata preparazione dell’equipaggio, l’inesperienza degli ufficiali di bordo di età media abbondantemente sotto i trent’anni, la politica tesa al risparmio su ogni aspetto della sicurezza, le anomalie del programma di emergenza degli ascensori che causarono il blocco del DGE, l’improvvisazione dell’unità di crisi tesa alla sola ri-certificazione della nave per tornare a farla navigare al più presto piuttosto che alla sicurezza delle persone a bordo, tutti questi elementi insieme facevano emergere chiaramente la responsabilità di Costa Crociere che giustificava non solo l’allargamento della responsabilità penale ai vertici societari ma la richiesta di riconoscimento dei danni punitivi per appunto indurre la società armatrice a rivedere le proprie politiche economiche perchè ove fosse stata punita come chiedevamo avrebbe inteso che sarebbe divenuto in futuro maggiormente conveniente spendere per la sicurezza che non dover risarcire le vittime.

Questo gruppo di avvocati ha avuto l’ardire di presentare una denuncia contro i vertici societari di Costa Crociere e Carnival perché ritenevano, come ritengono tuttora, che ci sia una chiara responsabilità in concorso con il Comandante Schettino da parte dei vertici societari.

La Procura di Grosseto invece riteneva di dover richiedere l’archiviazione della denuncia e, con un’altra mossa del tutto inaudita, il Giudice delle Indagini Preliminari di Grosseto a cui era stata rivolta l’opposizione delle parti lese alla richiesta di archiviazione, decideva di procedere direttamente all’archiviazione della denuncia querela senza nemmeno fissare una camera di consiglio in cui gli avvocati avrebbero dovuto essere ascoltati!

Il dibattimento di primo grado si concludeva con una sentenza che dava solo parzialmente ragione alle parti civili escludendo il danno punitivo e concedendo loro dei risarcimenti con una provvisionale che variava fra i 30 e i 50.000 Euro, a parte risarcimenti sproporzionati ai soli enti quali la regione Toscana e il Comune del Giglio.

Costa Crociere poteva dunque davvero stappare lo champagne per lo scampato pericolo, quantomeno perché alcune voci delle pretese risarcitorie delle parti civili erano state in qualche maniera, sia pur molto discutibilmente, molto ridotte grazie ad una sentenza, definita da qualcuno di noi, da ragionieri del diritto.

Questo gruppo di avvocati decideva a questo punto di fare appello contro la sentenza, rischiando che le cifre concesse come provvisionale potessero anche essere ridotte, per cercare di rimediare alla evidente ingiustizia verso le pretese risarcitorie dei naufraghi della sentenza del Tribunale di Grosseto.

Presentava appello anche il Comandante Schettino e la Costa Crociere, chiedendo questa ultima che venissero ridotti gli importi provvisionali concessi agli enti, e infine la Procura di Grosseto che chiedeva abbastanza clamorosamente un aumento di pena di altri 10 anni di carcere contro l’imputato, già condannato a 16 anni in primo grado.

L’inizio del processo d’appello faceva capire a questi difensori che finalmente ci si trovava di fronte a Giudici che erano predisposti ad ascoltare le ragioni dei naufraghi e che non si erano chiusi in posizioni di rifiuto ideologico delle loro pretese.

Si svolge così a Firenze un dibattimento serratissimo che in un solo mese vedeva la discussione di una trentina di avvocati delle parti civili, della Procura, dei difensori di Schettino e di quelli di Costa Crociere.

Si arrivava così finalmente alla sentenza della Corte d’Appello di Firenze che concedeva alle sole parti civili, è solo a loro, la vittoria: le cifre provvisionali concesse con estrema prudenza dal Tribunale di Grosseto venivano tutte aumentata del 50% a favore delle parti civili costituite. Ma non solo. Gli appelli, tanto dell’imputato che della procura, venivano integralmente respinti.  Attribuiamo, a questo ultimo aspetto, un particolare ed ulteriore significato di riconoscimento al nostro lavoro, Quale evidente segno che la Corte d’appello di Firenze ha sposato la nostra visione sui fatti e sul peso delle responsabilità del naufragio: confermando la condotta criminale di schettino, ma riconoscendo implicitamente che esistono altre responsabilità di “contorno”, altrettanto gravi, non riconoscendo apertamente i danni punitivi, la cui applicabilità nel nostro ordina è tuttora incerta, ma aumentando considerevolmente tutte le provvisionali per i nostri clienti.

Costa Crociere ha preso finalmente una sonora batosta da parte del nostro gruppo Giustizia per la Concordia, che si è distinto per avere il coraggio di tenere duro nei confronti della Costa Crociere, della prudenza della Procura di Grosseto ed in quelli della sentenza altrettanto prudente del Tribunale di Grosseto…e non è ancora finita qui perchè in Cassazione ci saremo e ancora chiederemo il riconoscimento dei danni punitivi, attualmente al vaglio delle Sezioni Unite.

Noi rimaniamo sempre dalla parte delle vittime e continueremo ad esserlo perché la giustizia possa effettivamente trovare posto anche in una vicenda di questo genere dove troppe coperture e troppe omissioni si sono verificate.

