Sì, sarà per colpa dell’anno bisestile se il carnevale di Ivrea, nato sotto cattivi auspici, ieri sera si è dissolto tra le lacrime degli aranceri, della Mugnaia, del sindaco, dei bambini, degli uomini in costumi d’epoca con feluche a sciabole. Lacrime amare, malgrado il dolce profumo di arance spiattellate a quintali sul selciato della città. Addio Carnevale 2020. Dei tre giorni di festa, solo uno si è potuto celebrare. Per giunta sotto tono, con quasi la metà degli spettatori abituali. Oggi e domani le arance resteranno nelle cassette di legno. Le ordinanze della Regione e del Comune hanno vietato qualsiasi manifestazione pubblica per motivi sanitari. In questa Pamplona di agrumi, dove la lotta corpo a corpo è un rito collettivo, e si accettano come medaglie le ferite della battaglia, non c’è niente di più serio del Carnevale. E se un virus lo sconfigge, non resta che piangere.

Tre volte nella storia il Carnevale di Ivrea s’è fermato. Durante le due guerre mondiali e poi nel 1960, quando Adriano Olivetti, mecenate e imprenditore rivoluzionario del Canavese, morì improvvisamente proprio a ridosso del carnevale. Fu un colpo per una città devota, costretta a indossare il lutto e a deporre il divertimento. E di nuovo oggi è obbligata a rinunciare alla festa per colpa di un virus che semina più timore che vittime.

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Ma bisogna partire dai segnali negativi delle settimane scorse per comprendere a fondo il clima amaro. Prima, i dissapori di alcuni figuranti “ufficiali napoleonici” esclusi, costretti a ricorrere al Tar per poter continuare a indossare le loro divise. Poi, la sostituzione all’ultimo momento del Generale in carica, travolto dalle ombre di uno scandalo piccante: pare per le sue eccessive lusinghe verso una vivandiera del corteo. Uno scandalo, se si pensa che il carnevale di Ivrea è tutto incentrato sulla difesa dell’onore di una donna: la mugnaia, appunto. E la serietà di questa festa si coglie già nella sua investitura: di per sé un evento, un segreto da custodire fino all’ultimo come la formula della Coca Cola. La Mugnaia può stare in carica solo un anno. Per il 2020 è stata scelta Paola Gregorutti: i suoi due bimbi, ieri, l’hanno accompagnata con orgoglio in ogni contrada. Per colpa del coronavirus, passerà alla storia come la Mugnaia per un giorno. «Grazie alla mia Ivrea, meravigliosa» diceva in lacrime, tra gli abbracci dei figli, accettando la fine anticipata.

Gli aranceri? Rudi e bellicosi, avvezzi al vin brulè e alla birra più che ai vaccini, anche loro hanno dovuto trangugiare la sospensione del carnevale, comunicata dal sindaco, Stefano Sertoli, al termine della prima giornata di battaglia. «Andremo in piazza lo stesso». «Ci troveremo tra i campi e ci lanceremo le arance». «Il virus non ci ferma». Così dicevano in prima battuta. Poi è sopraggiunta l’amarezza. «Vabbè, ci rifaremo nel 2021». Sarà così? Gli eporediesi vanno presi con le molle. Sono rivoltosi per natura. Anche per scherzo.

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