28 novembre 2021 - 15:21

Bianca di Savoia Arrivabene e il Palazzo, quel lusso veneziano di abitare la storia

L’hotel Aman, la sua vita e la città di Venezia: «Non faccia caso ai nomi, siamo una famiglia come tante, le dinamiche sono sempre le stesse»

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Ascoltare gli intrecci di vita tra Palazzo Papadopoli e Bianca di Savoia Arrivabene è come guardare dentro un settecentesco Mondo Nuovo e scoprirne le magie. Un gesto che, in una mattina di sole, ha il sapore del piccolo privilegio: «Di solito non parlo con i giornalisti». Siamo nel salone del piano nobile, un paio di turisti fanno colazione, l’hotel Aman si è svegliato da poco. Una donna e un luogo: le due storie questa volta sono lunghe e importanti; storie di Venezia e storie d’Italia. Da una parte i bergamaschi Coccina, poi i Tiepolo e quindi i Papadopoli e gli Arrivabene, dall’altra gli Orléans, i Savoia e su su fino alla Regina Vittoria. «Ero tentata di chiederle la lista di domande, poi mi sono fermata. Vada».

Innanzitutto un lieve imbarazzo da commoner: principessa o contessa, come possiamo chiamarla?
«Mi chiami Bianca, che siamo a posto così». (Sollievo)

Partiamo da questo luogo meraviglioso. Che cosa rappresenta per lei Palazzo Papadopoli?
«Gli inglesi hanno una parola semplice e meravigliosa: home. Ecco, qui mi sento veramente a casa. Sono ormai più di trent’anni che io, mio marito Giberto e i figli abitiamo all’ultimo piano. Per me è impossibile pensare ad un altro posto in cui vivere».

Storia molto densa quella del palazzo.
«Sì, risale al 1500, fu costruito per i Coccina, poi passò ai Tiepolo, ai Comello, ai Pourtalès e nella seconda metà dell’800 fu acquistato dai conti Papadopoli-Aldobrandini. Vera, la nonna di mio marito, sposò un Arrivabene Valenti Gonzaga e oggi è di proprietà di Giberto».

Tra i primi palazzi veneziani ad essere elettrificati.
«Ma non solo, guardi questo salone. I Papadopoli lo fecero arredare da Michelangelo Guggenheim, non c’è nulla di simile in città, un vero rivoluzionario dell’epoca. È come se oggi affidassimo la nostra casa a Peter Marino».

Dalle stravaganze al “buio” della seconda parte del ‘900.
«È stato sede del Cnr, dell’Istituto di Scienze Marine e del Provveditorato agli Studi. Poi a metà degli anni duemila, una volta svuotato, ci siamo messi a restaurarcelo noi. Io, mio marito e i figli. Ovviamente supportati da esperti ma abbiamo voluto dare una mano. Ricordo che lavoravamo sugli stucchi con gli spazzolini da denti: negli uffici si poteva fumare all’epoca… un disastro».

Dal 2013 è un lussuoso hotel. L’albergo dei sogni e dei sì, dalle nozze di Clooney in poi. Che ricordi ha di quel giorno?
«Nessun ricordo. Ce ne siamo proprio andati, traslocato per una settimana. Le mie figlie volevano rimanere, ma la situazione era veramente invivibile, paparazzi che avevano affittato le case di fronte, giornalisti che ci chiamavano da giorni, addirittura un talk show che ci voleva in trasmissione, no, no, non fa per noi».

Di lei non si sa molto, pochi riflettori nonostante la famiglia da cui proviene. È figlia di Amedeo di Savoia e di Claudia d’Orléans, principessa di Francia.
«Non faccia caso ai nomi, è una famiglia come tante, mi creda, le dinamiche sono sempre le stesse».

Una domanda su Vittorio Emanuele e sui rapporti talvolta burrascosi che ci furono con suo padre ce la consente?
«Io ho pensato sempre a una famiglia unita. Di recente Emanuele Filiberto ha incontrato mio fratello Aimone a Mosca, si sono anche abbracciati. Ci sono le foto a testimoniarlo», sorride.

E Venezia? Che rapporto ha con la città?
«Vale come per il palazzo: è casa. Mi piace passeggiare fino a Sant’Elena o ai Murazzi, sia d’estate che d’inverno, specie la mattina presto. Poi vado a lavorare».

Non gliel’abbiamo ancora chiesto: che lavoro fa?
«Sono vice-presidente di Christie’s Italia, ho una società di eventi, la A Consulting, e collaboro nella gestione delle creazioni artistiche in vetro di mio marito».

L’ha vista cambiare, la città, negli ultimi 30 anni?
«Come no, certo. E non in meglio, ovviamente. Venezia è uno splendido villaggio globale in cui ci si conosce un po’ tutti e allo stesso tempo è frequentata da persone che arrivano da ogni angolo del pianeta. Ultimamente però arrivano in troppi. Credo non ci sia più tempo, vanno regolamentati gli accessi, limitati. Bisogna portare rispetto ai veneziani e ai sassi della città».

A questo punto della conversazione ci raggiunge il marito Giberto Arrivabene. «Che c’è, eri geloso?» fa lei. «È trascorsa un’ora» si giustifica lui. «Veramente son 37 minuti».

L’ultima domanda è per tutti e due: un successo il recente matrimonio di vostra figlia Vera qui a palazzo…
«Sì, giornata meravigliosa – commenta Bianca – anche se siamo stati col fiato sospeso fino alla fine. Giberto aveva due task: le bomboniere (create da lui) e il vino con le etichette personalizzate. Entrambe le cose si sono materializzate all’ultimo istante», sospira fulminandolo con gli occhi. «Ma dai, Bianca… avevo tutto sotto controllo». Proprio vero, le dinamiche familiari son sempre le stesse, al di là dei luoghi storici e del sangue blu.

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