Cesare G. Bulgheroni  – Avvocato in Milano

Il danno punitivo – udienza 28.05.2016

Danni-punitivi-Costa-Concordia

Ultimo giro di parola alle parti civili a Firenze nel processo di appello Concordia, con imboscata al difensore di Costa Crociere, tirando fuori a sorpresa solo nell’ultimo intervento di replica, alla udienza del 28.05.2016, la più recente evoluzione giurisprudenziale di legittimità sul tema giuridico del cd. “danno punitivo“, che per tutto il corso del processo è sempre stato molto caldo, controverso e fonte di polemiche, tanto che in primo grado, durante la mia discussione incentrata su questo argomento per conto di tutte le parti civili, avevo provocato l’uscita dall’aula – in segno di protesta – dell’Avv. Marco De Luca, a seguito della richiesta di questo surplus risarcitorio sul modello statunitense, a carico della sua cliente, la compagnia di navigazione; la Suprema Corte di Cassazione, Sez. I Civile, con ordinanza interlocutoria 16 maggio 2016, n. 9978, entra a gamba tesa nella vicenda della Concordia, proprio alla vigilia della sentenza di appello, disponendo la rimessione alle Sezioni Unite della questione sui cd. “danni punitivi” nel nostro ordinamento. La vicenda è particolarmente significativa nel processo che stiamo trattando, in quanto sin da inizio, noi del pool “Giustizia per la Concordia“, abbiamo proposto questa domanda risarcitoria aggiuntiva, ma sempre più, nel corso del dibattimento di primo grado, ci siamo convinti della opportunità, fondatezza e necessità di questo riconoscimento economico, quale elemento correttivo di una serie infinita di condotte criminali di contorno a quelle – non meno pesanti – di Schettino, venute alla luce udienza dopo udienza e poste in essere da Costa Crociere ed i suoi responsabili amministrativi, nelle fasi prima, durante e dopo il naufragio, e che altrimenti resterebbero senza alcuna risposta da parte del sistema sanzionatorio, seppellite per sempre tra le centinaia di faldoni processuali. La Cassazione, incidentalmente alla questione di riconoscibilità in delibazione di una sentenza straniera ove questa contenga un’attribuzione patrimoniale e risarcitoria a carattere punitivo (e non compensativo), si è da ultimo interrogata espressamente ed esplicitamente sull’attuale ed effettiva contrarietà dei danni punitivi al nostro ordinamento interno, alla luce della progressiva evoluzione del concetto di “funzione del rimedio risarcitorio”, da un lato, e del principio di “ordine pubblico”, dall’altro. E’ innegabile, infatti, che il legislatore abbia introdotto negli ultimi anni alcune norme che prevedono una evidente componente risarcitoria ultra-compensativa, la cui quantificazione è collegata non (tanto) al danno subito dalla parte, quanto piuttosto al comportamento di chi ha provocato quel danno: tanto più grave è il comportamento, e tanto più pesante sarà la sanzione economica, che acquista dunque una connotazione punitiva, esemplare e di prevenzione. L’interrogativo, viene quindi rivolto alle SS. UU. della Cassazione, in quanto implicante la soluzione di una questione di massima di particolare importanza.

Il difensore di Costa Crociere, Avv. Marco De Luca, nella propria discussione in questo grado di Appello, aveva quasi sorvolato sull’argomento, disconoscendo qualsiasi valenza ed applicabilità nel nostro ordinamento dell’istituto dei danni punitivi, sostenendo che in questo processo, in questo settore del diritto processuale ed in questo paese, ci si debba occupare solo di diritto positivo, e non de jure condendo, visto che in Italia esiste solo ed esclusivamente la funzione compensativa-riparatoria del risarcimento, essendo invece estranea al ns ordinamento la componente sanzionatoria e punitiva, riconosciuta nei paesi anglosassoni e di common law. Noi invece crediamo e sosteniamo fermamente il contrario, avendo dimostrato che il trend italiano ed europeo è esattamente in direzione contraria, ossia per l’apertura al danno punitivo, e che, sopratutto in un processo eccezionale come questo, ci sia lo spazio per occuparci del diritto evoluto, e compiere un passo avanti per una pronuncia innovativa e coraggiosa, mettendo da parte calcolatrici, tabelle, e codici impolverati o spesso ammuffiti. Il rischio che le multinazionali, pur conoscendo l’esistenza di alta probabilità di un prevedibile danno ad una moltitudine di soggetti (es. per un difetto di fabbricazione, per la mancata adozione dei misure adeguate di prevenzione, per la mancata formazione dei propri dipendenti etc.), si facciano il calcolo di quanto possa costare pagare i risarcimenti tabellari, piuttosto che investire per evitare i danni “attesi”, ottiene così un efficace correttivo, ristabilendo un equilibrio, ed incentivando il livello di attenzione e prevenzione contro i “mass tort”.

La remissione della questione alle SS.UU., fatalmente, testimonia il serio ripensamento anche da parte dei giudici di legittimità sui danni punitivi, essendo stata revocata seriamente in dubbio la permanenza di uno sbarramento al possibile riconoscimento, anche nel nostro ordinamento interno, dei cd. “danni punitivi, seguendo, e lo diciamo con uno spunto di orgoglio personale e professionale, esattamente lo stesso identico percorso logico, dottrinale, giurisprudenziale e normativo che abbiamo illustrato ai giudici di Grosseto prima, e di Firenze ora, per sostenere le ragioni della nostra istanza risarcitoria.

Sul punto abbiamo già avuto modo di criticare la sentenza di primo grado, definendo i giudici del tribunale di Grosseto una sorta di “ragionieri del diritto“, per la dimostrata mancanza di coraggio nella possibilità di scardinare un concetto ormai inadeguato e superabile del diritto risarcitorio nazionale. Alla luce dell’invio della questione alle Sezioni Unite, però, i giudici del Collegio di Appello di Firenze non potranno affrontare con altrettanta chiusura mentale il tema dei danni punitivi, e dovranno quantomeno dare una risposta alle perplessità sollevate dalla Cassazione sulla assenza di un tale meccanismo sanzionatorio e di prevenzione anche nel nostro paese.

Avv. Massimiliano Gabrielli

Per maggiori approfondimenti: MEMORIA DI REPLICA DEPOSITATA IN APPELLO CONCORDIA SUI DANNI PUNITIVI

Repliche delle parti civili – Udienza 23.05.2016

Il palazzo di giustizia di Firenze

L’udienza del 23 maggio è stata dedicata alle repliche delle parti civili. Hanno preso la parola nell’ordine l’avvocato Quartararo per INAIL, l’avvocato Lucchese per Sos isola del Giglio, e i nostri avvocati Bellotti, Guarini, Romeo e Bulgheroni di Giustizia per la Concordia e, infine, gli avvocati  Vitrano e Suriano.

Al di là delle singole posizioni rappresentate – in particolare quella di S.O.S. per il Giglio che ha dovuto replicare duramente contro l’avvocato De Luca per Costa in quanto si era assistito nella sua replica ad un vero e proprio dileggio di quell’associazione nata dopo il naufragio – tutti gli altri colleghi hanno replicato alla discussione del difensore di Costa Crociere sottolineando come la stessa responsabile civile non ha affatto appellato contro le statuizione civili della sentenza che riguardavano i passeggeri e comunque gli infortunati.

Molto interessanti i punti di vista espressi dall’avvocato Bellotti che ha ricordato come Costa in ogni modo debba rispondere per ogni danno che il comandante Schettino ha provocato ai passeggeri, modo sottolineando che non può esimersi dal corrisponde ogni risarcimento che verrà concesso compresi i danni punitivi. L’avvocato Guarini invece ha replicato anche alla difesa dell’imputato chiedendo che il suo appello venga rigettato e che venga confermata la sentenza di condanna nei suoi confronti, ritendeno scandaloso che la difesa chieda addirittura l’assoluzione piena del Comandante. Il punto di vista dell’avvocato Romeo che ha ribadito nelle sue conclusioni, è quello per cui in ogni modo la corte d’appello di Firenze ha la possibilità di entrare nel merito dei risarcimenti considerata che la richiesta proposta in appello ha quello per oggetto. L’avvocato Bulgheroni invece si è soffermato sulla opportunità che ha la corte di appello di entrare nella questione risarcitoria con un punto di vista privilegiato, perché conosce non solo delle conseguenze del naufragio ma anche di tutto l’evento che si è succeduto, cosicché può effettivamente capire come i danni siano aggravati dall’evento stesso. Gli avvocati Suriano e Vitrano si sono soffermati invece sulle singole posizioni dei loro clienti, registrando la vibrata discussione dell’avvocato Suriano, scandalizzata dalla richiesta del legale di costa di rigettare integralmente le richieste risarcitorie dei suoi assistiti.

L’udienza è stata così aggiornata al 27 maggio riservando l’ultimo intervento delle parti civile al collega Massimiliano Gabrielli, che si soffermerà nuovamente sulla delicata e molto controversa questione del danno punitivo.

A seguire, nella stessa udienza, la contro replica del responsabile civile e come ultima parola le difese dell’imputato, per poi attendere la camera di consiglio per  la sentenza il 30 maggio.

Arringa Avv. Saverio Senese – Udienza 20.05.2016

Parola alla difesa di Schettino

La discussione dei motivi di appello a Firenze dell’Avvocato Saverio Senese, nuovo difensore di Schettino, successiva a quella tenuta ieri dall’avvocato Donato Laino, apre con modi garbati, seppure nella pretesa abbastanza arrogante di giungere all’inverosimile risultato di una assoluzione in appello, e retoricamente rivolgendosi di continuo – anche girandosi fisicamente – alla platea di ascoltatori che, alle spalle dei banchi dei difensori togati, assiste alla udienza: uno sparuto gruppo di giornalisti disarmati dalle telecamere (stavolta non ammesse in aula), a cui il legale dice di non voler dare alcun peso ulteriore nella vicenda processuale, fin troppo infiltrata da sovraesposizione mediatica, eppure continuando più volte a riportare nel suo argomentare riferimenti giornalistici ed interviste dallo stesso rilasciate – ed un gruppo di una ventina di giovani studenti di giurisprudenza – che oggi sembrano essere presenti a suo uso e consumo – mostrando subito la provenienza formativa dell’Avv. Senese e la sua evidente esperienza in processi per criminalità organizzata: nella arringa difensiva tenta infatti, come prima cosa, di smontare la attendibilità dei testi, poiché – a suo dire – sarebbero tutti interessati ad attribuire la colpa interamente a Schettino al fine di elidere le proprie responsabilità anche di natura penale. La sensazione è che “ricicli” argomenti più volte trattati su collaboratori di giustizia e sulla utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie dei pentiti nei confronti dell’imputato. Completamente fuori tema quindi, a nostro parere, rispetto al caso di specie: sarebbe stato invece pertinente e di una certa efficacia sottolineare il fatto che praticamente tutti i testi chiave erano e restano dipendenti al soldo di Costa Crociere, testi spesso accompagnati in aula a Grosseto dagli avvocati della compagnia, sentiti in audit interni prima che dalla autorità giudiziaria e che hanno ricevuto risarcimenti ed indennizzi immediati ed enormemente superiori ai passeggeri. E che in molti casi sono stati promossi, premiati dalla Compagnia anche nel caso di dipendenti inizialmente coimputati di Schettino in concorso tra loro per i reati di naufragio, omicidio plurimo e lesioni, e hanno poi patteggiato la pena, come nel caso di Ferrarini. Su questo argomento non dice nulla.

 

Parla invece ed a lungo di errori grossolani della sentenza, ne avrebbe contati 120 – 130 nella decisione di primo grado, della intenzione della procura di dare ragione a De Falco a tutti i costi e di una volontà di privilegiare le sensazioni e le interpretazioni sulle prove certe. A partire, appunto, dalle dichiarazioni dei testi.

Attacca – senza però essere convincente sui motivi alla base dei motivi di inutilizzabilità – la testimonianza di Canessa, Coronica, Ambrosio, Ursino, Pilon, Ferrarini, Iannello e così via dicendo, sostenendo che si debba procedere alla cd. prova di resistenza – ovverosia verificare se – venendo meno questi argomenti di accusa, l’impianto logico accusatorio sia in grado di resistere e la sentenza possa pervenire comunque ad una affermazione certa di responsabilità penale dell’imputato, oltre ogni ragionevole dubbio. Come nella cultura del diritto di difesa e garanzia della presunzione di innocenza dell’indagato, prima, e dell’imputato poi, che continua a invocare rivolgendosi alla Corte. Chiede al Collegio di appello di togliere di mezzo, una ad una, tutte le testimonianze, arrivando poi anche a voler eliminare dalle fonti di prova l’interrogatorio di garanzia dello stesso Schettino poiché sarebbe stato reso in una condizione di prostrazione psicologica del comandante, e quindi non utilizzabile come fonte di responsabilità sicura stante le sue dichiarazioni autoaccusatorie. Dimentica forse però che, pur sgombrando la motivazione da questo elementi di supporto, restano i 150 faldoni di dati, la timeline, le registrazioni del VDR, le perizie e tutti quegli altri elementi dai quali emerge una ineludibile catena causale: riuscire ad allargare il tema delle responsabilità verso i sottoposti, e perfino verso la Compagnia, non elimina ne alleggerisce quelle dell’imputato. Non riesce quindi l’avv Senese ad interrompere il nesso causale ed eziologico tra le condotte di Schettino e gli eventi delittuosi che gli sono stati contestati, perché per quanto ci siano responsabilità ed errori pure di altri, l’antecedente causale principale è tutto e solo suo. Non riesce a convincere nel voler smontare due anni di processo tramite qualche singolo elemento di incongruità.

La difesa del Comamdante Schettino prosegue infatti nel voler affermare che, a suo modo di vedere, le prove non ci sono e quelle che ci sono, sono state lette nella maniera sbagliata: “Io non dico mai che Francesco Schettino è innocente, dico solo che non ci sono le prove per condannarlo“, ha detto Senese, sostenendo invece il disprezzo delle regole processuali più elementari da parte del tribunale di Grosseto; insomma l’imputato, sarebbe stato vittima di un accanimento unico;

Schettino – ha continuato la difesa – non ha mezzi, non ha soldi. Noi della difesa non abbiamo i potenti mezzi che ha l’accusa“. Passando poi al tema dell’abbandono della nave l’arringa si perde nella vacuità della richiesta di cancellare in tutto il mondo la immagine di Schettino come l’esempio della peggiore napoletanità. Si sarebbe continuato a chiamarlo Comandante anche quando era a terra ed ormai un naufrago come gli altri, solo per potergli addossare responsabilità che non aveva più! Senese afferma addirittura che vi sarebbe la prova provata, nelle stesse carte dell’indagine, che il Comandante era certo che fossero sbarcati tutti, eppure il tribunale ha preferito accogliere suggestioni psicologiche per condannare Schettino.

Dopo la pausa, l’avvocato Senese sembra recuperare lucidità e torna, in chiusura del suo intervento, su un terreno a lui più congeniale, più sostenibile e molto ben argomentato: quello delle cd. subordinate, ovverosia la richiesta di una diminuzione della pena di 16 anni già comminata nel precedente grado, attraverso il possibile – doveroso – riconoscimento delle attenuanti generiche, negate dal tribunale sulla base di argomentazioni davvero contraddittorie, per come espresse dai giudici grossetani: si sarebbe difeso cercando di scaricare la propria responsabilità dandola ad altri, in un paese, come il nostro, dove difendersi – perfino mentendo – è un diritto. E l’incensuratezza e comportamento processuale del Comandante non dovrebbero -secondo la arringa difensiva, essere disconosciute nuovamente dalla Corte d’Appello.

Una buona chiusura, tutto sommato, con un tocco accettabilmente umano ad un processo che tratta di pene prossime all’ergastolo, con il finale richiamo alla funzione riabilitativa della pena, incompatibile con una condanna a 27 anni di carcere, come richiesta dalla accusa.

Dopo le repliche del PM E PG, previste sempre per oggi, il 23.05 si passa alle repliche parti civili, 27.05 repliche della responsabile civile Costa Crociere e il 31.05 camera di consiglio per la sentenza.

Discussione delle parti civili – Udienze 4-6-9-10 Maggio

Al processo di appello per il naufragio della Concordia é finito il primo turno di discussione prima che la difesa dell’unico imputato prenda la parola.

All’udienza del 28 aprile aveva discusso il PM Leopizzi – con l’intervento finale del Procuratore Generale di Firenze a richiedere l’inasprimento della pena irrogata a Schettino fino addirittura a 27 anni di reclusione e tre mesi di arresto – chiedendo il rigetto integrale dell’appello degli avvocati Senese e Laino per il comandante, osservando in primo luogo che dovevano essere dichiarati inammissibili i motivi di appello dell’Avv. Laino perché erano solamente la trascrizione della sua discussione di primo grado traslata nell’impugnazione, senza alcun esame della sentenza.

Peraltro, secondo il PM, il limite dell’impostazione dell’impugnazione era quello di non considerare quanto era registrato nel vdr – la scatola nera – della Concordia ed il fatto che comunque Schettino era indubitabilmente al comando al momento dell’impatto. Non apprezzare tali circostanze certe, avrebbe limitato necessariamente l’efficacia dell’impugnazione così come l’avere parcellizzato le varie circostanze dei fatti avvenuti senza dare loro una visione d’insieme, così di fatto mistificandole.

D’altronde il tentativo di scaricare la colpa su Ambrosio e su Rusli Bin é comunque un errore, poiché le responsabilità del Comandante sarebbero almeno pari a quelle di Ambrosio per avere messo alla manovra del timone lo stesso Rusli Bin, i cui errori non hanno avuto decisivo rilievo quanto all’urto con gli scogli, considerata la velocità ed il ritardo nell’impostare la manovra di emergenza.

All’udienza del 4 maggio sono poi iniziate le discussioni delle parti civili che hanno tutte chiesto la conferma della dichiarazione di responsabilità penale di Schettino, chiedendo la riforma delle statuizioni civili secondo svariati aspetti. A quel l’udienza si é  distinta la discussione dell’Avv. Sergio Bellotti di Roma, che ha evidenziato in maniera davvero incisiva i capisaldi dei propri motivi di appello e, anche da un punto di vista giuridico e processuale, le contraddizioni della sentenza che meritano una seria revisione da parte dei giudici di Firenze, sopratutto per quanto alle liquidazioni in favore delle parti civili. Dopo la discussione dell’Avv. Domenico Chirulli di Bari, abbiamo potuto ascoltare l’Avv. Massimiliano Gabrielli del foro di Roma, chiedere di nuovo a gran voce il riconoscimento del danno punitivo nei confronti della compagnia armatrice, quale correttivo, anche a livello di prevenzione, per tutti i rischi a cui i passeggeri sono stati sottoposti per le politiche al risparmio di Costa Crociere, che ha preso parte nella causazione del naufragio a cominciare dal consentire gli “inchini” tra l’altro proprio all’isola del Giglio, per proseguire nel non avere supportato Schettino durante la fase dell’emergenza per proseguire con le numerosissime manchevolezze dei sistemi di sicurezza a bordo a cominciare dal mancato funzionamento per errore di progettazione del Diesel Generatore di Emergenza. Chiude l’Avv. Gallenca di Torino, che enuclea la tesi di un possibile aggravamento della qualificazione giuridica delle responsabilità di Schettino, passando alla ipotesi di colpa cosciente o dolo eventuale.

All’udienza del 6 maggio le discussioni delle parti civili sono proseguite con gli interventi dei nostri Avv. Cesare Bulgheroni di Milano ed Avv. Alessandra Guarini del foro di Biella, il primo dei quali ha chiesto al Comandante Schettino di fare un passo indietro e di ammettere finalmente le proprie responsabilità circa l’errata manovra, le mancanze verificatesi nella fase emergenziale per non aver dato l’allarme generale in tempi opportuni e per non essere risalito sulla nave. L’intervento é proseguito delineandosi le responsabilità di Costa Crociere che vanno condivise con quelle di Schettino e che per questo va punita con la corresponsione di danni punitivi. L’Avv. Guarini ha invece ricordato che sul banco degli imputati mancano gli uomini della società che non sono stati indagati per una scelta miope della Procura di Grosseto che troppo ha incentrato le indagini sul ruolo di Schettino, e ha chiesto alla Corte di Appello di Firenze di trasmettere gli atti alla Procura stessa perché finalmente indaghi sulle responsabilità penali dei vertici di Costa Crociere. Infine l’Avv. Annamaria Romeo di Latina ha insistito sul punto del mancato riconoscimento di danni personalizzati alle vittime del naufragio, che non sono catalogabili in categorie ma ognuno ha subito differenti e valutati danni durante la fase dell’emergenza, e la cui prova, fornita dalle parti attraverso i consulenti e le relazioni medico legali, non è stata affatto oggetto di puntuale contestazione da parte della responsabile civile e dei suoi consulenti.

All’udienza del 9 maggio abbiamo assistito alle discussioni degli ultimi patroni di parte civile tra cui gli Avv.ti Michelina Suriano di Bologna e Salvatore Vitrano di Palermo che con diverse declinazioni hanno anche loro chiesto che i danni riconosciuti ai passeggeri vengano differenziati secondo le diverse prove date delle lesioni subite, tra cui il danno da stress post traumatico.

All’udienza del 10 maggio, dopo l’ultima discussione di un difensore di parte civile, l’Avv. De Renzis che efficacemente ha tratteggiato come la sentenza di Grosseto abbia dimenticato il dramma dei passeggeri nonostante abbia visto coi propri occhi persone adulte piangere ininterrottamente per le esperienze subite, é stato il turno dell’ Avv. Marco De Luca che, come in primo grado, difende la responsabile civile Costa Crociere SpA. L’Avv. De Luca ha sostenuto che Costa risponde del fatto di Schettino solamente dal punto di vista civilistico, ma che non sarebbe sul banco degli imputati e che quindi non può essere chiesto il danno punitivo nei suoi confronti. D’altronde Costa ritiene giusta la decisione di primo grado quanto alle cifre provvisionali concesse alle parti civili sostenendo che secondo lui i danni subiti dai passeggeri, nonostante le consulenze tecniche agli atti, non sarebbero stati affatto provati.

Da notare che le statuizioni in favore dei passeggeri non sono state oggetto di appello da parte della Società, che quindi ha prestato acquiescenza alla decisione di liquidazioni tra 30-50mila euro a testa. Insomma il patrono di Costa, al di lá delle singoli posizioni trattate contro enti esponenziali, che a suo parere non avrebbero avuto diritto ad ottenere risarcimenti come deciso dal tribunale di Grosseto, non si avventura in una pretesa di riforma in pejus, e chiede la conferma della decisione di primo grado perché palesemente teme che la sentenza sia passibile di riforma, questa volta pesantemente punitiva nei confronti della società armatrice.

La parola passa ora alla difesa dell’imputato i cui interventi sono previsti per le udienze del 19 e del 20 maggio con prosecuzione al 23 e 25 per le repliche e contro repliche e con la prevista entrata in camera di consiglio per la decisione e sentenza all’udienza del 27 maggio con possibile prosecuzione al 31.

Udienza appello Concordia del 28.04.2016

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Il processo di appello Concordia a Firenze

Sì è aperto il 28.04.2016 processo di secondo grado presso la Corte di appello penale di Firenze, nel quale dovrà essere valutata la correttezza della decisione dei giudici di Grosseto, che hanno condannato il comandante Francesco schettino a 16 anni di carcere, e Costa Crociere al pagamento dei risarcimenti, con provvisionali a favore dei passeggeri tra i 30.000 e 50.000 euro ciascuno. Il processo si è svolto nella maxi aula dove recentemente è stato celebrato l’appello di Meredith Kercher nel nuovo palazzo di giustizia fiorentino, in un contesto molto differente da quello del precedente contesto nel teatro moderno di Grosseto: imputato assente, divieto di riprese televisive in aula, numero estremamente ridotto di parti civili che hanno proposto appello, ed ovviamente nuovi giudici, nuovo rappresentante della pubblica accusa, e nuovo difensore di Schettino, in affiancamento all’avv. Laino. La netta sensazione è che a questo processo si sia voluto imporre a tavolino e da più parti un basso profilo mediatico, concentrazione e sintesi estrema degli interventi delle parti processuali, e percorso diretto verso la decisione già a fine maggio, seguendo una serratissima calendarizzazione delle udienze, mediamente previste un giorno sì ed uno no per tutto il mese prossimo.

In apertura si è ascoltata la introduzione sintetica del giudice consigliere relatore, il quale ha predisposto e reso disponibile alle parti, prima della udienza, una lunghissima e dettagliata relazione (scritta 262 pagine), con la quale si illustrava il contenuto ed i motivi dei vari atti di appello, quello proposto dalla Procura di Grosseto, dall’imputato e dai suoi difensori, quelli di molte parti civili ed infine della responsabile civile Costa Crociere S.p.A., con i quali ciascuno chiede una revisione della precedente decisione sotto diversi ed opposti profili.

Esaurita la relazione illustrativa al Collegio, ha preso la parola il PM Dottor Alessandro Leopizzi, inviato da Grosseto ad affiancare la Procura Generale nel compito di sostenere la affermazione di responsabilità ottenuta in primo grado, contrastando i motivi di appello sopratutto del nuovo difensore di Schettino, che si proponeva molto ambiziosamente di smontare la decisione attraverso la riapertura del dibattimento e una “super-perizia”. Il sostituto procuratore di Grosseto, ancora una volta, ha dimostrato la sua conoscenza enciclopedica di ogni singola carta processuale, di ogni profilo di responsabilità minuziosamente accertato nei confronti del Comandante, ed ogni singola contraddizione in cui quest’ultimo è caduto nel corso della lunghissima fase dibattimentale, nonchè la sua efficacissima capacità espositiva e di lucida interpretazione delle risultanze istruttorie a carico dell’imputato. Il Dottor Leopizzi si è concentrato nella replica ai motivi di appello dell’avvocato Laino e sopratutto dell’avvocato Senese, nuovo difensore in questo grado di giudizio per Schettino, procedendo in una analisi punto per punto delle doglianze attraverso le quali questi erano giunti a chiedere (addirittura) la assoluzione del Comandante, sostenuta dalla lamentata violazione di una analisi obiettiva dei fatti e di un preteso accanimento, non solo mediatico ma anche processuale, nei confronti dell’imputato. Il risultato, dopo circa tre ore e mezzo di ininterrotta discussione, ed attraverso una opera di totale distruzione logica e giuridica – spesso tratteggiata da toni toscanamente ironici e, nonostante la minuziosità dei ragionamenti e riferimenti anche processuali, mai resa incomprensibile anche al semplice ascoltatore – è stato il venir meno di ogni credibilità e sostenibilità dell’appello difensivo dell’imputato.

Dopo la pausa, la parola è passata al sostituto Procuratore Generale di Firenze, dott. Giancarlo Ferrucci , il quale sembrava scalpitare nella attesa di proporre i suoi argomenti alla platea, che però hanno mostrato tutto il limite di chi – esattamente come l’avvocato Senese per Schettino – non ha seguito ognuna delle 71 udienze per oltre 600 ore di dibattimento, non conosce ogni aspetto – anche non processuale – della vicenda, e non ha certamente letto le 56.000 pagine per oltre 120 faldoni in cui si racchiudono le attività, in 2 anni di processo, di tre Giudici, 4 PM, 65 avvocati, oltre 180 testimoni e consulenti che hanno raccontato in aula la tragedia del Giglio in ogni suo aspetto.  L’intervento di chi, insomma, non ha vissuto il naufragio: quello che ne esce è una prospettiva, a livello spesso da conversazione al bar, sul disdoro della marineria italiana e sulle colpe morali di Schettino.

Passando alla richiesta delle pene, Ferrucci ha proposto 9 anni di reclusione per naufragio colposo; 15 anni per omicidio colposo plurimo e lesioni plurime colpose (i 32 morti e decine di feriti); 3 anni per abbandono di persone incapaci; più 3 mesi di arresto per false comunicazioni alla capitaneria, riproponendo l’aggravante della colpa cosciente, arrivando in totale a superare perfino le pretese dei PM di Grosseto, per oltre 27 anni di carcere per reati colposi, in una iperbole che riteniamo tanto improbabile quanto la assoluzione di Schettino.

Un gioco al rilancio da tutte le parti processuali: Noi ovviamente chiediamo più soldi ma soprattutto giustizia, puntiamo nuovamente ad allargare le responsabilità nei confronti anche di Costa Crociere, e non serve certo una nuova perizia, nelle carte processuali, anche se non entrato a pieno titolo nella sentenza, c’è già tutto per dimostrare i malfunzionamenti, la impreparazione dell’equipaggio e tutto quanto ha contribuito a preparare il terreno per la tragedia messa in opera da Schettino.

Dopo aver sfrondato velocemente i banchi da molte presenze di avvocati che si sono limitati a depositate conclusioni scritte, e le prime schermaglie tra avvocati di parte civile e difensori di Schettino e Costa Crociere, è saltata la prossima udienza calendarizzata e si riprenderà il 4 maggio con l’avvio delle discussioni di alcuni tra gli appellanti di parte civile, per proseguire il 6, 9 e 10 maggio con altre parti civili fino ad esaurimento.

Processo Concordia Bis

Avvocato Massimiliano GabrielliLa associazione nazionale ANMIL, da sempre impegnata sul tema della sicurezza sul lavoro e rispetto delle normative antinfortunistiche, ha affidato il mandato difensivo agli Avvocati Massimiliano Gabrielli, Cesare Bulgheroni ed Alessandra Guarini, per essere rappresentata come parte civile nel processo Concordia bis, che si occuperà delle violazione delle norme a tutela dei lavoratori e dei reati ambientali. Alla udienza di apertura, tenutasi il 07.03.2015 davanti al Tribunale monocratico di Grosseto, gli Avvocati della associazione hanno depositato a sorpresa una richiesta di maxi-risarcimento per un milione di euro, motivata dai malfunzionamenti della nave ed il mancato rispetto delle normative di emergenza da parte della compagnia di navigazione, sul modello statunitense di danni punitivi con effetti deterrenti e di prevenzione contro futuri disastri navali, ed hanno ottenuto dal Giudice la chiamata in causa di Costa Crociere SpA come responsabile civile, che quindi sarà nuovamente tenuta al pagamento dei futuri risarcimenti. Le parti processuali giocheranno una partita contro il tempo, sul filo della prescrizione dei reati che, essendo di natura contravvenzionale, in questo giudizio maturerebbe a gennaio 2017; il calendario di udienze, già stabilito con ritmi molto intensi, ha però sin da subito chiarito che è tutta intenzione del Tribunale arrivare a pronunciarsi con una nuova sentenza prima della estate. Il 28 aprile si aprirà a Firenze anche il processo di appello del processo penale principale sul naufragio della Concordia, con il quale il comandante Francesco Schettino è stato già condannato a 16 anni di carcere.

RAI NEWS TGR EDIZIONE DELLE 19.30 del 08/03/2016 – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/TGR/basic/PublishingBlock-0f7d1998-654b-4a4d-8455-2d2a1121bfb2-archivio.html

Appello Concordia: prima udienza l 28 aprile 2016

Appello concordia Schettino.jpgInizierà a Firenze il 28.04.2016 il processo d’appello contro la sentenza di primo grado  pronunciata appena  l’11 febbraio 2015 dal Tribunale penale di Grosseto sul naufragio della costa Concordia, avvenuto il 13 gennaio 2012 al largo dell’isola del Giglio, ad appena quattro mesi dall’invio di tutte le carte processuali ai Giudici della Corte d’appello di competenza toscana.

Una evidente velocità privilegiata, quindi, anche per il secondo grado del monumentale processo, che nella precedente fase è riuscita a giungere a sentenza in soli due anni, articolandosi in circa 70 udienze (di media per sessioni da 3 giorni e due volte al mese, ma anche con punte di una settimana intera e 3 sessioni per mese, con udienze dalla 9,30 della mattina alle 18,00, a volte protratte ad oltranza fin dopo la mezzanotte), centinaia di testimoni e consulenti ascoltati in aula, un eccezionale numero di parti civili costituite, e circa 75 faldoni di carte processuali, documenti, trascrizioni, verbali, perizie, dati informatici ed elementi di straordinaria portata sia numerica che di analisi e studio.

Nel processo di appello le cose saranno estremamente più semplici dal punto di vista istruttorio, mentre per il Collegio della Corte d’Appello di Firenze sarà particolarmente complessa la analisi delle contrapposte doglianze, sollevate da tutte le parti processuali contro la sentenza del Tribunale.

Ha ovviamente proposto appello Francesco Schettino, classe 1960, unico imputato e condannato a 16 anni di reclusione ed 1 mese di arresto per tutti i reati contestati dalla Procura, dall’omicidio colposo plurimo alle lesioni colpose plurime, dal naufragio colposo alla violazione delle norme di prevenzione infortuni, fino all’abbandono della nave, quello contro cui si è più caparbiamente opposto il Comandante. I difensori di Schettino puntano ad una riduzione della pena, che ritengono eccessiva trattandosi di reati di natura colposa, ed alla diversa incidenza causale sull’evento, in relazione ai molti malfunzionamenti della nave e della procedura di emergenza predisposta da Costa Crociere. Lo stesso Schettino ha aggiunto di suo pugno dei suoi «personali motivi di appello», con i quali chiede che invece venga diversamente valutato il suo «tratto umano».

Ma ha presentato appello anche la Procura di Grosseto, capitanata dal PM dott. Alessandro Leopizzi, per una revisione in senso opposto della pena erogata, a  fronte delle ben più alte richieste  (26 anni in tutto) formulate in primo grado dall’accusa, per il concorso dei vari capi di imputazione.

Hanno proposto impugnativa anche decine di parti civili, tra i quali – come sempre in prima linea – i legali del ns. pool di Giustizia per la Concordia, avverso i criteri di liquidazione delle provvisionali ai passeggeri ed alle vittime, per un riconoscimento dei danni più alto ed una sentenza che faccia giustizia sostanziale più adeguata. Ricordiamo la più contestata liquidazione, per la morte della passeggera tedesca Gabriele Grube, in soli 60mila euro di provvisionale, e le liquidazioni ai sopravvissuti, che vanno dai 30 ai 50 mila euro a testa, puntando quindi ad ottenere acconti provvisionali più consistenti con il secondo grado. Punto fermo resta la ns. richiesta, poi, dei famosi danni punitivi, sul modello statunitense, che andrebbe a sanzionare economicamente in modo molto pesante Costa Crociere, con un meccanismo deterrente e di prevenzione per evitare il ripetersi di tragedie del genere, favorite da politiche di risparmio delle compagnie di navigazione sulla formazione equipaggio, manutenzione e sicurezza in genere. Anche molte associazioni ed enti, come il Comune del Giglio, hanno proposto appello contro una sentenza che in primo grado li ha lasciati quasi totalmente a bocca asciutta.

Ha infine appellato la sentenza anche la stessa Costa Crociere, soprattutto contro le liquidazioni milionarie ottenute dai ministeri e da alcuni enti, a fronte delle spese ed impiego mezzi ed uomini per contrastare la emergenza Concordia, che a livello nazionale ed internazionale ha avuto evidenza prioritaria.

Si aprirà quindi il 28 aprile una nuova e impegnativa pagina processuale sul naufragio del secolo, e noi saremo ancora una volta presenti in aula a Firenze per sostenere le ragioni delle uniche e vere vittime incolpevoli della tragedia, i passeggeri.

13/01/2016 quattro anni dal naufragio Concordia

Sono passati quattro anni esatti dal tragico naufragio della Costa Concordia al largo dell’isola del Giglio; il relitto della nave, rimasto a lungo adagiato su un fianco come monumento alla assurdità umana, è stato rimosso e quasi completamente smantellato. Non si cancella invece per tutti noi la memoria ed il ricordo per le vittime e l’impegno per coloro che hanno avuto la vita stravolta da quella che doveva essere una crociera felice;  il processo penale, giunto ad una severa condanna nei confronti del Comandante Schettino, pende ora in appello, nel segno della nostra costante ed instancabile ricerca delle concorrenti e ancora più gravi responsabilità dell’armatore.

Un processo storico che ha cambiato già molte regole sulla sicurezza a mare, ma che può ancora dare un significato a questo incidente, affinché non ci sia più una altra Concordia.

Come ha funzionato il ns blog nel 2015

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2015 per questo blog.

Ecco un estratto:

La sala concerti del teatro dell’opera di Sydney contiene 2.700 spettatori. Questo blog è stato visitato circa 13.000 volte in 2015. Se fosse un concerto al teatro dell’opera di Sydney, servirebbero circa 5 spettacoli con tutto esaurito per permettere a così tante persone di vederlo.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

APPELLO DELLE PARTI CIVILI di GIUSTIZIA PER LA CONCORDIA

Sentenza Schettino prima paginaDepositato in questi giorni, da parte dei molti legali del pool, l’atto di appello ai capi civili della sentenza di primo grado sul naufragio della Concordia del 13 gennaio 2012. Si punta in alto e di nuovo sulla richiesta di danno punitivo di derivazione statunitense, chiedendo alla Corte di Appello di Firenze di riconoscere provvisionali fino a 300 mila euro ed un risarcimento finale molto più congruo e consistente. Le parti civili, si ricorda, in primo grado hanno ottenuto provvisionali tra i 30 e 50 mila euro. Anche l’ufficio della Procura di Grosseto ha impugnato la sentenza, insistendo invece sulle responsabilità titaniche e quasi esclusive di Schettino, e quindi su una sua condanna esemplare.

I legali di ‘Giustizia per la Concordia ritengono al contrario che “la sentenza non abbia tenuto conto dei comportamenti omissivi della compagnia armatrice, la Costa Crociere S.p.A., che hanno contribuito alla causazione del naufragio (tra cui l’impreparazione dell’equipaggio alle emergenze, l’insufficienza dei sistemi di sicurezza della nave ed il loro malfunzionamento e la pratica dei cosiddetti ‘inchini’ fatti dai comandanti delle loro navi ai luoghi di interesse turistico)”. Il naufragio, ricordano i legali, “è avvenuto proprio nel corso di un inchino – e cioè di un passaggio ravvicinatissimo alla costa – che Schettino intendeva fare al Giglio per omaggiare il màitre, nativo del Giglio. La pratica dell’inchino in particolare era diffusa per interessi di carattere promozionale ed è risultata estremamente pericolosa come, appunto, il naufragio della Concordia ha dimostrato”. Il pool ‘Giustizia per la Concordia’ si batte affinché “l’autorità giudiziaria riconosca che Costa Crociere spa, proprio per avere tenuto comportamenti omissivi per ragioni economiche di risparmio, risulta corresponsabile del naufragio e deve perciò essere condannata ai cosiddetti ‘danni punitivi’ in favore dei passeggeri della Concordia che hanno rischiato la propria vita nel corso del naufragio che ha causato la morte di ben 32 persone”.

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Fonte Ansa, Copyright © gonews.it

LA SENTENZA INTEGRALE DI PRIMO GRADO- 550 pagine che non lasciano il segno

Sentenza Schettino prima paginaUna sentenza salomonica, non coraggiosa, che, come previsto sin dalla lettura del dispositivo e si è puntualmente capito oggi col deposito delle motivazioni, non lascerà certo il segno nella storia giuridica di questo paese, se non nella prevedibile revisione e nell’innalzamento della barra delle responsabilità e dei risarcimenti che siamo certi di poter ottenere in appello, e soprattutto in sede civile. Gli stessi Giudici grossetani intravedono margini, eppure non si spingono oltre al minimo loro richiesto, applicano la livella e, da moderni Ponzio Pilato, pur aprendo in più punti alle possibilità di accoglimento di talune richieste risarcitorie delle parti civili, comprese quelle sul danno punitivo, a loro dire non concedibile in questa sede, rimandano ad altre autorità, non escludendo che ciò possa avvenire in sede civile, dove peraltro recenti pronunce del Tribunale di Torino hanno riconosciuto apertamente il criterio moltiplicatorio del risarcimento legato alla responsabilità aggravata dalla condotta dei responsabili di un disastro. Insomma, condannano Schettino, liquidano un danno decoroso ma non esemplare e si lavano le mani dalla responsabilità di fare Giustizia vera, concreta, memorabile. A voi la lettura in anteprima della sentenza, e lasciamo spazio e tempo per i commenti su tante pagine, certamente soggette a controverse interpretazioni. Insomma, come già affermato, la sentenza non è – e non sarà certo per noi – il punto di arrivo, ma bensì la base di partenza per arrivare al riconoscimento di un più ampio diritto di risarcimento delle parti civili, all’accertamento della verità senza riguardo a chi poi ne debba rispondere, all’innalzamento della prevenzione a mare ed all’allargamento delle responsabilità verso i vertici societari. Perché non ci sia mai più una altra Concordia con un solo responsabile.

CLICCA PER LA LETTURA DELLA SENTENZA INTEGRALE

Esce il libro di Schettino “Le verità sommerse”

schettino-concordia-Verità-sommerseHa fatto prima lui che i Giudici a scrivere le motivazioni della sentenza con la quale, dopo il processo di primo grado, il Comandante è stato condannato a 16 anni, come noto prorogate dal Tribunale di Grosseto di 60 giorni e slittate al 13 luglio 2015: già pubblicato invece Le verità sommerse, scritto da Francesco Schettino con la giornalista Vittoriana Abate, presentato in anteprima domani a Meta di Sorrento. “E’ la risposta a tante domande, il libro – spiega il Comandante – ripercorre con il mio racconto ed attraverso gli atti del processo, minuto dopo minuto l’incidente della Concordia dal 13 gennaio 2012 fino agli ultimi avvenimenti dopo la sentenza dell’11 febbraio 2015“. Alla presentazione, annuncia Schettino, ci saranno anche esperti del settore marittimo, anche stranieri, mentre a luglio, a Roma, è prevista una conferenza stampa. Nel libro di oltre 600 pagine ci sono le voci della scatola nera, le testimonianze rese al processo da numerosi passeggeri e membri dell’equipaggio, le intercettazioni ambientali inedite e quelle che vengono definite nel libro le “sviste” nelle indagini. “Ho affidato a queste pagine le mie riflessioni, le mie valutazioni e quegli aspetti emotivi che le hanno accompagnate e finora mai raccontate“, aggiunge il comandante. “Il libro – conclude Schettino – è una risposta a tanti interrogativi rimasti in sospeso.”, anche perché la verità, in aula, Schettino non l’ha mai raccontata per intero, essendosi sempre limitato, come abbiamo più volte rimarcato, a dire la “sua” verità e nel limite di quello che aveva un tornaconto processuale per lui vantaggioso.